lunedì 6 febbraio 2012
IL PCI E TOGLIATTI NELLA GUERRA DI SPAGNA di Antonio Moscato
IL PCI E TOGLIATTI NELLA GUERRA DI SPAGNA
di Antonio Moscato
relazione tenuta a Losanna il 18 dicembre 1997
1) Il ruolo del PCI nella Guerra di Spagna è stato importante, ma è stato anche amplificato e soprattutto separato dal contesto delle decisioni dall’Internazionale comunista. Ciò emerge chiaramente da una periodizzazione delle diverse fasi dell’afflusso di volontari, che consente di capire lo stretto legame tra l’afflusso dei militanti comunisti e le scelte del Comintern. Nei primi mesi dopo il 19 luglio 1936, infatti, la partecipazione dei comunisti (non solo italiani) fu piuttosto ridotta, e iniziò a crescere rapidamente solo dopo la decisione presa a Mosca il 18 settembre di impegnarsi maggiormente nel conflitto. Cosicché tra i primi volontari la percentuale di anarchici, socialisti di varie tendenze e antifascisti non organizzati (compresi alcuni degli atleti che avevano partecipato alle Spartakiadi di Barcellona) era decisamente prevalente, con qualche imbarazzo della storiografia e soprattutto della memorialistica di parte comunista, che del ruolo dei comunisti nella Guerra di Spagna ha fatto un mito fondatore.
Luigi Longo ad esempio afferma che “fin dai primi giorni della lotta [ …] decine e centinaia di lavoratori e di democratici francesi e belgi, di emigrati italiani, polacchi, tedeschi, sfuggiti al patrio fascismo, combattono fianco a fianco con i fratelli spagnoli”. (1)
Anche se decine e centinaia è una formula assai generica (erano 20 o 900?), appare chiaro che in ogni caso si rimaneva nei limiti di quella che può essere considerata una partecipazione spontanea, fisiologica, dovuta in primo luogo ai militanti di vari paesi già presenti in Spagna per ragioni diverse (compresi diversi maghrebini immigrati per lavoro che si arruolarono, e la cui presenza fu quasi sempre taciuta, consentendo di affrontare in termini quasi razzisti la questione dei mercenari marocchini arruolati da Franco), e poi a quelli che per particolare sensibilità e a titolo individuale sono accorsi rapidamente da paesi limitrofi.
Non a caso Longo lascia nel vago la composizione politica di quei primi nuclei e fa ben pochi nomi (sette in tutto) per nascondere che i comunisti erano inizialmente pochi. Erano “comunisti, socialisti, repubblicani, seguaci di Giustizia e Libertà”, scrive Longo, dimenticando completamente gli anarchici, che avevano invece un peso notevole tra i primi arrivati. Di essi egli si ricorda solo per denigrare la colonna di Giustizia e Libertà, naturalmente rendendo omaggio al suo promotore, dato che era morto:
Nonostante il valore e la rettitudine di Carlo Rosselli, che ne è il fondatore e l’animatore, questa colonna è travagliata e quasi paralizzata da profondi dissidi, e le sue capacità militari sono ridotte a ben poca cosa. [...] Nella colonna Giustizia e Libertà il gran numero di anarchici, refrattari per principio ad ogni subordinazione e centralismo, non aiuta certo a farne una salda ed omogenea unità militare. (2)
Longo traccia un quadro di maniera, che non tiene conto delle trasformazioni indotte rapidamente dall’esperienza nelle stesse formazioni esclusivamente e rigorosamente anarchiche. Lo scopo evidente è quello di nascondere il peso degli anarchici, citandoli solo per evocare lo stereotipo che li presentava come distruttori del potenziale militare della repubblica, in contrapposizione ai comunisti che invece “per abitudine [...] al lavoro collettivo e ordinato” garantivano “l’unità e la combattività” delle loro formazioni. (3)
La realtà occultata da Longo è appunto che, nella prima ondata di volontariato, i comunisti scarseggiavano, e non perché tra loro mancasse l’entusiasmo e la volontà di accorrere in soccorso della repubblica, ma semplicemente perché l’Internazionale comunista sosteneva che in Spagna non c’era bisogno di volontari ma solo di armi. Peraltro anche queste tardarono ad arrivare, sia perché il governo francese il 4 agosto si era affrettato a proclamare il non intervento, a cui aderirono presto ipocritamente Germania e Italia, (che avevano rifornito fin dall'inizio i ribelli, e che continuavano a inviare aerei e truppe), ma anche, il 23 agosto, la stessa l'Unione Sovietica.
Sappiamo oggi che Stalin deciderà solo nella seconda metà di settembre di inviare armi, che cominceranno ad arrivare in ottobre, in quantità sufficiente per resistere ma non per vincere, e nello stesso tempo darà il via all’Internazionale comunista, che si impegnerà da ottobre a garantire un forte afflusso di volontari che consentiranno di formare le Brigate internazionali.
Ci sono varie ipotesi sul perché di questa decisione, e d’altra parte è probabile che ci siano state molte e diverse ragioni concomitanti. Probabilmente il gruppo dirigente sovietico si è preoccupato vedendo i successi dei franchisti e si è interrogato sulle ragioni della complicità anglo-francese con il massiccio intervento di Italia e Germania; in ogni caso gli invii apparentemente generosi e disinteressati sarebbero stati pagati con le ingenti risorse auree della Spagna (oltre 510 tonnellate di oro), che l’URSS si fece consegnare per “metterle al sicuro” e che in realtà tratterrà dopo la fine della repubblica.
Il segreto sulla consegna dell'oro verrà mantenuto gelosamente per tutta la guerra, smentendo categoricamente ogni voce in proposito (qualcosa era ovviamente trapelato). Il decreto per "mettere in salvo l'oro" era stato fatto il 13 settembre 1936, quando Madrid non era in pericolo, e fu messo in atto dal socialista di destra Negrín, che sarà su tutti i piani un prezioso complice dell'URSS (nel 1937, divenuto primo ministro, avallerà perfino la versione dell'evasione di Nin che doveva coprirne l’assassinio). Mantenendo il segreto si consentì inoltre all'URSS di avere il monopolio delle forniture, mentre i diplomatici in Messico avevano fatto contratti per acquistare aerei statunitensi, per cui mancò il denaro. I comunisti poterono presentare come "aiuto disinteressato" quello che era un ottimo affare economico oltre che una corda al collo del governo repubblicano.
2) Una testimonianza indiretta sul ritardo iniziale nell’invio di volontari, e soprattutto sui fattori esterni che determinarono la svolta del PCI (e degli altri partiti del Comintern) si ricava da una singolare polemica col PSI ritrovata negli archivi del PCI. Infatti tra i primi arrivati in Spagna scarseggiavano non solo i comunisti, ma anche i militanti del partito socialista legato al PC dal “Patto di unità d’azione”, che aveva ugualmente scoraggiato l’invio di volontari. Quando in ottobre l’Internazionale comunista cambiò bruscamente linea e il PC cominciò la campagna di arruolamenti, il PSI non ne fu informato tempestivamente e si trovò spiazzato e il 27 ottobre la sua direzione inviò una lettera di protesta all’UP del PCI, che faceva riferimento a una richiesta di chiarimenti dei giorni precedenti:
Noi avevamo deplorato [...] che a proposito della azione comune in Ispagna, il vostro partito si fosse creduto autorizzato ad iniziative che, a volte, erano in aperto contrasto con gli impegni assunti e in particolare col punto di vista affermato e difeso da vostri rappresentanti in molteplici riunioni. Voi respingete l’assunto poiché “a condizioni modificate doveva corrispondere un’azione diversa”. Si, cari compagni, a condizioni modificate doveva e deve corrispondere un’azione diversa, ma non un’azione intrapresa in ordine sparso, ma preventivamente coordinata dai due Partiti, senza di ciò non c'è unità d’azione. (4)
E’ evidente l’irritazione del PSI nel verificare non solo che tutti gli accordi comuni tra i due partiti non contano nulla quando cambiano le direttive del Comintern, ma che nel caso specifico la direzione socialista ha continuato per un mese a respingere le pressioni della base e dell’emigrazione antifascista in base a quanto concordato con il PCI, che invece aveva cominciato a reclutare volontari su larga scala.
Nel momento in cui il PCI cessò di scoraggiare gli arruolamenti, raccolse infatti in pochissime settimane un gran numero di militanti e simpatizzanti pronti ad andare in Spagna. Il mancato afflusso della prima fase non era certo dovuto a un iniziale disinteresse, ma era semplicemente il riflesso della ferrea disciplina ormai consolidatasi da un decennio. Nella prima fase, oltre ai pochi quadri inviati come osservatori, erano partiti solo alcuni militanti inquieti che avevano ascoltato più il loro istinto di classe che le direttive superiori. Non a caso il più noto di essi, Eugenio Curiel, fu sospettato a lungo perché manteneva buoni rapporti con Eugenio Colorni, etichettato come trotskista, e manteneva contatti, sia pure per ragioni personali, con esponenti socialdemocratici.
D’altra parte anche l’afflusso successivo è massiccio non per cieca ossequienza agli ordini, bensì per la coincidenza tra un’aspirazione profonda dei militanti e la fine del divieto. Inoltre pesa l’efficienza dell’apparato clandestino dell’IC, che facilita i passaggi del confine e anche attraverso la Francia per chi arriva da altri paesi. E di comunisti esiliati provenienti dall’Italia, dai Balcani, dall’Europa centrale, dalla Germania, ce n’erano molti in Francia, in Belgio, in Svizzera, in condizioni spesso di clandestinità o semiclandestinità, spesso disoccupati e senza legami familiari, e quindi particolarmente disponibili ad andare a combattere per una causa convincente.
3) Sul comportamento dell'URSS va detto che fu molto ambiguo anche quando decise di iniziare l’intervento: si impegnò poco sul piano militare, pur avendo a disposizione quadri di altissimo livello; la maggior parte dei “volontari” sovietici si impegnarono soprattutto sul piano politico, e molti di essi ebbero un ruolo determinante negli assassinii di antistalinisti. Al tempo stesso il clima della rivoluzione (la prima vittoriosa, sia pur momentaneamente, dopo quella d’Ottobre) finì per contagiare anche una parte di quelli inviati per svolgere ruoli infami. E’ questo che spiega probabilmente la decisione staliniana di uccidere molti reduci dalla Spagna appena rientrati in patria. Perfino negli anni Cinquanta molti dei militanti comunisti sterminati in Ungheria e in Cecoslovacchia nel quadro e ai margini dei processi Slansky e Rejk avevano fatto parte delle brigate internazionali (fu coinvolto anche, senza conseguenze maggiori dell'allontanamento dal CC perché difeso dal suo partito, anche l'italiano Giuliano Pajetta). Il sospetto circondava perfino gli esecutori zelanti dei crimini staliniani, come Vittorio Vidali, che assicura nelle sue memorie di essere stato avvertito da Elena Stassova che per lui era più salutare non recarsi in URSS dopo il ritiro delle Brigate Internazionali dalla Spagna come gli era stato proposto..
La responsabilità maggiore dell'URSS e dell'Internazionale stalinizzata fu in primo luogo proprio la politica di "non intervento", proposta e attuata zelantemente dal governo di FP francese di cui i comunisti erano parte essenziale e da cui comunque non si dissociarono. Sotto la guida del principale dirigente dell’IC presente in Spagna, Togliatti, venne d’altra parte decisa la lotta contro i presunti trotskisti del POUM e la divisione del movimento anarchico, realizzata proprio su suggerimento di Togliatti offrendo posti di governo ai suoi capi inconsistenti e opportunisti e combattendo come “complici dei fascisti” gli esponenti più conseguentemente classisti. In cambio del "prezioso e disinteressato aiuto sovietico" fu imposto il silenzio alle altre componenti del FP sull'operato dell'NKVD e dei suoi complici sul territorio repubblicano.
Il partito comunista assunse in prima persona il compito di liquidare le milizie in nome della disciplina (che stavano dandosi perfino quelle anarchiche e che caratterizzò fin dall'inizio quelle del POUM), ricostruendo un esercito regolare in cui i gradi più alti vennero dati a ufficiali di mestiere che alla fine avrebbero tradito: caso esemplare quello di Casado, che tentò in extremis di accordarsi con Franco. Anche prima della loro dissoluzione alle milizie non arrivarono armi, che venivano invece assegnate dagli uomini di Mosca solo alle unità controllate dal PCE o alle Brigate internazionali.
I ministri comunisti come Uribe all'agricoltura, e i consiglieri sovietici che assistevano Negrín furono i paladini dell'arretramento del FP sul terreno sociale, con una legge di riforma agraria che assegnava un grande peso ai fittavoli borghesi, e con una lotta dura contro le comuni anarchiche di Aragona e Catalogna.
Il colpo di grazia alla rivoluzione lo dà poi il colpo di mano del 3 maggio 1937 a Barcellona, e il processo staliniano tentato contro il POUM. Per farlo i ministri comunisti ispirati da Togliatti mettono in crisi il governo di Largo Caballero (in carica dal settembre 1936 ma che rifiuta di sciogliere il POUM) sostituendolo con il suo ministro delle Finanze Juan Negrín, profondamente anticomunista ma per molte ragioni disponibile a una collaborazione con il PCE e l’URSS, che gli lasciano via libera in politica, e che egli ricambia chiudendo gli occhi sulle loro vendette contro gli oppositori di sinistra. I "tredici punti di Negrín", assolutamente conservatori, furono scritti d'altra parte con la consulenza diretta di Togliatti.
A partire dalla tragedia catalana (e spagnola) del maggio 1937, una profonda demoralizzazione impedisce ogni attività di guerriglia nelle retrovie del nemico, e spezza l'entusiasmo dello stesso esercito repubblicano, in cui viene reintrodotto il vecchio codice militare reazionario. Eppure appena due mesi prima l'entusiasmo delle Brigate internazionali e il contesto politico diverso avevano permesso di sconfiggere duramente l'esercito italiano a Guadalajara. Da allora i nazionalisti collezioneranno successi nel nord e nella stessa Catalogna. La "normalizzazione" autoritaria segna l'inizio della fine. Le conseguenze si vedranno fino in fondo nel gennaio 1939, quando Barcellona cadrà in mano franchista quasi senza combattere, in un'atmosfera di disperazione e di sfiducia che contrastava nettamente con l'entusiasmo con cui il 19 luglio 1936 aveva piegato le preponderanti forze dei ribelli.
E’ questo che spiega il fallimento della nuova ondata di reclutamenti alle Brigate internazionali decisa nella seconda metà del 1937, per recuperare le perdite in combattimento, ma anche per le diserzioni. E’ ormai impossibile recuperare il turn-over: alla fine del 1937 nella brigata Garibaldi gli italiani sono solo il 20% e anzi appena il 9% di quelli che stanno in prima linea, perché si sono rigonfiati i quadri amministrativi e politici e ridotti sempre più i combattenti.
La data del ritiro delle Brigate internazionali (formalmente richiesto da Negrín) e della simultanea fine dell’aiuto sovietico, settembre 1938, permette un’ulteriore riflessione su quella che poteva essere la logica di Stalin. Dopo i primi mesi di incertezza e di attesa, l’intervento era legato da un lato alla motivazione ufficiale (contrastare l’offensiva del fascismo in Europa), dall’altro era dettato dalla volontà di raggiungere un accordo antitedesco con le borghesie di Francia e Gran Bretagna, a cui si garantiva il "senso di responsabilità" dell'URSS e del Comintern, cioè un forte impegno per arginare la dinamica rivoluzionaria in Spagna e in Francia. Al tempo stesso l'uso propagandistico degli aiuti serviva sul piano internazionale ma anche all'interno dell'URSS (dove milioni di lavoratori sottoscrissero per pagare le armi da dare alla repubblica, già strapagate con l'oro della Banca di Spagna) per far dimenticare o giustificare lo sterminio dei dirigenti dell'Ottobre 1917 nel corso dei processi di Mosca.
Nell'ultima fase tuttavia la sospensione (già preceduta da una progressiva rarefazione) degli aiuti e il ritiro delle Brigate internazionali sono stati collegati all'inizio delle trattative segrete con la Germania che culminarono nell'agosto 1939 nel Patto Ribbentrop-Molotov, ma che erano all'ordine del giorno dal settembre 1938, quando apparve che tutte le concessioni sovietiche non avevano indotto Francia e Inghilterra ad assumere una posizione ferma nei confronti di Hitler, a cui avevano al contrario dato via libera verso est nella Conferenza di Monaco.
Inutile dire che se le "democrazie occidentali" avevano gravi colpe, la soluzione di concedere a Hitler tempo, materie prime preziose, e la sicurezza per quasi due anni sul fronte orientale con il Patto Ribbentrop-Molotov, fu un rimedio peggiore del male. L'accordo facilitò l'inizio della seconda guerra mondiale e la sconfitta prima della Polonia, poi della Francia. Il silenzio dell'URSS e dei partiti comunisti sui crimini nazisti, il cinismo della spartizione dell'Europa orientale concordata con Hitler nei "protocolli segreti" annessi al patto, la deportazione e lo sterminio di centinaia di polacchi e di baltici, nonché la consegna alla Germania di migliaia di antifascisti tedeschi e austriaci nel 1940, confermano che l'URSS non si preparava alla guerra antifascista, e rendono indifendibile quella scelta, a cui, per giunta, fu sacrificata anche la repubblica spagnola, dopo aver liquidato la rivoluzione.
4) Una messa a punto particolare è necessaria sul ruolo di Togliatti. In Italia periodicamente sulla stampa conservatrice qualcuno rispolvera qualche vecchia notizia sulle sue complicità con Stalin, e immediatamente qualche storico di area PDS o PRC interviene sottolineando la sua originalità e creatività e la sua autonomia da Stalin... Ultimamente la pubblicazione di un interessante libro di Victor Zaslavsky ed Elena Aga-Rossi, largamente basato sugli archivi di Mosca, ha riacceso la polemica. Luciano Canfora, che oscilla da anni tra PRC e PDS, ha stroncato il libro su “l’Unità”, sia pure concentrandosi su alcuni aspetti particolari per insinuare l’infondatezza di ogni accusa a Togliatti di essere stato subordinato a Stalin. (5)
In base a questa logica, il fatto che le specifiche accuse di Jesús Hernández a Togliatti e a Vidali siano risultate inesatte, nel senso che Togliatti non poteva aver partecipato alla riunione in cui si sarebbe decisa l’uccisione di Nin, perché in quel periodo faceva la spola tra l’URSS e la Francia, per coordinare la campagna di menzogne che doveva far accettare nel mondo l’assassinio dei principali dirigenti comunisti nei Processi di Mosca, è stato usato per assolvere Togliatti da ogni responsabilità. La riunione descritta con abbondanza di particolari da Hernández, non c'è mai stata in quella data. Ma questo episodio conferma solo che Hernández era un turpe personaggio prima di entrare nel PCE (che assurdamente lo designò come ministro dell’istruzione), e che rimase tale durante la sua ascesa nel partito e nel governo, ma anche ovviamente dopo aver rotto col partito, e che quindi per nascondere le sue colpe non esitò a inventare particolari fantasiosi per scaricare le sue stesse responsabilità ad altri. Hernández è inattendibile, ma su Togliatti esistono ben altre prove, anche se non i documenti che permetterebbero di chiarire in quale circostanza ordinò la soppressione del POUM e dei suoi dirigenti.
Esistono i testi delle relazioni stese per l’Internazionale, in cui lui stesso rimprovera il PCE per le esitazioni e il pur docile governo Negrín di non aver colpito abbastanza duramente gli anarchici incontrolabili e il POUM. Nella prefazione al quarto volume delle Opere di Togliatti Paolo Spriano sosteneva che dagli scritti del 1936-1939 emergerebbe un dirigente “differente dallo stereotipo per il quale in Spagna avrebbe assolto alla funzione di persecutore di anarchici” (6).
In realtà le indicazioni di Togliatti rivelano un intelligente e e cinico fastidio nei confronti della repressione indiscriminata, a cui propone di sostituire un’azione più articolata e selettiva.
Così critica il PCE che pensa che “la controversia con gli anarchici debba essere regolata con le armi”. I rapporti di forza, almeno in Catalogna, non lo consentono, ma è possibile e utile “compiere sforzi per attrarre nuovamente gli anarchici alla collaborazione nel governo” che aveva già dato buoni frutti durante il governo di Largo Caballero. Ovviamente si tratta di attrarre i dirigenti della CNT (che è in primo luogo un sindacato), che sono dei riformisti prudenti e “realisti”, sensibili alle lusinghe della collaborazione di classe. In questo modo, suggerisce Togliatti, sarà possibile “seminare discordia nelle loro file”, combattendo più facilmente quella che egli definisce “l’ala illegale costituita dai trotskisti e dagli anarchici” irriducibili, che vengono assimilati ai trotskisti perché “agiscono illegalmente e illegalmente pubblicano opuscoli, venduti come organo della FAI”. (7) A decidere cosa era “illegale” era ovviamente Togliatti.
Queste proposte erano contenute in un rapporto del 30 agosto 1937. Il 28 gennaio 1938 Togliatti si compiace che “il partito ha conosciuto una serie di successi , sia con la persuasione, sia con la pressione”. Peccato che nel frattempo la repubblica aveva subito una serie di sconfitte, e che meno di un mese dopo avrebbe perso anche Teruel e gran parte dell’Aragona., e poco dopo avrebbero tagliato in due il territorio repubblicano invecendo la stessa Catalogna. I “successi” che interessano Togliatti sono su un altro piano: sono i “tribunali speciali contro i disfattisti, i diffusori di stampa fascista e trotskista” (che Togliatti accomunava sempre), la “dissoluzione del POUM” e la sua eliminazione dagli organi rappresentativi locali in cui era stato eletto (alla faccia della “democrazia” per cui si lottava in Spagna). Più tardi, il 12 marzo 1939, in un rapporto immediatamente successivo al colpo di Casado (che attribuisce naturalmente ai soliti trotskisti, sorvolando sul fatto che gran parte dei militari insorti avevano la tessera del PCE, ed erano stati lusingati ed esaltati contro il “disordine delle milizie”), Togliatti descrive lo sfaldamento dell’esercito, la fuga di molti quadri del partito e del governo e dello stesso “ Negrín (sospettato quindi a questo punto di complicità con Casado), e ammette che tentando una resistenza “ci mancherebbe pure l’appoggio delle masse”, sicché “potremmo mantenere le retrovie solo a condizione di scatenare il terrore, fucilazioni in massa di dirigenti di altri partiti, ecc., cose che nell’attuale situazione non sono consigliabili”. Viva il cinismo!
E nel più ampio testo del 18 marzo 1939, a sconfitta consumata, firmato “Comitato centrale del Partito comunista di Spagna” ma scritto di suo pugno da Togliatti, si denunciano “membri della FAI, anarchici con un passato più o meno oscuro e con un grado di appartenenza alla nazione assai dubbio” (Togliatti a quanto pare poteva decidere non solo cos’era legale o illegale, ma perfino chi era spagnolo!) e viene bollato lo stesso partito socialista come approdato “al trotskismo controrivoluzionario poliziesco”. Non restava che fare appello ai “militari di carriera leali, che il nostro partito ha aiutato fin dal primo giorno di guerra”. Il testo non fu mai diffuso (il partito si era liquefatto) ma comunque sulla bozza Togliatti aveva cancellato la tradizionale dizione “sezione dell’Internazionale comunista”, che egli stesso aveva scritto e che poi ha ritenuto inopportuna in quel contesto catastrofico, in cui era emerso su larga scala il risentimento nei confronti dell’URSS, a cui giustamemte l’IC veniva associata.
Nel bilancio quasi definitivo tracciato il 21 maggio 1939, un testo di notevole ampiezza, assolutamente interno (era catalogato come strettamente confidenziale) emerge una vera e propria ossessione per i trotskisti, che spuntano da ogni parte. Pur partendo da un riferimento alla capitolazione di Monaco, non c’è nessuna analisi delle basi oggettive della demoralizzazione, e ancor meno alla fine degli aiuti sovietici e al ritiro delle Brigate internazionali, ma tutto quel che è accaduto è stato frutto di un complotto. Egli afferma tra l’altro che “la lotta contro il governo Negrín, contro il fronte popolare e contro il partito comunista era inoltre ispirata e diretta dall’estero”, accusa sorprendente sulla bocca di un italiano inviato da Mosca a guidare il partito comunista spagnolo. Nella lista dei sobillatori figurano anche “gli agenti della II Internazionale”. Ma non c’è dubbio su chi ha la maggiore responsabilità per il crollo della repubblica:
Dal punto di vista ideologico il trotskismo, collegato con gli estremisti e i provocatori anarchici, ha svolto il ruolo principale. Elementi del POUM penetravano nel partito socialista (PSO), nelle organizzazioni anarchiche (CNT e FAI), nei sindacati (UGT), nei partiti repubblicani ed anche nell’organizzazione della gioventù (JSU) e vi portavano la lotta contro l’unità, contro il fronte popolare e contro il partito comunista. (8)
Quando si arrivava alla rituale e prevedibile “autocritica” del PCE e dell’IC, Togliatti sorprendentemente scaricava tutte le colpe sul secondo governo Negrín, di cui si ammetteva che “ha collaborato più strettamente con la direzione del partito comunista, e che più ampiamente e più rapidamente dei precedenti ha accettato e realizzato le proposte del partito”. (9)
Come spiegare allora gli insuccessi evidenti? Bisogna cercarne le “debolezze”, alcune banali (divisioni interne, senza spiegarne l’origine), altre volgari e ingenerose, e anche bizzarre se si pensa a chi aveva scelto e difeso strenuamente Negrín:
Fra le debolezze di Negrín occorre anche menzionare il suo stile di lavoro, quello di un intellettuale sregolato, fanfarone, disorganizzato e disorganizzatore, e la sua vita personale, quella di un bohêmien non senza qualche segno di corruzione (donne). (10)
Ma non segnaliamo questo brano solo per sottolineare la disinvoltura con cui un prezioso collaboratore veniva gettato alle ortiche: era già toccato a Largo Caballero, passato da “Lenin spagnolo” a trotskista. Quello che è rivelatore è il paragrafo in cui le critiche alla debolezza del governo si fanno più precise.
Nella lotta contro la quinta colonna e contro i trotskisti si è verificato fra il mese di agosto e il mese di ottobre un periodo di debolezza, caratterizzato soprattutto dal risultato scandaloso del processo contro il POUM che terminò senza nessuna condanna seria (pena massima: 15 anni). (11)
Evidentemente 15 anni sembrano pochi per un reato di opinione! Alla luce di queste critiche al processo del genere, si capisce meglio la logica dell’assassinio di Nin (ovviamente mai citato nel rapporto). Assurdamente la responsabilità della “debolezza” del governo (di cui si da per scontato che la magistratura deve essere il braccio) viene attribuita ancora agli onnipresenti trotskisti:
In questa occasione ebbe modo di rivelarsi l’azione nefasta del ministro della giustizia, González Peña, caduto sotto l’influenza del trotskismo durante il suo viaggio nel Messico, e di Paulino Gómez, che nel corso del processo proibì alla stampa qualsiasi campagna contro i traditori trotskisti. Il partito condusse (con sensibile ritardo) la sua agitazione con pubblicazioni illegali e protestò energicamente giungendo a provocare le dimissioni del ministro degli interni. Negrín si disse d’accordo in tutto con noi, ma fece macchina indietro in seguito alla pressione del partito socialista (che minacciò di aprire una crisi), della II Internazionale e di ogni sorta di canaglia. Il suo intervento avvenne con molto ritardo e non fu energico. La lotta dell’apparato dello Stato contro i trotskisti e contro la quinta colonna fu assai intensa e buona in novembre, gennaio, ma soltanto in Catalogna. (12)
Questi stralci dalle relazioni di Togliatti non lasciano dubbi sulle sue responsabilità dirette nella repressione di tutte le tendenze di sinistra, accomunate sistematicamente ai “trotsko-fascisti”. Quanto alla sua concezione della democrazia, basti pensare al rimprovero ai giudici e agli stessi ministri che non hanno accettato di riprodurre a Barcellona un “Processo di Mosca” con le sue confessioni estorte e le conseguenti condanne a morte. D’altra parte Togliatti, quando divenne ministro della giustizia nel 1945-1946 in Italia si distinse per circolari che raccomandavano alla magistratura di assecondare l’azione repressiva della polizia nei confronti delle manifestazioni dei disoccupati e dei reduci (naturalmente “sobillate dai fascisti”), salvo promulgare un’amnistia per i fascisti, per compiacere le componenti borghesi che volevano una rapida “riconciliazione nazionale”. Non aveva perduto nessuno dei suoi vizi. Ad esempio l’ambasciatore sovietico a Roma Kostylev riferiva a Mosca:
Togliatti ha detto che è preoccupato dell’allarmante fenomeno della degenerazione del movimento partigiano al nord. Alcuni gruppi partigiani cominciano a essere coinvolti nel banditismo, nelle espropriazioni e nella violenza contro i cittadini. Certi gruppi partigiani sono caduti sotto l’influenza di elementi trotskisti, che li spingono ad azioni anarchiche e organizzano gruppi di azione proletaria per scopi poco chiari. (13)
Erano “elementi” trotskisti o anarchici? Erano semplicemente partigiani comunisti che mal accettavano di veder vanificato il loro sacrificio e venivano bollati immediatamente come trotskisti e quindi abbandonati alla repressione di una magistratura rimasta completamente reazionaria e filofascista dato che il ministro della giustizia Togliatti la lasciò così come l’aveva trovata. Ma torniamo alla Spagna. L’atteggiamento di coloro che hanno messo in dubbio le sue responsabilità negli assassinii politici solo perché non ne ha lasciato traccia scritta, ricorda quello di chi ha negato per decenni l’esistenza dei protocolli segreti annessi al Patto Ribbentrop-Molotov solo perché fino al 1990 i dirigenti sovietici negavano di conoscerne gli originali, sorvolando che esistevano copie fotostatiche trovate negli archivi decentrati della Germania nazista e che le annessioni effettuate dall’URSS nel 1939 e 1940 coincidevano esattamente con i piani di spartizione contenuti nei protocolli. D’altra parte gli stessi singolari “negazionisti” di parte comunista hanno negato per decenni anche le spartizioni dette di Yalta, solo perché non erano registrate nei verbali di quella conferenza.
Ai feticisti del documento scritto, gli archivi sovietici hanno comunque riservato negli ultimi anni diverse sorprese. Per quanto riguarda il mito di un Togliatti autonomo e originale anticipatore di una via democratica e pluralista fin dal VII Congresso dell’IC nel 1935 e poi sperimentatore in Spagna della linea di quella nuova democrazia progressiva praticata in Italia nel 1944-1947, un documento ritrovato fin dal 1991 da Aldo Agosti negli archivi di Mosca toglie ogni illusione (almeno a chi vuole prenderlo in esame).
Si tratta di un documento, scritto da Togliatti e datato 1° marzo 1944, con sue correzioni autografe estremamente significative. Di alcuni punti chiave forniamo prima il testo originale e poi quello riveduto, per consentire il confronto tra le due argomentazioni radicalmente diverse e contraddittorie tra loro.
Ad esempio, la stesura originaria affermava che i comunisti
chiedono l’abdicazione del re, in quanto complice della costituzione del regime fascista e di tutti i crimini di Mussolini, e in quanto centro di unificazione nel momento attuale di tutte le forze reazionarie, semifasciste e fasciste, che oppongono resistenza alla democratizzazione del paese e coscientemente sabotano gli sforzi di guerra dell’Italia. In considerazione di ciò [...] rifiutano di partecipare all’attuale governo Badoglio e denunciano nella politica di questo governo un ostacolo a una vera partecipazione del popolo italiano alla guerra contro la Germania. (14)
Tutto giusto, e soprattutto bene argomentato; ma l’intero periodo venne cancellato e sostituito di pugno di Togliatti, con quest’altro:
i comunisti sono pronti perfino a aprtecipare a un governo senza l’abdicazione del re, a condizione che questo governo sia attivo nel condurre la guerra per la cacciata dei tedeschi dal Paese.
La frase suona bene, ma è in stridente contraddizione con quanto affermato prima, e cioè che “in quanto centro di unificazione di tutte le forze reazionarie” quel governo era “un ostacolo al una vera partecipazione del popolo italiano alla guerra contro la Germania”.
Nessun dubbio dunque sul fatto che in Italia come in Spagna (e anche in altre mansioni di fiducia come la soppressione del partito comunista polacco nel 1938) Togliatti fu un esecutore della politica di Stalin. La sua intelligenza e duttilità lo fece emergere tra i quadri dell’IC stalinizzata, per cui fu a volte più collaboratore ed elaboratore che semplice esecutore subalterno, ma ciò non dimunisce, ed anzi per molti aspetti aggrava le sue responsabilità, soprattutto quando ripropone, in Italia e altrove, la stessa politica di collaborazione di classe già sperimentata con i risultati che sappiamo in Spagna.
Un collaboratore, ma senza mai un’ombra di coraggio umano: perfino quando a Mosca fu arrestato dall’NKVD suo cognato Paolo Robotti (avevano sposato due sorelle) rifiutò di muovere un dito.
Non ha dunque senso rivalutarne la figura attribuendogli un’autonomia che non volle avere, e cancellando le responsabilità per la sua supervisione della politica dell’Internazionale comunista in Spagna, che viene spacciata come una battaglia per la democrazia e in realtà sacrificò la rivoluzione alle esigenze della burocrazia sovietica di “offrire garanzie di rispettabilità” alla borghesia franco-britannica..In ogni caso a un uomo così colto e intelligente come Togliatti non poteva sfuggire che l’atteggiamento di Stalin nei confronti della rivoluzione spagnola non era solo legato a esigenze di politica estera, ma anche al fastidio e al timore di un successo di una rivoluzione libertaria e non manipolabile, che avrebbe potuto rappresentare un punto di riferimento alternativo e credibile nel movimento operaio europeo e nella stessa classe operaia sovietica, che non a caso espresse con tanto entusiasmo la sua solidarietà (questa fu la spiegazione avanzata allora da Trotsky e ripresa dopo la guerra dai sopravvissuti del POUM). Il comportamento verso le rivoluzioni jugoslava e cinese, dapprima osteggiate e con cui quando arrivarono comunque al successo Stalin e i suoi successori arrivarono a scontrarsi, fornisce un'ulteriore conferma a questa ipotesi, e non consente nessuna giustificazione in nome di una Realpolitik di cui la storia ha dimostrato tutta l'insensatezza.
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NOTE
(1) Luigi Longo, Le brigate internazionali in Spagna, Editori Riuniti, Roma, 1972, p.41
(2) Ivi,p. 220
(3) Ibidem. Per una ricostruzione più corretta della storia della colonna di Giustizia e Libertà si veda Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, Vallecchi, Firenze, 1973.
(4) Archivio del Partito comunista, presso Istituto Gramsci, Roma (d'ora in poi APC), 1395/66
(5) Elena Aga-Rossi, Victor Zaslavsky, Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Il Mulino, Bologna 1997. Il libro è basato solo in parte sugli archivi del Presidente della federazione russa (che conserva gli archivi di Stalin) e del Centro Russo per la preservazione e lo studio dei documenti della storia contemporanea (RZHIDNI) che contiene i fondi del Comintern, mentre ha trovato la maggior parte dei documenti nell'Archivio del ministero degli Esteri, che contiene rapporti quasi quotidiani sui colloqui tra i diplomatici sovietici a Roma e Togliatti (ma anche altri dirigenti del PCI). Canfora è intervenuto sull'Unità del 19 e 25 novembre 1997 su un aspetto particolare (l'approvazione nel 1956 dell'intervento sovietico in Ungheria) per screditare tutto il libro, come aveva fatto altre volte arrivando a mettere in dubbio (in un articolo sui grandi falsi storici apparso sul Corriere della Sera) l'autenticità del Rapporto segreto di Chrusciov solo perché nella prima pubblicazione negli Stati Uniti c'era stato qualche errore di traduzione.
(6) L'ampia prefazione è stata ristampata con qualche modifica come volume a sé, da cui citiamo: Paolo Spriano, Il compagno Ercoli. Togliatti segretario dell'Internazionale, Editori Riuniti, Roma, 1980.
(7) Palmiro Togliatti, Opere,v. IV, Editori Riuniti, Roma, 1979, p. 261
(8) Ivi, p. 345
(9) Ivi, p. 347
(10) Ivi, p. 348
(11) Ivi, p. 349
(12) Ibidem
(13) Aga-Rossi, Zaslavsky, op. cit., p. 95
(14) Il documento è stato pubblicato da Agosti sull' "Unità" del 28 ottobre 1991. Le precedenti lettere di Togliatti presentate da G. Vacca al festival dell' "Unità" su cui ritorneremo confermano che fino al febbraio del 1944 Togliatti chiedeva l'abdicazione del re.
dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/index.php
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