FACEBOOCK, TWITTER E LA MILITANZA POLITICA
di Rodolfo Monacelli
La rivoluzione ai tempi di Internet
Prendiamo spunto da un interessante articolo uscito il 4 ottobre 2010 sul
“The N ew Yorker“, firmato da Malcom Gladwell, titolato “Small change“, e ripubblicato in Italia sull’ultimo numero del settimanale Internazionale
Questo articolo tratta specificatamente del rapporto tra i cosiddetti social network, da Facebook a Twitter, in relazione soprattutto alle recenti sollevazioni in Medio Oriente.
In questo articolo non tratteremo delle rivolte popolari in Egitto o in Tunisia, argomenti che sono stati approfonditi proprio sul sito http://www.comunismoecomunita.org/ ma, partendo dallo scritto di Gladwell, cercheremo di aprire un dibattito su cosa siano i social network, quale ruolo positivo positivo o negativo possano avere, cercando di non proporre posizioni deterministe tipiche di una certa intelligentia che vede nella tecnologia la soluzione di tutti i mali della società ma, d’altra parte, neanche un certo purismo rivoluzionario che non accetta di confrontarsi con la realtà e di rapportarsi con gli strumenti che questa mette a disposizione e che è necessario utilizzare.
L’articolo di Gladwell è interessante proprio da questo punto di vista, poiché vede i social network come Facebook o Twitter per quello che essi sono: importanti strumenti di comunicazione, ma non unici elementi di aggregazione rivoluzionaria e di militanza politica.
L’articolo critica, in particolare, proprio quella visione dogmatica che vede i social network come una vera e propria rivoluzione che avrebbe radicamente modificato in maniera irreversibile la militanza politica. Gladwell, invece, contesta l’importanza ed il ruolo svolto dai social network, ad esempio, nelle rivolte in Moldavia ed in Iran, al di là del nostro giudizio fortemente negativo di queste rivoluzioni “colorate” che sono ampiamente documentate -, citando commenti da personaggi non certo sospettabili di simpatie per l’Iran o per il governo moldavo.
" E’ ora di chiarire il ruolo che ha svolto Twitter nelle manifestazioni iraniane [...] In poche parole: non c’è stata una rivoluzione di Twitter in Iran [...] I giornalisti occidentali che non potevano o non volevano parlare con le persone che affollavano le strade iraniane, si sono limitati a scorrere i post in lingua inglese taggati iranselection, ma nessuno si è chiesto perché le persone che cercavano di coordinare le proteste in Iran avrebbero dovuto scrivere in una lingua diversa dal persiano" [Golnaz Esfandiari - Foreign Affairs]
Interessanti sono le motivazioni che Gladwell rintraccia in quest’ideologica adesione alla cosiddetta “rivoluzione dei social network“. Secondo l’autore non vi è soltanto quella che lo storico americano Robert Darnton ha definito una falsa coscienza del passato che ci porterebbe
"[...] a farci credere che la comunicazione non abbia una storia, o che prima della televisione o di internet non sia successo nulla di importante."
L’elemento più importante è per Gladwell un cambiamento, che si potrebbe definire ontologico, dell’impegno politico, che coinciderebbe con l’abbandono dell’impegno sociale e dei rischi che la militanza politica comporta, e con essa anche di quei legami forti e “comunitari”. Un impegno e dei legami che, contrariamente a quanto affermano i teorici ideologizzati della Rete, i social network non permettono né prevedono.
Questo, attenzione, come abbiamo anticipato all’inizio del nostro articolo, non vuol dire in nessun modo demonizzare i social network né, tantomeno, sottovalutarli o svilire la loro utilità. Chi scrive, infatti, ritiene i social network, e più in generale il Web 2.0, una scoperta importantissima e fondamentale. Necessario, però, è utilizzarli al meglio e comprenderne la loro funzione. Ebbene, Facebook e Twitter non servono a fare la rivoluzione, ma sono semplicemente dei grandissimi strumenti di comunicazione e di partecipazione, una fonte di idee e di informazioni, di diffusione d’innovazione e di campagne, un mezzo per riuscire a mettere in contatto persone che non si sarebbero mai incontrate nella vita reale. Strumenti che, dunque, vanno necessariamente utilizzati anche da parte degli anticapitalisti e dei comunisti senza nessun preconcetto, e in maniera più efficiente e meno dilettantesca di quanto non si sia fatto fino ad oggi, ma non bisogna farsi nessun tipo di illusione.
I social network, forse, un giorno potranno contribuire a comunicare efficacemente le nostre idee, ma per realizzare la futura rivoluzione ci vorrà molto altro. Ci vorrà un impianto teorico solido e coerente, ed un movimento unitario, coeso ed organizzato basato su nuove fondamenta teoriche che, nonostante gli ideologi dei nuovi media, sarà molto più difficoltoso e complesso di un post su Facebook.
12 febbraio 2011
dal sito http://www.comunismoecomunita.org/
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