RIEVOCAZIONI DEL MURO
di Antonio Moscato
Impressionante quanto le commemorazioni del venticinquesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, con tutto quel che ne seguì, non abbiano risposto minimamente agli interrogativi sul perché un sistema che veniva presentato sistematicamente come potentissimo e pericoloso si sia sgonfiato come un pupazzo di neve al primo sole.
Preoccupa che il PRC sul suo sito (http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=14888) non sappia far di meglio che esaltare ancora una volta Berlinguer, e riprendere un vecchio articolo di Pietro Ingrao, non particolarmente illuminante, osservando che:
"Si tende a rimuovere la “terza via” proposta da Berlinguer e Ingrao che aveva ben altra direzione e che ispirò la battaglia prima contro la liquidazione del PCI e fin dall’inizio il progetto della Rifondazione Comunista nel quale portarono il proprio contributo anche i comunisti che provenivano dalla “nuova sinistra” e dall’antistalinismo di sinistra. Oggi quella ricerca ci sembra vivere nell’esperienza che stiamo costruendo con le altre formazioni aderenti al Partito della Sinistra Europea come testimonia il costante riferimento a quella «tradizione» di Alexis Tsipras e dei compagni di Syriza."
Francamente non mi sembrava che Syriza proponesse una “terza via”… Ma un’analoga conclusione si trova in un lungo articolo di Luciana Castellina sul Manifesto di ieri 8/11, che pure ammette che:
"Le responsabilità sono molteplici. Perché se è vero che il campo sovietico non era più riformabile e che una rottura era dunque indispensabile, altro sarebbe stato se i partiti comunisti , in Italia e altrove, avessero avanzato una critica aperta e complessiva di quell’esperienza già vent’anni prima, invece di limitarsi – come avvenne nel ’68 in occasione dell’invasione di Praga – a parlare solo di errori. In quegli anni i rapporti di forza stavano infatti positivamente cambiando in tutti i continenti ed era ancora ipotizzabile una uscita da sinistra dall’esperienza sovietica, non la capitolazione al vecchio che invece c’è stata. E così nell’89, anziché avviare finalmente una vera riflessione critica, si scelse l’abiura, che avallò l’idea che era il socialismo che proprio non si poteva fare."
La Castellina osserva che anche per questo “Gorbaciov restò così senza interlocutori per portare avanti il tentativo di dar almeno vita, una volta spezzata la cortina di ferro, a una diversa Europa”. Sintomatico che pensi solo a Gorbaciov e non a quel dissenso” che lo aveva criticato da sinistra, e che il suo riferimento sia ancora una volta – come per il PRC - la mitica “terza via” di Berlinguer. Anche se capisco in parte il suo rimpianto per il leader scomparso, tenendo conto di quel che venne dopo di lui:
"Quel 9 novembre di 25 anni fa per me, credo per tanti, non è dissociabile dalle date che seguirono di pochi giorni: il 12 novembre, quando Achille Occhetto, alla Bolognina, disse che il Pci andava sciolto; il 14, quando ce lo comunicò ufficialmente alla traumatica riunione della direzione del partito di cui, dopo che il Pdup era confluito nel Pci, ero entrata a far parte. Così imponendoci – a tutti – la vergogna di passare per chi sarebbe stato comunista perché si identificava con l’Unione sovietica e le orribili democrazie popolari che essa aveva creato."
Luciana Castellina tiene anche conto del bilancio fallimentare dell’unificazione tedesca, ricordando che già cinque anni fa, “nel commemorare il crollo del muro il settimanale Spiegel rese noti i risultati di un sondaggio: il 57% degli abitanti della ex Germania dell’est – che dio solo sa quanto era brutta – ne avevano nostalgia. Oggi probabilmente quella che viene chiamata «Ostalgie» è cresciuta.
"Per tutte queste ragioni non condivido la spensierata (agiografica) festosità che accompagna, anche a sinistra, la celebrazione del crollo del Muro. Soprattutto perché – e questa è forse la cosa più grave – l’89 è anche il tempo in cui per milioni di persone prende fine la speranza – e persino la voglia – di cambiare il mondo, quasi che il socialismo sovietico fosse stato il solo modello praticabile. E via via è finita per passare anche l’idea che tutto il secolo impegnato a costruirlo anche da noi era stata vana perdita di tempo."
Quello che tuttavia manca nella rievocazione della Castellina è un tentativo di capire perché il crollo a catena della RDT, della Polonia, dell’Ungheria, della Romania e poi dell’intera Unione Sovietica sia stato interpretato quasi ovunque, e in primo luogo in quei paesi, esclusivamente come l’avverarsi delle critiche borghesi e imperialiste a ogni progetto di società alternativa. Ed è un punto chiave! Sono state ignorate tutte le critiche da sinistra, da quella di Rosa Luxemburg a quelle di tanti esponenti comunisti dell’Unione Sovietica, prima di tutto quella di Trotsky e dell’Opposizione di sinistra russa.
Erano state ignorate, ma in questo caso non solo per colpe occidentali, anche le critiche di Che Guevara all’URSS, definita “non socialista”. È vero che per anni era stato lo stesso gruppo dirigente castrista a nasconderle, mantenendo inediti molti scritti importanti del Che, ma la sostanza era accessibile a chi voleva capire, tanto è vero che ne avevo potuto scrivere ben prima della pubblicazione ufficiale degli scritti della maturità di Guevara. In ogni caso ora quegli scritti sono pubblicati a Cuba da otto anni, ma ciò non impedisce a un pennivendolo come Pierluigi Battista di sparare le solite calunnie continuando ad attribuire a Guevara i campi di concentramento per omosessuali creati dopo la sua partenza da Cuba. Lo ficca dentro a forza in un inconsistente articolo (Dal «socialismo reale» alle utopie vaporose), inserito in un libro collettivo del “Corriere della sera” sul Muro. Povero Guevara, la sua idea di socialismo non c’entrava niente con quella autoritaria e dogmatica, ma merita sempre un insulto da certa gente.
Sono state a maggior ragione ignorate dalla sinistra (e quindi lasciate sole) le critiche dell’opposizione marxista al socialismo reale emerse anche negli ultimi anni del socialismo reale: ad esempio quelle di Kuron e Modzelewskij del 1966, o di Petr Uhl dal 1969, o di Pliusc o di Grigorienko. Fu disprezzata da molti compagni di base l’esperienza ricchissima di Solidarnosc, per la presenza lì di convinzioni e simboli religiosi, e qui da noi per l’abitudine inveterata ad attribuire alla CIA ogni contestazione del socialismo burocratico.
Il risultato fu che molti dissidenti da sinistra (magari costretti a lasciare il loro paese) finirono per spostarsi a destra, non trovando appoggio nei partiti comunisti, anche in quelli più rinnovatori e apparentemente critici. Il caso più significativo è quello di Jiri Pelikan, a cui il PCI di Berlinguer rifiutò la tessera, ponendogli la condizione inaccettabile di non parlare più del suo paese. Vedi qui .
Così Pelikan per far politica dovette trovare ospitalità nel PSI, salvando tuttavia la sua coerenza e indipendenza di giudizio, mentre molti altri finirono per adattarsi alle lusinghe delle forze borghesi che offrivano loro quell’appoggio negato dalla sinistra. A partire dal grosso dei dirigenti di Solidarnosc. D’altra parte non era facile resistere all’ondata di riflusso a destra che travolse tutti i partiti comunisti, e che si intrecciò con l’ulteriore involuzione della socialdemocrazia.
Ho accennato prima di sfuggita al libro del “Corriere della sera” sul muro, in uno sfogo irritato contro la gratuita diffamazione di Guevara (tanto più rivelatrice, in quanto decisamente pretestuosa e fuori tema).
Ma il libro, 1989. Il crollo del muro di Berlino e la nascita della nuova Europa, merita in realtà un’attenzione particolare. È curato da Antonio Carioti e Paolo Rastelli, e fornisce per fortuna molte notizie interessanti in diversi articoli puntuali su situazioni specifiche, sia sulla RDT (su cui è interessantissima un’intervista di Carioti a Gianluca Falanga, collaboratore del museo della Stasi, sul funzionamento della mastodontica - e inefficiente – polizia politica), sia su un paese chiave come l’Ungheria, su cui scrive Federigo Argentieri. Buona la ricostruzione di molte vicende particolari, come la caotica conferenza stampa in cui uno sbadato portavoce del governo della RDT rispose incautamente leggendo in diretta, senza averla prima guardata, una circolare riservata che aveva appena ricevuto e che anticipava la notizia della fine dei divieti di espatrio. Non un aneddoto marginale, ma la prova indiretta dello smarrimento e della paralisi di un governo che aveva puntato tutto sulla forza e la polizia, e si accorgeva di non controllare più nulla.
Interessanti diverse testimonianze, come quella di Claudio Magris, che ricorda un giovane regista di Berlino Est, attivissimo tra gli organizzatori delle proteste, che in un convegno che si teneva a Blois, in Francia, pochi giorni prima del crollo, aveva descritto una società in ebollizione, ma aveva concluso: “È impossibile prevedere ciò che accadrà, tutto è possibile, anche una reazione alla Tienanmen. Una sola cosa purtroppo è certa: il Muro durerà ancora molti anni”. La riprova che i tempi di una rivoluzione sono sempre imprevedibili.
E quella fu una rivoluzione. Facilmente deviata e sconfitta, ma vera. Tutte le ricostruzioni e anche l’intervista a Joschka Fischer confermano che tempi e modalità dell’evento suscitavano grandi perplessità in quelli che apparivano protagonisti. Che stupidità immaginare che tutto fosse dovuto a un “complotto” della CIA! L’esito disastroso di quelle rivoluzioni politiche in tutti i paesi del blocco sovietico, pur diverso nella forma da paese a paese, rivela che quel sistema, anche se incapace di autoriformarsi, e minato dal dubbio e dall’ipocrisia e inefficienza della “neolingua” burocratica, era stato capace di distruggere preventivamente le opposizioni marxiste che pure nel corso degli anni Settanta sembravano prevalere nel dissenso. Per questo in quasi tutti i paesi (tranne in parte la Cecoslovacchia e soprattutto la Germania, dove l’assimilazione dell’est da parte del gruppo dirigente della RFT fu brutale e facilitata dalla lingua comune e dal clamoroso dislivello delle condizioni socioeconomiche delle due parti) furono possibili operazioni di trasformismo e riciclaggio della vecchia nomenklatura. Il caso più spudorato fu quello della Romania, seguita a ruota da Russia, Bielorussia, Ucraina e gran parte delle repubbliche asiatiche. Ma sempre, a monte, c’era l’inesistenza di un punto di riferimento credibile in Occidente…
E solo dopo, intervenne, indisturbato, l’imperialismo europeo e quello americano.
Si veda anche sul sito Il muro e la Stasi : Per una panoramica delle trasformazioni in tutta l'area, scritta qualche anno fa, si veda: Qui .
9 Novembre 2014
dal sito Movimento Operaio
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