IL PAPA E LA SINISTRA
di Antonio Moscato
È antica abitudine della sinistra italiana di illudersi sul mondo cattolico e su alcuni papi, magari un po’ meno reazionari dei predecessori. Fausto Bertinotti aveva dedicato un capitolo prevalentemente elogiativo di un suo libro (Tutti i colori del rosso, Sperling & Kupfer, Milano, 1995) a Paolo VI, che pure era stato il papa che aveva chiuso la stagione consiliare inaugurata da Giovanni XXIII. Alcuni compagni avevano esaltato perfino Giovanni Paolo II, entusiasmandosi per alcune denunce della guerra e sorvolando sul suo programma conservatore di restaurazione teologica, e di anticomunismo sfrenato rivolto non solo verso i paesi stalinizzati del blocco sovietico ma anche nei confronti del Nicaragua, di Cuba, della stessa teologia della Liberazione. Naturalmente non voglio negare che alcuni papi siano un po’ più accettabili di altri, e che tra loro ci siano differenze anche profonde. Ma la Chiesa cattolica e la sua efficientissima gerarchia garantiscono una continuità sostanziale, e “usano” per certi aspetti un papa simpatico e comunicativo come Giovanni XXIII per recuperare il terreno perso col gelido e cinico Pio XII. Ma la politica e il peso dell’economia vaticana rimane sostanzialmente uguale sotto i due papi così diversi.
Da anni la sinistra ha smarrito questa consapevolezza: era priva di qualsiasi punto di riferimento autonomo, e quindi le sue componenti più moderate hanno seguito passivamente persino il battage pubblicitario che ha esaltato assurdamente ogni presa di posizione del grigio Benedetto XVI, sorvolando sul fatto che era un conservatore su tutti i piani, e anche un grande ammiratore di Berlusconi e di Monti. La sua scelta umana di passare il testimone ad altri ha rialzato molto gli indici di gradimento, per lui e per il successore, su cui c’è stata una gara a rimuovere i molti sospetti sul suo ruolo durante la dittatura militare. Ruolo denunciato da Horacio Verbitsky e da altri militanti argentini impegnati nella lotta per la punizione dei crimini dei golpisti, ma anche da alcuni appartenenti allo stesso ordine dei Gesuiti, che però sono stati spinti a ritrattare dalla severa disciplina della Compagnia.
Così si era creata un’enorme attesa su questo nuovo papa, così umano che esordiva con un “buonasera”. Solo Crozza aveva osato dissacrare questa esaltazione acritica in alcuni memorabili sketch. Ne avevo parlato spesso sul sito; ad esempio nell’articolo Il papa argentino: retorica e problemi reali.
Alcune dichiarazioni del nuovo papa avevano suscitato entusiasmi spropositati: ad esempio ogni dichiarazione contro la guerra e il commercio di armi, grottescamente svuotato dalla precisazione aggiuntiva: “il commercio illegale”. Ovviamente quello legale rappresenta il 99% del totale, ed è privo di qualsiasi giustificazione morale, perché fornito, a prezzi variabili e condizionati da considerazioni politiche, agli Stati più immondi che si possano immaginare. Tutti i paesi più poveri dell’Africa e del mondo, quelli che non hanno guanti o siringhe usa e getta per affrontare l’Ebola, hanno invece poderose forze d’assalto e corpi antisommossa equipaggiati con costosissime attrezzature, dalle imponenti corazze agli elicotteri e i blindati. Ed ecco infatti che di fronte a un moto reale di popolo come quello che nel Burkina Faso ha costretto alla fuga l’assassino di Thomas Sankara dopo 27 anni di dittatura, il potere è stato subito conteso tra esercito e Guardia presidenziale. Su questo, come sul giro di forniture che sono arrivate allo Stato Islamico da paesi “amici dell’occidente”, con qualche passaggio in più per nascondere le tracce della provenienza, silenzio totale del papa.
· “Ma cosa pretendi”, mi dicono i molti seguaci del culto del nuovo papa Francesco, “è un papa, non un comunista”. Certo, e lo ricorda spesso anche lui. Ma appunto ci si potrebbe ricordare che è vecchia abitudine della Chiesa di fare denunce platoniche della guerra come “inutile strage”, solo per acquistare crediti tra gli umili, ma senza sognarsi di lanciare la scomunica, temuta dai cattolicissimi assassini, o di sconfessare i cappellani che benedicevano le armi, davano l’estrema unzione ai soldati ingiustamente fucilati, recitavano il Te Deum se il loro esercito avevano ucciso molti nemici, magari della stessa religione… Alle dimenticanze colpevoli del papa, quando è andato a Redipuglia per denunciare l’orrore della guerra e ha rifiutato di rispondere alla richiesta di alcuni umili sacerdoti che gli chiedevano di ricordare anche i fucilati, due volte vittime della guerra, ha accennato il preambolo al testo di Un appello per la "riabilitazione" dei soldati italiani assassinati.
Soprattutto la denuncia dell’inutile strage poteva essere ben più precisa e netta, e poteva fare quel che hanno saputo fare i soli bolscevichi: togliere credibilità ai contendenti, rivelando i loro accordi segreti, che la efficientissima e tentacolare diplomazia vaticana poteva conoscere meglio di ogni altro.
La sinistra invece, composta com’è da qualche anno anche da molte persone formatesi nelle organizzazioni cattoliche (o evangeliche, cambia poco) ma che non hanno poi ricevuto nessun altro tipo di formazione culturale, ha contribuito alla confusione tra il sentimento religioso (che ovviamente va rispettato e interpretato) e le strutture ecclesiastiche che si sono consolidate nel corso perlomeno degli ultimi nove-dieci secoli, da quando cominciano a pesare maggiormente approfittando della debolezza del potere politico: un minimo di conoscenze storiche eviterebbe di considerare la Chiesa cattolica attuale come erede legittima del cristianesimo delle origini (riaffiorato a volte casomai in alcune eresie, logicamente sottoposte subito a feroci persecuzioni). E la sinistra attuale ha ignorato la critica che il movimento operaio fin dalle origini aveva fatto della funzione conservatrice delle strutture ecclesiastiche.
Per intendersi, le formulazioni “pacifiste” e la denuncia del “Dio denaro”, o di “Mammona” ci sono sempre state, anche se contemporaneamente la Chiesa costruiva immense fortune anche grazie alla collaborazione con regimi infami. Tanto per non andare lontano nei secoli, la Chiesa cattolica argentina, quale che sia stato il ruolo personale di Bergoglio, ha collaborato attivamente con la feroce dittatura militare. Con l’avallo del Nunzio apostolico Pio Laghi, che manteneva cordialissimi rapporti con i generali, con cui giocava a tennis ogni mattina… Laghi per giunta ha finito la sua carriera come cardinale, incaricato di importanti mediazioni internazionali, in particolare in Medio Oriente (con quali risultati, si è visto!).
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Ma ora si è passato ogni limite: Guido Viale, che non è solo un sopravvissuto del grande naufragio del gruppo dirigente di Lotta Continua, ma ha avuto in questi ultimi anni un ruolo interessante all’interno di vari tentativi di ricostruzione di una sinistra radicale, tra cui la “Lista per un'altra Europa con Tsipras”, ha pubblicato ieri sul Manifesto un articolo presentato dalla redazione con un titolo che appariva nelle intenzioni ironico o comunque spiritoso: Una dottrina al settimo cielo. Ma nel Blog del manifesto si capisce meglio cosa si voleva dire: il titolo doveva essere: Per papa Bergoglio una dottrina al settimo cielo. Con sottotitolo: Nel discorso tenuto da Bergoglio nel recente incontro con i movimenti sociali emerge una dottrina della chiesa che fa i conti con le conseguenze della globalizzazione neoliberista.
Vediamo i contenuti, partendo dall’incipit:
“Dal discorso del papa nel suo incontro del 28 ottobre con i movimenti popolari possiamo ricavare un programma politico e sociale di respiro planetario dal quale non potremo più prescindere, perché raccoglie in larga parte le istanze che orientano il nostro operato, proiettandole su uno scenario che ingloba l’intero pianeta. Certo, le parole del papa sono un distillato di saperi, esperienze e riflessioni sedimentato in anni di lotte sociali, soprattutto dell’America Latina (ma non mancano riferimenti a contesti a noi più familiari come quello europeo)”.
Mi sembra che sarebbe stata necessaria una maggiore cautela nel cercare queste “riflessioni sedimentate” in America Latina: si allude evidentemente al grande mito della sinistra sulla Teologia della Liberazione, che sorvola sulla sua sconfitta avvenuta ad opera di una gerarchia ecclesiastica a cui apparteneva lo stesso Bergoglio.
“La piattaforma delineata nell’incontro con il papa ha tre nomi: lavoro, terra e casa: «diritti sacri», li definisce il pontefice. Sul lavoro il papa dice: «Non esiste peggiore povertà materiale di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro». Occorre rivendicare e ottenere «una remunerazione degna, la sicurezza sociale, una copertura pensionistica, la possibilità di avere un sindacato». [Mi va bene, riferiamolo a Renzi…] «La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti» sono il frutto «di un sistema economico che mette i benefici (il profitto) al di sopra dell’uomo». E qui il papa accenna un tema a lungo trattato da Zigmunt Bauman (in Vite di scarto); d’altronde tra i suoi interlocutori ci sono i cartoneros, che vivono recuperando rifiuti. Quel sistema iniquo è il prodotto «di una cultura dello scarto che considera l’essere umano come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare»”.
Infatti, prosegue, “Alle forme tradizionali di sfruttamento e di oppressione se ne è aggiunta infatti un’altra, quella di rendere gli esseri umani superflui: «quelli che non si possono integrare, gli esclusi, sono scarti, eccedenze… Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non la persona umana». Così «si scartano i bambini e si scartano gli anziani perché non servono, non producono». E «lo scarto dei giovani» ha portato ad «annullare un’intera generazione… per poter mantenere e riequilibrare un sistema nel quale al centro c’è il dio denaro». E in chi, come i cartoneros, vive proprio recuperando scarti, il papa vede un’allusione a un modo completamente alternativo di concepire il lavoro: «Nonostante questa cultura dello scarto, delle eccedenze, molti di voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo sistema, avete inventato il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non poter essere più utilizzato, ma voi con la vostra abilità artigianale, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà, con il vostro lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci siete riusciti… Questo, oltre che lavoro, è poesia!»”
Certo, è poesia, che è bella, ma elude i problemi maggiori: che non si risolvono con le cooperative di cartoneros e il riciclaggio dei rifiuti, che può essere un buon modo per sopravvivere dopo la chiusura delle grandi fabbriche, ma non sfiora nemmeno il problema dell’inversione di tendenza politica rispetto allo smantellamento delle grandi concentrazioni operaie, ad opera di multinazionali in cui i capitali della Chiesa sono a volte maggioritari. Lo stesso vale per la “terra — intesa nel duplice significato di ambiente (il pianeta Terra) e di suolo, oggetto del lavoro dei contadini — largamente presenti all’incontro”.
In questo caso il papa si appella “al senso profondo del lavoro contadino, che non è quello di sfruttare e devastare la terra con l’agrobusiness, ma quello di custodirla: coltivandola e facendolo «in comunità». Per questo occorre combattere «lo sradicamento di tanti fratelli contadini» provocato dall’accaparramento delle terre, dalla deforestazione, dall’appropriazione dell’acqua, da pesticidi inadeguati». Quella separazione «non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale» e rischia di portare all’estinzione le comunità rurali. Il nemico di questa cultura contadina, come dei diritti del lavoro, è la speculazione finanziaria, che «condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi» provocando quell’altra «dimensione del processo globale» che è la fame, proprio mentre si scartano e si buttano via tonnellate di alimenti.”
Ma chi sono i protagonisti di questa apparentemente anonima “speculazione finanziaria”? Sono grandi multinazionali che non sono redimibili con le prediche e gli auspici, ma vanno combattute ed espropriate!
Nella parte del discorso sulla casa invece il papa ripropone un modello comunitario e solidaristico, e denuncia di nuovo “l’impero del denaro” come “l’ostacolo che si frappone alla realizzazione degli obiettivi per cui si battono i poveri della terra”. E Viale traduce subito: “il capitalismo finanziario, diremmo noi”. Noi, appunto, ma non il papa, che non dice una parola concreta per identificare le responsabilità della stessa chiesa in quell’impero del denaro. Non a caso, la chiesa anche sotto papa Francesco si batte con le unghie e con i denti per non pagare tasse sulle enormi proprietà accumulate, in Italia, in America Latina, negli Stati Uniti e in gran parte del mondo.
Non mi commuovo come Viale nel sentir denunciare le “economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro”. Non mi commuovo perché basta sfogliare una raccolta di Encicliche papali degli ultimi secoli, per trovare affermazioni del genere, che non hanno impedito il legame concreto della Chiesa con quell’idolo.
Quello che mi impressiona è il tono di delega al papa di un compito di guida morale, basato sulle belle parole e non sull’operato concreto: Viale è perfino impressionato da “alcune raccomandazioni relative all’organizzazione e alla riconfigurazione della democrazia: «Non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture rigide…”
Si direbbe che Guido Viale sia quasi tentato di dare al papa la tessera onoraria di Lotta Continua, che analogamente teorizzava il rifiuto delle strutture rigide…». Per i giovani che non l’hanno conosciuta, spiego perché. Nei primi anni di vita questa organizzazione rifiutò tenacemente di darsi strutture elettive, considerate sinonimo di burocratismo; le decisioni si prendevano in assemblee itineranti che si spostavano nei fine settimana in diverse città, da Torino a Parma a Milano… Ultrademocratico! Ma chi organizzava i pullman, chi concedeva l’accesso al microfono? Un apparato invisibile di poche centinaia di militanti permanenti, magari pagati pochissimo e dediti integralmente alla causa, ma non eletti, e che quindi non rispondevano ad altri che ai massimi dirigenti informali fondatori del movimento.
Lo stesso avvenne poi quando fu eletta una direzione di operai, che spesso nelle riunioni arrivavano con un testo scritto da questo o quel dirigente, di cui erano di fatto i portavoce. E che spesso accumulavano rancori sentendosi raggirati. Così si spiega l’improvvisa disponibilità di uno di loro, Leonardo Marino, a farsi arruolare dai carabinieri per “incastrare” Sofri e altri dirigenti in una inverosimile montatura a scoppio ritardato. Ma comunque, a parte le battute, bisogna farsi dire dal papa anche come organizzarsi?
«Dobbiamo cambiare – dice il papa — dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno». Ed ecco allora un elenco delle virtù che cambiano il mondo: «Va fatto con coraggio, ma anche con intelligenza. Con tenacia, ma senza fanatismo. Con passione, ma senza violenza. E tutti insieme, affrontando i conflitti senza rimanervi intrappolati»; e praticando «una cultura dell’incontro, così diversa dalla xenofobia, dalla discriminazione e dall’intolleranza». Si tratta di una lotta al tempo stesso globale e locale: nasce dai rapporti di prossimità, ma abbraccia tutto il pianeta: «So che lavorate ogni giorno in cose vicine, concrete, nel vostro territorio, nel vostro quartiere, nel vostro posto di lavoro: ma vi invito anche a continuare a cercare questa prospettiva più ampia, che i vostri sogni volino alto e abbraccino il tutto!».
Riassumendo l’intervento del papa Viale scrive che “«i movimenti popolari esprimono la necessità urgente di rivitalizzare le nostre democrazie. È impossibile immaginare un futuro per la società senza la partecipazione come protagoniste delle grandi maggioranze e questo protagonismo trascende i procedimenti logici della democrazia formale. La prospettiva di un mondo di pace e di giustizia durature… esige che noi creiamo nuove forme di partecipazione che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi… con animo costruttivo, senza risentimento, con amore». “Mi sono limitato a pochi commenti. E ho ben poco da aggiungere”, conclude Viale, che non ha dubbi che sia possibile “animare le strutture locali, nazionali e internazionali”(sic! L’ONU? La CE?) semplicemente con la buona volontà degli esclusi, e naturalmente con le buone maniere.
Non varrebbe la pena di occuparsi di questo abbaglio e di questa ennesima illusione di poter aggirare gli ostacoli materiali soltanto con la buona volontà, e con un “torrente di energia morale”, se nella sinistra attuale non ci fosse una robustissima corrente che condivide questi sogni e si illude di aver trovato una guida. Un solo esempio. Un’esponente dei centri sociali largamente invitati all’assemblea con il papa, Elena Hileg Iannuzzi del Leoncavallo, dice senza mezzi termini: "Il Papa ha riportato la Chiesa alle origini, diffondendo il messaggio originale del cristianesimo". Il Leoncavallo, occupandosi da sempre di questi temi, ricorda Iannuzzi, ha "incontrato più volte esponenti della Chiesa in passato". Le radici di sinistra del Leoncavallo e il cristianesimo sociale, rimarca Iannuzzi, hanno radici comuni. E spesso "ci siamo trovati sulle stesse strade". Beata illusione!
Quanto siamo andati indietro rispetto ai tempi della vecchia socialdemocrazia, che studiava seriamente le origini del cristianesimo! Mi sembra molto pericoloso scambiare per il “messaggio originale del cristianesimo” la retorica di papa Francesco, che è in perfetta continuità con una lunga tradizione di una “dottrina sociale della Chiesa” che, a partire almeno dalla Rerum Novarum del 1891 di Leone XIII, passando per la Quadragesimo anno del 1931 ed altre importanti encicliche più recenti, ha abbellito con molte dichiarazioni di buone intenzioni una realtà fatta di difesa della proprietà capitalistica, dello sfruttamento, del colonialismo, e di difesa sostanziale dell’ordine esistente, anche con la scomunica del movimento comunista e l’imbavagliamento della Teologia della Liberazione.
1 Novembre 2014
dal sito Movimento Operaio
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