SCIOPERO SOCIALE O SCIOPERO GENERALE?
di Antonio Erpice
Alcune realtà di movimento e sindacati di base hanno indetto per il 14 novembre lo “sciopero sociale”. La mobilitazione, lanciata ormai alcuni mesi fa, ha l’obiettivo ambizioso di unire in un unico appuntamento lavoratori, specie quelli precari, studenti e i protagonisti di lotte territoriali e vertenziali.
Uno sciopero “precario e metropolitano” come viene definito dagli organizzatori, che possa produrre una risposta generalizzata da parte dei diversi soggetti sociali che pagano la crisi e si ponga il problema di nuove forme organizzative.
La piattaforma chiede il ritiro dei provvedimenti di Renzi e misure contro la precarietà, ma in un orizzonte generale che non trova niente di meglio da contrapporre al governo se non la sempreverde richiesta di politiche redistributive.
Con buona pace di chi parla perennemente di nuovi “processi di soggettivazione” vorremmo porre una domanda molto semplice: che relazione ha questa mobilitazione con lo scontro apertosi nel paese, con la contrapposizione tra Leopolda e piazza San Giovanni? A noi pare nessuna.
Un movimento generale della classe non può esprimersi attraverso organizzazioni settoriali o minoritarie. Il ruolo decisivo assunto nello scontro con Renzi dalla Fiom e dalla Cgil non è frutto di un complotto o della arretratezza politica dei cosiddetti lavoratori “garantiti” (questa, in fin dei conti, è la tesi del governo). Questa realtà emerge con forza irresistibile in queste settimane e tutte le sacrosante critiche che si possono e debbono rivolgere ai vertici della Cgil non spostano il problema di un millimetro.
Nell’asfittico quadro degli ultimi anni si è cristallizzata la prassi delle date o delle piazze separate tra sindacati confederali e quelli di base, come è avvenuto per lo sciopero indetto da Usb, Orsa e Unicobas per il 24 ottobre, il giorno prima della manifestazione della Cgil. Lo sciopero ha visto quasi ovunque una scarsa partecipazione e ha dimostrato per l’ennesima volta la divisione all’interno degli stessi sindacati di base. A questo si aggiunge la mancanza di partecipazione da parte degli studenti nonostante il lavoro fatto da alcuni collettivi. Una data insomma che non è andata al di là della testimonianza, paragonabile ad altre, accomunate tutte dalla volontà di segnare il punto rispetto ai confederali, in un processo che favorisce la frammentazione di date e la divisione dei lavoratori tra sigle e categorie di appartenenza. Inutile dire che nessuna di queste date ha sortito l’effetto sperato!
La generosità di quei lavoratori più combattivi, che in un clima difficile hanno scioperato, non basta a fornire la massa critica sufficiente per contendere la direzione del movimento alla Cgil. Su questo servirebbe un bilancio onesto non solo nel sindacalismo di base, ma anche da parte di tutte quelle realtà di movimento che in questi anni hanno visto assottigliarsi la loro influenza. A niente sono serviti la chiamata continua di una data dopo l’altra e gli appelli roboanti alle sollevazioni generali. Tutti appuntamenti che, nonostante il campo potenzialmente sgombro, non sono riusciti a uscire fuori dalla loro portata autoreferenziale.
Le date di mobilitazione costruite a tavolino (come quella del 14 novembre) oppure convocate in modo improvvisato nel tentativo di “anticipare” la Cgil (come il 24 ottobre) non hanno reali possibilità di influire su un movimento che coinvolgerà milioni di lavoratori. Anziché una unificazione di un fronte di lotta, ne è emersa una ulteriore frantumazione del sindacalismo di base e dei movimenti.
Conosciamo l’obiezione: Camusso e Landini hanno abbandonato e tradito i lavoratori per tutti questi anni, pertanto il movimento guidato dalla Cgil è destinato a fallire. Questa obiezione esclude il protagonista principale, ossia il risveglio del movimento operaio su una scala che non si vedeva da anni. In questo movimento le organizzazioni e i militanti che hanno maturato una posizione più combattiva e radicale possono e devono prendere posto. Senza firmare deleghe in bianco a nessuno, senza accodarsi passivamente, ma al contrario incalzando la Cgil, favorendo il protagonismo dal basso, impegnandosi per una piattaforma più avanzata e per metodi di lotta adeguati all’asprezza dello scontro. Coltivare spazi ristretti di mobilitazione separata aspettando che passi il cadavere della Cgil per poi dire “noi l’avevamo detto” può essere una proposta seducente per qualche leaderino di movimento. Ma non dice nulla ai lavoratori che hanno l’esigenza di serrare le fila e vincere questo scontro. Il posto dei lavoratori aderenti ai sindacati di base non è in qualche orticello separato, ma in prima fila nello scontro frontale che si è aperto nel paese.
13 Novembre 2014
dal sito FalceMartello
La vignetta è del Maestro Mauro Biani
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