di Diego Giachetti
Introduzione
Il biennio ‘68-69 liberò una nuova e potenziale domanda di partecipazione politica connotata però da una critica radicale degli istituti della politica tradizionale, in primo luogo partiti e sindacati. Si creò una situazione caratterizzata da diversi elementi contraddittori e conflittuali. Da un lato mai come allora si manifestò una discrepanza fra l’offerta politica e la domanda di centinaia, forse migliaia di quadri prodotti dal movimento, domanda alla quale corrispondeva: «una dissennata politica di chiusura “a riccio” da parte delle organizzazioni politiche istituzionali della sinistra […] Così mille e mille “piccoli Lenin” si trovarono chiuso ogni sbocco, sia politico che professionale. La FGCI, tradizionale serbatoio e luogo di promozione dei nuovi quadri del PCI, si trovò ridotta (letteralmente) ai figli dei dirigenti del PCI proprio negli anni della massima produzione di quadri giovanili da parte del movimento» (1). Non solo la sinistra istituzionale si chiuse a riccio nei confronti del movimento e delle sue istanze politiche, ma procedette all'emarginazione di quei quadri giovani simpatizzanti del movimento, all'espulsione di una serie di quadri giovanili comunisti in odore di trotskismo alla vigilia del ’68 e, infine, alla radiazione del gruppo che faceva capo alla rivista Il Manifesto. D’altro canto però quella domanda politica, proprio alla luce della critica profonda alla quale il movimento aveva sottoposto la politica stessa, difficilmente avrebbe potuto incanalarsi negli istituti partitici e sindacali tradizionali. Quella domanda politica provò quindi a soddisfarsi da sola costituendosi in nuove formazioni e gruppi politici. Un processo simile accadde nelle grandi fabbriche del nord rispetto ai sindacati tradizionali. Anche qui la pressione e le richieste rivendicative dei giovani operai comuni e meridionali, non trovando un’adeguata ricezione e risposta nei sindacati esistenti si risolsero nella costruzione di comitati autonomi, di assemblee operai-studenti costituendo il retroterra sociale dei gruppi extraparlamentari. La tendenza alla costruzione del partito, o meglio di una miriade di piccoli partiti, era quindi l’espressione di un fenomeno «di massa, sociale e, per di più spontanea […] gli ex studenti che negli anni ’70 costruirono i loro partitini lo fecero spinti da un profondo e spontaneo bisogno sociale» (2).