Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

venerdì 31 agosto 2018

LA STRAGE DI GENOVA METTE A NUDO IL SISTEMA AFFARISTICO di Franco Ferrara






LA STRAGE DI GENOVA METTE A NUDO IL SISTEMA AFFARISTICO
di Franco Ferrara



"È crollato il Ponte… il Ponte di Brooklyn!"… ma non siamo a New York, siamo a Genova alle 11,37 di martedì 14 agosto 2018. È questa l’esclamazione sgomenta di alcuni abitanti della Val Polcevera che hanno sentito prima un enorme boato accompagnato da un bagliore azzurro e poi hanno visto il ponte sbriciolarsi nella sua campata centrale, quella che attraversa il greto del torrente. È una mattinata temporalesca, il bagliore azzurro è dovuto probabilmente allo scoppio di un fulmine che pare abbia anche colpito un pilastro del ponte. Tutta la zona è stata avvolta da una grande nube dovuta allo sbriciolarsi della grande infrastruttura.

Il bilancio è catastrofico: 43 morti, di cui 40 precipitati dal viadotto oltre a due operai di Amiu ed uno di Aster che stavano lavorando nell’isola ecologica di Amiu situata proprio sotto il ponte lato ovest. Danni materiali enormi per il valore dell’infrastruttura, per le aziende che hanno sede ed operano nella zona di Campi proprio sotto il viadotto, per le abitazioni che si trovano sotto il ponte lato est nelle vie W. Fillak e Via Porro, che hanno dovuto essere sgomberate tempestivamente. La sezione est del ponte, così come quella ovest, è pericolante e tutte e due dovranno essere demolite e con ogni probabilità anche gli edifici sottostanti. Genova subisce l’interruzione, e chissà per quanto tempo, della principale via di comunicazione tra il Levante, il Centro ed il Ponente cittadino. Siamo quasi alla paralisi di un’intera città.

Su quel ponte transitavano circa 75.000 autoveicoli al giorno, con un passaggio enorme di Tir legato anche, ma non solo, all'attività del porto di Genova, del quale era una via di comunicazione indispensabile.

martedì 28 agosto 2018

MELENCHON E IL GALLO FRANCESE di Jean-Jacques Marie




MELENCHON E IL GALLO FRANCESE
di Jean-Jacques Marie*



Pubblichiamo un breve articolo dello storico francese Jean-Jacque Marie, apparso originariamente sulla rivista svizzera A l’Encontre (http://alencontre.org/europe/france/france-debat-melenchon-et-le-coq-gaulois.html) su un aspetto che informa in modo determinante le concezioni ideologiche di Jean-Luc Mélenchon. Lo sciovinismo grande-francese che caratterizza, anche in modo simbolicamente visibile, le iniziative dell’ex-socialista francese, è, infatti, un aspetto delle sue posizioni che a sinistra, soprattutto all'estero, è troppo sottovalutato, ma centrale nella costruzione dell’orientamento politico complessivo di cui è espressione.
L’exploit elettorale che la France Insoumis, organizzazione politica di cui è leader indiscusso, ha ottenuto alle ultime elezioni presidenziali francesi, ha offuscato questo aspetto decisivo e ha contribuito alla popolarità di Mélenchon nella sinistra di diversi paesi; una popolarità che si è spesso nutrita di elementi carismatici, alimentati da una retorica spumeggiante e pomposa, costruita attorno a una critica nazionalista all’Unione Europea e a un anacronistico ritorno allo Stato sociale dei “Trenta Gloriosi”, nel quadro di un “capitalismo sociale”, di cui evidentemente la Repubblica francese sarebbe la più autentica interprete.

La riflessione, tagliente e senza sconti, di Jean-Jacques Marie, contribuisce all’opera di smitizzazione di una figura piuttosto controversa, e aiuta a diradare le nubi cariche di leaderismo che lo circondano e che offuscano i termini di un dibattito strategico sempre più necessario nella sinistra di classe.

domenica 26 agosto 2018

HOSTILES di Stefano Santarelli








HOSTILES
di Stefano Santarelli





“Non potete giudicare me, nessuno di voi (...).
Siamo tutti colpevoli di qualcosa.
Sto solo chiedendo un po' di pietà. Pietà!”





Sembra incredibile che un film come “Hostiles” non abbia avuto nessuna nomination all'Oscar eppure avrebbe meritato premi importanti sia per gli attori, sia per la regia e sia sopratutto come miglior film considerando poi che la celebre statuetta per quest'ultimo premio è andata al modesto “La forma dell'acqua”. In ogni caso siamo certi che Hostiles nel prossimo futuro sarà ricordato come uno dei migliori western usciti nell'ultimo decennio mentre film più celebrati e premiati saranno invece caduti nel dimenticatoio.
Infatti questo genere è quasi scomparso nel panorama cinematografico e molti recenti western non sono altro che remake di capolavori del passato da “Quel treno per Yuma” interpretato proprio da Christian Bale (2007) a “Il Grinta” dei fratelli Coen (2010) fino a “I magnifici sette” (2016). E ricordiamo che il bellissimo “Appaloosa” di Ed Harris (2008) si basa in fondo sul canovaccio della leggendaria sfida all'O.K. Corral.

Il film di Scott Cooper invece rivaluta questo genere cinematografico offrendoci un'amara riflessione sul genocidio compiuto verso i nativi americani e che ha costituito il fondamento per la nascita degli Stati Uniti d'America. La storia si svolge nel 1892 portandoci quindi la visione di una America che si sta modernizzando rapidamente e dove l'impari guerra contro le popolazioni indiane sono oramai alla fine e gli sconfitti sono invece destinati ad essere rinchiusi nelle riserve come veri e propri prigionieri.

L'inizio del film è veramente scioccante: partendo da un sincero omaggio al capolavoro fordiano “Sentieri selvaggi”, lo spettatore assiste all'atroce massacro in una sperduta località del New Mexico di una classica famiglia americana da parte di alcuni Comanche sbandati che lasciano una casa in fiamme e una madre Rosalee Quaid (Rosamund Pike) totalmente traumatizzata con i cadaveri del marito, delle sue due figlie e del neonato che portava in braccio.
Viene soccorsa dal capitano Joseph Blocker (Christian Bale), un veterano delle guerre indiane con un passato di feroce massacratore, che guida una sparuta e mediocre pattuglia composta da un tenentino appena uscito dall'Accademia militare di West Point, da un sergente maggiore affetto da una pesante depressione nervosa, da un esperto caporale nero e da una fresca recluta franco-americana totalmente sprovvista di esperienza militare. Questa pattuglia deve condurre Falco Giallo (Wes Studi), un celebre capo Cheyenne oramai malato terminale di cancro e la sua famiglia composta da quattro persone (il figlio Falco Nero con la moglie ed il bambino e l'altra figlia) nel Montana dove si trova la riserva della sua tribù.
Il capitano Blocker è quindi costretto a portare con se in un viaggio che si rivela subito pericoloso, la signora Quaid insieme a Falco Giallo e alla sua famiglia, comandando una pattuglia non all'altezza del compito. Ma nonostante vari agguati che assottigliano i militari e che porteranno le tre donne a subire anche una violenza carnale (dai bianchi e non dagli indiani) giungono finalmente in Montana dove Falco Giallo muore.
Questo viaggio duro e pericoloso trasforma gli uomini e le donne che lo stanno compiendo.
La signora Quaid nonostante la perdita traumatica dei figli e del marito stringe un rapporto amichevole e di sorellanza con la figlia e la nuora di Falco Giallo un rapporto che contribuisce a trasformare il capitano Blocker da vero criminale di guerra responsabile dell'uccisione di donne e bambini in un uomo che ha imparato a rispettare non solo il suo vecchio avversario Falco Giallo, ma tutti i nativi americani.
Purtroppo Blocker sarà costretto, insieme alla signora Quaid e alla famiglia di Falco Giallo, ad affrontare in una violenta sparatoria un gruppo di proprietari terrieri che lo lascerà solo in vita con il bambino e la signora Quaid.
Blocker e la signora Quaid si metteranno quindi insieme portando con loro il bambino sperando in un futuro migliore.

Un film ed un western certamente non comune che è stato veramente penalizzato dalla distribuzione, un film forse ancora scomodo per la società americana.

Da segnalare la bella regia di Cooper autore anche della sceneggiatura, e le bellissime interpretazioni di Rosamunde Pike veramente eccezionale nella parte di una donna che ha perso tutto tranne la sua dignità e di Christian Bale che si conferma il più eclettico attore dell'attuale cinema hollywoodiano i quali avrebbero meritato almeno una nomination all'Oscar.
Va segnalata anche l'interpretazione nella parte di Falco Giallo di Wes Studi, il bravissimo interprete di “Geronimo” (1993) un altro bel film che rivaluta la figura di questo leggendario capo degli Apache.

Questo film di Cooper fatalmente porta ad una amara riflessione sulla nascita degli Stati Uniti che non hanno mai fatto veramente i conti sul genocidio commesso sui nativi americani e sulla schiavitù nei confronti degli afro-americani. Questioni che ancora oggi non sono risolte e che costituiscono le vere radici del malessere di settori importanti della società statunitense e se non si faranno i conti con questa storia fatalmente si ripeteranno e quindi come confessa il sergente maggiore (Rory Cochrane) a Falco Giallo : “Il modo in cui noi abbiamo trattato i nativi non può essere perdonato. Abbiate pietà di noi.”




Il cast



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giovedì 23 agosto 2018

SALVINI E IL CORTOCIRCUITO SOVRANISTA A SINISTRA di Gianni Fresu








SALVINI E IL CORTOCIRCUITO SOVRANISTA A SINISTRA
di Gianni Fresu



La nascita del Governo Lega-5 stelle ha definitivamente fatto venire a galla un fenomeno carsico fino a oggi sottovalutato: la migrazione di diversi militanti e ex dirigenti della sinistra di classe in direzione del “sovranismo”. 
Stando alle loro affermazioni, saremmo di fronte a una profonda cesura storica dalla quale non possiamo estraniarci, pena l’irrilevanza nel Paese. In tal senso, si ritiene non solo legittima, ma necessaria un’apertura di credito nei confronti della nuova “coalizione giallo-verde”, perché considerata più avanzata sul piano delle possibili alleanze e meglio collocata nelle scelte di politica internazionale. 

La fibrillazione europea attorno alla nascita del governo sarebbe la prova di tutto ciò, inutile far notare loro che pure l’eventuale ipotesi di un governo guidato da Alba Dorata in Grecia o dal Front National in Francia avrebbe creato lo stesso allarmismo. 
Sembra impossibile l’innamoramento di alcuni ex guardiani dell’ortodossia verso questa alleanza, soprattutto se stiamo ai fatti: in politica estera il governo ha ribadito la centralità della Nato e l’alleanza con gli USA (suggellata dall’apertura di un canale privilegiato con Trump); in politica economica va in direzione di un liberismo sfacciato degno del miglior Monti, solo meno socialmente consapevole, ma per ignoranza; sulla gestione delle emergenze interne, al di là di razzismo e sessismo nemmeno dissimulati, repressione e conservatorismo sono le stelle polari. 

Così, di fronte al dramma dell’emigrazione, si preferisce rispondere con annunci muscolari (degni delle euforiche adunate sotto il balcone di Palazzo Venezia tanto care a una parte del popolo italiano) magari inutili, però buoni a tirar fuori il peggio del peggio della nostra tradizione nazionale per poi lucrarci sopra elettoralmente. Altro che superamento della dialettica destra/sinistra, Salvini è riuscito a mettere a segno una delle più classiche operazioni di tutti i movimenti di origine conservatrice e autoritaria: individuare nel nemico esterno (“i burocrati dell’Unione Europea” e “l’invasione degli immigrati”) il vero problema, la contraddizione che divide e paralizza la propria comunità nazionale. Non, ovviamente, le relazioni sociali, i rapporti di sfruttamento, i privilegi di un quadro tutto a favore del capitale e contro il lavoro. “I nostri imprenditori non sono cattivi, né avidi speculatori propensi all'accumulazione più che all'investimento produttivo, no, loro semplicemente sono vittime dalla dittatura di Bruxelles”. Insomma, Salvini detta l’agenda e tutti gli vanno dietro, compresi tanti compagni oramai più attenti alle questioni geopolitiche e all'interesse nazionale minacciato che al problema sociale. Così ci si può pure permettere di architettare una riforma del sistema fiscale iperliberista, destinata a rendere ancora più macroscopiche e insuperabili le differenze tra ricchi e poveri, che in altri tempi avrebbe portato a uno sciopero generale solo a pensarla.

martedì 21 agosto 2018

LA SCALATA DEI BENETTON: UNA RAPINA SENZA CONTROLLI di Antonio Moscato







LA SCALATA DEI BENETTON: 
UNA RAPINA SENZA CONTROLLI
di Antonio Moscato



Una vera mobilitazione di “persuasori” (non tanto occulti) tenta di contrastare l’ondata di indignazione - non solo genovese - nei confronti degli imprenditori cinici che conoscevano il pericolo ma rinviavano lavori da tempo indispensabili.

Il “Corriere della sera” affida a Sergio Romano il compito di scongiurare il uno scontato “processo sommario al mostro di Genova”, ricordando che un paese rispettabile paga sempre i debiti, e tutti i “giornaloni” hanno la maggior parte degli articoli rivolti a scongiurare quella che ritengono un’inammissibile rottura di un contratto tra lo Stato e le imprese privatizzate, anche se risulta un contratto iniquo.

La CGIL tira in ballo il pericolo per l’occupazione, come se la riacquisizione da parte dello Stato di un bene pubblico come le Autostrade dovesse mettere sulla strada chi vi lavora e non solo chi ha diretto la società con scarsa competenza e molto cinismo da “padroni delle ferriere”.

Pochissimi (a parte i pennivendoli dei grandi mass media) hanno dubbi sulla scandalosa immoralità della penale di 20 miliardi pretesa da chi si è comprato un’impresa redditizia come Autostrade utilizzando pochissimi liquidi: appena 2,5 miliardi di euro, completati col ricavato dei pedaggi. Un articolo molto tecnico di Fabio Savelli sul Corriere di oggi ammette che in meno di tre anni la “Schemaventotto” (così si chiamava la finanziaria usata dai Benetton nel 1999 per la scalata iniziale) “recuperò quanto speso per la concessione fino al 2038”.

giovedì 16 agosto 2018

CROLLO DEL PONTE MORANDI: DISASTRO INEVITABILE O TRAGEDIA DEL CAPITALISMO? di Giorgio Simoni








CROLLO DEL PONTE MORANDI:
DISASTRO INEVITABILE O TRAGEDIA DEL CAPITALISMO?
di Giorgio Simoni




L’articolo che pubblichiamo sulla tragedia di Genova presenta una documentazione essenziale e il quadro complessivo di scelte strutturali economiche e politiche che sono alla base di una catastrofe annunciata.

Pone in modo sempre più urgente il tema ineludibile della battaglia contro le privatizzazioni, della necessità del ritorno nelle mani integralmente pubbliche (no SPA e simili), e sotto il controllo dei lavoratori e degli utenti, di settori economici e di strutture fondamentali che non possono in alcun modo essere lasciati alla logica del profitto e dell’interesse privato (Oggi persino La Repubblica è spinta a scrivere che “la tragedia di Genova è un frutto avvelenato delle privatizzazioni”). 
Pone il tema di un vasto piano pubblico dei trasporti che integri in modo coerente e funzionale ai bisogni del paese, cioè dell’intera popolazione, la parte su gomma e quella su ferrovia; conferma il nostro no alla logica di grandi opere che servono l’interesse di pochi e le speculazioni e la necessità di un vasto progetto e piano di manutenzione delle reti esistenti e di messa in sicurezza di un territorio la cui fragilità è stata messa più volte in evidenza dagli avvenimenti disastrosi che si sono prodotti. 
In altri termini pone il problema dell’alternativa tra la logica privata del capitalismo e la logica dell’interesse pubblico e del benessere e della sicurezza ambientale di tutte le cittadine e dei cittadini; richiede una svolta profonda che non verrà né dai governanti attuali, né da quelli che li hanno preceduti, entrambi profondamente legati al sistema esistente, ma solo da una nuova mobilitazione di massa sociale delle classi lavoratrici e popolari.




Il crollo del ponte Morandi a Genova, sull'autostrada A10, con il suo conto, al momento in cui scriviamo, di 39 vittime, 16 feriti, di cui 12 in codice rosso, e 632 sfollati, è una tragedia immane, che ci colpisce amaramente e che segnerà a lungo la storia del nostro Paese.

Al doveroso cordoglio per le vittime, per i loro famigliari, e alla vicinanza con tutti coloro che vedranno la propria vita drammaticamente cambiata da questa sciagura, deve accompagnarsi un inizio di riflessione su come ciò sia potuto accadere e quali ne siano le responsabilità.

Cominciare, seppure a breve distanza dai fatti, a ragionare su alcuni elementi per un futuro giudizio politico su quanto è successo, non è un atto di cinismo. Il cinismo, semmai, è quello dei mercati finanziari, che già all’indomani del disastro hanno segnato il crollo delle quotazioni del titolo Atlantia, controllante di Autostrade per l’Italia. Il riflesso pavloviano (come quello canino, da cui deriva “cinico”) del capitalista: «Qui c’è da pagare un sacco di risarcimenti, meglio spostare i capitali da un’altra parte».

sabato 11 agosto 2018

GERMANIA. IL PROGETTO DI WAGENKNECHT: UN NUOVO MOVIMENTO? di Manuel Kellner








GERMANIA. 
IL PROGETTO DI WAGENKNECHT: UN NUOVO MOVIMENTO?

di Manuel Kellner




Portavoce al Bundestag, assieme a Dietmar Bartsch, di Die Linke (La Sinistra), Sahra Wagenknecht proviene dalla sinistra anticapitalista del partito e ne è stata a lungo la sua rappresentante più popolare. Da un certo tempo lei e suo marito, Oskar Lafontaine – entrambi molto seguiti dai media – animano un raggruppamento informale, Team Sahra, al quale si può aderire via Internet, che lavora per la formazione d’un nuovo movimento politico sul modello di La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Hanno dichiarato che questo movimento sarà lanciato in settembre, non per fare concorrenza alla Linke, ma come strumento di pressione nei confronti degli altri partiti, in favore di una politica maggiormente sociale.



Alcune delle posizioni sostenute da Wagenknecht e Lafontaine si collocano a destra non solo dell’ala anticapitalistica della Linke, ma del suo stesso programma ufficiale. Il nemico individuato non è più il capitalismo in sé, ma il capitalismo neoliberale selvaggio. Le “frontiere aperte” sono ritenute un progetto della borghesia neoliberale per esacerbare la concorrenza in seno a coloro che stanno “in basso”, indebolendo così i salariati e provocando l’abbassamento dei salari reali. La difesa delle conquiste democratiche passerebbe attraverso la difesa della sovranità degli Stati-nazione, contro l’Unione europea e i progetti – come per esempio quello di Macron – di rafforzarne l’integrazione. Grosso modo, il progetto di Wagenknecht e Lafontaine mira a indebolire l’estrema destra, a contrastare l’avanzata elettorale della AfD e a conquistare settori dei salariati e degli strati popolari emarginati che, delusi dal Partito socialdemocratico (SPD) e attratti dalla demagogia di Alternativa per la Germania (AfD, d’estrema destra), non si riconoscono nelle posizioni di Die Linke. Secondo Wagenknecht e Lafontaine, sottovaluta troppo il timore di questi settori di trovarsi in una situazione di concorrenza sfavorevole con gli immigrati.

giovedì 9 agosto 2018

IL GOVERNO GIALLOVERDE: UNA STORIA HORROR di Antonello Zecca






IL GOVERNO GIALLOVERDE:
UNA STORIA HORROR
di Antonello Zecca



Come nei momenti di alta marea il proletariato si trascina 
dietro la piccola borghesia, nei momenti del riflusso 
la piccola borghesia si trascina dietro strati 
considerevoli di proletariato.

Lev Trotsky


Il Primo Giugno si è realizzata una di quelle accelerazioni di cui è ricca di esempi la storia, che ha fatto venire a maturazione una cesura politica di cui già era gravida la situazione precedente. Perché non v’è dubbio alcuno che di cesura si tratti. Ciò ci obbliga da un lato a tarare con maggior precisione i nostri strumenti di analisi e di intervento, dall’altro a fare piazza pulita di ogni ambiguità, illusione e scarsa chiarezza.

Un’affermazione che viene da lontano

Le radici dell’affermazione di Lega e M5S affondano nelle dure politiche di austerità condotte dai governi precedenti, e, in particolare, da quelli a guida PD, che hanno criminalmente completato la destrutturazione del mondo del lavoro come soggettività politica, colpendo diritti acquisti a prezzo di dure lotte nella storia di questo paese e lasciando lavoratori e lavoratrici nudi di fronte alla volontà di imprese e “mercati”, senza strumenti per la difesa delle condizioni di vita e lavoro. La grave complicità dei sindacati confederali, la CISL e la UIL, ormai da decenni alleati al padronato, è stata in tal senso determinante. Altrettanto grave è la responsabilità delle burocrazie della CGIL, sindacato che potenzialmente potrebbe ancora organizzare quantomeno una parte dinamica e attiva della classe. Decenni di accomodamento, concertazione e passività nei confronti dell’interesse delle imprese, assunto come interesse generale al quale subordinare gli interessi della classe lavoratrice, nel quadro di una crescente integrazione di queste stesse burocrazie negli apparati di Stato, con un approfondimento della contraddizione fondamentale di ogni burocrazia operaia: dipendenza effettiva dallo Stato e dal sistema delle imprese, ma legittimazione sociale proveniente dalle fila della classe lavoratrice.

venerdì 3 agosto 2018

KINOWA di Stefano Santarelli








KINOWA
di Stefano Santarelli




"Due incisioni, uno strappo
e il cadavere scotennato rimane a guardare
con occhi vitrei il cielo stellato!
Un taglio a forma di “S”,
il segno del serpente, gli marca la fronte!"




Tra i molti fumetti che leggevo quando ero bambino, di nascosto da mio padre da sempre ostile a questa forma di letteratura, “Kinowa” mi affascinava anche per la paura che provavo leggendo le sue avventure. Ed in effetti rileggendo oggi le sue storie devo riconoscere che questo fumetto non è assolutamente scritto per i bambini, ma è destinato esclusivamente agli adulti.

Pubblicato per la prima volta nel 1950, due anni dopo la nascita del sempre verde Tex, per opera di Andrea Lavezzolo e disegnato prima dal famoso e leggendario trio “Essegesse” (Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon e Pietro Sartoris) creatori degli eroi della mia fanciullezza e della mia generazione “Capitan Mike” ed “Il grande Blek” e poi dal bravo Pietro Gamba. Però Kinowa non si può definire assolutamente un personaggio “politically correct”.
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