Diari di Cineclub

Diari di Cineclub
Rivista Cinematografica online e gratuita

lunedì 17 dicembre 2018

IL CASO HUAWAI, TRA GUERRA COMMERCIALE, TECNOLOGICA ED INTELLIGENCE di Aldo Giannuli







IL CASO HUAWAI, 
TRA GUERRA COMMERCIALE, TECNOLOGICA ED INTELLIGENCE
di Aldo Giannuli


Nel caso Huawei confluiscono aspetti di diverso ordine che si incastrano fra loro: commerciale, tecnologico, geopolitico e di intelligence. In primo luogo c’è la guerra commerciale fra Usa e Cina per la conquista di quote di mercato. Come si sa Trump ha dato il via alla guerra commerciale con la Cina (e con l’Europa) per sostenere l’industria automobilistica americana e mantenere le promesse elettorali agli stati del rust belt che gli avevano consegnato la vittoria nel 2016.

Poi nel summit di Buenos Aires, era venuta fuori una tregua dei 90 giorni nell'applicazione dei dazi doganali, ma in quella stessa serata, era partito il mandato d’arresto per Meng Wanzhou, direttrice finanziaria del gruppo, prontamente eseguito dallo zelante suddito canadese cui era immediatamente rivolta la domanda di estradizione. Come dire che l’accordo era momentaneo e limitato, solo una momentanea tregua su un singolo tratto del fronte, mentre la guerra proseguiva (e con rinnovato slancio) in altra parte di esso.

Gli Usa non accettano l’idea di essere scalzati dalla Cina in settori decisivi sia sul piano commerciale che strategico e sono pronti ad una guerra senza limiti per impedire che ciò accada.

In secondo luogo c’è la delicatissima partita per il dominio tecnologico. In questi trenta anni, la Cina è enormemente cresciuta grazie ad esasperate pratiche di reverse engeneering ma anche grazie ad accordi commerciali con le aziende occidentali che decidevano di delocalizzare nel loro paese e che prevedevano l’obbligo cella condivisione dei segreti tecnologici.

domenica 16 dicembre 2018

PINELLI FU UCCISO. RICORDIAMO ANCORA. RICORDIAMO SEMPRE. di Teresio Spalla




PINELLI FU UCCISO.
RICORDIAMO ANCORA. RICORDIAMO SEMPRE.
di Teresio Spalla




Questo è un'Almanacchino scarno ed essenziale.
Non vi leggerete niente di nuovo.
°°°
Forse qualcuno lo troverà banale e ripetitivo per quanto, stamane, menti acute e ancora lucide della cultura italiana, abbiano voluto ricordare anch'esse
°°°
Tutti coloro che c'erano, in quel periodo, sanno come andarono le cose dopo la strage di pz.Fontana del 12 dicembre 1969 per cui furono immediatamente indicati responsabili i militanti anarchici del circolo Ponte della Ghisolfa - tra cui Pietro Valpreda a cui fu distrutta l'esistenza futura - i quali, in seguito, risultarono tutti innocenti tranne gli infiltrati che erano tra loro da anni, a testimonianza che l' additare la loro colpevolezza era preordinato quanto lo scoppio della bomba.
°°°
Pinelli, prelevato per accertamenti dal commissario Calabresi, seguì la sua auto in motorino, tanto entrambi erano sicuri che sarebbe tornato a casa.
Invece, quella notte, fu ucciso.
Ed io concordo con la tesi di tanti, e soprattutto della moglie Licia, come, eccedendo nel massacrarlo di botte, non trovarono di meglio che fingere il suicidio gettandolo dal balcone.
°°°
Lo buttarono infatti da una finestra della Questura di Milano, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, da una stanza dove si trovavano con lui gli agenti Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli, Vito Panessa e l'agente del Sisdi in funzione di ufficiale dei carabinieri Savinio Lograno, quello che, nella canzone, "apre un pò la finestra".
°°°
Era un uomo buono con un ideale nel cuore, un ferroviere; era stato partigiano e possedeva una solida cultura politica personale da fervente autodidatta.
Aveva 41 anni e lasciava una famiglia : moglie e due figlie piccole.
°°°
Il questore Marcello Guida (già funzionario di polizia sotto il fascismo e durante la Rsi), il responsabile dell'ufficio politico della Questura Antonino Allegra, il commissario capo Luigi Calabresi dichiararono, in conferenza stampa, che si trattò di suicidio.
°°°
Tranne l'ultimo tutti sono morti nel loro letto.
Gli agenti furono promossi e tali rimasero anche dopo la comprova dell'innocenza e dell'inconsistenza colpevole della "pista anarchica".
°°°

mercoledì 5 dicembre 2018

BUONANOTTE DOLCE PENA di TERESIO SPALLA







BUONANOTTE DOLCE PENA
- IL PRINCIPE DEGLI ATTORI - Il curioso film con RICHARD BURTON su EDWIN BOOTH -
di TERESIO SPALLA



Esistono film che, pur facendo parte di un sicuro palinsesto pomeridiano o a tutti gli orari sulle reti satellitari dedicate al cinema classico, sono stati dimenticati dagli addetti ai lavori di qualunque tipo e ricevono tenue e forzata critica su manuali e repertori.
°°°
Uno di questi è “Il principe degli attori” (“Prince of Players”, 20thcf©1955) che, pur godendo di notevoli qualità - benché nel contesto di un’opera biografica nata e realizzata in un’epoca di censure, equivoci e forzosi fraintendimenti – ma mostrandosi oggi ricco di interesse e stuzzicanti letture intertestuali più che al suo tempo, non è nel novero delle tante rivalutazioni di cui sono spesso oggetto prodotti ben inferiori.
°°°
A suo tempo ebbe un notevole successo negli Stati Uniti e nei paesi di lingua inglese, ma anche in Francia e da noi.
Dal punto di vista artistico e popolare fu la conferma definitiva dell’allora ventiseienne Richard Burton la cui intensa e splendida carriera teatrale era pressoché sconosciuta fuori dai territori anglofoni e, dopo il ’64, venne cancellata dalla notorietà dettata dal gossip internazionale e dal confronto con i successi paralleli della moglie Elizabeth Taylor, una vicenda che condizionò anche la critica quasi fino alla morte dell’attore nel 1984.
°°°
Ebbene, per cominciare, raccontiamo come arrivò a questo film, Richard Jenkins poi autobattezzatosi Richard Burton.

LA RIVOLUZIONE IN GERMANIA 1918-19 di Serena Capodicasa





LA RIVOLUZIONE IN GERMANIA 1918-19
di Serena Capodicasa


Il 15 gennaio 1919 l’assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht decapitava il movimento operaio tedesco dei suoi due principali dirigenti rivoluzionari.
Era la scure della controrivoluzione che si abbatteva sul tentativo insurrezionale con cui il neonato Partito comunista tentava di evitare che il destino della rivoluzione tedesca scivolasse via dalle mani delle masse operaie. Maturata nelle condizioni di vita che la prima guerra mondiale rendeva sempre più difficili nel paese, così come al fronte e nella flotta, la rivoluzione era stata innescata da due potenti detonatori: le sorti della guerra, che vedevano l’esercito tedesco sempre più in difficoltà, e la fiducia infusa dalle masse russe che, sotto la guida del Partito bolscevico, tra il febbraio e l’ottobre del 1917 mostrarono una via d’uscita rivoluzionaria dalla guerra e dalla fame.

A inizio novembre del 1918, dopo l’ammutinamento delle unità della flotta stazionate a Kiel, sul Mar Baltico, si formò il primo Consiglio degli operai e dei marinai tedesco. Il primo di una lunga serie che, a macchia d’olio, prese il controllo di numerose città: Amburgo, Brema, Lubecca, Dresda, Lipsia, Chemnitz, Magdeburgo, Brunswick, Francoforte, Colonia, Stoccarda, Norimberga, Monaco… infine Berlino, dove il 9 novembre “Il passo fermo, ritmato, dei battaglioni operai riecheggia nelle strade: arrivano da Spandau, dai quartieri proletari, dal Nord e dall’Est, e avanzano verso il centro, simbolo della potenza imperiale” (da E.O. Volkmann “La rivoluzione tedesca”). Come accade ogni volta che la classe dominante ha più da perdere che da guadagnare da uno scontro aperto (basti pensare all'oligarchia venezuelana dopo il fallimento del colpo di Stato contro Chavez nel 2002), alla borghesia non restò che la scelta di sabotare la rivoluzione dall'interno con l’abdicazione del kaiser Guglielmo II e l’affidamento del potere alla sola forza in grado di rimettere il potere nelle sue mani presentatosi alle masse come loro rappresentante, la socialdemocrazia. Il ministro socialdemocratico Ebert venne così nominato cancelliere e incaricato di formare un nuovo governo.

martedì 4 dicembre 2018

I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LO SPAZIO VITALE di Guido Viale





I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LO SPAZIO VITALE
di Guido Viale



Nel giorno di apertura della Cop 24 di Katowice si può affermare che il clima è il grande assente dalle politiche dei governi di tutto il mondo. Non se ne parla mai, se non per registrare l’abbandono dell’accordo di Parigi da parte di un altro Stato. Neppure la verde Germania riesce a staccarsi dal suo carbone. Non è mancata la mobilitazione popolare che, anche di recente, ha visto a Londra e in varie città della Germania una forte partecipazione per imporre un cambio di rotta; una partecipazione scarsa, però, nei paesi dell’Europa mediterranea, nonostante che in Italia siano in corso tante vertenze ambientali e sociali tutte indirettamente legate al tema del clima: NoTav, NoTap, NoTriv, NoTerzovalico, Noautostrade, NoGrandinavi, NoMuos, ecc. Ciò che è invece presente in tutte le politiche governative e, ovviamente, nelle prossime elezioni europee, sull'onda di uno sciovinismo e di una xenofobia che stanno travolgendo il mondo, sono le migrazioni. Ci sono molti legami tra quella assenza e questa presenza: nessi che politica, economia e cultura non sanno o non vogliono cogliere.

Innanzitutto, nell'inconscio di ciascuna o ciascuno di noi, politici o “gente comune”, c’è la sensazione che con la globalizzazione il mondo non si sia allargato ma ristretto: non c’è più spazio per tutti; soprattutto se si pensa a quello che consideriamo il nostro spazio vitale, che in realtà è spazio ambientale: non solo casa, auto, fabbrica o ufficio, scuola, strade, aria, acqua, cibo e cure mediche; ma anche spiagge, campi da sci, seconde case, posti auto, vacanze, ecc. È una sensazione fondata, che spinge molti a stringere i cordoni della borsa: chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Caso mai c’è da darsi da fare per non essere il prossimo, o la prossima, a essere buttata fuori. Ben pochi si sforzano di capire quanto di sostenibile ci sia ancora in quel nostro spazio vitale e quanto se ne possa salvaguardare cambiando il modo di accedervi.

domenica 2 dicembre 2018

IL MITO DELL'UNITA' A SINISTRA di Salvatore Cannavò





IL MITO DELL'UNITA' A SINISTRA
di Salvatore Cannavò



Quello di De Magistris è almeno il quinto tentativo elettorale degli ultimi 10 anni. A mancare è una riflessione critica sull’idea stessa di “popolo della sinistra” e la capacità di ricostruzione dei soggetti sociali del cambiamento
Il primo dicembre il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, prova a ricreare le condizioni per una nuova unità a sinistra. Essendo il quinto tentativo di questo tipo in dieci anni, con una media di uno ogni due anni, corre l’obbligo di fare a lui e ai suoi compagni di strada, i migliori auguri.

De Magistris è un sindaco che ha conquistato il municipio di Napoli con le sue sole forze, svuotando l’acqua del “grillismo” che infatti in città non ha attecchito, interpretando una sinistra da alcune venature populiste, in particolare per la funzione di rappresentanza giocata dal leader, ma solidamente ancorata a punti fermi come la pubblicizzazione dell’acqua o la difesa degli spazi occupati. Il suo tentativo, al di là di tutte le diffidenze o gli entusiasmi che potrà provocare, ha una sua legittimità.

E’ utile però interrogarsi su quello che è accaduto davvero in questi dieci anni e perché l’unità a sinistra è diventata una sorta di araba fenice o un mito originario che continua a illuminare la strada di migliaia di militanti. E cosa non ha funzionato.
Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF