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mercoledì 25 febbraio 2015

UN ANNO CON RENZI di Diego Giachetti





UN ANNO CON RENZI
di Diego Giachetti

Il 24 febbraio del 2014 Renzi si presentò al Senato per pronunciare il suo discorso d’investitura a capo del governo. Aveva acquisito quel posto sfrattando l’inquilino precedente, non prima di averlo assicurato che mai lo avrebbe fatto.

Continuità

Le politiche economiche e sociali del suo governo si sono mosse in piena continuità con l’impostazione neo liberista attualmente dominante, accelerando il passo a riforme che la destra avrebbe voluto fare senza mai riuscirci pienamente. Questa è una verità nota, che non vuol dire necessariamente conosciuta, ammessa candidamente da Michele Brambilla su «La Stampa» del 20 febbraio: «Renzi ha detto e fatto cose che, fossero state dette o fatte da Berlusconi, avrebbero scatenato la piazza» antiberlusconiana.

Non a caso, dopo aver conquistato il suo partito, ha sfondato nell’area del centro destra con un attacco in più direzioni. Ha svuotato elettoralmente Scelta Civica, incassando i suoi voti alle elezioni europee e ora raccoglie le spoglie dei transfughi dirigenti di questa lista nel PD. Ha fatto un accordo con Forza Italia ma contemporaneamente governa con l’appoggio di un “pezzo” fuoriuscito dal partito di Berlusconi, il Nuovo Centro Destra. Nell’insieme la sua politica ha trovato consenso tra l’antiberlusconismo dei berlusconiani i quali (niente si dà gratis) hanno fatto sentire il loro peso nelle scelte di politica economica e di riforme istituzionali, predisponendo, forse, il terreno per una grande confluenza al centro, un pienone del Pd che diventerebbe il “Partito della nazione”.

Effettivamente oggi la ventennale parentesi della partita tra berlusconiani e antiberlusconiani sembra chiudersi ad opera di un politico “nuovo” che eredita tre competenze della vecchia politica: «Renzi è svelto e brusco come Craxi, cinico come Andreotti, comunicatore e venditore come Berlusconi», scrive Marcello Sorgi («La Stampa», 20 febbraio 2015). Di ciò che restava della tradizione di sinistra ex PCI e dalla CGIL non ha ereditato nulla, anzi vuole liberarsene del tutto.

I risultati che ha ottenuto li ha ricavati con la furbizia del “vecchio” democristiano: dalla presa di Palazzo Chigi, al Jobs Act, alla riforma della legge elettorale, fino all’elezione dell’attuale presidente della Repubblica. Per le sue riforme ha sperimentato un metodo vecchio quanto nuovo: l’utilizzo di maggioranze variabili. Si è buttato sorridendo, con le sue battute da ragazzo impertinente, a destra e a sinistra, a secondo delle opportunità, del momento e delle circostanze, con una spregiudicatezza che in senso tecnico e morale ricorda una vecchia parola della storia politica italiana: trasformismo.

Rotture postmoderne

Accanto al mondo reale, politico, economico, sociale, pervaso da una riconoscibile crisi, Renzi ha provato a costruirne uno virtuale fondato su un semplice quanto efficace assioma postmoderno: la realtà è quella che dici che sia, l’oggettività è un punto di vista personale; dipende da me quindi essere “naturalmente” ottimista o pessimista. I dati economici e sociali sono preoccupanti? Nessun problema si ricorre a un trucco che gli studiosi di statistica chiamano “scelta delle ciliegie”, ovvero prendo in considerazione solo i dati che mi danno ragione.

Ottimismo, forza della volontà, promesse di cambiamento, audacia, fiducia nel futuro si traducono in slogan poco originali, motivati dalla pubblicità spicciola. Lo slogan crea la realtà e Renzi ha contribuito a questo effetto con la sua l’abilità comunicativa, unita alla gran cassa adulante dei mass media. Più che la politica ha cambiato il linguaggio della politica e la sua estetica nel senso banale del termine, a cominciare dal governo.

Renzi è il più giovane presidente del consiglio della storia dell’Italia repubblicana, la sua squadra di governo, con un’età media di 47 anni è la più giovane della repubblica e forse la più inesperta, e poi comprende ben otto donne ministro, un numero record. Oggi di questo si discute e in ciò si trovano le novità e i cambiamenti. E’ l’apparenza, come vuole lo spettacolo massmediatico della politica, che prende il sopravvento su una sostanza che spesso ha i caratteri del dramma. La novità è la “rottamazione”, il dato anagrafico e basta.

Entra in campo una nuova classe dirigente, giovane, forte, audace, vitale, futurista e con tante donne, anch’esse giovani, vigorose, belle, esteticamente perfette. E’ il nuovo inizio, la pagina bianca di un nuovo libro che finalmente si comincia a scrivere, è la narrazione moderna debole e senza “ideologie”. Quando la ministra Boschi dichiarò di preferire Fanfani a Berlinguer, solo perché era suo conterraneo, rivelò la sostanza del ragionamento postmoderno: la polemica contro le ideologie novecentesche conduce a non avere più idee, neanche sbagliate.

Renzi è un premier figlio dello spirito del tempo, un uomo politico orientato alla costruzione diretta del consenso e alla ricerca della popolarità saltando l’intermediazione dei corpi sociali e politici, comunicando direttamente con individui isolati, gonfi di bisogno di dare espressione alla propria soggettività, senza parti, in cerca d’autore. Quando questo consenso lo ha ricevuto Grillo e, prima ancora Berlusconi, era chiamato con disprezzo populismo.

Renzi non fa eccezione praticando una politica dove immagini e slogan rimpiazzano i pensieri. L’importante è fornire un racconto, una narrazione, perché la realtà è quella che desideri, fermamente desideri, e hai l’illusione che l’illusione diventi la verità. Ciò è impossibile, ma intanto lo si crede e ci si abbandona alla credenza. Si cade così in un paradosso: l’ideologia dominante ci opprime, dobbiamo quindi liberaci da quel peso, ma è proprio quel peso che è di ostacolo alla via per liberarci da esso.


22 febbraio 2015


dal sito Sinistra Anticapitalista


La vignetta è dell'Istituto Lupe



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