Diari di Cineclub

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lunedì 7 marzo 2016

LA FABBRICA DEI TERRORISTI di Antonio Moscato





LA FABBRICA DEI TERRORISTI
di Antonio Moscato



Irresponsabili dilettanti scherzano con il fuoco



È bastato poco per svelare l’avventurismo dei nostri governanti. Un incidente come tanti altri che accadono ogni giorno nel caos libico ha visto coinvolti in uno scontro a fuoco, quasi sicuramente per caso, due lavoratori italiani che erano finiti nelle mani di una delle tante bande che rapinano e sequestrano per ottenere un riscatto.
È bastato questo per rivelare la fragilità del progetto di intervento italiano solennemente discusso nei massimi organi che dovrebbero garantire la sicurezza del nostro paese. Dopo un giorno non si riusciva neppure a sapere con certezza chi erano i due caduti, a recuperarne il corpo, a capire chi li aveva uccisi scambiandoli per terroristi. Dietro una cortina fumogena di filmati sul dolore delle famiglie e di interviste ai sindaci dei loro paesi, subito approntati da giornalisti vili e ignoranti, si tentava di nascondere all’opinione pubblica italiana che i due tecnici erano caduti sotto il “fuoco amico” di un pezzo di quell’esercito libico che i nostri 007 dovrebbero andare a guidare. Per non rinunciare alla solita campagna di demonizzazione dell’islam si riproponevano poi particolari probabilmente inventati sulle vittime utilizzate come “scudi umani”.
Un giorno di chiacchiere televisive, da cui si poteva però capire facilmente che i nostri tanto decantati “servizi” non sapevano niente di preciso. Quanto è bastato in ogni caso per costringere il furbetto Renzi a far marcia indietro e a buttare un po’ d’acqua sul fuoco appiccato per conto suo dalla Pinotti e da altri irresponsabili ansiosi di affermare il “ruolo dell’Italia” nel mondo con una nuova “campagna di Libia”. Sorvolando tutti sul fatto che la partecipazione italiana alla guerra in realtà è già cominciata da almeno un mese alle spalle del parlamento, con la presenza sul terreno di vari corpi speciali, imbevuti di ideologia colonialista e la cui preparazione militare non è stata mai verificata sul campo. Lo abbiamo appreso dalla stampa internazionale e dal Segretario di Stato USA alla Difesa, non da dichiarazioni del governo in parlamento.

Come ha osservato lucidamente il massimo conoscitore italiano della Libia, Angelo Del Boca, mandare 3.000 uomini (o anche 5.000, come auspica l’ambasciatore USA in Italia, che non si capisce a che titolo dia così sfacciatamente indicazioni al nostro governo) in Libia, è sicuramente inutile ai fini della ricostruzione di quella struttura statale che abbiamo contribuito a distruggere nel 2011, ma significa sicuramente esporli a rischi enormi in loco, stimolando per giunta una possibile risposta terroristica di ritorsione sul nostro territorio, difficile da evitare anche se si volesse seguire l’esempio della Francia che pensa di far giocare a porte chiuse almeno una parte delle partite dei campionati europei di calcio.
L’utilizzazione massiccia dei mezzi aerei e navali di cui si dispone al di là di ogni necessità difensiva può garantire qualche effimero successo propagandistico, ma non eliminare le molte forme di resistenza che i nostri reparti speciali non sono minimamente preparati a combattere sul campo con un lavoro attento di intelligence difficile da ottenere data la scarsa formazione linguistica che caratterizza i nostri militari a differenza di quelli inglesi e francesi. E può anzi, con l’inevitabile imprecisione dei bombardamenti “intelligenti”, suscitare altri rancori tra i parenti delle vittime.

Le imprese “umanitarie” in Iraq, in Afghanistan, nel Libano, hanno confermato più volte la scarsa preparazione dei nostri uomini, che spesso hanno finito per avere come compito prevalente quello di difendere se stessi e sopravvivere in un ambiente ostile e sconosciuto. Recentemente la Gazzetta Ufficiale ha segnalato la concessione di due medaglie d’oro e tre d’argento a due ufficiali e tre sottufficiali di un elicottero sfuggito a un’imboscata, per il solo merito di essere riusciti a reimbarcarsi e a fuggire una volta verificato che erano atterrati in un luogo dell’Afghanistan poco sicuro, in cui erano stati accolti da alcuni “colpi di arma da fuoco”. Le frasi retoriche sullo “sprezzo del pericolo” e il “rischio della vita” sono quelle di sempre, ma l’episodio (accaduto il 5 gennaio 2014) era così insignificante che in una guerra vera non sarebbe stato neppure menzionato. Ne ha parlato, con una vena di ironia, Francesco Grignetti su “la Stampa” del 2 marzo.
Ma dato che ormai gli eserciti sono formati da volontari, cioè da mercenari, potremmo anche non preoccuparci per la loro sorte, se non fosse che le conseguenze di loro interventi maldestri ricadrebbero sui tanti lavoratori italiani sparsi in tante parti del mondo a lavorare in zone pericolose perché, come aveva spiegato efficacemente Salvatore Failla, uno dei due uccisi a Sabratha, questo è “l’unico modo di campare la famiglia”. E ricadranno anzi sicuramente anche sul territorio del nostro paese, che anche solo negli ultimi decenni di imprese insensate in varie parti del mondo ha creato non pochi nemici, e ha contribuito all'allevamento di nuove leve di terroristi in paesi che non avevano conosciuto questa piaga. Ad esempio proprio la Libia, dove il fenomeno era inesistente e in cui è stato creato come sottoprodotto di un intervento esterno che la vulgata dei mass media attribuisce alla sola Francia e Gran Bretagna, mentre l’Italia, pur esitante e dubbiosa, vi partecipò ugualmente, pur avendo beneficiato non poco di un rapporto privilegiato con Gheddafi.

E c’è un altro possibile “allevamento di terroristi” a due passi di casa. Anche se l’insinuazione della stampa più xenofoba sui possibili integralisti islamici imbarcati sui precari gommoni è inverosimile e ridicola, il trattamento che decine di migliaia di sventurati subiscono alle frontiere tra Grecia e Macedonia, e in tante altre frontiere dell’Europa, fino a Calais, è tale da lasciare risentimenti fortissimi, su cui è possibile che presto facciano leva i veri organizzatori del terrore. E l’odio provocato dal trattamento inumano non ricadrà solo sui singoli paesi come la Macedonia o l’Austria o l’Ungheria che hanno rappresentato l’ala più intollerante, ma su tutta l’Europa, anche per la protervia di un Donald Tusk, presidente del Consiglio dell’UE, che in suo nome ha insultato e respinto i migranti economici dimenticando quanti ne arrivarono a lavar vetri nel resto d’Europa proprio dalla sua Polonia. Tusk ha parlato di un possibile rimpatrio forzato dei migranti economici. Una misura simile sarebbe inumana, tanto più se affidata al'unico sgherro disponibile, Erdogan, che non a caso ottiene dall'Europa molto più di quanto è concesso alla povera Grecia, condannata a far da ospizio temporaneo per i respinti. Una misura che sarebbe sicuramente seguita da un reclutamento facile da parte dello Stato Islamico di alcuni dei disperati scacciati di terra in terra, che dopo aver venduto tutti i loro beni per raggiungere il paradiso promesso sarebbero ricacciati in una patria ormai resa invivibile.
Insomma in Libia ci stiamo andando senza che gli italiani sappiano quante ragioni di rancore nei nostri confronti ci siano in quel paese, e ci stiamo andando con alleati pessimi, non solo europei. Tra cui non dimentichiamo certo il dittatore egiziano Al Sissi, protettore e maggiore azionista di quel governo di Tobruk che i mass media italiani presentano come l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale. Il governo italiano lo blandisce per farsi dire qualche altra bugia un po’ più plausibile sull'assassinio di Giulio Regeni, ma anche perché ha bisogno della sua mediazione per far accettare un governo fantoccio al recalcitrante parlamento di Tobruk. Sotto che brutti segni nasce questa impresa!




Post Scriptum. A proposito di Al Sissi. Ho sempre pensato che alcuni rigurgiti di nostalgia per lo stalinismo corrispondessero a un atteggiamento sostanzialmente conservatore ed anzi reazionario. Ma non sospettavo che questo atteggiamento si potesse esplicitare così chiaramente come in questo articolo apparso su un sito che ha nella testata il nome di Marx: la colpa dell’opposizione “laica” (in realtà socialista e marxista rivoluzionaria) a Mubaraq, Morsi e Al Sissi è stata quella di essere minoritaria, di essere stata sconfitta… Leggere per credere: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/medio-oriente-e-nord-africa/26653-egitto-che-fare


4 Marzo 2016

La vignetta è del Maestro Mauro Biani


dal sito Movimento Operaio





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