Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

venerdì 29 gennaio 2016

TUTTI GLI UOMINI DEL RE di Stefano Santarelli






TUTTI GLI UOMINI DEL RE
di Stefano Santarelli


“Sono un politico, e noi non abbiamo amici”



Il romanzo di Robert Penn Warren “Tutti gli uomini del Re” scritto nel 1946 e vincitore del Premio Pulitzer, e due anni dopo adattato anche per il teatro, forse non è un libro di facile lettura fosse soltanto per la mole, ma costituisce indiscutibilmente una delle migliori denunce di una politica senza principi morali ed un ritratto spietato di quella statunitense in particolare. Un testo che indiscutibilmente è il miglior romanzo politico americano del novecento nella sua riflessione sull'idealismo corrotto del potere e sulla logica del compromesso per non fare cambiare lo stato delle cose.
Una delle prime recensioni è quella di Orville Prescott, critico del New York Times, che il 16 agosto 1946 elogia così il romanzo: “Nato nel Sud, nel Kentucky, e cresciuto nel Tennessee (…) Warren ha scritto un romanzo accidentato e ostico come una strada di tronchi sulla palude, irrisolto, incerto davanti ai problemi della vita (…) eppure magnifico, vivace da leggere, con tensione scintillante (…) intriso di emozioni feroci, con ritmo narrativo e immagini poetiche scintillanti, non un “romanzo di lettura” (…) ma un testo che non ha pari (…) non da leggere pigri, distesi su un’amaca, ma da divorare sino alle tre di notte, da portare in treno e in metropolitana e leggere mentre aspettate il tram, un appuntamento, l’ascensore o – se capitasse - un passaggio su un elefante (…)”
Ed effettivamente Prescott non ha esagerato con questo omaggio all'opera di Penn Warren.

mercoledì 27 gennaio 2016

IGNORANZA E IPOCRISIA: LA "FAMIGLIA NATURALE" di Antonio Moscato




IGNORANZA E IPOCRISIA: 
LA "FAMIGLIA NATURALE"
di Antonio Moscato




Il dibattito innescato dai tentativi di mutilare ancora la modesta legge Cirinnà che risponde (in ritardo) alle richieste di adeguare la legislazione italiana a quella europea, dà l’idea dei passi indietro fatti dall’Italia anche sul piano della civiltà. Ad esempio un vero e proprio linciaggio mediatico ha colpito la presidente della Camera, colpevole di aver dichiarato il suo fastidio nei confronti di chi vuole calpestare aspirazioni e diritti di una minoranza rifiutando perfino di prendere atto della sua esistenza e delle sue esigenze: ad esempio dell’esistenza di bambini che comunque vivono in una famiglia con due madri o due padri, senza che questa situazione sia formalizzata ai fini scolastici, assistenziali, ereditari. Secondo i tanti che attaccano la Boldrini la sua carica le dovrebbe impedire di avere un’opinione in proposito. Il tutto mentre nessuno si indigna per la trasformazione del palazzo della Regione Lombardia (che dovrebbe essere di tutti i cittadini lombardi) in tabellone luminoso per propagandare il raduno sanfedista del 30 gennaio.

Nessuno o quasi trova da ridire sul fatto che per facilitare un’adunata faziosa di bigotti si concedano sconti ferroviari su Italo, Trenitalia e perfino sui trasporti urbani di Roma. Con rarissime eccezioni cardinali, vescovi, preti e monache di clausura (oltre al papa, la cui ingerenza nelle vicende parlamentari italiane viene perfino elogiata per la sua moderazione) sono mobilitati per decidere la sorte di quella vasta maggioranza degli italiani che non segue minimamente gli insegnamenti della Chiesa cattolica, alla cui vita non partecipa. Nessuno ricorda loro che ormai in gran parte d’Italia anche le coppie eterosessuali di fatto sono più di quelle “consacrate” da un matrimonio civile, e a maggior ragione da quello religioso.

Il peggio è rappresentato da quel discreto numero di politici e politiche che non seguono minimamente nessun precetto della chiesa, che hanno difeso e giustificato tutti i traffici puttaneschi di Berlusconi su cui si è dovuta pronunciare solennemente l’assemblea parlamentare che ha giurato sull’integrità e maggior età della “nipote di Mubarak”, e che ora non hanno ritegno a pontificare sulla difesa della “famiglia naturale”.

IN NOME DEL POPOLO LONTANO di Luca Baiada





IN NOME DEL POPOLO LONTANO
di Luca Baiada




Una democrazia già fragile, uscita incrinata dalla guerra fredda e entrata fiacca nella globalizzazione, adesso rischia il peggio.

La legge elettorale truffaldina del 2005 – proprio uno dei suoi confezionatori la chiamò «porcata» – è stata spazzata via dalla Corte costituzionale, ma ecco che la maggioranza parlamentare eletta proprio con quelle norme, una maggioranza che a sua volta si regge su un voto minoritario, su una parte della magra fetta dell’elettorato che è andata a votare, vuole cambiare di nuovo proprio la legge elettorale, e senza seguire i principi dettati dalla stessa Corte costituzionale.

Un governo sostenuto dalla fiducia di pochi spinge una modifica della Costituzione che riduce la partecipazione democratica. Propongono un ibrido furbo, un esile guscio di rappresentanza popolare con una polpa oscura: due camere, ma solo una è elettiva, benché figlia di un voto distante dalla partecipazione della cittadinanza. L’altra si chiama ancora Senato, ma i componenti non sono più elettivi; vengono individuati dagli enti locali, sulla base di logiche che in questo momento non sono esplicitate, ma che fanno indovinare basse manovre e stretti interessi delle segreterie di partito, o delle segreterie senza neppure un partito. Consiglieri regionali e sindaci, non dispensati dalle funzioni, riceverebbero in aggiunta la carica di senatore: non si sa dove troverebbero il tempo per un onere che – almeno a parole – dovrebbe essere gratuito, mentre di sicuro troverebbero sulla loro strada i legami e le clientele che fanno parte dell’andamento degli uffici locali, dove restano incardinati.

Insomma, ci si lamentava per i troppi incarichi alle stesse persone? Arriva un doppio incarico istituzionalizzato, un conflitto di interessi permanente, gabbato per risparmio solo perché mette i costi in nero, scaricandoli nella contabilità occulta del malaffare. Sulle modalità di selezione di questa tribù di doppiosederi, per prudenza la proposta è arcana – «I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio» – e per i dettagli rinvia a una legge ordinaria, che ovviamente non si conosce. Il meccanismo di «tolgo questo che hai», in cambio di «eccoti quello che non c’è», è vistoso, sembra un misero trucco, ma da mesi la maggioranza governativa cerca di nasconderlo con una cortina fumogena. Il giornalismo non aiuta a capire meglio, visto com’è ridotto. In dieci anni, nel «World Press Freedom Index» l’Italia è scesa dal 42° al 73° posto, scavalcata dal Senegal, da Santo Domingo e dalla Mongolia.

martedì 26 gennaio 2016

L''ITALIA RIFA' LA GUERRA ALLA LIBIA. E' LA QUARTA DAL 1911 di Giampaolo Martinotti





L''ITALIA RIFA' LA GUERRA ALLA LIBIA. E' LA QUARTA DAL 1911
di Giampaolo Martinotti



Mentre Usa e Turchia sono pronte a un intervento di terra in Siria, l’Europa lucida le armi e aspetta un invito ‘ufficiale’ per attaccare la Libia. L’Italia si prepara ad intervenire al fianco della NATO



Era il 19 marzo del 2011 quando Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, forti della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, decidevano di attaccare la Libia di Muammar Gheddafi, con l’aiuto dell’Italia, al fianco dei ribelli. Andava così in frantumi la fragile unità nazionale che per una quarantina d’anni, e in maniera senz’altro controversa, il nostro istrionico amico investitore aveva saputo garantire al paese.

I colpi della ‘democrazia esportata a suon di bombe’, ancora una volta, avevano rotto gli equilibri tra quella miriade di tribù, e relative milizie, divise da rivalità secolari. Dopo cinque anni di conflitto assistiamo oggi alla drammatica situazione nella quale il popolo libico è stato trascinato dagli interessi imperialisti e dalle indecisioni e dagli egoismi della politica: i combattimenti tra le varie fazioni locali e l’avanzata dell’Isis sono le conseguenze dirette di tali atteggiamenti.

Proprio in questi giorni però Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti, i principali paesi NATO, erano in attesa di ‘buone notizie’ sul fronte politico libico: il parlamento di Tobruk, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, oggi avrebbe dovuto promuovere un governo di unità nazionale in grado di consentire un’azione militare internazionale ‘indispensabile’ per stabilizzare il paese. La votazione però è risultata negativa, e si dovrà aspettare una massimo di sette giorni prima di avere un nuovo esecutivo con il quale discutere.

Infatti, mentre le forze speciali statunitensi già presenti sul territorio continuano i preparativi, un prossimo intervento congiunto delle forze NATO, autorizzato dall’ONU, potrà materializzarsi solo dopo una esplicita richiesta di aiuto da parte del governo libico, come recita la risoluzione 2259. O forse chissà, anche senza, se quest’ultima tardasse troppo ad arrivare. In tutti i casi, una volta instaurato a Tobruk, ogni singolo paese potrà contrattare la sua azione militare al di fuori delle varie organizzazioni direttamente con il nuovo governo fantoccio.

lunedì 25 gennaio 2016

L'UOMO BIANCO IN QUELLA FOTO di Riccardo Gazzaniga





L'UOMO BIANCO IN QUELLA FOTO
di Riccardo Gazzaniga


Le fotografie, a volte, ingannano.
Prendete questa immagine, per esempio. Racconta il gesto di ribellione di Tommie Smith e John Carlos il giorno della premiazione dei 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico e mi ha ingannato un sacco di volte.
L’ho sempre guardata concentrandomi sui due uomini neri scalzi, con il capo chino e il pugno guantato di nero verso il cielo, mentre suona l’inno americano. Un gesto simbolico fortissimo, per rivendicare la tutela dei diritti delle popolazioni afroamericane in un anno di tragedie come la morte di Martin Luther King e Bob Kennedy.
È la foto del gesto storico di due uomini di colore. Per questo non ho mai osservato troppo quell’uomo, bianco come me, immobile sul secondo gradino.

domenica 24 gennaio 2016

LO STATO ISLAMICO IN IRAQ E NEL LEVANTE SORTO SULLE SPERANZE INFRANTE DELLE PRIMAVERE ARABE di Adam Hanieh






LO STATO ISLAMICO IN IRAQ E NEL LEVANTE SORTO SULLE SPERANZE INFRANTE DELLE PRIMAVERE ARABE
di Adam Hanieh*



Dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, gran parte della sinistra ha collegato l’ascesa dello Stato islamico [IS] in Iraq e nel Levante all’approfondirsi della violenza imperialista in Medio Oriente. La guerra e l’imperialismo da un lato, e il crescente impatto del terrorismo jihadista dall’altro, vengono descritti come stretti in una morsa di violenza e di distruzione che li rafforza reciprocamente. «La barbarie imperialista e quella islamista si alimentano reciprocamente», scriveva il Nuovo Partito Anticapitalista francese poco dopo gli attentati di Parigi. Per infrangere questa micidiale morsa nichilista, occorre opporsi all’intervento straniero, porre fine alla violenza imperialista e fermare il saccheggio delle ricchezze nei paesi medio-orientali, in Africa e altrove.

La logica di fondo di questo argomento ha senza dubbio una solidità. Tuttavia, in fatto di valore esplicativo, un tipo di analisi del genere non va molto in là. Soffre di una generalizzazione e un’astrazione eccessive – non ci dice molto sulla specificità di questo particolare momento e sulla natura dell’IS come movimento. Stabilendo una sorta di automaticità o di specchio naturale che riflette l’IS e l’imperialismo, ci possono sfuggire l’importanza del contesto e la storia che ha dato forma alla straordinariamente rapida crescita di questa organizzazione

Perché la risposta all’aggressione occidentale e alle situazione catastrofica in Siria, in Africa e altrove nel complesso dell’area assume questa particolare forma ideologica e politica? Che cos’è che spiega il sostegno che l’IS trova sul posto, nel mondo arabo e in Europa? E come mai in questo modo?

La genesi vera dell’ascesa dell’IS va ricercata nella traiettoria delle sollevazioni arabe che sono esplose nel 2011 e 2012. Queste esprimevano un’enorme speranza, che bisognava continuare a sostenere. Hanno subito la repressione e il cambiamento repentino, senza riuscire a procedere in nessuna direzione di fondo. È in questa breccia che sono sorti i gruppi islamisti, essendo il loro rafforzamento strettamente calibrato sul rifluire delle rivolte e delle aspirazioni popolari alla democrazia che queste incarnavano. Non era affatto inevitabile. Ma le difficoltà che le rivoluzioni hanno dovuto affrontare hanno creato un vuoto, che qualcos’altro doveva colmare.

La visione del mondo dell’IS è l’espressione ideologica di questa nuova realtà. Per essere chiari, l’ascesa dell’IS non si può semplicemente spiegare come il risultato dell’ideologia o della religione, come sembrano credere tanti commentatori occidentali. Sono radici sociali e politiche molto concrete quelle che spiegano la crescita dell’organizzazione.

Tuttavia, prendere sul serio l’espressione ideologica ci aiuta a capire come i diversi fattori che si incrociano, la propagazione distruttiva del confessionalismo, la devastante repressione in Siria e in Iraq, nonché gli interessi in Medio Oriente delle varie potenze regionali e internazionali, abbiano tutti contribuito attivamente alla crescita dell’IS.

È la dialettica del riflusso: la crescita dell’IS ha simultaneamente rafforzato e alimentato l’incapacità di realizzare le aspirazioni del 2011, mentre la regione si impantanava in tutta una serie di crisi che si approfondivano. Il quadro ideologico di queste crisi proposto dell’IS è chiaramente erroneo, ma è nondimeno quello che ad alcuni sembra in consonanza con l’esperienza direttamente vissuta, la base di fondo per loro di una visione del mondo che dà un senso al caos e alla distruzione. Sono questi gli aspetti del processo che, rafforzandosi reciprocamente, rendono così pericolosa la situazione attuale.

sabato 23 gennaio 2016

LIBIA: LA PIAZZA CHIEDE DIPLOMAZIA, LA GERMANIA CHIEDE LE BOMBE E L'ITALIA CHI ASCOLTERA'? di Patrick Boylan





LIBIA: 
LA PIAZZA CHIEDE DIPLOMAZIA, LA GERMANIA CHIEDE LE BOMBE E L'ITALIA CHI ASCOLTERA'?
di Patrick Boylan



Dopo le manifestazioni riuscite di sabato contro la guerra permanente, urge ora incalzare di continuo il governo, sollecitato da più parti a mandare l'Italia in una nuova e catastrofica avventura militare in Libia



Venticinque anni di guerra evidentemente non bastano a certi paesi della Nato, preoccupati per il caos che regna in Libia.

Venticinque anni di guerra sono invece fin troppi per le migliaia di italiani scesi nelle piazze di molte città italiane sabato scorso per esigere la fine di un susseguirsi ininterrotto di guerre nel mondo, iniziate il 16 gennaio del 1991 con l'operazione “ Tempesta nel deserto”. Quel giorno attaccarono l'esercito iracheno di Saddam Hussein le forze armate degli Stati Uniti affiancate da quelle di numerosi alleati, ivi compresa l'Italia – e ciò malgrado il divieto della sua Costituzione di partecipare alle guerre offensive. Purtroppo, dopo aver assaggiato quel primo frutto proibito, l'Italia si è data poi ad una scorpacciata durata un quarto di secolo: nel 1996, la guerra in Kosovo; nel 2001 (e fino ad oggi), la guerra in Afghanistan; nel 2003 (e fino ad oggi), la guerra in Iraq e, poi, nel 2011 la guerra in Libia e, indirettamente, la guerra in Siria.

E oggi l'Italia sta forse per partecipare ad una nuova guerra in Libia, voluta dai paesi della NATO, Germania in testa , per portare l'ordine nel caos libico con i missili e con le bombe: infatti, per la Ministra tedesca alla Difesa von der Leyen, è l'unico modo per dare alla Libia una speranza per il futuro e per salvarla da un oppressore. Ossia, la stessa argomentazione di quattro anni fa, con “unità nazionale” che rimpiazza “primavera araba” come speranza e “Isis” che rimpiazza “Gheddafi” come oppressore.

lunedì 18 gennaio 2016

ROMA AI TEMPI DEL MEMORANDUM






ROMA AI TEMPI DEL MEMORANDUM



La cronaca quotidiana della città di Roma di questi ultimi giorni è stata infiammata dall’approvazione del Documento Unico di Programmazione dalla cui lettura emergono all’evidenza le prime drammatiche conseguenze ai cittadini, ai dipendenti pubblici e ai servizi.

Una lettura che evidenzia il costante e inarrestabile avanzamento del processo di privatizzazione dei servizi pubblici e l’attacco al mondo del lavoro dipendente del settore pubblico colpito da una pesante riduzione di una già magra busta paga, mentre al contempo si apre ancora una volta ai capitali privati, affamati di nuovi profitti, la proprietà e la gestione dei servizi pubblici.

Appare necessario inquadrare questo documento non tanto come un atto autoritario e isolato del Commissario Tronca quanto parte di una politica globale da leggere all’interno della logica del Memorandum e delle sue implicazioni su scala nazionale e romana.

domenica 17 gennaio 2016

COME AFFRONTARE LA BARBARIE DILAGANTE di Antonio Moscato







COME AFFRONTARE LA BARBARIE DILAGANTE
di Antonio Moscato



L’articolo Califfato e barbarie è stato pubblicato senza l’ampio preambolo con cui di solito presentavo testi che potevano essere fraintesi. Lo si deve soprattutto alle difficoltà che ho, alla mia non più verde età, a padroneggiare i problemi tecnici di un sito diverso da quello a cui mi ero abituato da anni (che tra l’altro sembrava potesse essere riparato in questi giorni, ma era solo un miraggio).

Per questo motivo banale avevo concentrato la mia attenzione solo sui problemi tecnici della pubblicazione. Ho ricevuto subito una critica dovuta a mio parere a un fraintendimento: scopo dell’articolo non era quello di attenuare il giudizio sui crimini dello Stato islamico o raccogliere gli argomenti della propaganda a volte insidiosa che il califfato fa per conquistare seguaci in occidente.

L’asse dell’articolo era espresso dalla domanda iniziale: “I giorni del Califfato sono sicuramente contati, ma rimarrà invece l’interrogativo: perché funziona?” e dalla constatazione conclusiva: “decine di migliaia di giovani, soprattutto molti giovani proletari, attraversano il pianeta per andarci a vivere o a morire, e molti altri ne vagheggiano”. Il problema ignorato dalla propaganda demonizzante che presenta lo Stato Islamico solo come un problema militare da risolvere con qualche bombardamento in più, che ovviamente colpisce popolazioni del tutto estranee al califfato, in Siria come in Libia, è che alcuni milioni di iracheni e siriani hanno deciso (in genere malvolentieri) di restare nelle zone occupate dal califfato, che non amano ma appare non peggiore di molti altri Stati della regione, compreso il regime di Assad, e di buona parte delle forze che continuano a combatterlo. L’autore dell’articolo, evidentemente legato alla cultura anarchica, giustamente sottolineava che “il fatto che l’amministrazione del Califfato si imponga freddamente con la violenza e l’arbitrio, non è certo una ragione per privarla del nome di Stato, al contrario”. (A.M)

giovedì 14 gennaio 2016

IL REATO DI CLANDESTINITA' NON SARA' ABOLITO





IL REATO DI CLANDESTINITA' NON SARA' ABOLITO
di Marco Magnano



Il governo italiano ha deciso di rinviare senza scadenza la decisione di depenalizzare l'immigrazione clandestina nel nostro paese. L'avvocato Guido Savio, di Asgi, cerca di spiegare il perché



Nei programmi della politica italiana, il Consiglio dei ministri di metà gennaio 2016 doveva essere segnato dalla decisione di depenalizzare il reato di immigrazione irregolare, introdotto nel sistema italiano nel 2009 dal governo Berlusconi secondo le intenzioni dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni proseguendo nella linea tracciata sette anni prima dalla legge Bossi-Fini.

Nei giorni scorsi il capo della polizia italiana, Alessandro Pansa, si era espresso a favore del superamento di questo reato che, aveva dichiarato «così com'è intasa le procure». Allo stesso modo, sia l'attuale ministro dell'Interno, Angelino Alfano, che nel 2009 ricopriva il ruolo di ministro della Giustizia, sia il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, hanno definito inutile o addirittura dannosa la presenza di questo reato nell'ordinamento giudiziario. Eppure, dopo alcuni giorni di tentennamenti il Governo ha deciso di rimandare senza temine la decisione, prevista invece da una legge delega del Parlamento risalente al 2014.

Per comprendere il senso del reato di clandestinità, secondo l'avvocato Guido Savio, dell'Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, va ricordato il meccanismo del suo funzionamento. «La presenza irregolare sul territorio italiano è sanzionato con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, con la possibilità di sostituire la pena pecuniaria con l'espulsione come conseguenza della pena pecuniaria. È un passaggio molto importante, perché spiega le ragioni per cui è stato introdotto questo reato»

martedì 12 gennaio 2016

LA GUERRA GLOBALE CONTRO LE DONNE di Guido Viale






LA GUERRA GLOBALE CONTRO LE DONNE
di Guido Viale


Colonia. Di certo l’obiettivo dell’attacco era accrescere la tensione tra comunità islamiche e cittadini europei. E la violenza contro le donne, la più radicale di tutte, nell’aggressione di giovani uomini immigrati o profughi, è una vera e propria sfida alla loro emancipazione. Perché il rispetto nei loro confronti viene meno quando minori sono le possibilità di frequentarle liberamente. E nella politica di accoglienza bisogna lavorare contro nuove segregazioni




Alla fine il bubbone è scoppiato (“E’ bene che gli scandali avvengano”). L’aggressione contro decine e decine di donne la notte di Capodanno, a Colonia e in altre città tedesche, ma anche in Svizzera, Austria, Svezia e Finlandia, da parte di folti gruppi di uomini stranieri, prevalentemente arabi, mette in evidenza le enormi difficoltà a cui sta andando incontro la convivenza tra cittadini di origine europea e immigrati; ora, dopo l’arrivo in Europa di un milione di profughi nel giro di un anno, molto di più che in passato. E proprio per questo mette del pari in evidenza la grande cura con cui questa difficoltà va affrontata.

E’ un evento, questo di Colonia, che non va né sottodimensionato né sottovalutato; non solo perché a impedire di farlo già provvedono e provvederanno sempre più sia la furia razzista delle organizzazioni di destra che le dissertazioni pseudoculturali sulla civiltà europea della stampa e dei media di regime; e non solo perché è verosimile che, seppure in altre forme, eventi come questo siano destinati a ripetersi; ma soprattutto perché comprendere il meccanismo che lo ha messo in moto e il modo in cui maneggiare questa materia così delicata e incandescente è tutt’altro che semplice: volenti o nolenti, ci terrà impegnati a fondo nei prossimi anni. Alcuni punti possono essere però sottoposti alla nostra riflessione fin da ora.

Innanzitutto si tratta di una manifestazione particolarmente disgustosa di una guerra di uomini contro donne: una guerra in corso, con diversa intensità e diverse manifestazioni, da sempre e su tutto il globo. Proprio per questo ci coinvolge tutti: nessuno può chiamarsene fuori senza chiedersi se non c’è qualche nostro atteggiamento, comportamento o omissione, espliciti o rimossi, che quella guerra contribuisce in qualche modo ad alimentare o a perpetuare.

lunedì 11 gennaio 2016

VENEZUELA, L'INDISPENSABILE "COLPO DI BARRA di Guillermo Almeyra






VENEZUELA, L'INDISPENSABILE "COLPO DI BARRA 
di Guillermo Almeyra




Il governo di Nicolás Maduro, che aveva avuto un po’ più della metà dei voti quando venne eletto dopo la morte di Hugo Chávez, alla fine è stato battuto perdendo il 12% degli elettori e oltre 2 milioni di votanti che prima sostenevano il chavismo. Il processo bolivariano, così fondamentale per il Sudamerica, è in grave pericolo.

Finora, né il governo né i difensori acritici dei governi “progressisti” hanno fatto un serio bilancio di questa sconfitta, che è arrivata mentre Maduro chiamava ad infliggere una “sconfitta decisiva” ai suoi avversari, e neanche del vergognoso tracollo del kirchnerismo argentino, convinto che avrebbe vinto già al primo turno l’elezione presidenziale. Meno ancora esiste un bilancio sulla corruzione del Partito dei Lavoratori brasiliano, che fornisce pretesti all’estrema destra, o delle difficoltà di Evo Morales sul referendum per un suo terzo mandato consecutivo, né di Rafael Correa che si scontra con i movimenti sociali.
Tutti costoro – da Maduro fino ai suoi sostenitori più ciechi – accampano la giustificazione che l’imperialismo finanzia una feroce campagna di intossicazione dell’opinione pubblica e, con suoi agenti locali, vuole abbattere il governo e che i mezzi di informazione locali – e la grande stampa capitalista internazionale – sono riusciti a confondere le maggioranze popolari. Questo argomento, però, nasconde il fatto che dall’imperialismo e dall’estrema destra non c’era altro da aspettarsi e che chiedere loro un comportamento democratico equivale a pretendere che un maiale voli, e che è inoltre impossibile nascondere le difficoltà dietro una reboante retorica nazionalista borghese, perché questo porta a perdere l’appoggio di larghi strati popolari chavisti o peronisti, che hanno votato per l’opposizione in segno di protesta per la pessima gestione economica, la penuria, la corruzione e il paternalismo decisionista.

venerdì 8 gennaio 2016

LA CAMPANA HA SUONATO di Stefano Santarelli






LA CAMPANA HA SUONATO
di Stefano Santarelli



Esistono film completamente dimenticati ma che meritano di essere ricordati non solo per l'opera cinematografica in sé, ma anche per il messaggio politico e sociale che trasmettono.
In questa categoria rientra sicuramente un western girato nel 1954 “La campana ha suonato” (Silver Lode) girato in piena epoca maccartista e che solo ad un osservatore distratto può apparire come un classico B Movie. Al contrario grazie alla perfetta sceneggiatura di Karen Dewolf che si caratterizza per lo stile asciutto e sintetico è invece una lucida denuncia del clima di caccia alle streghe che venne lanciato dal senatore Joseph McCarthy.

In una piccola cittadina del West, Silver Lode, quattro uomini guidati dallo sceriffo federale McCarthy (un cognome evidentemente non scelto a caso) giungono proprio nel giorno in cui deve essere celebrato il matrimonio di un tranquillo e rispettato cittadino, Dan Ballard, con l'accusa di avere due anni prima assassinato proprio il fratello di questo sceriffo.
Dan Ballard cercherà con l'aiuto iniziale del fratello e del padre della sposa di scagionarsi da questa accusa, ma in brevissimo tempo lo sceriffo federale McCarthy riuscirà a convincere tutta la popolazione ad eccezione della promessa sposa e di una signora di “facili costumi” della colpevolezza di questo onesto cittadino. La popolazione di Silver Lode ne è così convinta che in neanche un'ora passerà dall'apparente sostegno al tentativo di linciarlo.
Dan Ballard riuscirà solo alla fine grazie all'aiuto della fidanzata e di questa altra signora a mandare un telegramma ricevendone una immediata risposta: non solo lui non è ricercato per omicidio, ma McCarthy non è uno sceriffo federale ma solo un volgare bandito e ladro di bestiame.
Il film termina con Ballard ferito, non solo fisicamente, che abbandona amareggiato la città insieme alla sua fidanzata.

martedì 5 gennaio 2016

NUMERI RECORD PER "QUO VADO", IL FILM DI ZANONE. MA DIETRO C'E' UNA STRATEGIA STUDIATO A TAVOLINO di Antonio Menna





NUMERI RECORD PER "QUO VADO", IL FILM DI ZANONE.
MA DIETRO C'E' UNA STRATEGIA STUDIATA A TAVOLINO
di Antonio Menna




Non si parla d’altro, in questo momento. Zalone sì, Zalone no. Chi lo ha visto e chi non lo ha visto. Titoli strillati: un successo senza precedenti, numeri da capogiro, record. Il caso alimenta un nuovo caso. Chi non lo ha visto, ci andrà. Magari per dirne male. E poi un nuovo caso ancora. La grande operazione commerciale della Medusa film, non c’è che dire, è riuscita.

Quo vado, il film del comico pugliese Luca Medici (il nome vero di un musicista raffinato che finge di essere tonto per somigliare meglio agli italiani), nel giorno di esordio ha raccolto 6.850.000 euro; nel secondo giorno di programmazione quasi 7 milioni. Nella sua terza giornata circa 7.770.000 euro. Alla fine del primo weekend ha totalizzato 22.248.000 euro.

Qualcuno grida allo scandalo. Tutta questa gente al cinema per una commedia facile facile sarebbe il segno della bassa scolarizzazione del Paese. Altri urlano, invece, alla ripresa del cinema italiano. Tutto questo successo sarebbe il segno di quanto talento e quanto valore sarebbero capace di mettere in circolo i nostri connazionali.

Forse è il caso di mollare il prosecco, Capodanno è finito.

domenica 3 gennaio 2016

ARABIA SAUDITA: I NOSTRI AMICI NE AMMAZZANO 47 di Fulvio Scaglione






ARABIA SAUDITA: I NOSTRI AMICI NE AMMAZZANO 47
di Fulvio Scaglione




Lo Stato canaglia per eccellenza del Medio Oriente, l’ Arabia Saudita, ha iniziato il 2016 esattamente come aveva concluso il 2015: ammazzando gente. 47 esecuzioni capitali per decapitazione o fucilazione in un solo giorno. Il che vuol dire che il secondo giorno dell’ anno il regime wahabita ha già messo a morte un terzo delle persone uccise nel 2015 (157, secondo il calcolo delle diverse organizzazioni umanitarie) e più di metà di quelle uccise nel 2014 (87).

La pena di morte, in Arabia Saudita, è sempre meno uno strumento, pure allucinante, della giustizia penale e sempre più uno strumento di controllo sociale, usato senza alcun ritegno dall’ accoppiata re-muftì. Il re Salman al-Saud, sul trono da meno di un anno, e Sheikh Abdul Aziz Alal-Sheikh, gran muftì dal 1999, per il quale parlano certe fatwa: per esempio, nel 2012, l’invito a distruggere tutte le Chiese cattoliche della penisola arabica e, sempre quell’ anno, la conferma della legittimità del matrimonio coatto per le bambine di 10 anni.

Vedremo se la stampa internazionale, domani, parlerà di “svolta storica” per l’Arabia Saudita, come si precipitò a fare, poco tempo fa, per l’elezione di 13 donne in una tornata elettorale disertata dagli elettori (25% di affluenza ai seggi) perché coreografica e ininfluente.

venerdì 1 gennaio 2016

LA SCACCHIERA di John Brunner





LA SCACCHIERA di John Brunner
di Massimo Luciani



Il romanzo “La scacchiera” (“The Squares of the City”) di John Brunner è stato pubblicato per la prima volta nel 1965. In Italia è stato pubblicato da Mondadori nei nn. 512 e 799 di “Urania” e nel n. 155 di “Urania Collezione” nella traduzione di Hilja Brinis. Quest’ultima edizione anche disponibile in formato Kindle su Amazon Italia e Amazon UK e in formato ePub su IBS.

Boyd Haklyut si reca a Ciudad de Vados, la capitale di una nazione sudamericana, dove è stato assunto come esperto di urbanistica. La città ha visto una notevole crescita nel corso degli anni e ciò l’ha resa caotica. Haklyut è stato incaricato di trovare le soluzioni necessarie a migliorare il flusso del traffico cittadino.
Quando Haklyut arriva a Ciudad de Vados, si rende conto che ci sono molti più problemi di quanto si aspettasse. Sapeva che non avrebbe trovato una nazione esattamente democratica ma non pensava di finire in mezzo a uno scontro di potere. Compiere il suo lavoro diventa sempre più difficile mentre i contendenti si affrontano mossa dopo mossa.

La trama de “La scacchiera” è basata su una reale partita a scacchi giocata da Wilhelm Steinitz e Mikhail Chigorin all’Avana nel 1892. I personaggi rappresentano i vari pezzi e sono indicati alla fine del romanzo per chi volesse cercare di riconoscerli durante la lettura. L’importanza del gioco degli scacchi viene mostrata anche dalla sua presenza esplicita nella storia.

“La scacchiera” viene convenzionalmente considerato un romanzo di fantascienza del sottogenere sociologico ma già all’epoca in cui venne scritto vi apparteneva solo vagamente. Infatti, al di là della presenza di alcuni elementi come l’uso di messaggi subliminali, è più che altro un thriller con forti componenti sociali e politiche.
La trama del romanzo riproduce le mosse della partita di scacchi giocata da Wilhelm Steinitz e Mikhail Chigorin. Tuttavia, tra una mossa e l’altra John Brunner ci fornisce attraverso l’esperienza del protagonista Boyd Haklyut una serie di analisi della situazione di Ciudad de Vados.

Le opere più memorabili di John Brunner sono quelle incentrate sull’anticipazione di problemi la cui gravità si è manifestata negli anni successivi. “La scacchiera” fa parte di quel gruppo di opere affrontando temi sociali e politici che erano già molto caldi all’epoca ma anche altri che sono diventati sempre più importanti col passare del tempo.

Poco dopo il suo arrivo a Ciudad de Vados, Boyd Haklyut scopre che la situazione nella società locale non è molto stabile. Il presidente Vados utilizza la televisione come mezzo per controllare la popolazione. Ne “La scacchiera” messaggi subliminali vengono inseriti nei programmi per rafforzare il controllo ma si tratta di un problema che in generale è stato molto discusso negli ultimi decenni.

Una trama che rispecchia una partita di scacchi significa che ci sono momenti molto intensi in cui i contendenti fanno le loro mosse alternati con periodi di riflessione. Nel romanzo, questi corrispondono ai tentativi da parte di Boyd Haklyut di comprendere la situazione locale. Inizialmente, gli interessa solo fare il suo lavoro ma viene coinvolto nello scontro di potere perciò deve cercare di capire chi sono le persone che contano, cosa vogliono e le loro motivazioni.
Questo sviluppo della trama è un problema per il ritmo. I momenti che corrispondono alle mosse della partita sono di azione, generalmente violenta. Il resto della storia è costituito fondamentalmente da dialoghi tra Boyd Haklyut e altri personaggi e da sue riflessioni su ciò che ha scoperto.

La storia è raccontata in prima persona da Boyd Haklyut ma John Brunner riesce a dare un certo sviluppo ad altri personaggi tramite ciò che viene detto su di loro durante conversazioni con il protagonista. Alla fine, essi sono soprattutto dei pezzi nella partita di scacchi ma almeno per alcuni c’è un minimo di profondità.
A causa della struttura della storia, essa può risultare pesante per molti lettori. L’ho trovata molto interessante da un punto di vista intellettuale ma sinceramente poco appassionante. È il tipo di storia che secondo me va letta lentamente facendo attenzione ai particolari e ai temi analizzati.

Alla fine, “La scacchiera” è un romanzo decisamente particolare e può piacere innanzitutto agli appassionati di scacchi. È fortemente basato sulle idee perciò può essere apprezzato in particolare da chi è interessato a temi sociali e politici, a prescindere dal fatto che sia etichettato come fantascienza.


9 Dicembre 2015






dal sito NetMassimo Blog



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