Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

lunedì 26 luglio 2010

DOPO POMIGLIANO:
PER UN SINDACATO DEMOCRATICO E COMBATTIVO
di Stefano Santarelli

In tutta onestà bisogna ammettere che di fronte al referendum di Pomigliano abbiamo tremato.
Il ricatto che Marchionne poneva ai lavoratori campani è stato orribile: il lavoro senza i diritti sindacali conquistati in decenni e decenni di lotta o la disoccupazione.
Un ricatto infame se si tiene conto delle enormi difficoltà a trovare lavoro nel nostro paese in questo grave contesto di crisi economica specialmente in una regione come la Campania.
Ed i lavoratori non vivono sulla luna: hanno una famiglia, mutui da pagare, insomma per uno stipendio si poteva rinunciare anche ad elementari e sacrosanti diritti.
Il profitto della FIAT quindi a spese dei diritti dei lavoratori questa era ed è la vera posta in gioco.
Contro questo ricatto la Fiom e lo Slai Cobas si sono battuti per il mantenimento di questi diritti.
Mentre la Cisl e la Uil da veri sindacati padronali si sono affrettati invece a promuovere l'accordo di Pomigliano come un accordo storico scordandosi che una vera forza sindacale può negoziare salari, orari di lavoro, ma non certamente i diritti più elementari dei lavoratori.
La dirigenza della FIAT con questo ricatto puntava come obiettivo ad una vittoria schiacciante intorno al 90%.
Sappiamo per fortuna come è andata a finire: circa il 40% dei lavoratori di Pomigliano ha respinto tale ricatto evitando quindi un plebiscito che fatalmente avrebbe avuto una grave ricaduta su tutto il mondo del lavoro.
Dopo questo referendum è necessario interrogarsi su come i rivoluzionari debbono proseguire la battaglia sindacale tanto più che la ritorsione della FIAT è stata particolarmente violenta portando al licenziamento di delegati sindacali tra i più combattivi e minacciando di spostare in altri paesi le proprie fabbriche.
Il ricatto di Pomigliano è avvenuto poco dopo lo svolgimento del congresso della Cgil che indiscutibilmente non solo non ha preparato i lavoratori a questo scontro, ma è stato un congresso mediocre caratterizzato dall'incapacità e dall'arroganza della direzione della Cgil che non ha voluto confrontarsi nè con le timide contestazioni della mozione 2 "La Cgil che vogliamo" nè tantomeno con i veri problemi che i lavoratori hanno nel nostro paese.
Non è un caso che nella Cgil la federazione con più iscritti è quella dei pensionati mentre i lavoratori immigrati e tutti i giovani part-time nei fatti non sono rappresentati nel più grande sindacato italiano ed in verità neanche nei sindacati di base.
E' necessario che la Cgil di fronte a questi attacchi gravissimi contro i lavoratori promuova una alleanza -che a questo punto non può che essere strategica- con il sindacalismo di base, visto che la Cisl e la Uil -per non parlare dell'Ugl- sono complici del Governo Berlusconi e della Confindustria.
La battaglia che i rivoluzionari debbono compiere deve essere condotta contro l'apparato burocratico del sindacato.
Senza questa battaglia i lavoratori non potranno mai vincere.
Una battaglia che deve mettere al primo posto i rapporti democratici al loro interno partendo dalle rappresentanze sindacali di base.
Il modello deve essere quello dei Consigli di Fabbrica cioè quello dei delegati eletti dai lavoratori nei singoli posti di lavoro più o meno come avviene con le attuali RSU. Ma con meccanismi che prevedano la facilità della revoca dei delegati da parte degli stessi lavoratori. Di più questi delegati possono coprire questo ruolo per non più di due mandati per evitare -come purtroppo avviene- quel ruolo di delegati "a vita" e permettendo quindi un ricambio tra gli stessi lavoratori.
Per quanto riguarda gli incarichi direttivi sia regionali che nazionali questi possono essere coperti da un delegato per un solo mandato.
In linea generale si deve evitare il professionismo: il dirigente sindacale non deve mai perdere il contatto con i suoi compagni di lavoro evitando permessi sindacali e altri "privilegi" che fatalmente lo allontanerebbero da quella base che invece deve essere la sua forza.
Insomma solo chi lavora può rappresentare i lavoratori.
Perciò soltanto dei veri rapporti democratici possono dare la garanzia di avere un sindacato che difenda intransigentemente i diritti dei lavoratori per la loro unità.
Ed i lavoratori, le loro famiglie e la parte più sana del nostro paese hanno bisogno proprio di un sindacato così costruito.

mercoledì 7 luglio 2010

Discorso di Sankara sul debito all’Organizzazione per l’Unità Africana del 29 luglio 1987



[...]Perciò vorrei proporre, Signor presidente, che stabilissimo dei livelli di sanzione per i capi di stato che non rispondono all’appello.
Facciamo in modo che attraverso un sistema di punti di buona condotta, quelli che vengono regolarmente, come noi, per esempio, possano essere sostenuti in alcuni dei loro sforzi.
Per esempio: ai progetti che presentiamo alla Banca africana di sviluppo deve essere attribuito un coefficiente di africanità.
I meno africani saranno penalizzati. Così tutti verranno alle riunioni qui.
[Il presidente del CNR e del Burkina Faso parla ora del problema del debito dei paesi africani.]
Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine.
Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo.
Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato.
Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie.
Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini.
Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarla.
Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire "assassini tecnici".
Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei "finanziatori".
Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo "sbadigliando" possono creare lo sviluppo degli altri (gioco di parole in francese sbadigliatore/finanziatore).
Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati.
Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti.
Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più.
Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più.
Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee.
In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso.
Ci dicono di rimborsare il debito.
Non è un problema morale.
Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore.
Signor presidente: abbiamo prima ascoltato e applaudito la primo ministro norvegese intervenuta qui.
Ha detto, lei che è una europea, che il debito non può essere rimborsato tutto.
Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri.
Invece se paghiamo, noi moriremo, siamone ugualmente sicuri.
Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun dibattito ; ora che perdono al gioco esigono il rimborso.
E si parla di crisi.
No, Signor presidente.
Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco.
E la vita continua.
Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare.
Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito.
Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue.
E’ il nostro sangue che è stato versato.
Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica.
Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate.
Chi ha salvato l’Europa?
E’ stata l’Africa. Se ne parla molto poco.
Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato.
Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.
Il debito è anche conseguenza degli scontri.
Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso.
La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore.
Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di qualche individuo.
C’è crisi perché qualche individuo deposita nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa.
C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che si possono nominare, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi.
C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro Soweto di fronte a Johannesburg.
C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.
Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio.
Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario.
Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.
No! Non possiamo essere complici.
No! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.
Signor presidente: sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Parigi, club di dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io.
E’ normale che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo.
Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba.
Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito.
E’ solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne.
Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune.
Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato.
Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri.
Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale.
La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato.
C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano.
Non possiamo accettare che ci parlino di dignità.
Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non pagano.
Noi dobbiamo dire al contrario che è normale oggi che si preferisca riconoscere che i più grandi ladri sono i più ricchi.
Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono loro che rubano al fisco, alle dogane.
Sono loro che sfruttano il popolo. Signor presidente: non è quindi provocazione o spettacolo.
Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe.
Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato?
Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare subito alla Banca Mondiale a pagare!
Lo vogliamo tutti!
Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da "giovani", senza maturità e esperienza.
Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo.
Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un obbligo.
E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani.
Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare.
Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare.
Posso citare la signora Primo Ministro (di Norvegia).
Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo È solo un esempio.
Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente Che almeno il suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare.
Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. (E’ per questo d’altronde che è normale che paghi un contributo maggiore qui...)
Signor Presidente la mia non è quindi una provocazione.
Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni.
Vorrei che la nostra conferenza adotti la necessità di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito.
Non in uno spirito bellicoso, bellico.
Questo per evitare che ci facciamo assassinare individualmente.
Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza!
Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare... consacrando le nostre magre risorse al nostro sviluppo.
E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano.
Non contro un europeo, non contro un asiatico.
E’ contro un africano.
Perciò dobbiamo anche, nella scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi.
Sono militare e porto un’arma.
Ma Signor presidente, vorrei che ci disarmassimo.
Perché io porto l’unica arma che possiedo.
Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra.
Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi.
Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest.
Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.
Signor presidente: facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito.
Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri.
I manganelli e i coltellacci che compriamo sono inutili.
Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani.
Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa.
Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo.
Il Burkina Faso è venuto ad esporvi qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé.
La mia delegazione ed io stesso siamo vestita dai nostri tessitori, dai nostri contadini.
Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America.
Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano.
E’ il solo modo di vivere liberi e degni.
La ringrazio Signor presidente.
La patria o la morte, vinceremo!

PRESENTAZIONE

                      



PRESENTAZIONE


Apriamo questo sito con un omaggio a Thomas Sankara che è indiscutibilmente la più bella figura di rivoluzionario che il continente africano abbia mai prodotto fino ad oggi.
La rivoluzione sankarista ha espresso una controtendenza rispetto alle guerre e a tutti i conflitti "civili" che caratterizzano ancora oggi l'Africa.
Per un più facile approccio alla figura di Sankara mi permetto di suggerire la lettura dell'agile testo di Alessandro Aruffo su questo grande rivoluzionario (Massari ed.).
Mi sarebbe piaciuto prendere tutto il merito per questo omaggio, ma in verità l'idea è partita da Stefano Zecchinelli che su Facebook ha dedicato una interessante iniziativa sul sogno e la lotta di Sankara.
Si prosegue poi con una lettera molto interessante di Roberto Massari indirizzata all'intellettuale anarchico Pier Francesco Zarcone.
In questa lettera Massari tra l'altro presenta una tesi storiografica molto interessante (e che personalmente condivido) vale a dire che nella storia non è mai esistito nessun partito effettivamente rivoluzionario e lo stesso  partito bolscevico è stato in realtà una formazione centrista al di là quindi di tutta la mitizzazione che tutti i presunti rivoluzionari -nostrani e non- hanno portato avanti.
Quindi l'incubo peggiore per qualsiasi storico: la leggenda che diventa storia.
Si prosegue poi con un pensiero ad uno dei più grandi dirigenti trotskisti: Tony Cliff.
In questo sito come potete vedere vi è il simbolo della Quarta internazionale.
Certamente vi è in ciò un elemento nostalgico, ma sia ben chiaro qui non si tratta di ricostruire la Quarta internazionale ammesso poi che sia mai esistita, ma con questo simbolo -in mancanza d'altro- si vuole sottolineare la necessità e la speranza della costruzione di una nuova Internazionale (la Quinta almeno per numerazione) per la difesa dei lavoratori e di tutti gli sfruttati ed oppressi del mondo unica speranza per evitare la distruzione del nostro pianeta a cui è fatalmente destinato per la cecità e la brutalità del capitalismo.
Sulla necessità della costruzione di una nuova Internazionale vi rimando perciò al blog di Utopia Rossa dove si esprime con maggiore chiarezza questo concetto.



Stefano Santarelli




IL PARTITO RIVOLUZIONARIO, UN OSSIMORO, di Roberto Massari




IL PARTITO RIVOLUZIONARIO, UN OSSIMORO, di Roberto Massari (lettera a P.F. Zarcone)



(Gennaio 2009)





Caro Pier Francesco Zarcone

(e cari tutti voi che mi leggete in copia, perché queste discussioni più sono pubbliche e meglio è),
dicevo dunque, caro Pier Francesco,
il tuo commento ragionato alla mia introduzione sul marxismo libertario di Guérin mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Vedi, io leggo e studio con passione le vicende del pensiero anarchico dall'inizio degli anni '70 (da quando ero meno che venticinquenne). Col tempo mi sono fatto una certa preparazione che si è riversata in alcuni libri; ma anarchico nel vero senso della parola non sono mai stato e ormai non lo sarò più (questo se è vera la tesi di Guérin e che entrambi condividiamo, e cioè che sia il marxismo marxista che l'anarchismo anarchico sono storicamente superati dal marxismo libertario, a sua volta bisognoso di essere superato da sintesi superiori che la storia e la lotta di classe a livello internazionale spero ci mostreranno.)

Un esempio di paranoia politica (Socialismo rivoluzionario)














UN ESEMPIO DI PARANOIA POLITICA  (Socialismo rivoluzionario)


Continua la serie di "schede" di psicopatologia politica, avviata a dicembre del 2008. La scheda attuale fa seguito a quella sul complottismo paranoide, inviata lo scorso mese di giugno, e ne fornisce un'esemplificazione pratica.

La lettera che qui riproduciamo è stata scritta come reazione al libro pubblicato prima dell'estate nella collana "Utopia rossa". Un libro di polemica storico-politica nei confronti del gruppo Socialismo rivoluzionario, il cui titolo è: DIETRO LA NON-POLITICA.... Sottotitolo: Quando il «socialismo rivoluzionario» vive di apparati, espulsioni e culto della personalità. A cura di Stefano Santarelli, con testi di Yurii Colombo, Miguel Martínez, Antonella Marazzi, Roberto Massari, Michele Nobile, Dario Renzi e altri. Massari editore, pagine 288, euro 12.

Qui presentiamo il comunicato (interno) che la segreteria nazionale di Socialismo rivoluzionario ha inviato ai propri iscritti fin da luglio, per metterli in guardia e invitarli a non comprare il libro in questione. Si tratta quindi di una documentazione molto utile per descrivere concretamente i tipici disturbi della personalità che animano in generale capi, capetti e apparati dei tanti micropartitini che vediamo nascere e morire su scala ormai industriale nel presente contesto politico italiano e non solo.

Essendo stato scritto dalla direzione di Sr appositamente per il proprio apparato periferico, il comunicato offre per l'appunto una preziosa testimonianza clinica, diretta e molto sincera, di una delle forme più comuni in cui può manifestarsi la psicopatologia politica di tipo complottistico e/o paranoide.

Prima di procedere alla lettura del materiale "clinico", tuttavia, suggerisco di leggere le seguenti brevi righe, tratte dalla ben più ampia definizione della Personalità paranoica presente nel 3° vol. del Dizionario di psicologia curato da Umberto Galimberti. Da notare come, nella loro schematicità, esse offrano comunque una griglia pressoché coincidente con i sintomi di disturbi paranoici che il lettore può facilmente evincere dal comunicato della direzione di Sr (ma anche dal comportamente “politico“ più generale del gruppo, quale è stato ricostruito con ampia documentazione nel libro di Santarelli). Galimberti si riferisce ovviamente alla dinamica psicopatologica del singolo, ma nulla impedisce di estendere le sue definizioni al collettivo che intorno al paranoico si costituisce (così aprendo, tuttavia, ulteriori dinamiche di cui ci occuperemo in altra occasione parlando, per es., del ricorso maniacale ai meccanismi della scissione organizzativa come comune strumento di fuga da situazioni psicopatologiche particolarmente dolorose o comunque insopportabili).

Citazioni da U. Galimberti (i grassetti sono nostri):


"Un tipo di personalità caratterizzata dalla tendenza pervasiva e immotivata, comparsa entro la prima età adulta e presente in una varietà di contesti, a interpretare le azioni delle persone come deliberatamente umilianti o minacciose (...). La personalità paranoica presenta tratti di diffidenza, sospettosità, riservatezza, timore dell'aggressività altrui, rigidità con impossibilità di mettere in discussione le proprie persuasioni e con ipersuscettibilità alle critiche, alta concezione di sé con ostinazione e intolleranza verso gli altri, e modalità fanatiche di vita (...). Tra le cause supposte alla base della personalità paranoica sono state indicate in ambito psicodinamico la struttura profondamente narcisistica che induce il paranoico a utilizzare abitualmente meccanismi di negazione e proiezione (...). I temi delilranti possono essere a sfondo persecutorio dove i persecutori sono individuati in gruppi ben precisi identificabili nella società o nei famigliari, di gelosia con ricerca minuziosa delle prove, di rivendicazione per torti presunti o realmente subìti, di avvelenamento che comporta una vigilanza assoluta su ogni cosa, di erotomania per la convinzione di essere segretamente amato da qualcuno solitamente importante, mistico-riformista con conseguente fondazione di sette o di movimenti politici religiosi (...). Questi temi deliranti sono caratterizzati da interpretazioni abnormi della realtà, sorrette da una consequenzialità molto rigorosa e da un'intensa partecipazione affettiva."

Infine, siamo costretti a cogliere l'occasione per fare alcune precisazioni sulle accuse ingiuste che il comunicato rivolge al curatore Stefano Santarelli.

1) La lettera personale scritta da Dario cui si accenna di seguito non è stata inclusa nel libro perché, non essendo mai stata resa pubblica in precedenza, non si sarebbe potuta riprodurre senza l'autorizzazione dell'interessato.

2) Gli interventi di responsabili di Sr inclusi nel libro erano già stati resi tutti pubblici sulla loro rivista (come viene riconosciuto anche nel comunicato, addirittura una riga dopo l'accusa di scorrettezza al riguardo). Il curatore, quindi, non ha violato alcuna norma editoriale nel ripubblicarli avvalendosi del "diritto di antologia" riconosciuto dal Codice.

3) Non è vero che in copertina si citino membri di Sr come autori o coautori del libro, perché l'unico autore che compare è il curatore Santarelli. Si può leggere qui all'inizio, invece, la dicitura con cui sono stati indicati, in altra parte della copertina, i nomi di chi nel libro compare con testi relativamente lunghi o significativi, come si usa normalmente per tutte le antologie. Nessuna confusione è possibile.

4) Affermare che il nome di Dario Renzi sia stato incluso in tale lista di nomi perché ciò aiuterebbe a "vendere il libro" è un ulteriore esempio di megalomania paranoide e culto del capo, senza alcun riscontro nella realtà del commercio librario italiano.

5) La riproduzione del comunicato è qui fedele all'originale, ma abbiamo indicato in grassetto tutte le espressioni di valenza puramente offensiva che abbondano nel testo (così come nei testi precedenti scritti da Sr in polemica con noi e già inclusi nel libro).


A voler sorridere, si dovrebbe dire che nell'utilizzo di questo linguaggio offensivo si riscontra una ben strana concezione dell'"umanesimo" e dell'amore per il prossimo cui la direzione politica e l'apparato di Sr dichiarano di ispirarsi. Ma in realtà anche queste oscillazioni così brusche dal generico sdilinquimento sentimentale all'improvvisa virulenza verbale sono ulteriori manifestazioni della sindrome psicopatologica qui descritta.

Roberto Massari

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Lettera de La Comune
dalla Segreteria nazionale ai compagni e alle compagne di Socialismo rivoluzionario (8 luglio 2009)


Nota informativa della Segreteria nazionale di Sr


COME RISPONDIAMO ALL'INIMICIZIA VERSO SR


1. Informiamo tutta Sr del fatto che è appena uscito un libro ignobile che ha come unica finalità portare un volgare attacco ad Sr ed alle sue persone secondo il tipico metodo borghese della calunnia e dell'insulto, della menzogna e della trivialità.

2. A questa operazione infame si sono dedicati componenti o collaboratori della Associazione politica Utopia rossa (R. Massari, A. Marazzi, M. Nobile, S. Santarelli, Y. Colombo, tali Miguel Martinez, Pietro Serpolla, E. Valls) ed è infatti pubblicato dalla loro editrice Erre emme edizioni. Il testo, che si intitola "Dietro la non-politica. Quando il 'Socialismo rivoluzionario' vive di apparati, espulsioni e culto della personalità" è una netta espressione dell'ossessione e dell'ostilità che tale Associazione cova nei confronti. Gli autori, miserabili desperados della politica resistenziale, in realtà descrivono il loro mondo intriso di tutte le peggiori categorie e logiche borghesi, perciò così furiosamente astiosi verso i rivoluzionari. In questo senso si qualifica come un'operazione banalmente reazionaria.

3. Come è noto, con tale Associazione abbiamo chiaramente ed unilateralmente interrotto ogni rapporto per la totale assenza di pronunciamenti di contenuto, la mancanza elementare di rispetto ed una palese inimiciza da parte loro nei nostri confronti. Prendemmo cioè atto (nella Dna del 28/29 marzo 2009) non solo che non poteva sussistere alcun rapporto con loro ma che si qualificavano come estranei ostili (si vedano i testi a tale proposito pubblicati in Utopia Socialista n. 20). Oggi, arrivando a scrivere e pubblicare un simile libro, confermano ed aggravano la loro postura nei nostri confronti: è una inedita (letteralmente) espressione di ostilità, di cui prendiamo atto e da cui traiamo alcune conseguenze.

4. Poiché non si tratta di una polemica politica con le nostre idee e posizioni, ma unicamente di una vergognosa sequenza di volgarità, menzogne ed offese, non intendiamo in alcun modo rispondere su tale terreno. La scelta già operata dopo la nostra rottura, di fronte ad altri loro scritti via-internet o per posta, si conferma e si ribadisce: rispondiamo con un glaciale silenzio al bieco gossip politico. Per noi sono sul serio altre le priorità.

5. Anche questa vicenda, in sé davvero poca cosa, sollecita comunque a riconoscere che Sr ha dei nemici, al di là della risibilità dell'attacco contro di noi e della palese esiguità ed inconsistenza di chi lo muove. Non sono certo questi i principali tantomeno i nostri più temibili nemici, basti pensare all'impegno persecutorio degli apparati repressivi statali contro un nostro dirigente come Antonio P. e quindi contro tutta Sr, ma ciò rimanda sempre di più a sapere attivamente chi siamo e che cosa suscitiamo: Sr, per il suo progetto e la sua natura, per la sua diversità e la sua crescita, così come attrae tanta amicizia provoca anche tanta inimicizia.

6. Noi non risponderemo in questo caso scendendo su un terreno così distante dal nostro: all'aggressività frustrata vuota di contenuti già espressa con tale libro o che eventualmente incontreremo risponderemo con fermezza, senza lasciare alcuno spazio. Difendere le nostre idee e le nostre persone è parte integrante della nostra costruzione fuori dal sistema, una riaffermazione della nostra diversità.

7. In questo quadro è comunque significativo che i curatori di questo libro hanno cercato di coinvolgere nella sua fattura nostri ex compagni e/o dirigenti che si sono rifiutati di farlo e si sono premurati di farcelo sapere. Chi ci attacca con tanta volgarità dimostra di non avere alcun progetto se non quello di aggregarsi nell'inimicizia e nell'invidia nei nostri confronti, ma non trova facilmente sponda tra chi è passato nelle nostre fila, anche quando ne sia uscito con divergenze forti.

8. Ci preme infine che i compagni/e di Sr siano al corrente delle seguenti avvertenze ed indicazioni: a) - Il libro reca in copertina fra i nomi degli autori quello di Renzi, e nel sommario ancora il nome di Dario e di Francesca Fabeni, Piero Neri, Vincenzo Sommella. E' un'operazione truffaldina, volta a presentare questi nostri dirigenti come se fossero co-autori/autrici del libro, ed è evidentemente un meschino escamotage per venderlo. Non è mai stata ovviamente data alcuna autorizzazione da parte nostra e ciò dice della totale disonestà dei curatori del libro. Gli scritti dei nostri dirigenti che compaiono in questo libro sono già stati pubblicati sulla rivista Utopia Socialista. Forniremo centralmente di una copia del libro ogni sede per tutti coloro che fossero interessati, ma diamo chiara indicazione di non acquistarlo: nemmeno un centesimo alla ben misera causa di questi squallidi nemici.

b) - Poiché nel libro viene pubblicata anche una delirante lettera personale che R. Massari e A. Marazzi inviarono alcuni mesi fa a Dario R., senza però significativamente pubblicarne la dura risposta, forniamo una copia della stessa, con l'autorizzazione di Dario, perché sia conosciuta da tutte/i compagni/e di Sr.


La Segreteria Nazionale di Socialismo Rivoluzionario



Firenze 8 luglio 2009




TONY CLIFF


Tony Cliff - Gli ebrei, Israele e l'Olocausto



L’articolo che qui proponiamo fu pubblicato in lingua inglese nel n.219 del maggio 1998 della Socialist Review, il mensile del Socialist Workers Party (GB) di cui Tony Cliff (1917-2000) è stato il fondatore e uno dei principali dirigenti fino alla morte. Questo contributo che riassume brevemente i motivi di fondo della nascita del sionismo e poi dello Stato d’Israele è tanto più interessante perché Cliff (all’anagrafe Ygael Gluckstein) era nato in Palestina in una famiglia ebrea di origine russa e fu tra gli animatori tra il 1938 e il 1946 - prima di trasferirsi in Gran Bretagna – del piccolo gruppo trotskista in Palestina.
Tony Cliff (Ygael Gluckstein) nacque in Palestina da genitori sionisti nel 1917. Divenne trotzkista negli anni 30 e giocò un ruolo di primo piano nel tentativo di formare un movimento che unisse operai arabi ed ebrei. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, rendendosi conto dell'inevitabilità della vittoria dei sionisti, emigrò in Gran Bretagna (dove adottò lo pseudonimo inglese con cui è oggi conosciuto). Nei tardi anni 40 sviluppò la teoria secondo cui la Russia non era più uno stato operaio (come teorizzato ancora da Trotsky e sostenuto dai trotzkisti della IV Internazionale nella formula "stato operaio degenerato") ma una forma burocratica di capitalismo di stato. Questa teoria caratterizzò la tendenza cui fu da allora associata la sua figura di pensatore marxista e attivista politico. Benché abbia rotto con il "trotzkismo ortodosso" dopo essere stato burocraticamente espulso dalla IV Internazionale nel 1950, si considerò sempre un trotzkista, rimanendo però sempre aperto ad altre influenze interne alla tradizione marxista. La sua eredità politica è rappresentata dal British Socialist Workers Party e da altre organizzazioni che si richiamano alla tradizione dell' che fanno parte dell'International Socialist Tendency.












La rivoluzione francese liberò gli ebrei. Tra il 1789 e l’unificazione della Germania e dell’Italia, un secolo dopo - all’incirca - il ghetto intellettuale, economico e fisico, scompariva. Mendelssohn, Heine e Marx, tutti ebrei, furono prominenti personalità della cultura tedesca. La diffusione dell’antisemitismo e anche i pogrom, ci furono, ma nella Russia zarista dove il giogo del feudalesimo era ancora schiacciante e dove il moderno capitalismo era ancora agli albori. Quando il capitalismo fu vecchio e decrepito, specialmente dopo la Grande Depressione degli anni ’30, si riprese tutte le conquiste democratiche della sua “gioventù.” E gli ebrei non furono semplicemente trascinati nei ghetti ma anche nelle camere a gas.
Tra questi due periodi un terribile caso di antisemitismo esplose in Francia. Nel 1895 un ufficiale dell’esercito ebreo, Dreyfus, fu accusato di essere una spia tedesca. Fu intentato un processo da caccia alle streghe condusse a una mobilitazione isterica contro gli ebrei. Questa ondata di antisemitismo era il sottoprodotto della battaglia tra l’ascendente imperialismo francese e l’imperialismo tedesco. A Parigi in quel periodo viveva un giornalista viennese ben introdotto, Theodor Herzl. Herzl, il quale giunse alla conclusione che il furore antisemita era naturale e inevitabile. Scrisse nel giugno 1895:
“A Parigi come ho detto avevo raggiunto un atteggiamento più liberale verso l’antisemitismo, che avevo cominciato a comprendere storicamente e a perdonare. Soprattutto, riconoscevo la vacuità e la futilità di ogni tentativo di “combattere” l’antisemitismo.
Herzl criticava Emile Zola e il popolo francese – e principalmente i socialisti – che avevano preso le difese di Dreyfus. Si lagnava che gli ebrei “cercassero protezione tra i socialisti e i distruttori dell’attuale ordine sociale... In realtà non sono più ebrei. Probabilmente diventeranno i leaders dell’anarchismo europeo.”
Egli sosteneva che in risposta alle menzogne antisemite, gli ebrei avrebbero dovuto lasciare i paesi in cui non erano ben visti e instaurare un loro Stato. In questo quadro egli dichiarava che “gli antisemiti sono i nostri amici più fidati… i nostri alleati.” Perciò quando incontrò il ministro zarista degli Interni Pleve, l’uomo che aveva organizzato il pogrom di Kišinev nel 1903, questi gli lanciò l’esca prima che lo facesse Herzl, pensando che l’allontanamento degli ebrei dalla Russia avrebbe indebolito il movimento rivoluzionario, e cioè il nemico di Pleve.
Se l’antagonismo fra cristiani e ebrei era apparentemente naturale ed inevitabile ne conseguiva che l’antagonismo tra ebrei e arabi in Palestina era naturale ed inevitabile. Tanto per cominciare Herzl sosteneva che il sionismo “voleva dare a un popolo senza un paese, un paese senza un popolo.” Quando gli fu fatto notare che c’erano degli arabi in Palestina, Herzl sostenne che il problema era semplicemente quello di liberarsi di loro. Il 12 giugno 1895 scrisse, “Noi proveremo ad allontanare la popolazione spiantata oltre i confine procurandogli una occupazione in paesi di transito, mentre le negheremo qualunque occupazione nel nostro paese.“ Quale atroce espressione dei suoi intenti di pulizia etnica!

L’economia sionista chiusa
I sionisti che emigrarono in Palestina a partire dalla fine del XIX secolo non volevano instaurare un’economia simile a quella dei bianchi in Sud Africa dove bianchi erano i capitalisti mentre i neri erano operai. I sionisti volevano che tutta la popolazione fosse ebrea. Il solo modo per raggiungere questi scopi – in una situazione in cui lo standard di vita degli arabi era, se comparato a quello degli europei, assai più basso e con una forte disoccupazione sia aperta che sotterranea – era quello di chiudere il mercato del lavoro agli arabi. C’erano tutta una serie di strumenti per raggiungere ciò. Prima di tutto attraverso il Jewish National Fund, che era proprietario di una importante porzione di terra posseduta dagli ebrei, inclusa una grande fetta di Tel Aviv, si approvò uno statuto che imponeva che solo gli ebrei potessero essere occupati su quel territorio.
In aggiunta, la Federazione sindacale sionista, il Histadrut, impose a tutti i suoi membri dei tributi: uno per la difesa del lavoro ebreo e uno per la difesa dei prodotti ebrei. Il Histadrut organizzava picchetti contro i proprietari di coltivazioni che impiegavano operai arabi, costringendo i proprietari a licenziarli. Era anche normale vedere un giovane passeggiare per il mercato tra le donne che vendevano ortaggi o uova, e se avevano il sentore che una di queste fosse araba gettavano paraffina sugli ortaggi e rompevano le loro uova.
Ricordo che nel 1945 un caffè di Tel Aviv fu attaccato e quasi completamente distrutto perché era girata la voce che un arabo lavorasse nella cucina come lavapiatti. Ricordo che quando frequentavo la Hebrew University a Gerusalemme tra il 1936 e 1939, ci furono reiterate manifestazioni contro il vice rettore dell’Università, il Dr. Magnus. Era un ricco ebreo americano e un liberale e il suo crimine era quello di essere inquilino di padrone di casa arabo.

Dipendenza dall’imperialismo
Sapendo che si sarebbero trovati di fronte alla resistenza dei palestinesi, i sionisti ebbero sempre chiaro che avrebbero avuto la necessità di essere aiutati dalle potenze imperialiste che avevano una grande influenza Palestina a quel tempo.
Il 19 ottobre 1989 Herzl si recò a Costantinopoli dove fu ricevuto dal Kaiser Guglielmo. Allora la Palestina faceva parte integrante dell’Impero Ottomano che era un alleato minore della Germania. Herzl disse al Kaiser che un insediamento sionista in Israele avrebbe accresciuto l’influenza tedesca nel centro del sionismo in Austria, anch’essa alleata dell’Impero tedesco. E poi gli lanciò un’altra esca: “Gli spiegai che gli avremo tolto di mezzo i partiti rivoluzionari”.
Verso la fine della Prima Guerra Mondiale, quando fu chiaro che la Gran Bretagna si stava per prendere la Palestina, il leader sionista dell’epoca, Chaim Weitzmann, contattò il ministro degli Esteri britannico, Arthur Balfour, ottenendo da lui, il 2 novembre 1917 una dichiarazione che prometteva agli ebrei una patria in Palestina. Sir Ronald Storrs, il primo governatore britannico di Gerusalemme spiegò che “l’’impresa sionista lo rendeva felice perché gli dava la possibilità di creare all’Inghilterra “un piccolo Ulster ebraico” in un mare di un potenziale ostile arabismo.” I sionisti sarebbero stati gli orangisti della Palestina.
Con la Seconda Guerra Mondiale divenne chiaro che la principale potenza nel Medio Oriente non sarebbe stata più la Gran Bretagna, e che quest’ultima sarebbe stata sostituita dagli Stati Uniti. Ben Gurion, che era allora diventato il principale leader sionista, si precipitò a Washington per consolidare l’accordo con gli Stati Uniti. Non per nulla ora Israele ora è il più fidato satellite degli Stati Uniti. Non per nulla Israele ottiene dagli USA più aiuti economici di qualsiasi altro paese, malgrado lo Stato israeliano sia così piccolo.Ed è anche il paese che riceve più aiuti militari di qualsiasi altro paese del mondo.

L’Olocausto
Intuendo la barbarie del nazismo, Trotsky aveva previsto l’annichilimento degli ebrei. Il 22 dicembre 1938 scrisse:
“È possibile facilmente immaginare cosa spetterà agli ebrei allo scoppio della futura guerra. Ma anche senza guerra il prossimo sviluppo della reazione mondiale significa certamente lo sterminio fisico degli ebrei… Solo una coraggiosa mobilitazione degli operai contro la reazione, la creazione di milizie operaie, volte alla resistenza fisica contro i gruppi fascisti, l’aumento della fiducia in stessa, l’azione e il coraggio da parte di tutti gli oppressi può provocare un mutamento dei rapporti di forza, fermare l’ondata mondiale fascista e aprire un nuovo capitolo nella storia dell’umanità.”
Fino alla II Guerra Mondiale la schiacciante maggioranza degli ebrei nel mondo, e specialmente la classe operaia ebrea, non aveva sostenuto il sionismo. Per esempio in Polonia dove c’era allora la più grande comunità di ebrei nel dicembre del 1938 e nel gennaio 1939 nelle elezioni amministrative che si tenero a Varsavia, Lodz, Cracovia, L’vov, Vilna e altre città, il Bund, l’organizzazione socialista operaia ebrea antisionista, ottenne il 70% dei voti delle circoscrizioni ebree. Il Bund conquistò 17 dei 20 seggi in palio a Varsavia, mentre i sionisti ne ottennero solo uno.
Tutto ciò cambiò radicalmente dopo l’Olocausto. È difficile trovare un ebreo in Europa che non abbia perso almeno un membro della sua famiglia durante l’Olocausto. Ricordo che poco prima della guerra una mia zia di Danzica venne a trovarci in Palestina. Io non avevo conosciuto il resto della sua famiglia, ma ella assieme a tutti gli altri furono ingoiati dall’Olocausto. Un mio cugino, che conoscevo assai bene, se ne andò in Europa con sua moglie e un figlio di cinque anni poco prima della guerra e tutti loro morirono nelle camere a gas.
Oggi la maggioranza schiacciante degli ebrei sono sionisti, e il motivo è facilmente comprensibile.
Catastrofe
È questa la parola che usano i palestinesi quando si riferiscono alla instaurazione dello Stato d’Israele nel 1948. Dopo di allora nelle tre guerre tra Israele e gli arabi nel 1948, 1967 and 1973, ci furono massicce pulizie etniche di palestinesi. Oggi ci sono 3,4 milioni di palestinesi profughi, che sono molti di più dei palestinesi che sono rimasti nelle aree in cui vivevano prima. Le statistiche dei proprietari terrieri testimoniano la loro eliminazione: nel 1917 gli ebrei erano proprietari del 2,5% della terra dei paese. Nel 1948 questa percentuale divenne il 5,7% e oggi controllano il 95% della terra dei confine pre-1967, lasciando agli arabi solo il 5%.
Questo rappresenta uno dei casi più tragici della storia per cui un una nazione oppressa come quella degli ebrei, che soffrirono la barbarie dei nazisti, ha imposto oppressione e barbarie a un'altra nazione, la Palestina, che in nessun modo era stata coinvolta nell’Olocausto.

La soluzione
I palestinesi non sono sufficientemente forti per liberarsi da soli. Non hanno neppure la forza di ottenere qualche riforma significativa. Non sono nella stessa situazione dei neri del Sud Africa che hanno raggiunto importanti riforme, liberandosi dall’ apartheid, conquistando il diritto di voto e eletto un presidente nero. È vero che l’ apartheid economica esiste ancora. La ricchezza è ancora concentrata nelle mani di un piccolo gruppo di ricchi neri. La schiacciante maggioranza dei neri vive ancora in una condizione di abbietta povertà. I neri in Sud Africa sono ancora però incomparabilmente più forti dei palestinesi. Prima di tutto i neri sono 5 o 6 volte più numerosi dei bianchi in Sud Africa, mentre il numero dei palestinesi, più o meno, è lo stesso degli israeliani (la maggioranza dei palestinesi sono profughi). In secondo luogo gli operai neri sono collocati nel cuore della economia sudafricana mentre i palestinesi sono molto marginalizzati dal punto di vista economico. Il sindacato sudafricano COSATU è un sindacato di massa che ha giocato un ruolo cruciale nello distruzione dell’apartheid. I palestinesi non hanno una organizzazione sindacale comparabile.
Se c’è una situazione dove la teoria di Trotsky della rivoluzione permanente si applica perfettamente è quella dei palestinesi. La teoria della rivoluzione permanente afferma che nessuna rivendicazione democratica può essere raggiunta senza una rivoluzione proletaria. La chiave di volta del destino dei palestinesi e di chiunque altro nel Medio Oriente è nelle mani della classe operaia araba la quale rappresenta una forza significativa in Egitto e in misura minore in Siria, Iraq, Libano e altri paesi. Tragicamente la potenzialità della classe operaia araba non è diventata una realtà a causa dei guasti realizzati dallo stalinismo che ha dominato la sinistra del Medio Oriente per lungo tempo. Furono gli stalinisti, infatti, ad aprire le porte al Partito Ba'ath e a Saddam Hussein in Iraq, che condurre Assad e il Ba'ath siriano al potere, che aprirono la strada a Nasser e susseguentemente ai fondamentalisti islamici in Egitto. Una rivoluzione della classe operaia araba porrebbe fine all’imperialismo e al sionismo. Èsemplicemente una ipocrisia sostenere che ciò minaccerebbe la zona degli ebrei. Quando il regime dell’ apartheid dominava il Sudafrica i sostenitori del regime sostenevano che l’ ANC voleva massacrare i bianchi. Ma nulla di ciò è avvenuto.


Tony Cliff - Omosessualità e comunismo


Nella società infestata dai rapporti di classi l'oppressore e l'oppresso si trovano in ogni ambito della vita. Lo sfruttatore opprime lo sfruttato; l'uomo opprime la donna; il bianco opprime il nero; il vecchio opprime il giovane; l'eterosessuale opprime l'omosessuale. Il verso socialista è in grado di superare queste divisioni. Un lavoratore specializzato che riesce ad identificarsi soltanto con altri lavoratori specializzati potrà essere un buon sindacalista ma non dimostra così di essere un buon socialista. Un socialista deve essere in grado di identificarsi con tutte le lotte dei gruppi oppressi.
Siamo tutti figli del capitalismo e tendiamo a concepire il futuro - persino il futuro socialista - in modo ordinato e gerarchico. È come se la rivoluzione socialista dovesse essere guidata da un caposezione del sindacato della stampa (tipo l'NGA di Fleet Street). Al secondo posto di comando ci sarà la rappresentanza sindacale dell'AUEW dall'officina di una grande fabbrica di auto. I luogoteneneti della rivoluzione saranno commessi quarantenni maschi. Se poi avanza abbastanza spazio permetteremo a neri, donne e gay di prendere parte alla cosa - assicurandoci però che se ne stiano buoni buoni un po' più indietro.
Molti socialisti hanno ancora delle difficoltà a credere che i gay prenderanno in qualche modo parte alla rivoluzione. Al contrario dovremmo augurarci che il primo leader del consiglio operaio di Londra sia una donna nera, gay e diciannovenne!
Il sistema governa dividendoci. Questo significa che non c'è un modo naturale attraverso cui un gruppo oppresso si identifica con un altro. I razzisti più estremisti degli stati sudisti americani sono i bianchi poveri - non i bianchi ricchi.
Allo stesso modo i neri non supportano automaticamente le donne e le donne non supportano automaticamente i neri. I gay non supporteranno automaticamente gli altri gruppi oppressi.
I nazisti hanno spedito migliaia di gay nei campi di concentramento. In Cile i gay erano castrati e lasciati sanguinare nelle strade. Ma non è vero che, nonostante questo, i gay diventino automaticamente antifascisti. Decine di migliaia di gay supportarono Hitler. Molti erano in camicia bruna. Dopo che Hitler prese il potere voltò le spalle al supporto gay ricevuto e li massacrò durante la Notte dei Lunghi Coltelli. Come possiamo spiegarci il fatto che i gay si siano uniti ai nazisti? Se sei un gay oppresso , indossare una giacca e stivali di pelle nazisti ti dà per la prima volta un senso di potere. E rende più facile colpire gli ebrei, le donne e chiunque altro.
Perché un gruppo oppresso possa controbattere c'è bisogno di speranza . Se ti senti cadere sei disperato e cerchi una vittima da colpire. Se invece stai salendo la china cerchi qualcuno da adulare.
Ecco perché solo costruendo un movimento socialista è possibile unire i lavoratori con i neri, le donne e gli omosessuali oppressi. Ed ecco perché è così importante che i gay si organizzino per manifestazioni come quella di Brick Lane e si sentano in grado di identificarsi orgogliosamente come gay e - dove possibile - come gay socialisti rivoluzionari.
Karl Marx scrisse che il capitalismo unisce le forze di opposizione. Ma esso ci divide, anche. Dobbiamo combattere in modo consapevole per quell'unità.
Siamo una cosa sola -noi tutti insieme- ma solo quando combattiamo insieme.

Dal blog "Spazio alternativo"
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