Diari di Cineclub

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martedì 31 agosto 2010

RECENSIONE DEI FILM SUL "CHE" di Pino Bertelli




Recensione dei film sul CHE (L’argentino/Che. Guerriglia) di Steven Soderbergh

di Pino Bertelli








Il dittico su Ernesto Guevara, Che. L’argentino/Che. Guerriglia, diretto da Steven Soderbergh - uno dei registi più sopravvalutati della macchina/cinema hollywoodiana - salutato dalla maggior parte della critica italiana (e straniera) come una sorta di «capolavoro», è un’operazione di basso profilo commerciale. Soderbergh, del resto, è un abile confezionatore di cinema e, a partire da Sesso, bugie e videotape (Palma d’oro a Cannes) fino a Traffic (Oscar a Hollywood), passando per Erin Brockovich, fino alle banalità ordinarie di Ocean’s Eleven... Twelve... Thirteen... o The girlfriend experience, questo eclettico regista di opere accattivanti e discontinue, mostra che la vicinanza tra il cretinismo e il genio è piuttosto stretta e Soderbergh non è certamente un genio.

In Che. L’argentino/Che. Guerriglia Soderberg affresca la storia di Ernesto Guevara (un rivoluzionario e un poeta dell’utopia tra i più importanti del Novecento), ripercorrendo le gesta del giovane medico argentino nella Rivoluzione cubana che culmineranno nella battaglia di Santa Clara e nel vittorioso ingresso all’Avana. Girato in HD, il film alterna spezzoni (in bianco e nero) del discorso del Che all’Onu del ’64 con ricostruzioni/azioni da western di pessima fattura (non ha l’autorevolezza epica di John Ford, Howard Hawks, Raoul Walsh o Nicholas Ray…). L’idea del film era venuta a Benicio del Toro (che appare anche come produttore), mentre giravano Traffic. «Della vita del Che non sapevo niente», dice Soderbergh, e si vede. «Nella società che lui voleva», rincara il regista, «sarei stato disoccupato». È vero.
I 40 milioni di dollari spesi per l’intero film non si vedono; l’ambientazione è debole, banalizzata; l’attorialità delle figure comprimarie e la messa in scena sono affabulati nella più tradizionale epopea perbenista che ha fatto le fortune e le glorie di tanto cinema hol-lywoodiano. Fidel Castro (Demiar Bichir) sembra un luminare che sulla Sierra Maestra dispensa saggezze (mai avute) contro il neoliberismo in maniera macchiettistica. La rivoluzione (giusta) dei barbudos è disseminata in battaglie agiografiche e il teatrale subentra allo storico; la fotografia di Peter Andrews (pseudonimo del regista) è rarefatta e poco si accosta al sudore, alla paura, al coraggio, all’utopia in armi dei rivoluzionari del Che. Nel film c’è il peggio di Indiana Jones di Steven Spielberg, intrecciato al peggio di Via col vento di Victor Fleming: entrambi i film di Soderbergh sono pervasi dal medesimo catechismo benevolente. Un assemblamento di sentimenti truccati, dispersi nell’ordine del discorso filmico che non implicano il tragico, bensì il destino di un tempo andato in frantumi. Il grande cinema esiste solo fintantoché dura la poesia, come la rivoluzione finché dura il canto della rivolta.
Benicio Del Toro (Palma d’Oro a Cannes, 2008) è un Che formidabile: interpreta un eroe, ma non lo trascolora in mito; mostra il carattere di un uomo in rivolta attraversato da una sorta di malinconia e ci dà la sensazione di raggiungere finalmente il Vero.
Lo smarrimento che c’è nel film di Soderberg è manifesto. Resta sempre in superficie delle cose che tratta e, come sappiamo, quando le verità diventano irrespirabili si trova rifugio nell’eufemismo. Che. L’argentino è un corollario di sciocchezze figurative e chiacchere filistee che invitano alla rassegnazione e non all’arte di ribaltamento di prospettiva di un mondo rovesciato (com’è stata la vita di Ernesto Che Guevara). Finché ci sarà un solo padrone, tiranno, generale o papa in piedi, il compito dell’uomo in rivolta non è finito. Tutto questo Soderbergh non lo sa, e nemmeno lo conosce né gli interessa. Il suo film dunque è una divagazione edulcorata su un uomo che ha rappresentato (e rappresenta ancora) il disinganno di un’epoca, un uomo che ha detto «la mia parola è no!», che ha preso le armi e ha combattuto l’imperialismo, insegnandoci a ben vivere e a ben morire.

Che. Guerriglia è il secondo atto (mancato) dell’opus «magnum» di Soderbergh che si trascina tra il racconto di un assedio e il crollo di una speranza di rivoluzione sociale. Per più di due ore assistiamo a colpi d’asma del Che, camminate nella foresta, incontri con i contadini, il tradimento del Pc boliviano (filosovietico), militari stupidi che arrivano sempre in ritardo negli assalti ai ribelli, a loro volta stanchi e impreparati di fronte a un’idea di insurrezione che doveva fare da detonatore e incendiare i popoli dell’intera America latina.
Soderbergh allunga la minestra riscaldata di Che. L’argentino. Lo mostra invecchiato, malato, ma bello sempre. Esegue una partitura benevola e cronachistica delle sue gesta, ma non riesce mai a entrare nella pelle della storia. La macchina da presa si muove palpitante su nulla e perfino i morti sono filmati con quel tanto di tocco estetizzante che andrebbe bene per pubblicità commerciali. C’è anche la bella rivoluzionaria (Tania) che tutto comprende e tutto approva della disastrosa avventura rivoluzionaria del Che. E il fantasma di Régis Debray, l’emissario di Castro che alcune fonti dicono abbia tradito Guevara. La sentita interpretazione di Benicio del Toro è tutto ciò che resta negli occhi dello spettatore; ma nemmeno la figurazione dell’uccisione del Che riesce a commuovere, tanto è circoscritta a inquadrature (insolitamente) liquide, anche per un funambolo della telecamera come Soderbergh.
La sceneggiatura del film (scritta da Peter Buchman e Benjamin A. van der Veen), tratta malamente dal Diario di Bolivia del Che è un lavoretto di trascrizione abbastanza confuso e il dittico di Soderbergh si chiude nella retorica del pianto plateale: l’eroe è stato ammazzato con le sue illusioni, ma l’icona o il mito risorge dalle sue spoglie insanguinate. L’importante è non capire che l’assassinio del Che è stato un crimine contro l’umanità.

Hasta la victoria siempre!

 
29 agosto 2010
Dal blog "Utopia Rossa"

sabato 28 agosto 2010

MARXISTI LIBERTARI OGGI di Roberto Massari


MARXISTI LIBERTARI OGGI
di Roberto Massari

 
Per gentile concessione pubblichiamo l'introduzione di Roberto Massari al libro di Daniel Guérin "Per un marxismo libertario" Ed. Massari 2008



"Ma questa diversità lungi dal rappresentare un dono, è al contrario una ricchezza dell'umanità.
Grazie ad essa l'umanità diviene un tutto collettivo in cui ciascuno completa tutti, di modo che questa infinita diversità degli individui umani è la causa stessa, la base principale della loro solidarietà, è un argomento onnipotente a favore dell'uguaglianza."
(M.Bakunin, "L'istruzione integrale" in L'Egalitè 7/8/1869)


Non credo che in poche pagine si possa dire qualcosa così significativo da scuotere le certezze di coloro che si considerano marxisti integrali interpreti del più autentico spirito anarchico e che tali vogliono restare.
Sono certezze costruite contro l'evidenza dello sviluppo storico o il rinvio a tanta altra ottima letteratura, non necessariamente marxista libertaria. Certo se almeno potessimo cominciare a incrinare tali dogmatiche certezze...
Il fatto è che nel campo minato delle ideologie o dei convincimenti storici (non-storiografici) i libri da soli non possono fare miracoli. Altrimenti avremmo visto i risultati da tempo è la comunità varia dei rivoluzionari o sognatori anticapitalistici si ritroverebbe affratellata in unico grande movimento internazionale.
Basta un rapido sguardo alla gruppettistica mondiale in campo anarchico o marxista per rendersi conto che dal 1872 ad oggi (cioè dal bivio tragico segnato dall'espulsione di Bakunin dall'Associazione internazionale dei lavoratori) sul piano organizzativo si sono compiuti solo enormi passi indietro, a fronte della più inverosimile frammentazione in sigle e partitini (locali o mondiali poco importa), con dispersione irrefrenabile del patrimonio teorico.
I libri da soli non bastano infatti. Occorrono grandi sommovimenti storici che, convolgendo le masse (consapevoli e in prima persona), mostrino cosa di valido fosse in quei libri.
Certo in mezzo c'è stata la degenerazione precoce della Rivoluzione russa e la diffusione dello stalinismo in tanta parte del movimento operaio mondiale: la più grave sconfitta - morale - ancor prima che politica -che una classe sociale presuntamente rivoluzionaria abbia mai vissuto nella storia dell'umanità. E quella sconfitta la paghiamo ancora, tutti, anche chi storicamente vi si è contrapposto da posizioni marxiste antistaliniane, anarchiche o marxiste libertarie, ma anche cristiane coerenti, umaniste ecc.
Basti pensare all'inesistenza di correnti rivoluzionarie, libertarie o anche solo antistaliniane di sinistra dopo la caduta dell'Urss (parliamo delle terre in cui sono nati o hanno agito Herzen, Bakunin, Vera Figner, Axel'rod, Kropotkin, i narodniki, Lenin, Trotsky, Sliapniov, Kollantaj, Makkno, Rakovskij, Miasnikov, Arsinov, Volin e altri ancora). O alla inconsistenza delle correnti marxiste rivoluzionarie e anarchiche nella Spagna del dopo Franco, nonostante il loro antico radicamento in quel Paese.
Il passaggio ad una visione marxista libertaria della strada percorsa e dei compiti che ci stanno di fronte non risolverebbe il problema, ma certamente aiturebbe sulla via di una ricerca della soluzione. Purchè non si tratti di un nuovo "ismo", di una nuova pozione magica sulla quale contendersi il diritto di assegnazione, con duetti del tipo: "Io sono più marxista libertario di te!"- "No, io lo ero da prima!" / "Ma tu rivendichi quel Marx che sciolse l'Ail per sottrarla all'influenza degli anarchici!" - "Già, e che dire di un libertario come Bakunin che s'inventò la fantomatica Alleanza rivoluzionaria mondiale con un settario come Necaev?" / "E lo sterminio dei soviet o il massacro di Kronstadt dove li mettiamo?" - "Ah sì! E i ministri della Cnt-Fai a braccetto con borghesi e stalinisti nei governi di Caballero-Negrin, non furono forse uno dei motivi principali per la sconfitta della Rivoluzione spagnola e delle collettività autogestite in Catalogna?... (1)



Il duetto potrebbe continuare per ore, giorni, anni - e in effetti continua da quasi un secolo e mezzo, tramandandosi di generazione e generazione. Potrei citare esempi di simili dabbenaggine uditi ancora in tempi recenti, formulati con acrimonia e con la stessa crassa ignoranza che già repellavano alla mia coscienza più di quarant'anni orsono, quando entrai nel movimento rivoluzionario spinto da forti motivazioni etiche, e ispirato a ingenui e inconsapevoli principi marxisti libertari. (2)


La vicenda storica del marxismo libertario è ricostruito ampiamente nel libro di Guerin e da parte mia non aggiungerei nulla in questa breve introduzione che non sia già incluso nella ricerca sull'autogestione citata o nella sezione dedicata agli anarchici nella mia storia del terrorismo? (3)
Vorrei invece richiamare l'attenzione sull'estrema scarsezza di contributi teorici volti a delineare i termini di una visione politico-filosofica che si possa definire "marxista libertaria". In campo marxista, anche del migliore, di quello più antidogmatico, aperto e, tutto sommato, più coerente con i principi ispiratori dell'autore della Critica al Programma di Gotha, brillano per la loro assenza le menti migliori del XX secolo.
Non vanno dimenticate, ovviamente, le incursioni in campo libertario di alcuni dei più fecondi esponenti dell'ultimo pensiero marxista - P. Naville, M. Rubel, H. Marcuse, H. Lefebvre, E. Mandel  - ma appunto, di "incursioni" si tratta. Scorribande culturali partorite per lo più sotto la pressione dei grandi movimenti giovanili della fine degli anni '60, prive della struttura concettuale e interpretativa necessaria per far assurgere il tema libertario a componente integrale nella visione marxista della storia e della lotta di classe.
Annotando dolorosamente che, nella già scarsa produzione teorica dell'anarchismo contemporaneo (a parte casi molto particolari come quello di Noam Chomsky), non compaiono nomi di studiosi libertari impegnati a valorizzare i punti di contatto tra anarchismo e marxismo - e a parte il contributo intermittente dei grandi studiosi sopracitati - resta il fatto che il panorama teorico di costruzione di una teoria marxista libertaria si riduce a due soli grandi nomi. Victor Serge e Damiel Guérin.

Non ho bisogno di presentarli perché, a differenza di quanto accadde fin dentro gli anni '50, dagli anni '60 in poi la lista lunghissima delle loro opere è diventata familliare ai lettori di tutto il mondo (non-totalitario).
Entrambi hanno dedicato anni della loro vita (a partire da un certo punto fino alla morte) a difendere la prospettiva marxista libertaria, propagandandola con caratteristiche proprie in libri, articoli e opere letterarie.
Va ricordato che Serge proveniva dall'anarchia e che dopo un periodo segnato da alcune ambiguità (4) nei confronti del bolscevismo antianarchico e antisoviettista, ha poi assunto (almeno dal 1926, pagando con la deportazione siberiana) una posizione drasticamente antistaliniana, antistatalistica e libertaria, arrivando a rompere con lo stesso Trotsky (nel 1937), pur continuando a riconoscergli la grandezza dei suoi meriti storici e teorici.
E' lo stesso Serge che nel giugno 1921, rivolto agli anarchici russi, li invitava "dopo l'esperienza della guerra e della rivoluzione, a procedere a una revisione completa e metodica delle nostre idee". Ed è Serge che per tutta la vita ha cercato di fondere la grande tradizione spirituale dell'anarchismo (il suo patrimonio etico, centrato sull'aspirazione alla piena valorizzazione dell'individuo) con la lucida razionalità teorica del marxismo, con la sua capacità di analisi storica e di previsione politica.
Al contrario di Serge, Guérin proveniva dal marxismo (dal trotskismo) e aderì all'anarchismo nella seconda parte della vita. Ebbene, queste due uniche grandissime personalità del marxismo libertario sono escluse dai 5 volumoni della Storia del marxismo di Einaudi, cioè da un opera per altri versi utile e abbastanza documentata. Di Guérin non si parla affatto, mentre a Serge sono dedicate 4 pagine -un paragrafo (III/2, 115-18) - da Massimo L. Salvadori, nel suo contributo su "La critica marxista allo stalinismo". Ma questo è solo un esempio della guerra controrivoluzionaria che la cultura ufficiale conduce sul piano delle idee, e che dovrebbe far riflettere gli interpreti dei duetti di cui sopra.
Serge e Guérin, invece hanno lasciato un patrimonio teorico e letterario tra i più ricchi e complessi nella storia del pensiero sociale moderno. E lo hanno fatto senza mai cadere nell'utopismo gratuito, rispettando così l'indicazione di una grande libertario (e controverso ammiratore di Marx) quando affermava:

"La scienza più profonda e più razionale non può individuare le forme future della vita sociale. Può soltanto definire i fattori negativi, deducendoli logicamente da una critica rigorosa dell'attuale società."
(Michail Bakunin, appendice A di Stato e anarchia, in Opere complete, IV. Ed. Anarchismo, Catania 1977, p.220).

Un ricordo personale di Guérin? - potrebbe chiedermi a questo punto il lettore.
Lo incontrai in poche occasioni, ma in un contesto molto "strutturato". Eravamo, infatti, membri entrambi del comitato di redazione della rivista Autogestion, che si riuniva nella sede delle edizioni Anthropos, fucina teorica per un breve periodo dell'utopia marxista libertaria. Con la differenza che lì Guérin faceva gli onori di casa, mentre io ero di passaggio (rimasi nella redazione dalla fine del 1972 all'estate 1975, quando ne uscii, per il nuovo corso sfacciatamente filomitterandiano intrapreso dalla rivista). E nelle riunioni alle quali partecipavo ero volta a volta distratto (ma dovrei dire "affascinato" anche dalla presenza redazionale di altre grandi personalità, tra le quali posso fare i nomi di Henri Lefebvre, Albert Meister, Daniel Mothé, Michel Raptis ("Pablo"), Pierre Naville, Yvon Bourdet e Serge Mallet (con questi ultimi tre ebbi anche rapporti di amicizia diretta).
Di Guérin colpivano l'amabilità nei modi e lo sguardo penetrante. Era curioso di ciò che accadeva intorno a lui e ci teneva a sottolineare, con una certa civetteria, che lui era un militante vero e proprio, e non un semplice perlustratore di  archivi. Cosa che non mi sarebbe mai venuta in mente, conoscendo l'ampiezza dei viaggi che aveva compiuto in giro per il mondo.
All'epoca militava nell'Ora (Organisation révolutionnaire anarchiste), un gruppo nato sulla scia del Maggio '68 e influenzato dalla personalità di Guérin stesso. Quando ero in Francia, invece, io militavo nella Ligue communiste. Avevamo idee simili, ma appartevamo a organizzazioni diverse. Un'assurdità alla quale un movimento autenticamente marxista libertario avrebbe facilmente messo riparo, facendo tesoro dell'indicazione dello stesso Guérin contenuta in fondo a questo suo libro:

"Il marxismo libertario del nostro tempo, che è sbocciato nel Maggio 1968 francese, supera sia il marxismo che l'anarchismo. Definirsi oggi marxisti libertari, non vuol dire guardare al passato, ma firmare una cambiale per il futuro."  (p.260)

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Note
(1) Una ricostruzione accurata della questione è nel lavoro di un infaticabile studioso anarcocomunista, approdato a posizioni libertarie marxiste: Pier Francesco Zarcone, Spagna libertaria, Massari ed., 2007. In partic. i capp. 2, 7, 9.

(2) La mia prima denuncia scritta del crimine politico compiuto dai bolscevichi a Kronstadt è presente nel mio primo libro, Le teorie dell'autogestione, p.217. Una ricerca condotta nel 1970-72 e che la Jaca Book pubblicò nel 1974.
Il tema di Kronstadt lo ripresi in seguito, con maggiore respiro nel capitolo "Il Profeta inconseguente" (pp. 207-12) all'interno della monografia che scrissi su Trotsky e la ragione rivoluzionaria (1990, 2004). La  vicenda dello sterminio di quel soviet rivoluzionario viene lì fatta precedere dall'elenco ragionato di ben 21 gravi incoerenze di Trotsky in quei primi anni di ascesa dello stalinismo. Devo rinviare, comunque al libro sull'autogestioneanche perchè si tratta, a mia conoscenza, della prima ricerca comparata che abbia tentato di mostrare quanto di libertario e antistatalistico vi fosse in Marx e in alcuni celebri marxisti. In quella ricerca, pur denunciando le loro più grave incoerenze al riguardo, confrontavo le posizioni del marxismo con quelle della tradizione anarchica (da Proudhon agli antiautoritari del Giura all'anarcosindacalismo), e concludevo con una dettagliata ricostruzione dei primi passi compiuti dal regime bolscevico per liquidare i soviet e i comitati di fabbrica a partire dal dicembre 1917. All'epoca non conoscevo ancora i contributi di Daniel Guérin sull'argomento e non potevo quindi rendermi conto di aver scritto un libro marxista libertario ante litteram.

(3) Il terrorismo. Storia, concetti, metodi, 3° ed. ampl., Roma 2002 (1979, 1998).

(4) Comprensibili se si ha chiaro che gli anarchici e i bolscevichi collaborarono nella lotta contro Kerenskij, per "tutto il potere ai soviet", e che, dopo la vittoria, la rottura con le varie correnti anarchiche avvenne in tempi e modi diversi per ciascuna. Cfr., tra gli altri, Paul Avrich, The Russian Anarchists, Princeton, 1967,
cap.5.

lunedì 23 agosto 2010


Trotsky e i trotskisti di fronte alla seconda guerra mondiale



di Pierre Broué

(pubblicato sui Cahiers Léon Trotsky, n° 23, settembre 1985)



Pubblicando alcuni anni fa dei testi di Trotsky sulla seconda guerra mondiale (1), Daniel Guerin li introduceva con una prefazione che gli avrebbe provocato un fuoco incrociato da parte degli organi di numerosi gruppi che all'epoca si richiamavano al trotskismo. In particolare, si accusava Guerin di avere deformato il pensiero di Trotsky citandone arbitrariamente i testi, di aver spinto il suo pensiero, se non verso il social-patriottismo, almeno verso l'antifascismo, e di essersi lasciato trascinare a dipingere Trotsky come un "patriota sovietico" per il quale le necessità della "difesa dell'URSS" avrebbero avuto la priorità su ogni altra considerazione nel giudizio sulla guerra (2).

La preparazione dei volumi 20-24 delle Opere di Lev Trotsky, da pubblicare entro il 1986, mi ha offerto l'occasione di studiare i testi completi dei documenti riprodotti da D. Guerin. Inoltre, l'apertura delle "carte dell'esilio", ad Harvard, ha permesso di accedere a numerosi documenti che, considerati nel loro insieme, consentono oggi di presentare una interpretazione del pensiero di Trotsky non conforme né alla versione di Guerin né a quella dei militanti che hanno sostenuto contro di lui una "ortodossia" calcata meccanicamente sull'approccio dei bolscevichi durante la prima guerra mondiale - col ritardo di una guerra e molto indietro rispetto alla politica di Trotsky quale si prefigurava dopo i primi successi hitleriani del 1940.

Beninteso, Trotsky comprende nitidamente che cosa significhi per la civiltà la guerra con le sue inevitabili distruzioni. Ma nella primavera del 1940 il calice della guerra è stappato e bisogna berlo: per Trotsky non si tratta più di lottare perché l'umanità, per mezzo della rivoluzione, si risparmi una guerra mondiale. Questa guerra è iniziata ed ormai nulla può risparmiarla all'umanità. Trotsky vi scorge però l'immenso crogiolo in cui nascerà, in mezzo a indicibili sofferenze, l'ondata rivoluzionaria che plasmerà le tappe successive della rivoluzione mondiale. Lo dice molto chiaramente in un frammento di un articolo, interrotto il 20 agosto, conosciuto da Daniel Guerin che però non l'ha segnalato, senz'altro per non averne compreso la portata:

"La guerra in atto, come abbiamo detto in ripetute occasioni, non è che una continuazione dell'ultima guerra. Ma continuazione non significa ripetizione. In linea generale, continuazione vuole dire sviluppo, approfondimento, acutizzazione. La nostra politica, la politica del proletariato rivoluzionario di fronte alla seconda guerra imperialista è una continuazione della politica elaborata durante l'ultima guerra imperialista, soprattutto sotto la direzione di Lenin. Ma continuazione non significa ripetizione. Anche in questo caso una continuazione è uno sviluppo, un approfondimento, un'acutizzazione"  (3).
Trotsky delinea in seguito ciò che costituisce per lui la differenza - una differenza di sviluppo, quantitativa e non qualitativa - tra la politica dei rivoluzionari nella prima e nella seconda guerra mondiale. Egli scrive:
"Nel corso dell'ultima guerra, non solamente il proletariato nel suo complesso ma anche la sua avanguardia e, in una certa misura, l'avanguardia dell'avanguardia sono state prese alla sprovvista; l'elaborazione dei principi della politica rivoluzionaria di fronte alla guerra è iniziata quando la guerra era già scatenata e l'apparato militare esercitava un dominio assoluto" (4)

Nel corso della prima guerra mondiale, la prospettiva della rivoluzione appariva lontana perfino a Lenin, che diceva di prevederla per le generazioni successive. Trotsky ricorda:
"Prima e perfino dopo la rivoluzione di febbraio, gli elementi rivoluzionari non si consideravano in lotta per il potere, ma come l'opposizione di estrema sinistra" (5)

La lotta per l'indipendenza politica del proletariato, il rifiuto della pace sociale, condizione necessaria per la lotta di classe del proletariato, erano così nel 1914-1918 il compito prioritario, in ultima analisi decisivo:
"L'attenzione dell'ala rivoluzionaria era concentrata sulla questione della difesa della patria capitalista. I rivoluzionari, ovviamente, rispondevano negativamente a tale questione. Era del tutto corretto. Ma se questa risposta negativa serviva come base per la propaganda e la formazione dei quadri, essa non poteva conquistare le masse che non volevano alcun conquistatore straniero".  (6).

Ricordando che i bolscevichi riuscirono a conquistare la maggioranza della classe operaia e del popolo nello spazio di otto mesi, Trotsky sottolinea che tale conquista non era dovuta a posizioni negative di rifiuto ma alle aspirazioni delle masse a cui i bolscevichi avevano saputo fornire una risposta positiva:

"Il ruolo decisivo in questa conquista non fu svolto dal rifiuto di difendere la patria borghese ma dalla parola d'ordine "Tutto il potere ai soviet". E solamente da questa parola d'ordine rivoluzionaria! La critica dell'imperialismo, del suo militarismo, la rinuncia alla difesa della democrazia borghese ecc. non avrebbero potuto mai conquistare l'immensa maggioranza del popolo ai bolscevichi" (7).

La differenza tra la prima e la seconda guerra mondiale è individuata da Trotsky sia nella situazione obiettiva, l'aggravamento della crisi del capitalismo, sia nell'esperienza mondiale accumulata dalla classe operaia: questi due fattori mettono all'ordine del giorno, attraverso le sofferenze e la miseria della guerra, la presa del potere da parte della classe operaia. Trotsky è categorico:

"E' questa la prospettiva che deve fondare la nostra agitazione. Non si tratta semplicemente di prendere posizione sul militarismo capitalista e sul rifiuto di difendere lo Stato borghese, ma della preparazione diretta per la presa del potere e la difesa della patria socialista" (8)

In realtà, quando Trotsky fu colpito a morte il 20 agosto 1940, gli elementi essenziali della seconda fase della seconda guerra mondiale erano appena emersi dopo la disfatta dell'esercito francese - "non un semplice episodio", scrive Trotsky, ma un capitolo integrante della catastrofe europea. In alcune note sulla guerra e sull'URSS redatte nella primavera del 1940 (tomo 23 delle Oeuvres) e in interviste ed articoli, soprattutto il frammento "Bonapartismo, fascismo e guerra" (tomo 24), si trovano gli elementi che ci permettono di cogliere a grandi linee l'immagine che Trotsky si stava forgiando della guerra appena iniziata ed al contempo le linee di sviluppo della rivoluzione che si sarebbe prodotta.

Daniel Guerin lo aveva sottolineato con enfasi. L'idea che Trotsky si forma nel 1940 del prosieguo della guerra è straordinariamente esatta e precisa. Quando uomini che gli sono stati molto vicini sembrano rassegnarsi a decenni di Europa "bruna", egli prevede con sobrietà e sicurezza la guerra tra la Germania e gli USA, "per l'egemonia mondiale", ma anche il carattere effimero del patto di non aggressione e la successiva alleanza tra l'URSS e le "democrazie", la direzione dell'espansione giapponese che avrebbe posticipato uno scontro diretto con l'URSS ed altri elementi non riconosciuti nemmeno ora da strateghi e commentatori prestigiosi. Daniel Guerin ha ben capito tutto questo. Si è però impedito di cogliere il cuore della politica di Trotsky riducendo le analisi appena abbozzate ed in particolare la sua previsione del movimento rivoluzionario durante la guerra a quella che lui chiama "l'ardente convinzione soggettiva [di Trotsky] che questa guerra si sarebbe conclusa con la vittoria della rivoluzione mondiale", "osservazione inesatta", scrive Guerin, "sulla quale l'ultra-lucido si sbagliava". E' così che l'analisi svolta da Guerin ed alcuni suoi tagli, senz'altro involontari, risultano nel caratterizzare Trotsky come il profeta, o perfino il mago di strategia militare, facendo scomparire la sua prospettiva rivoluzionaria. Immagine distorta perché Guerin non condivide le previsioni di Trotsky sul cammino della rivoluzione! Nonostante ciò, siamo giusti: su questo terreno Trotsky ha solamente intravisto ed indicato future linee di sviluppo. Non ha né spiegato né approfondito. I difensori della concezione "arcaica" intesa come una ortodossia hanno solitamente ignorato queste indicazioni e - alcune reazioni alle analisi di Guerin lo provano - continuano ad ignorarle, quando si voltano indietro per giudicare questo blocco di storia che è oggi per loro questa guerra.

Per ciò in questo articolo vorrei cercare innanzitutto di delineare le idee centrali di Trotsky sulla seconda guerra mondiale. Un'analisi che, lo sottolineo, copre tanto gli aspetti essenziali del conflitto quanto alcuni dell'immediato anteguerra che noi non tratteremo - ad esempio, le analisi delle trasformazioni operate dalla burocrazia in Polonia e da essa sognate in Finlandia nel 1939, pietre angolari di una teoria sulla costituzione degli Stati burocratizzati satelliti nella sfera d'interesse dell'URSS. Questi tesi si trovano nel dibattito interno del SWP del periodo 1939-1940 sulla "natura dell'URSS".

Trotsky ha visto che cosa sarebbe diventata l'Europa bruna, sotto lo stivale nazista, non per mille anni, diceva con fiducia, ma per dieci al massimo. Egli ha soprattutto preso atto del significato che rivestivano per le masse operaie d'Europa le conquiste inaudite realizzate dall'esercito tedesco sotto la direzione dei nazisti:

"Le masse operaie hanno per Hitler un odio sentimentale mescolato a sentimenti di classe confusi: esse odiano i briganti vittoriosi"(9).

E' questo, secondo Trotsky, l'aspetto positivo su cui fare leva negli USA nel lavoro di preparazione rivoluzionaria; è a partire dalla constatazione di questo movimento inevitabile delle masse che egli sviluppa davanti ai suoi compagni del SWP, un po' perplessi, l'idea che bisogna rivendicare nell'esercito ufficiali operai, esigere la formazione militare sotto controllo sindacale, prevedere forme nuove del lavoro politico in una società militarizzata. Queste rivendicazioni di militarizzazione e di controllo - l'indipendenza politica attraverso le armi - vanno di pari passo con la parola d'ordine agitativa: fas"Noi vogliamo lottare contro il fascismo ma non "alla Petain". Gli interpreti "ortodossi" del pensiero di Trotsky di solito vi hanno scorto una mera questione di tattica, una finta, un artificio destinato a smascherare la borghesia e teso a dimostrare che essa in realtà teme di più la classe operaia che i fascisti interni od esterni. Questa argomentazione non sta in piedi davanti ad un esame serio: come conciliare, anche sul piano astratto, la formula "non alla Petain" con una certa concezione "volgare" del disfattismo che non fu mai quella di Trotsky?
C'è di più. Nelle discussioni con i suoi compagni del SWP, Trotsky non esita a porre il problema della "militarizzazione del partito", a prendere le distanze bruscamente dagli approcci "pacifisti" che egli condanna risolutamente, a proclamare inoltre la necessità per i suoi compagni e per tutti i rivoluzionari di divenire "militaristi" - precisa "militaristi socialisti rivoluzionari proletari" (10).
I rivoluzionari devono farsi "militaristi" perché la prospettiva dell'umanità è quella della società militarizzata e della lotta armata. I socialisti rivoluzionari proletari devono diventare militaristi perché il futuro dell'umanità si giocherà con le armi alla mano, perché l'umanità è entrata nella seconda guerra mondiale, perché essi devono prepararsi a contendere presto il potere alla classe nemica con le armi alla mano e non possono prepararsi a questo compito che stando là dove sono le masse.
Questa è la convinzione di Trotsky.
Essa si basa su una previsione concreta del movimento delle masse, in primo luogo in Europea. In un articolo del 30 giugno 1940, Trotsky già delinea per l'Europa una prospettiva di sviluppo che passa per il sollevamento di massa contro l'occupante. Egli scrive:

"Nei paesi sconfitti, la situazione delle masse peggiorerà in misura estrema. All'oppressione sociale si è aggiunta quella nazionale, che grava specialmente sugli operai. Di tutte le forme di dittatura, la dittatura totalitaria esercitata da un conquistatore straniero è la meno tollerabile" (11.)
Possiamo dubitare del fatto che Trotsky metta i rivoluzionari nel campo di quelli che sono oppressi socialmente e nazionalmente, di quelli che giudicano "intollerabile" la "dittatura militare" di un "conquistatore straniero"?

Consapevole che i nazisti cercheranno di sfruttare l'apparato industriale e le risorse naturali dei paesi occupati e sconfitti e che questo supersfruttamento sarà sinonimo di pauperizzazione, il rivoluzionario russo prevede una resistenza operaia e contadina e commenta:

"E' impossibile piazzare un soldato armato di fucile accanto ad ogni operaio e contadino polacco, norvegese, danese, olandese, francese" (12).
Per Trotsky il dominio hitleriano dell'Europa provocherà un sollevamento generalizzato delle popolazioni.
"Possiamo aspettarci con certezza la rapida trasformazione di tutti i paesi conquistati in polveriere. Il pericolo è piuttosto che le esplosioni sociali si producano troppo presto, senza una preparazione sufficiente, e conducano a sconfitte isolate. E' però impossibile prospettare una rivoluzione europea e mondiale senza mettere in conto sconfitte parziali di questo tipo" (13).
La minaccia che grava su Hitler è la "rivoluzione proletaria in tutte le regioni d'Europa". Trotsky prevede "l'impoverimento e la pauperizzazione delle masse lavoratrici […], i loro tentativi di resistenza e di protesta, all'inizio nascosti, poi sempre più aperti ed audaci", contro i quali gli eserciti d'occupazione dovranno agire come "pacificatori" e oppressori, cosa che produrrà demoralizzazione e, a termine, decomposizione. (14)

Davanti alla commissione Dewey a Coyoacan, Trotsky aveva distinto l'approccio da mantenere in un paese imperialista in guerra contro l'URSS ed in un paese imperialista alleato all'Unione Sovietica (15). Nel primo caso, l'obiettivo immediato è la disorganizzazione di tutto l'apparato, in primo luogo militare. Nel secondo, l'opposizione politica alla borghesia, la preparazione della rivoluzione proletaria. Con l'attacco all'URSS della Wehrmacht, è altrettanto chiaro che, in tutta l'Europa occupata, alla resistenza armata contro l'oppressione nazionale e sociale si aggiunge la necessità di disorganizzare e colpire la macchina militare tedesca, cosa che implica in buona misura la lotta armata.

Per comprendere almeno alcuni aspetti della critica che noi abbiamo chiamato "ortodossa", possiamo qui ricordare che nel 1937 Vereeken e alcuni suoi seguaci avevano accusato Trotsky di rinnegare i principi abbandonando, in caso di guerra, il "disfattismo" in un paese alleato all'URSS, sotto il pretesto della "difesa dell'URSS". Si trova sostanzialmente la stessa impostazione nella critica fatta dallo spagnolo Grandizo Munis alla politica difensiva di Cannon e del SWP al processo di Minneapolis. La storia politica della Quarta Internazionale durante la seconda guerra mondiale farà certamente apparire la forza della corrente settaria e conservatrice che, sotto una fraseologia ortodossa, confinava talvolta con posizioni pacifiste, considerando la lotta armata, di per se stessa, come una partecipazione alla belligeranza, all'unità nazionale e ad una "accettazione" della guerra.

E' beninteso escluso pensare che la politica di Trotsky tradisse l'influenza del suo "patriottismo sovietico": si è sufficientemente spiegato sulla "difesa dell'URSS" perché si possa prendere sul serio una tale interpretazione. Nella sua analisi e nelle sue parole d'ordine non esiste una qualsiasi concessione al social-patrottismo o alla difesa nazionale in un paese imperialista. Semplicemente, come afferma con vigore: "Ogni confusione coi pacifisti è mille volte più pericolosa che una confusione temporanea coi militaristi borghesi". Il Manifesto della conferenza d'allarme della IV Internazionale del maggio 1940 è proprio, come ha sottolineato Guerin, "questo testo di grande effetto, che esprime con forza e convinzione gli assi fondamentali dell'internazionalismo proletario" (16). La sua conclusione, seguente all'appello agli operai di imparare le "arti militari", non lascia dubbi a tal riguardo:
"Al tempo stesso non dimentichiamo per un solo istante che questa guerra non è la nostra guerra […]. La Quarta Internazionale basa la sua politica non sulle sorti militari degli stati capitalisti ma sulla trasformazione della guerra imperialista mondiale in guerra civile degli operai contro i capitalisti, sul rovesciamento delle classi dominanti di tutti i paesi, sulla rivoluzione socialista mondiale" (17).
La questione centrale è quindi senz'altro quella della rivoluzione, della forma che rivestirà il movimento rivoluzionario causato dalla guerra e la crisi del mondo capitalista che essa esprime ed acutizza allo stesso tempo - e che crea le condizioni della lotta dei lavoratori per il potere. E questa lotta, nel corso di una guerra e nel contesto di una militarizzazione della società, non può essere immaginata, eccezion fatta per sognatori incorreggibili o settari , nella forma che non sia, in larga misura, quella di una lotta di classe armata, di una guerra di classe. La nuova arena, dove bisognerà sgominare i militaristi, esige la militarizzazione dei lavoratori e dei rivoluzionari.
Alcune osservazioni si impongono a chi voglia verificare nello svolgimento concreto della guerra le prospettive elaborate da Trotsky nel 1940. In primo luogo, i vari partiti comunisti, a causa della linea di "difesa dell'URSS" che li ha trasformati dal 1941 in "attivisti della Resistenza", hanno spesso potuto imporre un'immagine che gli concede il monopolio della lotta armata con la quale si sforzano a posteriori di identificare la loro politica. Nonostante ciò, a partire da un certo livello di sviluppo della lotta armata, la difesa dell'URSS quale essa è concepita a Mosca non si articola più con operazioni di sabotaggio o partigiane contro la macchina bellica tedesca. Questa difesa dell'URSS diviene una lotta politica, diretta od indiretta e, se necessario, una repressione poliziesca contro lo stesso movimento delle masse quando questo - è quasi sempre così - minaccia di compromettere gli accordi tra l'URSS ed i suoi alleati e di rimettere in questione la ripartizione delle sfere di interesse o, ancora più grave, di scatenare una rivoluzione che Stalin, Roosevelt e Churchill temono quanto Hitler e che essi sono pronti a schiacciare se Hitler non se ne è incaricato prima di loro.

Tutta l'Europa ha subito l'occupazione tedesca e, a livelli diversi, non solo l'oppressione nazionale che subisce ogni paese occupato da un esercito straniero ma anche il saccheggio sistematico che ha sprofondato più paesi nella carestia e tutti nella miseria. Così si sono riunite le condizioni per un'ascesa rivoluzionaria che si è manifestata innanzitutto e con più forza negli anelli deboli della catena imperialista in Europa. Davanti a questo rischio, le valvole di sicurezza messe in campo dall'apparato stalinista non hanno potuto avere la stessa efficacia, in funzione dei precedenti rapporti tra partiti e masse, ovvero di circostanze storiche d'ordine accidentale. Il movimento di massa, però, si sviluppa attraverso le sue contraddizioni.
Noi cercheremo di analizzare quale verifica generale delle prospettive di Trotsky possa essere trovata nel caso in cui la rivoluzione è andata più avanti possibile da sola, per il suo proprio impeto, con un movimento di massa che ha scavalcato i limiti imposti dal partito comunista, prima di rifluire sotto i colpi della repressione ed in assenza di una direzione alternativa a quella che la abbandonava a questa repressione nel momento del crollo dell'imperialismo tedesco. In questo senso l'esempio greco ci sembra essere uno dei più utili.

La resistenza greca

Tenteremo di verificare le concezioni di Trotsky sulla seconda guerra mondiale attraverso due casi concreti: uno meno conosciuto, la rivolta dei soldati e dei marinai dell'esercito greco del Medio Oriente, e la resistenza armata in Grecia schiacciata dall'esercito britannico su ordine personale di Winston Churchill che vi denunciava ciò che chiamava "il trotskismo aperto e trionfante".
Una delle particolarità della Grecia - che si ritrova anche in due paesi vicini, l'Italia e la Yugoslavia - è che essa era prima della guerra, dopo il 1936, piazzata sotto il dominio del "regime del 4 agosto", la sanguinaria dittatura militar-fascista del generale Metaxas e del re Giorgio II che aveva colpito con durezza il movimento operaio, imprigionando o confinando nelle isole i suoi dirigenti e quadri, spingendo il partito comunista greco in una clandestinità precaria che rendeva deboli e intermittenti i suoi legami col "centro" di Mosca. Come i compagni della vicina Yugoslavia, i comunisti greci non "capiscono" da soli che, morto Metaxas, i suoi successori e boia sono diventati alleati democratici e la restaurazione della monarchia è un obiettivo della lotta per l'emancipazione dell'umanità! E' così che, all'indomani dell'invasione tedesca, il PC greco lancia la parola d'ordine dell'Assemblea Costituente, aprendo con ciò stesso la questione monarchica perché il re, rifugiato in Gran Bretagna, è protetto da Winston Churchill: ciò pone da subito un ostacolo enorme sul cammino dell'"unione" tra la resistenza all'interno e l'esilio, politica dettata dall'Internazionale Comunista al PC greco. Quando nel 1942 il PC greco si decide ad impegnarsi per controllare e centralizzare l'azione dei partigiani che si sviluppa, le armi alla mano, sulle montagne ma anche nei sobborghi delle città, le comunicazioni diventano difficili, non soltanto tra Mosca ed i dirigenti nazionali, ma anche tra questi ultimi ed i capi dei combattenti, gli andartes, questi Kapetanios che, sul campo, hanno dato per primi l'esempio cedendo alle pressioni dei contadini poveri e soddisfacendo le loro rivendicazioni, cosa che li ha resi "pesci che nuotano nell'acqua".

La resistenza greca, quella del proletariato, della piccola borghesia, dei contadini, non è stata promossa da alcun ordine di apparato. E' al di fuori di ogni contesto organizzato che si è realizzata, nella notte tra il 30 ed il 31 maggio 1941, per opera di due studenti, la scalata dell'Acropoli per strappare la croce celtica,una  "azione di audacia folle e di una generosità meravigliosa", scrive Andreas Kedros, per il quale essa diventò "il simbolo dell'insubordinazione greca"(18). E' più o meno nello stesso periodo, dopo la sconfitta dell'esercito regolare, disfatta spesso organizzata o provocata dagli ufficiali, che le prime bande fanno la loro comparsa nelle campagne, equipaggiate dei fucili e delle munizioni recuperate in ingenti quantità sui campi di battaglia e le vie della ritirata. In questo paese con una forte tradizione di lotte agrarie, dove il bandito è stato lungamente considerato liberatore e difensore beneamato dei poveri, il villaggio, osserva sempre Andreas Kedros, "secerne i gruppi armati come antidoto ai soprusi ed alla miseria" (19)  che l'occupazione moltiplica. Si osserva un po' ovunque la formazione di gruppi minuscoli dai nomi diversi - da "società mista" a "gruppi d'assalto" - attorno a uomini che si organizzano spontaneamente e sono riconosciuti come capi, giovani dal temperamento combattivo o militanti di lunga data evasi dai campi di concentramento di Metaxas durante la débacle dell'esercito.


Tuttavia, la preoccupazione principale della direzione del PC greco non è quella di organizzare, centralizzare e sviluppare l'attività di questi gruppi. Ligia agli ordini di Mosca, essa si è fissata come obiettivo prioritario la costituzione di un "fronte nazionale" contro l'occupante - ovvero, per il momento, un blocco con tutte le altre formazioni politiche del paese. Il PCG però non raggiunge tale risultato, soprattutto perché non ha, malgrado la sua buona volontà, rettificato tempestivamente il tiro sulla "questione reale" - punto ultrasensibile per la sua base, ma anche per le forze politiche legate alla borghesia ed ai proprietari terrieri, i quali né vogliono né possono rompere con la monarchia ed il suo "protettore" britannico.

L'EAM - Fronte di Liberazione Nazionale - è fondato nel settembre 1941 ma si tratta solamente di un'organizzazione che porta tale nome e non il fronte nazionale auspicato: a fianco del PCG si sono schierati soltanto minuscole formazioni socialiste, due organizzazioni "democratiche" altrettanto trascurabili, ed i sindacati. Tuttavia, l'EAM rifiuta una base che non sia nazionale, rifiuta di mirare alla liberazione "sociale", si indirizza alla "nazione" senza distinzione di classi, enfatizza le adesioni provenienti da elementi della classe dominante, fa silenzio sulle rivendicazioni operaie.

Questa volontà di mantenere la nazione unita contro l'invasore - quando essa nei fatti non lo è -, di imbrigliare le spinte di classe dell'opposizione popolare all'occupante ed ai suoi collaboratori della borghesia greca, non riesce tuttavia ad impedire ai lavoratori ed agli strati più poveri di utilizzare istintivamente il quadro organizzativo predisposto per fare avanzare le loro rivendicazioni: l'afflusso di combattenti dà un carattere di classe a questo EAM che si sforza di rifiutarlo con altrettanta fermezza. Sono dei lavoratori a manifestare a migliaia per il primo anniversario dell'attacco italiano del 18 ottobre 1941. In dicembre, gli studenti prendono il testimone. Il 26 gennaio 1942, poi il 17 marzo, è una categoria di poveri particolarmente miserabile, i mutilati di guerra, che manifesta in piazza, aiutata dalle militanti clandestine dell'EAM vestite da infermiere. L'organizzazione si estende e si perfeziona. Il 15 marzo 1942, manifestazioni con rivendicazioni economiche in numerose città, tra cui Atene, sono seguite da scioperi: quello dei 40mila funzionari - nella direzione del quale si trovano militanti trotskisti - dal 12 al 21 aprile, poi quello di operai di una fabbrica di fertilizzanti in agosto al Pireo. Nell'intervallo, i contadini del Peloponneso hanno tenuto una serie di manifestazioni ben riuscite. Il popolo greco è rosso, le masse dei settori più oppressi si mettono in movimento, ed è perciò che il PCG si risolve ad inviare un manipolo di militanti per organizzare i partigiani, gli andartes, nel quadro dell'Armata Nazionale di Liberazione del Popolo, le unità militari dell'ELAS, braccio militare dell'EAM.

Un rapporto dell'Abwehr del novembre 1942 segnala l'esistenza nel paese di intere province "in mano alle bande" che giustiziano i traditori, distribuiscono il grano che prelevano dagli ammassi obbligatori, incitano i contadini a scegliere liberamente le loro autorità politiche e a discutere democraticamente di tutti i loro problemi. La lotta degli andartes diventa, per la dinamica delle cose ed all'infuori della volontà dei loro responsabili politici, un fattore della guerra di classe nelle campagne, probabilmente più sociale che nazionale, benché anche i partigiani del celebre Aris Velouchiotis prendano parte a spettacolari operazioni di sabotaggio delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto che disorganizzano la macchina bellica tedesca.
Non possiamo affrontare qui una storia dei movimenti di massa in Grecia. Il 22 dicembre 1942, 40mila lavoratori scendono in sciopero. Le manifestazioni e gli scioperi scatenati dall'annuncio dell'introduzione del servizio di lavoro obbligatorio in Germania, che si sviluppano dal 24 febbraio al 5 marzo, ottengono il risultato, unico in Europa, del ritiro da parte dei tedeschi del progetto sul lavoro obbligatorio. Nel 1943 la lotta armata non riguarda più solamente piccoli gruppi ma autentiche unità militari il cui arrivo in una regione, punto di partenza dell'allargamento delle "zone liberate", si combina con un autentico "sollevamento di massa" del "popolo in armi": A. Kedros conferma: "La resistenza armata riguarda tutta la popolazione". Nelle città, i movimenti di massa si ergono indomabili: sciopero generale ad Atene, il 25 giugno 1943, contro delle esecuzioni di ostaggi da parte dell'occupante. Lo sciopero dei tranvieri, partito il 12, aveva causato la condanna a morte di 50 lavoratori dei tram che lo sciopero generale salva dal plotone d'esecuzione. Nel 1944, non soltanto ampie zone rurali sono state liberate ma le forze armate tedesche sono assediate anche nelle città che abbandonano solo in convogli blindati. Nella periferia rossa di Atene i quartieri operai sono altrettanti bastioni del popolo in armi.

Durante questo periodo, i dirigenti del PCG che controllano l'EAM e l'ELAS continuano a sostenere che di voler portare avanti una politica puramente nazionale priva di ogni carattere di classe. Non è il punto di vista del governo greco in esilio protetto da Churchill. Dal 1942, alcuni elementi del corpo ufficiali - questo "ultimo bastione dello Stato", diceva Churchill al tempo di Franco - raggruppati nell'organizzazione Khi de Grivas, Pan, Gerarchia militare, gli Zervas ed i Dentiris legati ai servizi segreti di Metaxas, organizzano il contrattacco tentando di formare "bande nazionali", orientati più alla lotta contro i "banditi comunisti" che contro l'occupante. Si tratta di fabbricare dal nulla dei "Mikhailovic greci" - sull'esempio di questo colonnello serbo che dirige i cetnici, è ministro del re in esilio e combatte con le armi i partigiani di Tito. Il denaro non manca e nemmeno il materiale: si vogliono creare dei gruppi nuovi ma si spera anche di poter strappare alcuni quadri all'ELAS, tanto sprovvista materialmente che l'operazione sembra destinata al successo. Uno dei capi del SOE britannico in Grecia, Eddie Myers, fornisce a tale proposito nelle sue memorie un documento che conferma l'analisi di Trotsky e mostra la lucidità di quel campione dell'ordine sociale che era Winston Churchill, stratega della lotta di classe vista dall'altra parte della trincea. A partire dall'aprile 1943 i suoi superiori gli hanno fatto sapere:
"Le autorità del Cairo ritengono che dopo la liberazione della Grecia la guerra civile è praticamente inevitabile" (20).

Il movimento di massa che gonfia l'EAM e l'ELAS, la lotta che si fa strada aprendo solchi tra le classi, spazza via queste iniziative e non cessa di rinforzarsi, tanto che il colonnello Saraphis, ufficiale democratico investito del ruolo di "Mikhailovic greco" decide di aggregarsi all'ELAS di cui apprezza l'efficacia e la rappresentatività! La capitolazione italiana fa cadere nelle mani degli andartes e dei loro collaboratori in civile più armi da guerra di quante potrebbero paracadutarne gli alleati messi assieme.

Il 1943 è in questo senso l'anno cruciale. Il politico Ioannis Rallis, di cui perfino i tedeschi sanno che è in contatto con agenti dei servizi segreti britannici, diventa il primo ministro della Grecia occupata21. La classe dominante prepara attivamente e coscientemente la trasformazione della guerra nazionale in guerra civile: ad Atene ci sono i Battaglioni di sicurezza, un corpo di sinistra memoria, al Cairo la Brigata della Montagna, l'uno e l'altro concepiti per schiacciare il movimento popolare. D'altro lato, il PCG si mostra ancora di più tenace sostenitore di una politica di collaborazione con le "bande nazionali" e di una "tolleranza" il cui senso è la rinuncia ai metodi di classe, preparandosi d'altra parte a scontri con chi sta alla sua sinistra. Nel marzo 1943, malgrado i pericoli di una tale operazione, Aris Velouchiotis è richiamato ad Atene dalla sua montagna di Rumelia ed è seriamente redarguito. In occasione dello scioglimento dell'Internazionale Comunista nel maggio 1943, il PCG ha sostenuto una linea da cui non devierà più:

"Il PCG sostiene con tutti i mezzi la lotta per la liberazione nazionale e farà tutto ciò che è in suo potere perché tutte le forze patriottiche siano raggruppate nell'indistruttibile fronte nazionale che mobiliterà il popolo tutto intero per scuotere il giogo straniero ed ottenere la liberazione nazionale al fianco dei nostri grandi Alleati" (22).

Esso forma al contempo la sua polizia politica, l'OPLA, composta di assassini selezionati, che utilizzerà per colpire i "trotskisti" ed i suoi "estremisti" più che i "collaborazionisti".

La linea degli uni e degli altri viene messa una prima volta alla prova durante l'ammutinamento dell'esercito d'Egitto, una vicenda conosciuta tuttora molto poco che ci sembra suscettibile di alimentare la discussione sulla "politica militare" di Trotsky. La vicenda si svolge in quella che possiamo chiamare, per analogia, la "Grecia libera": dopo la sconfitta dell'aprile 1941 ciò significa i resti dell'esercito e della flotta, alti funzionari, ministri ed il "governo in esilio" di re Giorgio II. I grandi personaggi ed in particolare i capi militari sono gerarchi del regime dittatorial-fascista del generale Metaxas - ed il popolo pensa che proprio per questa ragione lo hanno "tradito" davanti all'invasore nazista. Nonostante ciò, come osserva Dominique Eudes, "a fianco del circolo di ufficiali e politici della cricca monarchica, si costituisce in Egitto l'embrione di un nuovo esercito greco" (23): fuggiaschi di unità militari evacuate via mare, volontari che, scontando mille difficoltà, hanno raggiunto l'Egitto individualmente, membri di equipaggi di navi da commercio o da guerra che hanno scelto di fermarsi ad Alessandria. Siamo chiaramente davanti a uomini che vogliono battersi "contro il fascismo", per "la libertà e la democrazia", come viene assicurato dal nuovo capo "liberale" del governo. Lo scontro è così inevitabile tra i 20mila uomini venuti a combattere e la cricca monarchica, preoccupata innanzitutto, come Churchill, di "salvare la Grecia dal comunismo".

Nell'ottobre 1941 si crea all'interno dell'esercito greco del Medio Oriente l'organizzazione clandestina ASO (Organizzazione militare antifascista) i cui obiettivi sono semplici, perfino semplicistici: invio delle unità greche al fronte, lotta in Grecia a fianco della Resistenza, rifiuto dell'infiltrazione dell'esercito del Cairo da parte degli ufficiali metaxisti che vogliono restaurare in Grecia il vecchio regime alla fine della guerra. La pressione dei quadri metaxisti è organizzata sotto la forma di "dimissioni" di massa per ottenere la revoca di quadri considerati vicini all'ASO. Gli ufficiali dimissionari della seconda Brigata sono arrestati e sostituiti. Malgrado le minacce, gli ammutinati resistono e la prima Brigata si solidarizza con loro. Il governo cede e accetta l'allontanamento degli ufficiali metaxisti per evitare problemi troppo importanti in un momento difficile e, soprattutto, per preparare la mossa successiva. Nei mesi seguenti, direttive militari permettono di smembrare le unità, di punire i ribelli con sanzioni disciplinari ed infine di schedare gli elementi sovversivi riportando ai posti di comando gli ufficiali temporaneamente allontanati.
Il secondo ammutinamento è più grave ed altrettanto significativo. Le rivendicazioni dei militari suscitate dall'ASO sono senz'altro più politiche che nel 1943. Sotto la pressione della truppa, all'indomani della costituzione in Grecia del PEEA, vero e proprio governo provvisorio della Resistenza greca, il comitato di coordinamento interarma presenta una petizione, firmata dalla maggioranza dei militari greci, che rivendica la formazione di un autentico governo di "unione nazionale" basato sulle proposte del PEEA. L'iniziativa non proviene né dall'EAM-ELAS né dalla Grecia, ma semplicemente dall'idea che i soldati si fanno della situazione nel loro paese e delle condizioni in cui potrebbero "veramente" lottare contro il fascismo.

Lo stesso giorno, il 31 marzo, i delegati dei soldati e del comitato misto chiedono di essere ricevuti con la loro petizione all'ambasciata dell'URSS. L'ambasciatore gli chiude la porta. La loro azione troverà eco e promesse di sostegno solamente dalla sinistra laburista in Gran Bretagna; in Egitto, al contrario, essi godono della simpatia della popolazione egiziana, da sempre molto vicina ai lavoratori greci. Riunioni e manifestazioni si susseguono ad Alessandria ed al Cairo. A partire dal 4 aprile, la polizia egiziana interviene al fianco del governo in esilio e dei Britannici, arrestando una cinquantina di militanti operai, dirigenti sindacali e soprattutto responsabili dei marinai greci. L'alto commando britannico, da parte sua, disarma due reggimenti, invia 280 "agitatori" in un campo di concentramento e poi, il 5, disarma l'unità allegata al comando greco del Cairo internando gli ammutinati.

Questi ultimi sono con le spalle al muro. La prima Brigata arresta gli ufficiali metaxisti, riorganizza il comando e rifiuta di consegnare le armi, consapevole dei rischi di internamento. Dopo il movimento si allarga alla marina da guerra, il cacciatorpediniere Pindos, poi l'incrociatore Averof, l'Ajax e molti altri. Gli equipaggi ammutinati eleggono un "comitato misto di ufficiali e soldati" che prende il comando. L'ambasciatore britannico presso il governo greco del Cairo telegrafa a Churchill:



"Ciò che succede qui tra i Greci non è né più né meno che un rivoluzione…". (24)


La repressione è organizzata sotto il controllo diretto e personale di Churchill. L'arrivo al Cairo di re Giorgio II è un simbolo quanto una provocazione; l'appoggio dei giovani egiziani agli ammutinati è una promessa densa di futuro. Il 13, l'ammiraglio Cunningham proclama di essere deciso a "stroncare le rivolta con la forza" e, all'occorrenza, a colare a picco le navi greche nella stessa rada di Alessandria. Le unità terrestri ammutinate sono circondate, senz'acqua e affamate. Il 22, un colpo di mano organizzato da un vecchio gerarca metaxista, l'ammiraglio Vulgaris, prende il controllo dell'Ajax; le altre navi cedono di fronte ai cannoni britannici; il generale Paget lancia i suoi carri contro la prima brigata che a sua volta capitola. In pochi giorni, circa 20mila volontari greci dell'esercito del Medio Oriente si ritrovano nei campi di concentramento dell'Eritrea e della Libia. (25)

L'esercito greco del Medio Oriente non esiste più. La situazione è ormai matura per creare al suo posto truppe d'assalto preparate specificamente, sul terreno tecnico e politico, per la guerra civile che seguirà la "liberazione".

Registriamo la soppressione di ogni tipo di informazione su questi fatti per effetto della censura britannica. Questo episodio occupa uno spazio minore perfino nei lavori sulla resistenza greca. Tuttavia tali fatti sono estremamente illustrativi e ciò spiega senza dubbio la congiura del silenzio che li ha colpiti. Le rivolte dei soldati greci in Egitto rivelano infatti tanto la menzogna della difesa nazionale quanto quella dell'unità nazionale: i 20mila volontari volevano "difesa" ed "unione" ma i loro capi non ne volevano sapere e li hanno schiacciati. I dirigenti greci in esilio ed i capi britannici hanno preferito distruggere truppe di grande valore, sperimentate, piuttosto che lasciargli esprimere il loro punto di vista sulla guerra, la "difesa" e l'"unione". Questi fatti smentiscono inoltre la menzogna della "guerra contro il fascismo", per "la libertà e la democrazia". Per i Greci, Metaxas è un odiato dittatore fascista. Gli Alleati vogliono imporre i suoi complici; la politica di Churchill mira a restaurare il dominio delle forze che hanno sostenuto Metaxas.

Le osservazione di Trotsky del 1940 sulla guerra acquisiscono qui il giusto rilievo: i soldati greci del Medio Oriente vorrebbero battersi, le armi alla mano, contro il fascismo, e rifiutano di farlo agli ordini di fascisti, esigono ufficiali che godano della loro fiducia, stringono un'alleanza col movimento operaio, costituiscono i loro propri organismi di tipo sovietico. E' sulla linea definita Trotsky : "Battersi, sì, ma non alla Petain o sotto i vari Petain" che si manifesta il movimento di massa sorto dalla guerra, il quale si sviluppa, come previsto da Trotsky, in quell'importante settore della "società militarizzata" che è l'esercito - non meno importante delle fabbriche.

Dopo i colloqui di Mosca ed i mercanteggiamenti al termine dei quali Stalin si è impegnato a lasciare a Churchill mani libere in Grecia  (26), tocca al PCG e, attraverso di esso, all'EAM di passare la corda dell'impiccato attorno al collo del movimento di massa, dopo aver contribuito politicamente alla repressione contro gli ammutinati.

Dopo la crisi dell'aprile 1944, il governo in esilio al Cairo è stato affidato a Georgi Papandreu che tenta di dare impulso al "raggruppamento anticomunista". Sotto la sua pressione, i dirigenti EAM-ELAS firmano il 30 maggio 1944 la "Carta del Libano" che condanna … il terrorismo dell'ELAS, l'indisciplina degli ammutinati, fra cui fioccheranno numerose condanne, lascia aperta la questione monarchica, accetta un commando unico delle forze armate ed il ristabilimento dell'ordine "in collaborazione con le truppe alleate" alla liberazione. Per molte settimane, l'EAM-ELAS è recalcitrante, tratta, richiede ministri, un cambiamento del primo ministro. Tuttavia, la visita "sulle montagne" della missione sovietica diretta dal colonnello Popov mette un termine a queste capricciose velleità. I comunisti e l'EAM entrano senza condizioni nel governo. Alla ritirata dell'esercito tedesco - che abbandona Atene il 12 ottobre - il PCG lancia un appello ai Greci per "mantenere l'ordine pubblico", assicurare il passaggio del potere nelle mani di Papandreu, arrivato con le truppe britanniche, mentre l'ELAS ha ovunque il potere reale. E' proprio Winston Churchill a provocare i "resistenti" facendo salvare dal generale Scobie, capo delle forze armate, le unità di collaborazionisti, ad esempio i battaglioni di sicurezza, rifiutando ogni sorta di epurazione e facendo decidere il 2 dicembre dal governo Papandreu il disarmo degli uomini dell'ELAS. E' noto che le fucilate di piazza della Costituzione - decine di morti e centinaia di feriti tra una folla pacifica sulla quale la polizia apre il fuoco -, nel corso della più grande manifestazione della storia greca, il 3 dicembre, contro la decisione del disarmo, scatenarono i 33 giorni di lotta armata ad Atene tra le forze dell'ordine, coalizzate attorno al generale Scobie, e quelle della Resistenza locale.


Winston Churchill realizzava infine il suo piano di strangolamento della rivoluzione greca, annunciando che interveniva per prevenire un orribile massacro - ovvero la volontà di giustizia e di epurazione - ed impedire ciò che definiva la vittoria del "trotskismo aperto e trionfante" con un sogghigno di complicità nei confronti di Stalin (27). A partire dal 3 dicembre, le unità dell'ELAS, i cui capi hanno deciso di non consegnare le armi, sono però paralizzate dal divieto che viene loro fatto di sparare su unità militari britanniche in Grecia "per la volontà del Presidente Roosevelt e del Maresciallo Stalin", come ricorda con piacere Churchill. Gli andartes di Macedonia, la truppa d'assalto e la massa della "Montagna", ricevono l'ordine di non muoversi e di lasciar massacrare i combattenti di Atene. L'eroismo dei combattenti non può nulla contro la politica dei dirigenti fermamente decisi a condurli alla capitolazione pretesa da Mosca.

Sappiamo che dopo alcune settimane di trattative, e quando l'ELAS non ha indietreggiato che ad Atene - che le forze interne al paese non hanno nemmeno soccorso - i partigiani sono abbandonati alla repressione dall'accordo di Varkitsa del 15 febbraio 1945 che prescrive il disarmo completo delle loro unità. Aris Velouchiotis, questa volta, prende la misura dell'ampiezza del tradimento orchestrato dal PCG e rifiuta di sottomettersi. Denunciato dal giornale del PCG Rizopastis il 12 giugno, Aris è assassinato il 16 e la sua testa è esposta pubblicamente nei villaggi a partire dal 18. Quanti altri combattenti della resistenza nazionale e popolare cadono allora sotto i colpi dei Britannici e delle unità, specializzate nella guerra civile, formate ad Atene sotto l'egida del comando tedesco o al Cairo sotto quella britannica? Saranno tuttavia necessari diversi anni per venire a capo del vento di lotta della rivoluzione greca.

I Trotskisti nella guerra

Non ci poniamo qui il compito di intraprendere un esame esaustivo della politica dei trotskisti durante la seconda guerra mondiale confrontandola a quella che Trotsky abbozzò a grandi linee poco prima di morire e che i suoi compagni non conobbero, di solito, tempestivamente. Ciò sarà oggetto di studi più ampi. La mia ignoranza del greco mi impedisce di utilizzare consistenti ricerche consacrate all'attività dei trotskisti durante la guerra. Speriamo di colmare questa lacuna. Nell'attesa, bisogna guardarsi da ogni giudizio affrettato. I trotskisti hanno subito a datare dal 4 agosto 1936 una repressione feroce: la maggioranza dei suoi militanti è stata arrestata e scaraventata nei bagni penali delle isole da cui molti non sono mai usciti. Molti dei loro dirigenti, tra cui il vecchio segretario del PCG Pantelis Pouliopoulos, sono stati passati per le armi durante l'occupazione. Le condizioni della clandestinità verosimilmente sono state per loro così dure da non consentire nemmeno la riunificazione tra le loro tre organizzazioni come era stato deciso dalle rispettive dirigenze nel 1938. Nel più roseo dei casi, i militanti trotskisti conosciuti, quando sono stati ammessi nelle unità dell'ELAS, sono stati rigidamente sorvegliati e scrupolosamente isolati. Quelli che sono riusciti a conquistarsi un ruolo dirigente nel Fronte o nell'Esercito del Popolo sono stati uccisi in un modo o nell'altro dagli stalinisti. Inoltre, tra ottobre e dicembre 1944, in tutto il paese, gli agenti dell'OPLA, autentici sgherri della GPU greca, hanno portato avanti contro i trotskisti una campagna di sterminio e di assassinii con relativi rapimenti, torture ed esecuzioni contro militanti del calibro di Stavros Veroukhis, segretario dell'Unione degli Invalidi di Guerra, Thanassis Ikonomou, ex segretario dei Giovani Comunisti a Ghizi, operai, portuali, metalmeccanici, insegnanti: "più di 600 trotskisti liquidati" si vanterà nel 1947 Barziotas, membro dell'Ufficio Politico del PCG. Noi non possediamo i mezzi per verificare la politica dei trotskysti greci e capire come avrebbero potuto sfuggire a questa terribile sorte. René Dazy cita un testo del 1943 dell'organo dei trotskisti greci: "Gli Anglo-Americani verranno per riconsegnare alla borghesia greca il potere statale. Gli sfruttati non avranno fatto altro che cambiare un giogo con un altro"  (28). Benché fosse effettivamente così, è evidente che i trotskisti greci, accontentandosi di profezie negative e non inserendosi nel movimento delle masse, si sarebbero condannati a morte. All'indomani dei combattimenti del dicembre 1944 e dell'assassinio di numerosi militanti, M. Raptus, all'epoca segretario europeo della Quarta Internazionale, con lo pseudonimo di M. Spero, richiamando le parole di Trotsky sull'epoca della lotta armata, rende omaggio all'azione delle masse greche quando "un vento rivoluzionario soffiava nei quartieri e nei sobborghi proletari di Atene" ed assicura che del m"essa rimarrà uno degli esempi più splendidi del movimento proletario". Raptus non proferisce, però, nemmeno una parola sull'attività dei trotskisti greci, spiegando tra l'altro che "malgrado l'ideologia frontepopulista, democratica, nazionalista della sua direzione" (29), l'EAM "manteneva un'enorme autonomia di classe nell'azione". Non si troverà niente di più ed anzi molto meno nei testi e nelle risoluzioni successive dell'Internazionale.


Andreas Kedros, storico della Resistenza greca dalle idee non chiare sullo stalinismo, sottolinea la profondità e la rilevanza internazionale del "coup di Atene", "colpo di grazia", scrive, per "tutti i movimenti resistenziali ispirati dai partiti comunisti" (30). Ciò significherebbe che, come Kedros afferma, la repressione britannica in Grecia ha "pesato pesantemente sulle decisioni e la tattica di Thorez, Togliatti ed altri leader"? Ciò è evidentemente insostenibile perché queste decisioni erano determinate da quegli stessi fattori che avevano determinato, a Mosca, la tattica del PCG. E' altresì del tutto verosimile che la sconfitta greca abbia facilitato la politica stalinista di capitolazione e di restaurazione dell'ordine capitalista nell'Europa occidentale e che essa abbia pesato in maniera rilevante, in senso negativo, sul morale e sulla combattività di quelli che, ovunque in Europa, avevano identificato "lotta nazionale" e "lotta sociale" ed avevano creduto di essersi impegnati, con la Resistenza, sulla via della rivoluzione. Bisognerebbe, ma non è possibile in un articolo, analizzare concretamente questo sviluppo in ogni paese europeo.


A parte ciò, un esame dei testi raccolti da Rodolphe Prager in I congressi della Quarta Internazionale fornisce il materiale essenziale per la riflessione sulla storia della Quarta Internazionale durante la guerra - al quale non manca che la posizione iniziale del gruppo dell'ex-PCI e della sua tendenza sorella guidata da Vereeken in Belgio. Prager scrive all'inizio del secondo volume:
"A chi potesse dubitare della necessità di fondare la Quarta Internazionale in un'epoca di riflusso, con deboli forze, la guerra ha dato una risposta categorica. L'Internazionale fronteggiò coraggiosamente lo scatenarsi della violenza e delle persecuzioni congiunte dei regimi "democratici" e fascisti e degli energumeni stalinisti che si accanivano contro le sue organizzazioni. Essa restò fedele alle sue convinzioni rivoluzionarie. Malgrado gravi perdite che essa dovette sopportare e di qualche defezione individuale inevitabile, è lodevole che essa non abbia soltanto conservato le sue forze ma che le abbia perfino notevolmente accresciute e ringiovanite, negli USA, in Gran Bretagna ed in altri paesi. Se essa non ha potuto realizzare lo sfondamento di massa messo in conto, in ragione dei limiti delle situazioni rivoluzionarie e della ripresa dei partiti stalinisti, essa vide comunque la nascita di nuove sezioni" (31).

Si tratta senz'altro di un bilancio ragionevole. Il contrasto è però notevole con i testi di Trotsky all'inizio della guerra. Ad esempio, sugli Stati Uniti:
"La classe operaia americana non ha a tutt'oggi un partito operaio di classe. La situazione oggettiva e l'esperienza accumulata dagli operai americani, però, possono porre in un lasso di tempo breve la questione della presa del potere. E' tale prospettiva che deve essere alla base della nostra agitazione. Non si tratta semplicemente di prendere una posizione sul militarismo capitalista e sul rifiuto di difendere lo Stato borghese, ma della preparazione diretta per la presa del potere e la difesa della patria socialista" (32).

O ancora, nel testo non terminato del 20 agosto 1940:
"Davanti a noi abbiamo una prospettiva favorevole che fornisce ogni giustificazione alla militanza rivoluzionaria. Bisogna utilizzare tutte le situazioni che si presenteranno e costruire il partito rivoluzionario" (33).

Di fronte alla nettezza di tali affermazioni non è possibile per lo storico limitarsi a richiamare "i limiti delle situazioni rivoluzionarie" e "l'ascesa stalinista", a meno che non si voglia suggerire l'idea che questi erano per Trotsky fattori non prevedibili! Bisogna innanzitutto riconoscere l'esistenza di questa contraddizione, anche se nessuno è tenuto a darne una spiegazione, o a dire se a sbagliarsi era Trotsky oppure i trotskisti. Prager indica inoltre che la "politica militare del proletariato" - la politica abbracciata dal SWP su consiglio di Trotsky - suscitò notevoli reazioni di ostilità in vasti settori della Quarta Internazionale. Egli cita a tale proposito il fatto che la sezione belga censurò il paragrafo di Trotsky su tale questione nella sua edizione clandestina del Manifesto del maggio 1940 e menziona le "riserve" della sezione francese e del Segretariato Europeo (34).

I trotskisti francesi si sono divisi nel 1940 in due correnti sulla base di prospettive in ultima analisi altrettanto distanti sia l'una che l'altra da quella di Trotsky. Seguendo la concezione per cui la sconfitta dell'imperialismo francese e l'occupazione del territorio provocavano, con l'oppressione nazionale, la rinascita di un'autentica "questione nazionale" concernente tutte le classi, proprio come in un paese coloniale, la maggioranza dei militanti provenienti dal POI, raggruppati attorno ai "comitati" che pubblicavano La Vérité, delinea una strategia secondo cui la borghesia di un paese occupato diventa l'alleato naturale del movimento operaio e quest'ultimo un membro a tutti gli effetti di una "resistenza nazionale". Specularmente, il gruppo La Seule Voie, uscito dal PCI e futuro CCI, contesta che una nazione imperialista possa trasformarsi, in seguito ad una disfatta militare, in "nazione oppressa": le rivendicazioni nazionali sono così ai suoi occhi "l'importazione in seno al proletariato dell'ideologia borghese al fine di demoralizzarlo".
Queste due posizioni, speculari sono in un certo senso il risultato dell'isolamento. Esse saranno progressivamente abbandonate sotto l'impulso del segretariato europeo, diretto inizialmente da Marcel Hic e poi, dopo il suo arresto nell'ottobre 1943, da Michel Raptis. La costituzione nel febbraio 1942 del segretariato europeo nel villaggio di Saint-Hubert, nelle Ardenne belghe, costituisce senz'altro un exploit politico e tecnico nell'Europa di quel periodo; ma significa anche il ritorno di un'organizzazione che pensa e si organizza sul piano internazionale. I punti di vista si sono già notevolmente avvicinati nel 1944 - benché il CCI spieghi ancora che il compito prioritario dei rivoluzionari sia di "denunciare" con accanimento "l'unità nazionale", e, in seconda battuta, "di spiegare agli operai che essi devono prepararsi ad un nuovo giugno 36 su scala mondiale", sviluppando al contempo "un'intensa propaganda per la fraternizzazione con gli operai tedeschi"… A proposito della questione che ci interessa in questo articolo, Rodolphe Prager sintetizza piuttosto bene il tipo di "consenso" infine definito sulla questione della lotta armata quando scrive:

"I rapporti con la Resistenza ufficiale […] non potevano prendere altra forma che quella dell'indipendenza, a meno di essere d'accordo col fronte dei Francesi. Ma ci si doveva premurare dal confondere questa struttura col movimento di massa ed inglobarli in una stessa critica. Ciò non escludeva, nemmeno, una partecipazione individuale a questi movimenti per influenzare certi elementi […]. Questo lavoro non ha senz'altro ricevuto uno sviluppo sufficiente, per mancanza di effettivi, e perché i trotskisti accordarono la priorità alla lotta nelle fabbriche. Esso non avrebbe di certo modificato in maniera incisiva i rapporti di forza ed il corso degli eventi. Gli insuccessi dei trotskisti, essenzialmente, non provengono da errori tattici ma dalla loro posizione controcorrente e dall'influenza stalinista sulle masse…" (35).

Evidentemente, in questa concezione il richiamo di Trotsky alla linea della lotta armata, l'invito ai "rivoluzionari socialisti proletari" a diventare "militaristi" per giocare il ruolo che gli spetta nel mondo militarizzato, sono assenti, o al massimo ridotti alla categoria "partigiani" che è di secondaria importanza, del tutto subordinata alla "lotta nelle fabbriche". Nell'assenza dell'analisi sviluppata da Trotsky sulla "militarizzazione" la scoperta dell'attrazione esercitata sulle masse dalla "lotta armata" avrebbe dovuto porre notevoli grattacapi: così la risoluzione del Segretariato europeo del 1943 sul "movimento dei partigiani" - ripresa nella sua interezza dalla conferenza europea del 1944 - riconosceva il "carattere parzialmente spontaneo" di quest'ultimo, affermando che i bolscevico-leninisti erano in quel momento "obbligati a prendere in considerazione questa forma di lotta delle masse"… La risoluzione definiva il "movimento partigiano" come "organizzazione militare subordinata all'imperialismo anglo-sassone", ma constatava che "la partecipazione delle masse", nei paesi balcanici ed in Occidente a partire dalla deportazione massiccia di manodopera, senza modificarne la natura, richiedeva che i rivoluzionari gli proponessero un programma al fine di "fare comprendere che essi [i partigiani] dovevano giocare il ruolo di distaccamenti armati al servizio della rivoluzione proletaria" (36). Era senz'altro tardi per muoversi.

Si potrebbe ipotizzare che la differenza fosse profonda tra le posizioni degli europei, quali le riassume R. Prager, e quelle degli Americani, che applicavano metodicamente "la politica militare" preconizzata da Trotsky nei loro incontri e nella loro corrispondenza del 1940. In realtà, su questo terreno come su quello delle prospettive generali si esprime una parentela del tutto eccezionale. James P. Cannon, attaccato da Munis per la maniera « opportunista » con cui avrebbe presentato la politica del SWP al processo di Minneapolis iniziato il 27 ottobre 1941, rispondeva nel maggio 1942 :

"Le masse oggi, a causa di ogni genere di pressione e di disillusione e del ruolo della burocrazia operaia ed anche dei rinnegati socialisti e stalinisti, accettano e sostengono la guerra, cioè agiscono con la borghesia e non con noi. Il problema del nostro partito è in primo luogo quello di comprendere questo dato di fatto elementare; in secondo luogo, di prendere una posizione d'"opposizione" politica" e dopo, su questa base, di cercare di approcciarsi agli operai patrioti, onesti e di tentare di farli passare dal campo della borghesia al nostro per mezzo della propaganda. E' l'unica "azione" che noi possiamo intraprendere per il momento, in quanto piccola minoranza" (37).

Se mettiamo da parte due testi pubblicati in quel periodo da Jean van Heijenoort (38), allora segretario della Quarta Internazionale, con lo pseudonimo di Marc Loris, si potrebbe pensare che all'infuori di lui, che era stato per anni a diretto contatto con il pensiero non dogmatico di Trotsky, nessuno nell'Internazionale od ai suoi margini avesse compreso la "linea della militarizzazione". Ognuno a modo suo, Rous col suo Movimento Nazionale Rivoluzionario (39) e Marcel Hic con le sue tesi sulla "questione nazionale" nei comitati per la Quarta40 sarebbero passati oltre l'ostacolo, mentre gli altri dirigenti si sarebbero rinchiusi in un'ortodossia paralizzante ed avrebbero corso i rischi denunciati con tanto vigore da Trotsky riguardo alle tendenze "pacifiste". All'infuori del veterano dell'opposizione di sinistra russa Tarov (A.A. Davtian), impegnato individualmente nei Francs-Tireurs Partisans-MOI e fucilato con gli altri membri del gruppo Manoukian sotto la falsa identità di "Manoukian", noi non scorgiamo che un solo esempio contrario netto, quello di Chen Du Xiu il quale prevedeva, poco dopo la sua uscita di prigione, di organizzare il suo lavoro militante intervenendo nel dipartimento politico di una divisione il cui capo capiva l'importanza della chiarezza politica per l'efficacia militare (41). Il tentativo fu sconfitto prima di poter iniziare. La polizia del Kuomintang ne aveva compreso la minaccia meglio dei compagni di Chen. Sulla stessa lunghezza d'onda, le esitazioni di fronte al movimento di resistenza armata indicano che sarebbe interessante studiare la rappresentazione della rivoluzione nella Quarta Internazionale durante la guerra, questa apparendo spesso in forma apocalittica e sopraggiungendo indipendentemente dallo sviluppo concreto e come il suo seguito. La preparazione quasi esclusivamente "propagandista", il ricorso alle armi della "denuncia" e della "spiegazione" che erano state evidentemente durante la guerra le attività principali di una organizzazione che i suoi dirigenti vedevano andare controcorrente, avevano preparato i suoi quadri alla rivoluzione? Le straordinarie debolezze della risoluzione del SWP del novembre 1943 non erano il frutto, almeno in parte, di un siffatto isolamento "propagandista" ? (42)
Come potevano trovarsi a nuotare nel senso della corrente, dopo la svolta nella situazione oggettiva, uomini che assicuravano che il Cremlino non poteva giocare un ruolo controrivoluzionario su grande scala, che l'imperialismo americano avrebbe giocato nell'immediato un ruolo altrettanto saccheggiatore di quello tedesco, che l'unica alternativa in Europa era tra governo operaio e dittatura brutale della borghesia, senza possibilità di un regime parlamentare, che respingevano le parole d'ordine democratiche ed affermavano che non c'erano più "illusioni democratiche" nella classe operaia europea? Possiamo spingerci oltre e dire che se i trotskysti si fossero trovati alla testa o almeno all'interno del movimento rivoluzionario delle masse, dopo anni di applicazione di tale linea, allora si sarebbe dovuto rovesciare l'ABC del marxismo e del bolscevismo e dare ragione al punto di vista difesa da sempre dai settari secondo il quale il ruolo dei rivoluzionari nei periodi di riflusso consiste nel limitarsi alla propaganda attendendo che l'oscillazione del pendolo della lotta di classe gli porti le masse…

Sottostante alla discussione - o piuttosto all'assenza di discussione - sui problemi cruciali, si trova la questione del ruolo dello stalinismo ma anche quella della costruzione del partito rivoluzionario come Trotsky l'intende nel 1940. La nostra impressione, dopo avere letto i documenti dell'Internazionale del periodo della guerra, è che vi erano dei riferimenti alla questione del partito più sotto forma di invocazione magica che di riflessione sulle cognizioni già acquisite e l'elaborazione di un metodo di costruzione. Mi sembra - e senza malanimo perché ero tra quelli - che i trotskisti in quel periodo avrebbero almeno imparato come non si poteva costruire un partito rivoluzionario. In una ricerca recente e purtroppo ancora inedita, Tradizione rivoluzionaria e "partito nuovo" in Italia 1942-194543, Serge Lambert ha dimostrato che, contrariamente ad una certa leggenda, la rivoluzione italiana non è stata battuta in maniera decisiva durante l'effimera dualità di potere del 1945 tra l'amministrazione alleata e "comitati" o "repubbliche partigiane", ma nel momento in cui l'apparato del "partito nuovo" messo in campo da Togliatti e gli uomini di Mosca aveva vinto la resistenza in ordine sparso dei diversi gruppi di opposizione comunista a partire dal 1943: distrutta ogni possibilità di mettere in piedi un partito rivoluzionario, i giochi erano ormai fatti quando i dirigenti del PCI avevano potuto, senza correre pericoli, dare l'ordine di ciò che era, secondo la formula di Lambert, "l'insurrezione contro la rivoluzione". Serge Lambert dimostra inoltre molto bene che la debolezza politica decisiva di numerosi di questi gruppi - fra cui alcuni svilupparono qua e là formazioni armate più importanti di quelle del PCI - è consistita nell'illusione che li legava ad una sorta di natura "obiettivamente rivoluzionaria" dell'URSS. Secondo questi gruppi la rivoluzione si sarebbe allargata con l'avanzata dell'Armata Rossa - una concezione che non troviamo soltanto nell'edizione de La Vérité del febbraio 1944 ed in un titolo divenuto famoso ma in tutta la stampa mondiale della Quarta Internazionale (44).

La questione che abbiamo voluto trattare in questo articolo non è accademica. Le organizzazioni trotskiste, i loro militanti come i loro dirigenti, sono state, durante la seconda guerra mondiale, vittime di una situazione oggettiva che, comunque, li schiacciava e dunque non potevano fare meglio di quanto è stato fatto, ovvero sopravvivere arrotondando il loro numero di militanti e salvare l'onore di internazionalisti mantenendo controcorrente il lavoro militante di "fraternizzazione" coi lavoratori tedeschi in uniforme? Se fosse stato così, sarebbe coerente riconoscere che Trotsky, con la sua analisi sulla necessaria militarizzazione e la sua prospettiva di costruzione a breve termine del partito rivoluzionario e di inizio della lotta per il potere, era totalmente tagliato fuori, nel 1940, non solo dalla realtà politica mondiale ma anche dalla sua propria organizzazione. Si sarebbe così cullato in illusioni che gli facevano intravedere possibilità di sfondamento quando in realtà la Quarta Internazionale era destinata per un lungo periodo all'impotenza di chi è controcorrente, davanti alla "presa di ferro degli stalinisti sulle masse". Potremmo però al contrario ipotizzare che le organizzazioni trotskiste, militanti e dirigenti, sono state parte in causa, ed almeno in parte responsabili delle proprie sconfitte? In questo caso potremmo pensare, a partire dalle premesse dell'analisi di Trotsky del 1940, che la seconda guerra mondiale ha sviluppato un movimento di massa sulla base di una resistenza nazionale e sociale che gli stalinisti si sono sforzati di deviare e fare schiantare, come nel caso greco, - e che i trotskisti non hanno potuto né aiutare né utilizzare non avendo saputo inserirvisi e forse perfino, semplicemente, non avendo potuto comprendere il carattere concreto dell'epoca che vivevano.
Ci sembra che questa questione meritasse di essere posta.



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Piccolo lessico delle sigle



ASO: Apelephtherotiki Stratiotiki Organosis (Organizzazione militare di liberazione).

EAM: Ethniko Apelephtherotiko Metopo (Fronte di Liberazione Nazionale).

EDES: Ethnikos Dimokratikos Ellinikos Syndemos (Lega Repubblicana Nazionale Greca).

EEAM: Ergatiko Ethniko Apelephtherotiko Metopo (Fronte nazionale di Liberazione dei Lavoratori).

EKKA: Ethnikikai Koinoniki Apelephtherosis (Liberazione Nazionale e Sociale).

ELAS: Ethniko Laikos Apelephtherotikos Stratos (Esercito Nazionale di Liberazione del Popolo).

KKE: Kommounistiko Komma Ellados (Partito Comunista Greco, PCG).

OPLA: Organosis Politikis Laikis Amynas (Organizzazione Politica per la Sicurezza del Popolo).

SWP: Socialist Workers Party (Partito Socialista dei Lavoratori - USA)




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Note

1- L. Trotsky, "Sur la deuxième guerre mondiale", pubblicato in Belgio da La Taupe e poi riedito da Seuil nel 1974. Gli articoli e le interviste di Trotsky sono state in alcuni casi tagliati nei passagi che non riguardavano direttamente la seconda guerra mondiale ma, di solito, la guerra di Spagna e la Quarta Internazionale. I testi completi sono rintracciabili nelle Oeuvres.


2- Utilizziamo l'edizione curata da Seuil nel 1974. Osserviamo che nel 1945 la pubblicazione nel Bollettino Interno del segretariato europeo di alcuni estratti di questi testi provocò vivaci reazioni contro Trotsky da parte di numerosi militanti. Uno di essi, (Arn.), francese o belga, inviò al segretariato un articolo intitolato:"Sulla politica militare del proletariato: il Vecchio ha ucciso il trotskismo?", che definiva la posizione di Trotsky "sciovinismo puro e semplice", discuteva "l'ampiezza dei suoi limiti", attribuendogli "la volontà di difendere la Patria senza prima rovesciare la borghesia, col pretesto della minaccia di un imperialismo rivale", ed arrivando addirittura a domandare: "Dobbiamo porre onestamente e francamente la questione di sapere se è conveniente continuare a qualificarci con l'appellativo di trotskisti nella misura in cui il leader della Quarta l'ha sporcato nella melma del social-sciovinismo". (Archivi del Segretariato Internazionale).



3- "Fascismo, bonapartismo e guerra", tomo 24 delle Oeuvres di L. Trotsky.
4- Ibidem.
5- Ibidem.
6- Ibidem.
7- Ibidem.

8- Ibidem.

9- "Intervista con i dirigenti del SWP" (12-15 giugno 1940), versione completa in Oeuvres, volume 24. In italiano L. Trotsky, Guerra e rivoluzione, Mondadori, Milano 1979, pp. 199-210.
10- Ibidem.

11- "Non cambiamo strada", versione completa in Oeuvres, volume 24. In italiano L. Trotsky, op. cit.,

12- Ibidem.
13- Ibidem
14- Ibidem

15- Not guilty (resoconto delle sessioni della Commissione Dewey a Coyoacan), p. 290.

16- D. Guerin, op. cit., p. 16.

17- R. Prager, op. cit., vol. I, p. 378. In italiano L. Trotsky, op. cit., pp. ??-??.
18- A. Kedros, La Résistance grecque 1940-1944, p. 174.
19- Ibidem, p. 122.

20- E. Myers, The great entanglement, p. 189.

21- A. Kedros, op. cit., p. 199, riporta nel suo libro una relazione della polizione tedesca sull'arrivo al potere di Ioannis Rallis:" Si dice che sia l'uomo di fiducia di Pangalos, che è l''agente degli inglesi". Lo stesso storico, menzionando l'organizzazione fascistizzante "Gerarchia militare" , il generale Papagos e Rallis, precisa: "Tutti questi uomini e queste formazioni politiche saranno direttamente o indirettamente sotto la supervisione di un consigliere segreto del Re che è anche un prelato: il metropolita di Atene Chrisantios" (Kedros, op. cit., p. 179).
22- Citato da A. Kedros, op. cit., p. 409, sulla base del racconto del dirigente comunista e partigiano in Yugoslavia Svetozar Voukhmanovic, Ueber die Volksrevolution in Griechenland, 1950, p. 38.
23- D. Eudes, Les Kapetanios, p. 111.
24- Citato da Winston Churchill, Mémoires sur la Deuxième guerre mondiale, Tomo V, vol. 2, p. 223.

25- Le fonti ufficiali del governo in esilio ammettono la cifra di 10mila.
26- Il racconto di questa "divisione" fatta su bigliettini di carta la si trova in Churchill, op. cit., Tomo V, vol. 1, pp. 234-235.
27- Il 19 dicembre davanti ai Comuni Churchill giustificò in questi termini l'uso del termine "trotskismo": "Credo che "trotskismo" sia la miglior definizione per il comunismo greco e per certe altre sette. Inoltre c'è il vantaggio che esso è odiato ugualmente in Russia". (Risate prolungate). Durante il dibattito del 13 dicembre Churchill aveva invitato il deputato comunista Gallagher a non scaldarsi troppo per la situazione in Grecia, a meno di voler correre il rischio di essere accusato di "trotskismo".

28- Citato da René Dazy, Fusillez ces chiens enragés, p. 266.

29- M. Spero, "La Révolution grecque", Quatrième Internazionale, n°14/15, gennaio/febbraio 1945, p. 24. Sullo stesso tema esiste anche un Bollettino internazionale interno speciale del gennaio 1945, che non menziona nemmeno l'esistenza di organizzazioni trotskyste in Grecia. Nel febbraio 1945 Fourth International pubblico un documentato articolo intitolato "Guerra civile in Grecia", pp. 36-49. Il paragrafo "Il trotskysmo in Grecia" resta sul generale: "L?ELAS è trotskysta solo in un senso - l'istinto rivoluzionario dei souoi indomabili combattenti, la loro capacità di combattere e di sacrificarsi. Ma il suom programma e la sua direzione non erano per nulla "trotskysti". Più avanti: "I trotskysti impareranno a legarsi alle masse ed alle loro lotte". Riguardo al terrore scatenato dagli stalinisti contro i trotskysti bisognerà attendere molto tempo. In Quatrième Internazionale, n° 22/23/24, di sett./ott./nov. 1945, p. 41, una nota nella rubrica "Grecia" segnala che "sarebbe ora" di informare l'opinione pubblica operaia mondiale sulla campagna di assassinii di militanti rivoluzionari da parte degli stalinisti in Grecia. Segue una prima lista. Fourth International, organo del SWP, nell'ottobre 1945, p. 319, "Nella Quarta Internazionale", afferma: "I giornale del PCI (Quarta Internazionale), solo partito rivoluzionario in Grecia, sono illegali. I militanti di questo partito sono perseguitati, cacciati e spesso apertamente assassinati dal governo come dagli stalinisti". In realtà, vi erano delle divergenze tra la SI ed i trotskisti greci tanto che il 25 novembre 1946, M. Raptis, con la firma "pilar", scriveva alla sezione greca: "Il punto non è di conformarsi alla lettera ad ogni risoluzione politica dell'Internazionale, ma non è accettabile scavalcare la sua linea su questioni essenziali come quella della tattica verso l'EAM, , l'ELAS e gli avvenimenti del dicembre 1944". Quatrième Internazionale di ott./nov. 1946 dà un resoconto di un congresso di unificazione, fine luglio 1946, che ha fatto nascere il PCI di Grecia e ne pubblica il "Manifesto" (pp. 40-43): "Malgrado la sua volontà e la sua retorica nazionalista, malgrado la sua politica di conciliazione e collaborazione di classe, il PCG raggruppò le forze sociali messe in movimento dalla Storia e che erano, in ultima analisi, le forze della rivoluzione proletaria". Sull'approccio dei trotskisti greci, R. Prager, op. cit., p. 348, scrive che essi ebbero un "approccio di riprovazione generale del movimento nazionale da cui presero le distanze e […] mantennero una posizione di neutralità [..] in piena guerra civile, cosa che provocò "l'inquietudine del segretariato europeo". Prager commenta: "Il problema è stato quello di non aver saputo scorgere, oltre le direzioni borghesi e staliniste, il carattere antimperialista ed anticapitalista che esprimeva in potenza questo movimento di massa e la sua dinamica rivoluzionaria"; nel dicembre 1944 i trotskisti greci ridussero gli scontri ad "un conflitto tra l'imperialismo britannico e la burocrazia sovietica, cui partecipavano i diversi gruppi locali", Prager, op. cit., La questione non è semplice: abbiamo trovato negli archivi della SI una lettera di G. Vitsoris in cui egli protesta contro il fatto che il "Manifesto" del congresso di unificazione in Grecia non lancia la parola d'ordine del "ritiro delle truppe britanniche", ma afferma anche di trovare "inaccettabile" che lo stesso Manifesto non dica una parola sugli assassinii dei trotskisti ad opera degli stalinisti.

30- A. Kedros, op. cit., p. 512.
31- R. Prager, Les Congrès de la Quatrième Internazionale, vol. 2.
32- Estratto di "Bonapartismo, fascismo e guerra".

33- Ibidem.
34- Prager, op. cit., pp. 13-14.

35- Ibidem.
36- Ibidem, pp. 221-223.
37- "An answer" (Una risposta) di James P. Cannon, In difense policy in the Minneapolis Trial, p. 54.
38- Nel 1941, col titolo "Dove va l'Europa?", Van Hejienoort difende la centralità della classe operaia nella lotta contro l'occupante nazista e sottolinea il legame dialettico tra "liberazione nazionale" e "sociale", cioè "rivoluzione proletaria", mantenendo ferma la critica alle illusioni che possono nascere sul "movimento di liberazione nazionale". Van Hejienoort scrive: "Il compito dei marxisti non è quello di imporre alle masse la forma di lotta che essi "preferirebbero" ma, invece, di approfondire, allargare e rendere più sistematiche tutte le manifestazioni di resistenza, darvi spirito organizzativo e prospettive generali". Questo articolo pareva essere una critica agli Europei, "revisionisti" sulla "questione nazionale". Quello del 1942 sembra piuttosto una polemica contro la posizione del SWP. Un testo di van Hejienoort del 1944 sottolinea un "insegnamento del bolscevismo": "il suo disprezzo per la propaganda finalizzata meramente ad illuminare le virtù del socialismo", "la sua capacità di sentire le aspirazioni delle masse e sfruttarne l'aspetto progressista" e di saper condurre "un'azione capace di staccare le masse dai loro partiti e capi conservatori". Per il lettore che vorrà conoscere direttamente i testi originali della discussione, vedrà che uno spazio significativo è dato alle "Tre Tesi" degli IKD (comunisti internazionalisti di Germania) ed alla loro posizione sulla questione nazionale. Noi non abbiamo affrontato tale questione che è, in fondo, quella del "revisionismo" aperto, che ha mascherato le altre divergenze: erano invece queste ultime ad interessarci. L'essenziale si rova comunque nel vol. 2 di Prager.
39- Cf. La Révolution française, n° 1, 1940, ed i commenti di differente orientamento di J. Rabaut in Tout est possibile, pp. 343-344, et J.-P. Joubert, Révolutionnaires de la SFIO, pp. 224-226.
40- Prager, op. cit., pp. 92-101, e M. Dreyfus, "I Trotskisti durante la seconda guerra mondiale", Le mouvement social, pp. 20-22.
41- P. Broué, "Chen Duxiu et la IVème Internationale, 1938-1942 », Cahiers Léon Trotsky n° 15, p. 35.

42- Il testo della risoluzione del Consiglio Nazionale del SWP del novembre 1943 è stato pubblicato in Quatrième Internazionale n° 11/12/13 del sett./nov. 1944, col titolo "Prospettive e compiti della rivoluzione europea", con una presentazione che sottolineava "la coincidenza significativa tra la linea generale di questo testo e quella delle risoluzioni della conferenza europea del febbraio 1944".

43- Serge Lambert, Tradition révolutionnaire et "nouveau parti" communiste en Italie 1942-1945, thèse d'Etat de science politique, Grenoble II, 1985.

44-La Vérité clandestina del 10 febbraio 1944 era intitolata: "Le bandiere dell'Armata Rossa si uniranno alle nostre bandiere rosse". In un articolo dell'Internal Bulletin del SWP, vol. VIII, n°8, Felix Morrow cita questo articolo e menziona prese di posizioni analoghe da parte del BLP d'India, de Il cammino di Lenin belga, de El Militante cileno ecc. L'omogeneità politica delle reazioni non significa automaticamente solidità di principi: essa può anche tradurre riflessi conservatori o perfino le pressioni dominanti. Van Hejienoort


Da "Storia e memoria"
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