Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

sabato 29 aprile 2017

POPULISMO E CONTRO-POPULISMO NELLO SPECCHIO AMERICANO di Étienne Balibar





POPULISMO E CONTRO-POPULISMO NELLO SPECCHIO AMERICANO
di Étienne Balibar



Negli Stati Uniti, dopo l’elezione di Trump, i miei amici e i miei studenti avevano sempre la stessa domanda sulle labbra: chi è il prossimo? Crede che Le Pen vincerà le elezioni francesi? Sullo sfondo della rovina delle politiche redistributive cancellate dal neoliberalismo, gli scenari evocati richiamavano alternativamente una sorta di effetto domino – ogni “democrazia liberale” che cade trascina con sé la seguente – e il principio di contagio. La Brexit gli appariva come un segno premonitore di nuove “cattive sorprese” a venire. Lo scacco di Renzi al “suo” referendum costituzionale e la rinuncia di Hollande a candidarsi alla propria successione facevano eco alla disfatta di Hilary Clinton e segnalavano la decomposizione del “centro-sinistra”. Le elezioni presidenziali austriache non risultavano altro che una tregua momentanea, mentre le manifestazioni dei cittadini e delle cittadine di Polonia contro il sistema Kaczynski incarnavano una fragile speranza di resistenza. La questione di sapere se Merkel avrebbe “tenuto” di fronte alla sua estrema destra, ostile all’accoglienza dei rifugiati, fungeva da variabile strategica (si era prima degli attentati di Natale a Berlino).

Ora scopro che le stesse questioni agitano l’opinione e la stampa europea. E da una parte all’altra dell’Atlantico è la categoria di “populismo” che, malgrado la temibile confusione a cui dà luogo, continua a polarizzare analisi e speculazioni.

martedì 25 aprile 2017

#MACRON, #LE PEN,CHI PERDERA' DI PIU'? di Pino Cabras




#MACRON, #LE PEN,CHI PERDERA' DI PIU'?
di Pino Cabras



Il ballottaggio non è sul consenso per sé, ma sul dissenso verso l'altro candidato. Non vincerà il più amato e apprezzato, perderà il più odiato e temuto



Il risultato del primo turno delle presidenziali francesi regala al candidato di plastica Emmanuel Macron, l'uomo dei Rothschild, le apparenti maggiori possibilità di vittoria per il secondo appuntamento alle urne, quello del 7 maggio, quando dovrà vedersela con Marine Le Pen.

I quattro candidati più votati (Macron, Le Pen, Fillon, Mélenchon) si sono spartiti l'80 per cento dei voti, collocandosi ciascuno poco sopra o poco sotto il 20 per cento. Con un dato di partenza così basso, il meccanismo del ballottaggio non potrà mai a giocarsi sul consenso per sé, ma sul dissenso verso l'altro candidato. Non vincerà il più amato e apprezzato, perderà il più odiato e temuto. Entrambi i candidati sono in grado di attirare su di sé le principali forme di dissenso già sperimentate in questi anni nel discorso pubblico dei paesi occidentali. Ognuna di queste forme ha i suoi intellettuali organici, i suoi media di riferimento, i suoi argomenti dominanti.

lunedì 24 aprile 2017

VITE, LA 6e REPUBLIQUE! di Stefano Santarelli




VITE, LA 6e REPUBLIQUE!
di Stefano Santarelli



I risultati elettorali di ieri nel primo turno delle elezioni presidenziali francesi hanno evidenziato la crisi mortale della Quinta Repubblica. Lo dimostra proprio il fallimento elettorale dei due tradizionali partiti che negli ultimi quarant'anni hanno governato la Francia: i neogollisti de Les Républicaines e il Partito Socialista che non sono riusciti ad arrivare al ballottaggio. Ma se nel caso de Les Républicaines questa crisi è dovuta principalmente agli scandali legati alla corruzione e al nepotismo che hanno colpito il suo candidato François Fillon e che comunque ha fatto ottenere quasi il 20% dei voti al contrario i risultati del Partito Socialista sono stati un'autentica Waterloo con il 6,3% dei voti.
La sconfitta del suo candidato Benoît Hamon non è dovuta all'insipienza del personaggio ma si è voluto invece punire la politica imperialista e capitalista condotta dal Presidente Hollande il quale per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica non si è neanche candidato per la rielezione, oltretutto va segnalato anche il fatto che la sua presidenza è stata impotente di fronte agli attacchi terroristici condotti dall'Isis nel territorio francese.
Bisogna ricordare che nelle ultime elezioni presidenziali del 2012 il PS di Hollande aveva preso il 28,63% dei voti, voti che oggi in buone parte sono andati al neo liberale Macron e alla France Insoumise di Mélanchon. A questo punto si apre per il Partito Socialista una crisi che probabilmente metterà fine alla sua stessa esistenza.

mercoledì 19 aprile 2017

COMUNISTI CONTRO STALIN di Luca Cangianti

 
 
 
COMUNISTI CONTRO STALIN
di Luca Cangianti




Cercarono fino alla fine di rompere il silenzio, di denunciare l’atrocità che si stava per compiere. In viaggio verso i campi di concentramento praticarono lo sciopero della fame, srotolarono striscioni e cercarono di coinvolgere la popolazione delle città che attraversavano. Sui battelli che li deportavano verso regioni remote, si riunirono in assemblea e firmarono risoluzioni di protesta da inviare al comitato centrale del partito e alla Terza internazionale. In una bottiglia inserirono un messaggio e la lanciarono nelle acque dello stretto di La Pérouse. Sulla tundra ghiacciata, mentre marciavano a gruppi di cento, sapendo di andare incontro alla fucilazione, cantavano L’internazionale. I giudici, la polizia segreta e il partito li avevano schedati con la sigla Krtd, cioè “controrivoluzionari terroristi trotskisti”, ma loro si definivano “bolscevico-leninisti” per rivendicare il comunismo dei primi anni della rivoluzione, di contro alla degenerazione verificatasi con l’ascesa al potere di Iosif Stalin.
Finalmente è stato pubblicato in italiano Comunisti contro Stalin di Pierre Brouè, lo storico e attivista francese scomparso nel 2005, famoso per le sue ricerche sul movimento comunista internazionale. Il libro, uscito in edizione originale nel 2003, è basato sul materiale reso disponibile con l’apertura degli archivi sovietici. Scopo dichiarato dell’opera, costruita intorno alle biografie di circa 700 oppositori, è sottrarre all’oblio la vita e i nomi delle migliaia di comunisti sovietici massacrati negli anni trenta dello scorso secolo.
L’epiteto di “trotskista” finì per essere rivolto contro chiunque criticasse l’involuzione autoritaria che aveva distrutto la democrazia dei soviet, vietato qualsiasi forma di libertà politica e consegnato il potere a una casta di grigi impiegati di partito, interessata alla difesa del proprio status, dei propri magazzini speciali e di tutti gli altri privilegi ai quali non aveva accesso la maggior parte della popolazione lavoratrice, affamata e sfiancata dai ritmi della produzione taylorista. Tra i comunisti antistalinisti sovietici non troviamo quindi solo i veri e propri seguaci di Lev Trotsky, raggruppati nell’Opposizione di sinistra, ma anche appartenenti ad altre correnti quali ad esempio l’Opposizione operaia, i decisti e i neopopulisti.

lunedì 10 aprile 2017

CARLO PISACANE di Giancarlo Iacchini





CARLO PISACANE
di Giancarlo Iacchini



«Forti nella giustizia della causa, ci dichiariamo iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, non senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo le nobili falangi dei martiri italiani». A seguire, la data del 25 giugno 1857 e le 20 firme dei patrioti imbarcatisi sul piroscafo “Cagliari” e diretti a Sapri, per cominciare appunto la “rivoluzione italiana” all’insegna dell’unità nazionale e della giustizia sociale, pronti a “immolarsi per la libertà dell’Italia” – come scrivono nel documento siglato a bordo, durante la spedizione partita dal porto di Genova – nel caso in cui la loro impresa dovesse fallire. Il primo dei venti nomi è quello di Carlo Pisacane (1818-1857): questo nostro breve e solidale ricordo si colloca tra il 200° anniversario della nascita e il 150° del suo eroico sacrificio.

Pisacane era un napoletano di origini aristocratiche, avviato alla carriera militare nell’esercito borbonico dopo la morte del padre. L’amore (ricambiato) per Enrichetta Di Lorenzo, una ragazza legata ad un matrimonio combinato dalla famiglia, gli fa scoprire la causa dell’emancipazione della donna, e la necessità di rifiutare le convenzioni sociali in base alla spontaneità dei sentimenti e ai diritti di libertà dell’individuo. Nel 1846, dopo avere esternato la propria ammirazione per le gesta di Garibaldi in America Latina, subisce un’aggressione che gli procura serie ferite. Abbandonata Napoli insieme alla sua compagna, è tra i protagonisti dei moti del ’48-49: partecipa infatti all’insurrezione di Milano (le Cinque Giornate) durante la quale conosce Cattaneo e Ferrari – condividendo il federalismo democratico del primo e il radicalsocialismo del secondo – e alla Repubblica Romana, alla cui difesa collabora attivamente anche sul piano militare, sotto le direttive di Mazzini, del quale approva l’ideale repubblicano ma non lo spiritualismo a sfondo religioso, e da cui si distingue per la forte attenzione alla questione sociale.

domenica 9 aprile 2017

IL "PICCOLO CESARE" AL CONGRESSO DEL PD di Diego Giachetti






IL "PICCOLO CESARE" AL CONGRESSO DEL PD
di Diego Giachetti




Renzi “narra” di meno, è più riservato, tiene a freno lingua, twitter e partecipazione ai talk show, in compenso ci pensano i mass media fare del congresso del Pd un evento che surclassa tutti gli altri, rappresentandolo come l’ombelico del mondo italiano. Ingrati tempi ci costringono a seguire la prima fase del congresso, quello riservata agli iscritti, a cui seguirà la seconda quella delle primarie aperte a tutti. I risultati del primo tempo sono noti, Matteo Renzi ha ottenuto 176.743 voti, pari al 66,73% dei 264.879 voti validi (su 266.370 votanti, cioè il 59,15% degli iscritti), Andrea Orlando si è fermato al 25,26%, con 66.917 voti, Michele Emiliano è arrivato terzo con 21.219 voti, pari all’8%.

Innanzi tutto non bisogna fare come fa Renzi il quale, non a caso, sbandiera la percentuale del suo successo, dimenticando i valori assoluti. I numeri parlano di un partito che si è fatto più piccolo, di una partecipazione politica attiva alla discussione in calo, così come sono diminuiti anche i votanti. Nel 2009 il Pd dichiarava 831.042 iscritti, nel 2013 erano calati a 539.354, dopo i tre anni di segreteria Renzi oggi risultano essere 449.852, meno 90 mila circa. Il partito guidato da Renzi ha subìto una cura dimagrante, senza attendere l’uscita dei “bersaniani”. Dei rimasti solo 266.726 hanno votato nei congressi di circolo del Pd, un’affluenza pari al 59%. Un piccolo universo, neanche rappresentativo più di tanto dei “fedeli” iscritti alla ditta: un 41% non ha neanche votato. Ecco che il 67% sbandierato come vittoria travolgente di Renzi si ridimensiona per acquisire il suo reale peso: poco più di 170 mila voti. Un successo in declino anche tra i fedelissimi del Pd. Sempre inchiodandosi sulle percentuali, il Pd sottolinea che l’affluenza a questo congresso è superiore a quella del 2013, quando arrivò al 55,34%. Tuttavia, sotto il profilo dei numeri assoluti, quattro anni fa gli iscritti erano 539.354 e i votanti 298 mila circa. Quindi anche in questo caso si registra al netto un calo di partecipazione di oltre 30 mila iscritti.
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