Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

martedì 30 ottobre 2012

UN APPUNTAMENTO DA NON MANCARE di Franco Bartolomei




UN APPUNTAMENTO DA NON MANCARE
di Franco Bartolomei


Pubblichiamo la presentazione di Franco Bartolomei, Segretario della Lega dei Socialisti e membro della Segreteria Nazionale del Partito Socialista Italiano, della Conferenza Nazionale organizzata dalla Sinistra Socialista e dalla LdS che si terrà a Roma il 1 Dicembre.
Ricordiamo che la Lega dei Socialisti ha partecipato il 27 ottobre alla Manifestazione Nazionale del NO MONTI DAY a Roma costituendo l'unica presenza socialista a questa manifestazione.  


Noi della Lega dei Socialisti e della Sinistra Socialista siamo Socialisti convinti che la crisi delle economie dei paesi sviluppati abbia ormai assunto i caratteri di una vera e propria crisi di sistema, in grado di minare la fiducia collettiva in un futuro caratterizzato dai livelli di garanzie sociali finora conosciuti, e di minacciare la stessa tenuta democratica delle società occidentali.
Riteniamo che le forze Socialiste di tutta Europa di fronte all'esaurimento definitivo delle idee-forza liberiste attorno a cui l’occidente ha consolidato gli equilibri di potere che hanno guidato i processi economici, finanziari e sociali, responsabili della crisi, devono a nostro parere necessariamente rivedere la propria impostazione culturale e programmatica, non più adeguata alla profondità della crisi che sta coinvolgendo il capitalismo finanziario a livello globale.

La Lega dei Socialisti si è costituita quindi per lavorare ad una ristrutturazione di tutta la Sinistra Italiana, anche allargando di molto se necessario lo stesso positivo processo in atto, sopratutto tra i Socialisti Francesi, di rifondazione a sinistra del Socialismo Europeo, che possa costruire una nuova sintesi tra le grandi e tradizionali identità storiche della Sinistra europea e le nuove realtà di movimento che sovente negli ultimi 15 anni hanno assunto spesso una funzione di supplenza politica di fronte alla confusione ed alla subalternita' ai poteri forti che la sinistra ufficiale ha purtroppo interpretato, sulla base di una debolezza di analisi e di interpretazione dei processi che si andavano consolidando a partire dalla fine degli anni '80.
La Lega dei Socialisti ritiene al contrario, e da qui le ragioni del nostro progetto all'ordine del giorno della assemblea nazionale dei 1° Dicembre che debba essere recuperata appieno, anche e sopratutto dalla cosiddetta sinistra "di governo", una concezione dell'azione della Sinistra nuovamente proiettata a perseguire una trasformazione strutturale degli assetti economici e sociali che possa consentire di individuare un diverso modello di sviluppo, diversi parametri di riferimento della qualità della vita della società, e nuove regole di controllo sociale delle variabili economiche.

Il 1° dicembre vogliamo quindi discutere insieme a tutti i Socialisti un progetto per la costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra, autonomo ed alternativo, in grado di dare rappresentanza ad un nuovo grande blocco sociale interessato ad una trasformazione democratica e socialista dei rapporti sociali, ed ai movimenti reali che nella società ne costituiscono una anticipazione, in grado di riunificare, attorno ad un progetto di alternativa al modello di sviluppo liberista e finanziario che ha portato al collasso le economie sviluppate e sta minacciando alle radici la nostra democrazia, tutte le forze della sinistra che intendono opporsi al programma politico di cui e' espressione il Governo Monti, e, più in generale, vogliono contrastare le politiche recessive, padronali, e monetariste che attuano i dettami delle tecnostrutture economiche e finanziarie che gestiscono i mercati e gli equilibri economici dell'economia globalizzata.






mercoledì 24 ottobre 2012

C'E' DEL MARCIO NEL REGNO DI SPAGNA di Manuel Garí



C'E' DEL MARCIO NEL REGNO DI SPAGNA
Dopo la morte di Santiago Carrillo
di Manuel Garí *


Un articolo apparso a caldo in settembre, ma sempre utile, anche perché Santiago Carrillo fu insieme a Georges Marchais e a Enrico Berlinguer (ancora indiscusso per gran parte della sinistra italiana) uno dei protagonisti del cosiddetto eurocomunismo che ha portato i partiti comunisti molto più apertamente a destra. (Antonio Moscato 23/10/12)


In seguito alla morte recente di Santiago Carrillo i media istituzionali e gli strumenti di comunicazione dello Stato presentano condoglianze che mettono in scena le immagini dei consensi della Transizione spagnola. [1] E, questo, proprio nel momento in cui movimenti come quello del 15 maggio mettono in risalto la decrepitezza del regime della riforma; nel momento in cui una giovane generazione in via di politicizzazione propone nuove vie costituzionali, sociali ed economiche e si pone domande sulle alternative all’Unione Europea (UE). Queste manifestazioni [2] intorno alla scomparsa del veterano politico, Santiago Carrillo, sono un chiaro simbolo del regime politico spagnolo.

È concepibile che dopo la morte di Marx o di Durruti o dell’assassinio di Rosa Luxemburg o del Che, i loro avversari politici ne commentassero la statura intellettuale, politica e morale?
Evidentemente no.
In quelle occasioni, i padroni, i militari, i politicanti e gli oligarchi non hanno versato lacrime sulle loro tombe, ma hanno piuttosto sputato sulle loro tombe e li hanno denigrati: L’antagonismo della lotta di classe non ha mai lasciato posto – né in passato né ora –alla compassione o ai diluvi lirici della borghesia. Ecco però che in questo Regno di Spagna quasi tutti i settori, tranne quelli apertamente e pubblicamente pro-franchisti, partecipano a un concerto di lodi nei confronti del comunista Santiago Carrillo dopo il suo decesso. Gli elogi che inondano le emissioni radiotelevisive, Internet e i giornali sono state pronunciate da personaggi qualificati come il monarca – che se ne dichiara amico -, i presidenti delle Corti e del governo (entrambi del Partito popolare, che sta per lanciare la più importante offensiva contro la classe operaia spagnola dal 1977). I capifila della sterile opposizione leale a sua maestà (socialisti, sostenitori del partito Unión Progresso y democrácia – UPyD – creata nel 2007 – e del Partito nazionalista basco) non sono stati da meno e la stessa Sinistra repubblicana di Catalogna e gli indipendentisti baschi hanno partecipato al coro.
Sarebbero quindi tutti d’accordo nel valorizzare un discepolo “dichiarato” di Marx e di Lenin?
Credo di no.

Le lodi non si rivolgono tanto a un perturbatore dell’ordine esistente (che ha del resto smesso di esserlo da moltissimi anni) , né a un combattente per la libertà nel Partito comunista spagnolo (PCE) che ha svolto un ruolo nella lotta antifranchista, quanto piuttosto a colui che ha diretto le manovre volte a disattivare il movimento operaio di fronte ai suoi avversari, all’artefice dei consensi che hanno edificato l’angusto sistema democratico sorto dalla Transizione.
È innegabile che Santiago Carrillo abbia occupato un ruolo e uno spazio importante nel movimento operaio e nella storia politica spagnoli. Tuttavia, è utile mettere in luce i risultati, valutarne le iniziative che hanno riempito la lunga e intensa vita militante di chi, come Carrillo, ha esercitato grande influenza nella sinistra spagnola e ha avuto per le mani tante possibilità di aiutare ad avanzare il movimento operaio ma che, nella pratica, ha avuto tante responsabilità politiche nella sconfitta di questo dopo la morte del dittatore nel novembre 1975. Quel che la borghesia e i suoi partiti ammirano dei Santiago Carrillo – definito moderato e sostenitore dell’ordine pubblico, con tutto quel che ciò significa detto da loro – è appunto il fatto che li abbia aiutati nella transizione democratica partendo dal loro attaccamento al vecchio regime. Il falso mito della Transizione pacifica ed esemplare ha anche comportato la mistificazione e la nobilitazione del ruolo di figure come quelle di Carrillo, ma anche, all’epoca, poco dopo la sua morte, di quella del criminale ministro franchista Fraga Iribarne.

Le cose, però, sono state più semplici e meno gloriose. Il dirigente del PCE è stato
l’ispiratore, l’artefice e l’esecutore della “amnistia in cambio dell’amnesia”, che si è
concretizzata nel perdono e nell’oblio delle trasgressioni dei carnefici franchisti e
nell’oblio e nell’abbandono della causa delle vittime. La perdita della memoria è
causa dell’attuale perdita di radici, origini e punti di riferimento della vecchia e della
nuova sinistra sociale. È questa perdita di memoria a permettere alla destra di
rimodellare il discorso storico.
La logica del processo di pensiero politico che ha sostituito la lotta di classe con la riconciliazione nazionale ha trasformato la rottura democratica in rottura negoziata, la lotta come generatrice di nuovi rapporti di forza con il consenso a ogni costo, con la negoziazione come unico scenario nella transizione tra la dittatura e la democrazia. Il risultato finale, cui Carrillo non è stato estraneo (di qui i segnali di riconoscenza) è una Costituzione limitata e restrittiva, che oggi si rivela ormai chiaramente impopolare. Non serva a nulla argomentare invocando la paura delle sciabole degli anni Settanta, e ancor meno confondere la conquista delle libertà con la suaespressione costituzionale contrattata. Questo dibattito è già stato risolto da quanti non sono aggrappati alla sacralità dei patti politici e sociali post-franchisti e che non lo sono mai stati.

Un esempio di questo scivolamento dalla “rottura negoziata” alla concessione senza
contropartita (e imposta al movimento operaio che hanno dovuto disciplinare) è
l’accettazione della bandiera franchista (monarchica). [3] Un avallo che non si è
limitato alla rinuncia alla bandiera tricolore; ha comportato il fatto di accettare di
limitare la rivendicazione repubblicana a qualche giorno festivo dell’anno e
abbracciare la causa della normalizzazione di Juan Carlos. È con queste concessioni che Carrillo si è guadagnato la rispettabilità di fronte ai poteri effettivi, ma l’ha persa agli occhi dei migliori militanti.
Il bilancio degli anni della Transizione si è chiuso con l’arretramento del livello di
coscienza della classe operaia, con il suo disorientamento politico, l’ascesa elettorale socialdemocratica, con il “disincanto” massiccio e la divisione e l’emarginazione del forte Partito comunista. Questa politica del consenso a ogni costo, tuttavia, non hacostituito un fatto isolato. È stata, viceversa, il concretizzarsi dell’avventura eurocomunista nel caso spagnolo. La triade di Santiago Carrillo (PCE), Georges Marchais (PCF) ed Enrico Berlinguer (PCI) è riuscita, nei rispettivi paesi e partiti, a ridurre il numero dei propri militanti e ad avvicinarli alle posizioni socialdemocratiche, rendendo sempre più difficile distinguere le proprie alternative da quelle dell’“altro” partito, quello socialdemocratico, o confondendosi a volte con queste. [4]
È la ragione per cui le opinioni suscitate dal problema dell’eurocomunismo e dallo stesso personaggio di Carrillo fra i suoi compagni del PCE o nella direzione della Sinistra unita (l’attuale Izquierda Unida, formazione di cui fa parte il PCE) vanno dalla sua difesa acritica all’amarezza, senza però alcuna capacità di prospettiva. L’attuale mondo del PCE (come quello dei successori di Carrillo) è ostaggio della sua visione della storia della fine del franchismo. I militanti comunisti ne sono stati i protagonisti attivi e hanno finito per credere, in maggioranza, che il “consenso” costituisse una necessità storica, quasi fosse la realtà e l’unica strada percorribile. Succube di una metodologia da Caino propria delle sue origini staliniane, il mondo del PCE continua ad oscillare tra aspirazioni di trasformazione sociale, da un lato, e la socialdemocratizzazione e l’istituzionalizzazione dei suoi orizzonti e criteri, dall’altro.
Questo fa parte dell’eredità di Carrillo, come pure la smobilitazione del suo partito.
Santiago Carrillo è stato stalinista, come tanti dei compagni degli anni Trenta e
Quaranta. Là stanno le radici della sua logica. Ma non è questo il problema che
vorrei affrontare. Vorrei piuttosto segnalare che, anche se dopo il XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica nel febbraio 1956, Carrillo come tanti altri, ha preso le distanze dalla figura di Stalin e dal periodo staliniano, non per questo ha rivisto le sue concezioni sulla lotta sociale e politica (sia sotto la dittatura, sia in democrazia). Non ha rimesso in discussione le sua concezione su problemi così significativi come l’assassinio di Trotsky o di Nin (per ricordare solo i casi più significativi fra i tanti altri, tra cui quelli di tanti combattenti e militanti del PCUS e del PCE). Non ha neppure modificato le sue concezioni sulla democrazia interna nei partiti operai, né sulla necessità della democrazia socialista come strumento essenziale per la costruzione del socialismo. Senza soluzione di continuità, gli stalinisti di José Diaz [5] si trasformano in ferventi democratici, senza approfondire il loro presunto marxismo.
Non una parola di autocritica politica e, cosa ancor più grave, nessuna riconsiderazione morale.

Gli anni di lotta clandestina o l’atteggiamento di dignità di Carrillo di fronte a Tejero al momento del colpo di Stato del 23 febbraio 1981 [6] non si possono eludere, ma questo non può occultare i guasti causati dalla politica “carrillista” al movimento operaio. Riandando al passato più lontano, vediamo come il suo appoggio alle posizioni staliniste controrivoluzionarie non siano servite a difendere né la Repubblica né la Rivoluzione proletaria; quarant’anni or sono era lo stesso con la sua politica di soluzione negoziata con i franchisti. E, negli ultimi anni, la continuità si afferma nella sua accanita difesa di un regime che comincia a fare acqua. Quel che suona falso nel rituale funebre è che lo si elogi per il suo ruolo in favore della classe operaia pur definendolo al contempo “uomo di Stato”, Si tratta di una contraddizione in termini, perché sotto il capitalismo gli uomini di Stato sono gli uomini dello Stato degli sfruttatori, mentre i combattenti della classe operaia sono i difensori degli  sfruttati e degli oppressi, di chi sta in basso. Non c’è spazio condivisibile da entrambi.

In conclusione, tutte quelle lodi rivolte a Carrillo dai suoi presunti nemici di classe e
avversari politici mi ricordano il dialogo shakespeariano di Marcello nell’Amleto, che è ben lungi dall’esprimere il significato popolare ed erroneo che funge da titolo al mio articolo (nell’originale è “Algo huele a podrido en Hispamarca”, cioè “Qualcosa puzza di marcio in Hispamarca”),perché nel caso della Spagna non si tratta solo di odore, ma c’è sicuramente qualcosa di marcio nel regno.
Detto questo, in fin dei conti e contrariamente a quanti hanno ammucchiato tanti
elogi nelle ultime 24 ore o a quelli che settariamente si rallegrano per la sua
scomparsa, io sono realmente dispiaciuto per la sua morte, nonostante l’età
avanzata, e condivido il dolore che stanno provando coloro che gli erano vicini (amici o parenti). La morte, per naturale che sia, la sento come la sconfitta della natura.



NOTE

* Sindacalista e ex dirigente della sezione spagnola della IV Internazionale, è
membro della redazione di Viento Sur, che ne ha pubblicato l’ articolo nel suo sito
(http://vientosur.info/) il 19 settembre 2012, poi ripreso in versione francese nel sito
di A l’Encontre (http://alencontre.org/).

[1] La transizione dal franchismo alla monarchia costituzionale viene attualmente
magnificata in Spagna. Si elogia oggi, ad esempio, Adolfo Suárez, che festeggia i
suoi ottant’anni, per aver dato vita a un’organizzazione (Unione democratica di
Centro - UCD), e raggruppato personaggi emersi dal regime franchista e
democratici cristiani, con il sostegno di socialdemocratici, per organizzare le
elezioni del 15 giugno 1977. La concertazione non è avvenuta solo sul piano
politico ma anche su quello sociale con i patti della Moncloa e la realizzazione di
una nuova Costituzione adottata il 6 dicembre 1978. In un articolo pubblicato da El
País il 25 settembre 2012, si sostiene che Adolfo Suárez avrebbe “avuto scarso
successo se Felipe Gonzalez o Santiago Carrillo, all’epoca dirigenti della sinistra
illegale, nonché il presidente in esilio della Generalitat della Catalogna, Josep
Tarradellas, non fossero entrati intelligentemente nel gioco proposto”.
[2] La sfilata di personalità politiche e del re Juan Carlos di fronte alla bara di
Santiago Carrillo è durata due giorni.
[3] Santiago Carrillo, come ha ricordato un suo ex braccio destro, ha risposto alla
domanda “Dobbiamo accettare la bandiera della monarchia al posto di quella della
repubblica?” con l’ipocrita formula tipicamente stalinista: “Sì, se è per la
democrazia, comunque il nostro colore è il rosso”.
[4] Fondamentalmente e da un punto di vista strategico, i partiti socialdemocratici e
staliniani, originariamente diversi, rientrano in una prospettiva
“controrivoluzionaria”. Non vanno confusi gli orientamenti degli apparati di questi
partiti, per un lungo periodo, e il significato che davano i loro militanti alla propria
adesione a queste formazioni.
[5] Segretario del PCE dal 1932 al 1942. Ufficialmente suicidatosi durante il suo
esilio nella Georgia di Stalin.
[6] Il 23 febbraio 1981, Antonio Tejero. Luogotenente-colonnello della Guardia Civil,
entra in parlamento, spara alcuni colpi di pistola e tutti i deputati si nascondono
sotto i banchi. Carrillo è uno dei pochi che restano seduti. Quel tentativo di colpo di
Stato rientra in una fase di tensioni della sunnominata transizione democratica, in
cui si combinano crisi economica, difficoltà dell’Unione del centro democratico e
resistenze nell’esercito rispetto agli sviluppi in corso.



(traduzione di Titti Pierini)

dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/




domenica 21 ottobre 2012

IL PARADOSSO DELLA COMPATIBILITA' TRA MONTI, HOLLANDE E LA SPD di Franco Bartolomei




IL PARADOSSO DELLA COMPATIBILITA' TRA MONTI, HOLLANDE E LA SPD
di Franco Bartolomei


La scelta della SPD di candidare alla carica di Cancelliere l'ex ministro delle finanze del precedente governo di Grossekoalition, presieduto dalla Merkel , costituisce la prova che non esiste nessuna svolta a sinistra da parte dei Socialdemocratici Tedeschi , e come in realtà si vada consolidando in Germaniauna sostanziale omogeneità tra le proposte della Merkel e quelle della SPD.

Questo esito era per me già implicito nel famoso documento comune di un anno fa tra SPD e PSF , che accoglieva in pieno il punto di vista BCE dell'Europa a due standard di politica sociale, quale frutto logico della accettazione sostanziale dei tassi differenziati tra i diversi paesi del'area Euro e delle politiche di compressione forzata del deficit quale riferimento decisivo nella valutazioni di conformità dell'operato dei governi.
La cosa triste è che a ben vedere le politiche di Hollande, quelle prospettate da Steinbruck, e l'agenda Monti, sono assolutamente compatibili e complementari. La dimostrazione di questo assunto, solo apparentemente paradossale, è costituito dall'introduzione in Francia da parte del governo Hollande del Fiscal Compact, con conseguente obbligo di pareggio di bilancio, e dall'abbandono, del tutto prevedibile, delle promesse elettorali su un fortissimo incremento delle tassazioni di natura patrimoniale, e sul divieto di operazioni borsistiche di natura prettamente speculativa ed aleatoria. Non è un caso, quindi, Bersani, nel ribadire costantemente il suo riferimento ad Hollande eviti sistematicamente di rivolgere critiche di merito all'operato del governo Monti, limitandosi a lanciare alle autorità europee il messaggio che un governo a guida PD e' in grado di assicurare lo stesso livello di affidabilità nella attuazione delle politiche di sterilizzazione del bilancio pubblico finora concordate da Monti.

Penso, al contrario, che una Sinistra, consapevole della ingiustizia e della inadeguatezza del modello finanziario e speculativo che ha portato al predominio dei mercati sulle scelte di politica sociale dei governi, debba invece rendersi conto di come questo sistema non sia assolutamente in grado di riavviare un processo di crescita dell'economia reale, e come, di conseguenza, una alleanza tra le forze della Sinistra debba essere ricostruita attorno ad un progetto di inversione del rapporto tra politiche di crescita, da perseguire attraverso gli investimenti pubblici ed il riequilibrio fiscale, e rigore di bilancio, da perseguire esclusivamente attraverso l'abbattimento delle spese del sistema politico e lo sradicamento del rapporto corrotto e corruttivo esistente tra gestione amministrativa e rappresentanze politiche, senza più alcun intervento di taglio del sistema di Welfare esistente e senza più alcuna compressione della massa salariale.

In realtà il processo di ridefinizione a sinistra del Socialismo europeo, che per tutti noi costituiva un elemento essenziale del possibile riferimento politico ad esso di tutti i nuovi processi costituenti nella sinistra italiana, pare essersi esaurito .
In particolare emerge come l' impostazione della Spd si sia nuovamente riallineata alla normale dialettica destra-sinistra possibile all'interno di un paese euro in condizioni di rapporto deficit-pil di non emergenza.
La candidatura alla cancelleria di uno Schroederiano puro segna infatti l'abbandono di ogni possibile riferimento programmatico, nella azione della SPD, a quella possibile alternativa di modello che sulle prime la segreteria Gabriel aveva vagheggiato.

Questa "normalizzazione" politica della SPD ha trovato appoggio sulla accettazione da parte della Sig.ra Merkel del progetto di Draghi, ispirato dalla Fed e dall'FMI , di garantire interventi BCE a copertura e scudo dei bond dei paesi in difficoltà .Su questa nuova base di riferimento delle politiche di difesa dell'euro la SPD ha perfettamente condiviso, con la Cancelliera, anche attraverso il recente voto unitario al Bundestag su cui la sola Linke ha sollevato il ricorso alla corte costituzionale tedesca recentemente deciso, che qualora questo intervento BCE a protezione avvenga su richiesta degli stati in emergenza debbano scattare interventi di commissariamento sostanziale delle loro politiche di bilancio, diretti al controllo cogente della rigorosa osservanza dei vincoli generali del fiscal compact, e di tutte le nuove ulteriori misure che venissero dai commissari ritenute necessarie a garantire la solvibilità futura della anticipazione della BCE.
Gli stessi elementi programmatici innovativi che permangono nella proposta Socialdemocratica rientrano perfettamente all'interno di una continuità di modello, ed anzi puntano a costituire fattori di rafforzamento e protezione di un sistema finanziario che si punta a riattivare, considerandolo sempre l'elemento strutturale principale della tenuta economica dell'occidente sviluppato.

La Germania, così come la Francia, ha infatti una tradizione di correttezza e responsabilità fiscale molto radicata nella propria borghesia nazionale che porta nei momenti di emergenza alla adozione senza traumi di un rafforzamento del prelievo fiscale sulle classi agiate senza alcun trauma, e questo in genere avviene all'interno di una dialettica tra destra moderata e sinistra moderata, quali sono la CDU e la SPD, senza traumi e scontri, a differenza nostra dove la classe politica vive in uno stato di assoluta autoreferenzialità, dove 4 regioni sono in mano alla criminalità organizzata, e dove la borghesia è debole e irresponsabile .
Inoltre il governo Schroeder-Steinbruck ha stanziato a copertura dei deficit bancari tedeschi dopo il 2009 la somma impressionante di 300 miliardi di Euro, tratti tutti dal bilancio dello stato, e corrisposti senza alcun disegno a monte di pubblicizzazione del sistema, per cui è evidente che ora venga quantomeno sostenuta , non solo dalla Spd per la verità, la necessità della separazione tra banche d'investimento e banche di raccolta credito, sulla base di un orientamento di fondo, sostanzialmente autorizzatorio, che certo non viene dalla fondazione Ebert, ma dalla Federal Reserve, che tutto è fuorché un tempio socialdemocratico mondiale, che sta ragionando sulla reintroduzione delle precedenti cautele previste dallo Steagall act di introduzione roosveltiana, abolito da Clinton con il plauso di Blair e di Prodi . Inoltre la Germania è oggi nelle condizioni di poter fruire di un dividendo generale derivante dal rafforzamento dei tassi differenziati tra i paesi euro, conseguente agli inasprimenti degli spread di tutti i paesi oggetto di esportazioni di merci tedesche , che consente alla Germania quella politica di rafforzamento della domanda interna, a spese dei Piggs e dei paesi slavi ex comunisti, che in modo lungimirante, e molto ipocrita e vampiresco, la SPD ha posto come obiettivo nel famoso documento stilato due anni fa' assieme al PSF, che costituisce la base politica della compatibilità di cui ho parlato tra le politiche attuali di Francia e Germania da una parte e di Monti dall'altra.

Compatibilità tra una politica di possibile riequilibrio sociale dei ricchi e una politica di taglio violento della spesa, con tutto quello che ne consegue, nei paesi sotto attacco finanziario, sopratutto qualora dovessero ricorrere al questo nuovo scudo BCE che, capiamoci bene, ha valenza benefica solo nel momento in cui ne viene annunciata l'esistenza, ma diviene terribile per lo stato a cui viene applicatoLa divisione tra banche di credito e banche d'investimento, così come l'innalzamento dei parametri patrimoniali delle banche stabiliti da "Basilea 3", non costituiscono infine modifiche strutturali di modello, ma solamente protezioni finalizzate a riprodurlo poiché costituiscono una alternativa, solo apparentemente innovativa, alla introduzione attraverso una nuova Bretton Woods di un generalizzato divieto dei CDS, dei Derivati sui bond pubblici, dei contratti finanziari aleatori e meramente speculativi, dei paradisi fiscali, e delle agenzie di rating private come soggetto regolatore dei mercati, e delle condizioni sociali e salariali minime comuni tra tutti gli stati aderenti al WTO.


Franco Bartolomei -segreteria nazionale del PSI


lunedì 15 ottobre 2012

OMAGGIO A GIGI MERONI di Enrico Pellegrini




OMAGGIO A GIGI MERONI
di Enrico Pellegrini


Uno dei più grandi talenti calcistici che l'Italia abbia mai avuto.
Ala destra di Como, Genoa e Torino, Gigi Meroni è ricordato dai suoi avversari come una via di mezzo tra Garrincha e Best. Nel 1967 a San Siro, con un grande pallonetto tirato sbilanciato dal limite dell'area e finito precisamente nel “sette”della porta nerazzurra, interruppe il record di imbattibilità (tre anni) detenuto dalla “Grande Inter” di Herrera.
Morì il 15 ottobre 1967 investito da un'auto. Più di 20.000 persone parteciparono ai suoi funerali, e il lutto scosse la città.

Dal carcere delle Nuove di Torino alcuni detenuti raccolsero soldi per mandare fiori. La stampa sembrò per un attimo perdonare la bizzarria contestata in vita (i capelli lunghi, la barba incolta), ma la Chiesa si oppose al funerale e criticò aspramente don Francesco Ferraudo, cappellano del Torino calcio, per aver celebrato il funerale di un "peccatore pubblico" con riti religiosi. Meroni infatti conviveva in una mansarda di corso Re Umberto a Torino con la sua ragazza di origine polacca, Cristiana Uderstadt, che all'epoca era ancora ufficialmente la moglie (anche se in attesa di annullamento del matrimonio) di un regista romano. Il quotidiano torinese La Stampa (di proprietà della famiglia Agnelli, come la Juventus) si unì alle richieste dei prelati, e si raccolse un movimento d'opinione per chiedere provvedimenti disciplinari contro il sacerdote.

Gigi Meroni non era però soltanto un campione di calcio (uno dei pochi “senza macchia” dei disastrosi Mondiali del ’66), ma un vero e proprio artista, sia per lo straordinario talento pittorico, sia per il modo anticonformista di concepire la vita.
Emblematica del personaggio è una sua passeggiata per il corso di Como con una gallina al guinzaglio. Gianni Brera, nel suo necrologio, lo definì un «simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un Paese di quasi tutti conformisti».

Il suo funerale suscitò, appunto, scandalo per via del sacerdote che celebrò le esequie di un così "grande peccatore".
Tra i suoi "peccati" da "ricordare": quello di convivere con Cristiana, di avere posizioni politiche anarchiche e di non credere assolutamente in nessun Dio.

GIGI MERONI! Indimenticabile...


dal sito http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/


domenica 14 ottobre 2012

PRIMARIE CENTROSINISTRA: PARTE LA BRIGATA DEL NIENTE

di Nique la police




Risulta praticamente impossibile prendere sul serio commentatori, alcuni con curriculum prestigioso e buona produzione scientifica, che affermano che "il Pd ha un programma innovativo" oppure che "Bersani ha superato lo scoglio delle regole sulle primarie".
Si possono comprendere le dinamiche di posizionamento, sottintese a queste affermazioni, ma si deve evidenziare anche che in certi commentatori è ormai conclamata l’incapacità di capire che è finito un mondo.
Quello in cui in cui, assieme al posizionamento entro il più importante partito dello schieramento progressista, si potevano negoziare spazi di autonomia politica e personale. Ricordando che, effetto dei tagli sull’onda dell’antipolitica e del potere reale sull’Italia che passa tra Bruxelles e Berlino, si stanno esaurendo anche i margini concreti per i posizionamenti di carriera tramite la politica istituzionale. Ma che altro dire degli intellettuali mainstream della sinistra istituzionale italiana?
Da moltissimi anni, del numero si è persa la memoria, hanno accettato di buon grado di vivere un percorso intellettualmente docile in una Italia controriformata. Moriranno quindi con quel mondo ammesso che siano ancora intellettualmente vivi. E che dire, a questo punto, delle primarie del Pd?



Che possiamo descriverle come nelle vignette di Riccardo Mannelli, il più interessante disegnatore di convention, convegni, eventi pubblici, di situazioni da nonluoghi in Italia da almeno un paio di decenni. Mannelli, che ha disegnato per diverse testate italiane, ha il pregio di mantenere un doppio equilibrio di rappresentazione: disegnare volti e corpi in primo piano senza perdere il senso della folla e sempre all’interno una fisiognomica del grottesco, che non è solo caricatura, che è anche informazione sulle relazioni sociali,sui codici simbolici, sulla cifra antropologica di una parte di paese alla deriva.
L’atteggiamento che si deve avere con le primarie del centrosinistra, per estrarci qualcosa di cognitivamente utile, è proprio quello dell’equilibrio presente nelle vignette di Mannelli.
Perchè deve essere chiara una cosa: il Pd, al contrario di quello che afferma Bersani, è il tessuto connettivo di quella parte di paese che viaggia alla deriva rischiando di trascinare con sè l’altra parte che non ne ha alcuna intenzione. Una deriva politica (l’appoggio a Monti parla da solo), nella concezione dell’economia (la naturalizzazione di dogmi sull’Europa, sulla moneta e sull’impresa logori da prima della caduta del muro di Berlino) e coronata da una notevole entropia culturale. E qui basti dire che il concetto che si vuole nuovo per le primarie, ovvero quello di rottamazione, proviene da una concezione dell’economia abbondantemente superato e liquidato da un quindicennio.
Ma stiamo parlando del nocivo mondo a parte del centrosinistra dove un concetto cardine della vita sociale di oggi e di domani (il riciclaggio) è sinonimo di corruzione e carrierismo e dove un concetto superato, che favorisce una produzione energivora e lo spreco di materie prime, (come la
rottamazione) viene assunto a simbolo di rinnovamento.

E poi il grottesco: un segretario che all’assemblea nazionale grida, modulando l’asserzione con un accento emiliano che lo trasforma all’istante in maschera dialettale, “qui contano le regole”. Quando si appresta a sospenderne una (l’articolo 18 dello statuto del partito), non prima ma durante una campagna elettorale per le primarie.
E’ stato come cominciare una finale senza sapere cosa sarebbe accaduto in caso di pareggio al novantesimo.
Alla fine, nel centrosinistra, si stanno mettendo d’accordo nell’intervallo, ad un mese e mezzo dalle primarie, e pretenderebbero anche dare manifestazione di serietà al paese con un comportamento del genere.
E cosa dire di un partito, il Pd, la cui presidente, che statutariamente è una figura di garanzia al di sopra delle parti, alla fine dell’assemblea prende il microfono per dire “spero che vinca Bersani”. C’è solo da stupirsi che ben un quarto di coloro che hanno già manifestato intenzione di voto alle agenzie di sondaggi, ma attenzione c’è ancora un italiano su due che deve decidere cosa fare, abbiamo indicato di preferire il Pd.
Essendo saltati i nessi clientelari, con un Pd che non garantisce materialmente che poche persone, davvero c’è un’Italia che ha interiorizzato la società disciplinare tanto da votarne i presunti rappresentanti ben oltre l’evidenza del grottesco.
E’ un’Italia che va liberata, prima di tutto dalla tendenza a comportamenti suicidi come il voto al Pd, nell’interesse di chi è danneggiato in prima persona da questi comportamenti. Ma, come sappiamo, la tendenza della sinistra del centrosinistra è quella di entrare in queste dinamiche. La lezione ricevuta dal Prc e dalla sinistra radicale prima e dopo la caduta del secondo governo Prodi non è bastata.

Ecco quindi che a queste primarie, le cui regole ancora oggi sono tutt’altro che definite, si candida, come attendeva da anni, Nichi Vendola.
Lo slogan della campagna “oppure Vendola” è perdente fin dall’inizio. Non indica un cambiamento, una forza egemonica della sinistra, come lo stesso Vendola aveva teorizzato pochi anni addietro, ma una certa equivalenza nella scelta tra candidati suggerita in prima persona dallo slogan dello stesso governatore della Puglia. Il quale, ormai in preda ad uno stadio supremo dell’ eclettismo politico, afferma di voler fare la lotta contro il liberismo all’interno del centrosinistra (è come voler lottare per il comunismo all’interno del Pdl in quanto partito più votato dagli operai fino al 2010) ma anche di rispettare una eventuale vittoria di Renzi alla primarie.
Sarebbe il capolavoro di voti antiliberisti messi a disposizione del programma più sfacciatamente liberista e classista dalle elezioni del ’94 ad oggi.

Ma con Bersani non andrebbe certo meglio: il rispetto del peggio delle politiche di “rigore e crescita” chieste dal dispositivo, peraltro difettosissimo, Bruxelles-Francoforte-Berlino è già stato garantito dal segretario del Pd in caso di vittoria elettorale. Ma anche qui, dopo gli interrogativi, si insinua subito il grottesco: Vendola si candida urlando al mondo che in Italia “si comprimono i consumi e non si fa girare il mercato”.
Tutto vero, ed anche drammatico, ma per la seconda lettera che Vendola rappresenta, la E di ecologia, tutto questo è sintomo dell’esaurisi di un modello di sviluppo non più emendabile, non di consumi e mercati da rilanciare. E un candidato che ha avuto un approccio all’ecologia come quello tenuto all’Ilva di Taranto, quando persino sul Manifesto sono apparsi articoli che inchiodavano il governatore della Puglia alle proprie responsabilità, quando affronta questi temi non si capisce se è più grottesco o inguardabile.

Il centrosinistra confida quindi nell’appoggio di un'Italia minore, nella quale si annidano settori di elettorato ormai sterile ed abituato a tutto, ma per andare verso il niente. Perché il pittoresco percorso verso le primarie, in caso di vittoria alle politiche del candidato espresso dalla consultazione interna al centrosinistra, non porta ad alcun potere politico e nemmeno al governo del paese. L’Italia in quanto paese periferico dell’area euro ha riformato la costituzione secondo un tipo di politica di bilancio e di economia esterne alle esigenze del paese (lo si è visto con la spirale tagli-contrazione del Pil del governo Monti già prevista anche per il 2013) e se l’Europa entra a regime si trova a non avere autonomia in materia di politica industriale, fiscale, economica e di bilancio. Senza una sede reale dove potersi far sentire in Europa, a parte le cerimonie pubbliche dove tutti parlano e conta solo chi deve contare.

Non solo, se nel 2013 l’Italia non taglia ancora, e a prescindere dallo stato di recessione del paese, si trova pure ad essere formalmente commissariata. Una cosina da nulla: lo SME approvato anche dal parlamento italiano prevede l’autonomia giuridica dei commissari europei che possono vendere beni e patrimoni del paese commissariato senza che questo, legalmente, possa fare qualcosa. Questo è quello che Bersani, Renzi e Vendola chiamano “vincere”: il disastro sociale, economico e il niente politico. Un niente che è pure puntualmente registrato nel mondo che conta: i quotidiani esteri, e le tv globali, sull’Italia sono occupati da Monti e da Grillo.
E’ anche possibile anche se per niente scontato, vista la situazione politica inedita, che il centrosinistra come è adesso arrivi al governo.

La deflagrazione del Pdl e lo scarso appeal elettorale dei centristi potrebbero favorire questa soluzione anche se è presto per dirlo. Ma una cosa è certa. I dati del Fmi sulla recessione mondiale, prevista nel 2013, il rallentamento delle aree guida dell’economia, la guerra finanziaria permanente stanno creando per l’Italia una situazione simile a quella che ha fatto esplodere il centrodestra. Che si è trovato di fronte a problemi immensi accumulatisi velocemente a partire da Lehmann ed è esploso con la crisi dei debiti sovrani dell’euro (con lo spread come tormento quotidiano).
La nuova ondata di crisi, che contiene anche la radicalizzazione di quelle precedenti, scioglierebbe come il burro, stavolta definitivamente, il centrosinistra al governo. Non a caso qualcuno spera, e lavora, per una legge elettorale che disinneschi il risultato delle primarie per non caricare troppo il centrosinistra delle responsabilità future. Restano per adesso delle primarie che sembrano fatte per le vignette di Mannelli, che ci suggeriscono però un dato politico e antropologico di una coalizione che, per il bene del paese, si può solo auspicare che svanisca senza fare troppi danni.


7 ottobre 2012

dal sito http://www.senzasoste.it/


sabato 13 ottobre 2012

IL KEYNESISMO DELLA CORTE DEI CONTI di Antonio Pagliarone



IL KEYNESISMO DELLA CORTE DEI CONTI
di Antonio Pagliarone


Mi è capitato di leggere sul blog di sinistranet un articolo di Vladimiro Giacchè dal titolo "Le manovre tecniche hanno creato recessione” nel quale l’autore, utilizzando l’audizione della massima istituzione dello stato alla Commissione Bilancio, intende avanzare le responsabilità dell’attuale governo “tecnico” per la grave recessione in cui versa il paese delle anime belle.

In sostanza Giacchè usa la Corte dei Conti per consigliare una inversione di rotta per il prossimo governo che dovrebbe, citando letteralmente la relazione, “rafforzare la strategia per la crescita, affidando ad essa obiettivi più ambiziosi di quelli finora adottati», e precisa – molto opportunamente – che «gli interventi per la crescita sono solo in parte riforme senza spesa» e che quindi serve «mobilitare risorse finanziarie».

In sostanza, dopo aver snocciolato qualche dato di dominio comune, l’autore sembra consigliare alla nuova amministrazione di intraprendere una fase di investimenti utili per neutralizzare la cosiddetta recessione in atto.
Purtroppo Giacchè insiste nel non voler considerare la situazione economica attuale come una profonda Depressione ancora peggiore di quella degli anni 30. Una depressione che colpisce tutte le economie sviluppate, persino quelle tanto mitizzate in passato.
L’autore è rimasto fermo nel considerare gli interventi di politica economica come risolutori di un fenomeno mai visto nella storia umana ossia “la dittatura della finanza”; una dittatura che si manifesta con l’imposizione di dinamiche speculative prodotte da una economia capitalistica in totale disfacimento da molti decenni.
Una decomposizione che ha dei connotati diversi dall’implosione del modello sovietico caratterizzato da una economia di cartone, ma che alla fine porterà ad un inevitabile crash generalizzato.
Purtroppo i cosiddetti “mercati” trattati come se fossero organismi viventi in grado di decidere qualcosa (maledizione al sociologismo italiano) non manifestano reazioni più o meno razionali alle iniziative totalmente fallimentari della governance ma sono essi stessi autoregolati da un fattore decisamente banale: il profitto.
Se il capitale speculativo ha prodotto profitti negli ultimi decenni ebbene tali profitti sono stati riversati totalmente nella finanza che ingoia continuamente quelli realizzati nel settore produttivo. Purtroppo sono molti i testardi che non vogliono vedere la realtà e se la intortano illudendosi che si possa uscire da una malattia incurabile.
Se la Corte dei Conti e con essa Giacchè prendessero in esame solo per un momento l’analisi marxiana si renderebbero conto che ahimè non esiste via d’uscita a tale situazione.

Tutti i governi siano essi di destra, di sinistra o tecnici debbono sottostare a questa dittatura che non si esprime attraverso bande militarizzate di repressori ma da una spada di Damocle pronta a cadere sul sistema bancario e sulle imprese a causa dell’indebitamento.
Ho provato a dimostrare empiricamente la condizione di devastazione economica nel mio “La più Grande Depressione della Storia” nel quale cercavo di fotografare una condizione generalizzata di crollo estremamente drammatico di tutti i fondamentali nei vari paesi. Purtroppo la tendenza al rifiuto dell’evidenza empirica porta molti intellettuali ad illudersi di poter consigliare governi di varia statura ad adottare politiche economiche adeguate.
Sono illusioni perdute che dimostrano solamente che non esiste alcuna forza in grado di rappresentare veramente gli interessi dei lavoratori abbandonati a se stessi nella loro miseria di ogni giorni e purtroppo illusi di tornare ad un capitalismo che possa garantire loro il pane quotidiano.
Per finire vorrei citare una vecchia frase di Marx tanto citato da molti (ma in realtà frullato nel keynesismo):
Se i democratici esigono la regolazione del debito pubblico, gli operai devono esigere la bancarotta dello Stato” (Primo Indirizzo al Comitato della Lega dei Comunisti nel 1850)

9 ottobre 2012


venerdì 12 ottobre 2012

“LA BATTAGLIA PER ROMA”



                             Federazione provinciale di Roma


“LA BATTAGLIA PER ROMA”.

DOCUMENTO APPROVATO ALL'UNANIMITA' DAL DIRETTIVO DI FEDERAZIONE

1) Analisi

La situazione in cui va ad operare la federazione provinciale romana della Lega dei Socialisti è particolarmente drammatica. Sullo sfondo della vita politica vi è un intreccio trasversale tra poteri economici ed amministrazioni pubbliche, in cui il referente politico-amministrativo è interscambiabile.
La disponibilità della politica ai bisogni dei “poteri forti” è sempre la stessa, sia nel centro destra che nel centro sinistra, tanto dal punto di vista di Alemanno quanto da quello della sottile linea rossa che parte da Rutelli, passa per la coppia Morassut-Veltroni e terminerà con il futuro candidato sindaco del centrosinistra, che, gioco forza, riproporrà lo schema della centralità del Pd e della sua impostazione neo centrista.
Anche se siamo in una delle più grandi città d’Europa, i “poteri forti” non hanno nulla a che vedere con la grande finanza internazionale, ma hanno, invece, una storia antica, che condiziona Roma da prima della nascita di Cristo. Fin dalla Roma repubblicana, infatti, i costruttori di immobili hanno fatto lobby contro le sia pur minime normative che la repubblica cercava di imporgli. Dalle insulae siamo arrivati agli appartamenti, alle quadrifamiliari e ai villini a schiera, ma la tendenza dei costruttori a voler condurre la volontà generale verso il loro interesse particolare, non è mutata.

2) Il ventre molle della politica. Il Pd ed i suoi replicanti

Oggi individuiamo nel Pd romano (ieri nella vecchia Dc), il ventre molle della politica locale. Non più utilizzabile lo schieramento di destra perché ritenuto perdente, i democrats possono vantare una storia fatta di dialogo e di affidabilità sulle questioni urbanistiche, rendendosi pienamente disponibili. Con questo vantano anche una capacità di mistificazione, particolarmente chiara con Veltroni, capace di distogliere e far distogliere lo sguardo, uno sguardo che poteva creare imbarazzo, dalle periferie prese d’assalto. La red carpet policy, l’ossessione veltroniana per i grandi eventi e per il centro storico poneva sotto i riflettori ciò che non poteva essere toccato, dando di Roma un’immagine (falsa) di stabilità urbanistica.

Il Pd ha già dato, nella fase 1993 – 2008, piena prova di affidabilità uniformandosi alle scelte di modello dei poteri forti anche sul terreno delle privatizzazioni delle aziende pubbliche, come nei casi emblematici di Acea, azienda agricola Maccarese e della centrale del latte di Roma. Si è pienamente distinto, inoltre, nel campo delle esternalizzazioni di pubbliche funzioni dell’ente locale a società private (o parapubbliche), caratterizzate dalla creazione di rapporti di lavoro dipendente sottratti a procedure concorsuali di assunzione. Rapporti di lavoro, questi, aventi natura precaria e dequalificante.

La giunta Alemanno ha proseguito nella linea di disinteresse per le periferie, rendendosi anch’essa affidabile agli occhi dei poteri forti. Non ha dato seguito alla politica del tappeto rosso per semplice incapacità intellettuale e culturale. Priva di strategie diversive ha mostrato, con netta evidenza, la sua rapacità e la sua inettitudine amministrativa.

Il Pd, in quanto centrale nello schema ulivista, si pone come centro di gravità attorno al quale iniziano a ruotare gli altri attori del centrosinistra; al loro interno, trasversalmente, si ripetono gli atteggiamenti di subalternità e le dichiarazioni di affidabilità. Sono di certo i democrats, quindi, il famoso “ventre molle”, ma il loro esempio informa e fa conformare pienamente gli alleati della futura coalizione.

3) La nascita dell’area metropolitana. L’affare diventa globale.

Il comune di Roma, a breve, verrà gravato di enormi responsabilità. Sarà il pilastro della nascente area metropolitana. In questa ottica i poteri forti della capitale si congiungeranno con quelli della provincia. L’espansione edilizia della periferia romana si sommerà a quella degli altri centri urbani; una necessità abitativa a Guidonia rischia di diventare il pretesto di una devastazione ambientale ad Anzio: l’affare diventerà globale. A quello edilizio si sommeranno altri due grandi “poteri forti”, estremamente temibili , responsabili di enormi danni ambientali e sociali, e fino ad oggi relegati in provincia: la produzione energetica (Civitavecchia) e la portualità (Civitavecchia e Fiumicino). Questo senza contare i mostruosi interessi che ruotano intorno alla gestione dei rifiuti.

4) Il ruolo della Lega dei Socialisti

Roma e la sua area metropolitana hanno bisogno di essere difese. La Lega dei Socialisti pone il problema politico del senso del centrosinistra. Un centro sinistra che dialoga con troppo fervore con i costruttori, con Enel Produzione, con le aziende dei porti, con i monnezzari, sacrifica la qualità della vita dei cittadini: i nostri centri urbani, ad esempio, sono saturi di nuove abitazioni. Appartamenti drammaticamente vuoti perché gli acquirenti finali non hanno la possibilità di comprarli. Continuare a costruire in questa situazione, spesso in barba ad ogni razionalità urbanistica, vuol dire solo dare il “la” ad una bassa speculazione edilizia in cui “il mattone” è a garanzia di prestiti bancari che vanno a sostituire il denaro che, invece, dovrebbe provenire dalle vendite. E’ un’economia malata, quella dell’edilizia nella provincia di Roma, che, oltre ad essere
molto traballante e perennemente a rischio di crisi, ingurgita terreni edificabili e non, riducendo i polmoni verdi, peggiorando il traffico, non tenendo conto della banale e necessaria equazione tra nuove abitazioni e servizi, ignorando platealmente il problema dei rifiuti. Più che nuove case, nella migliore delle ipotesi si creano ghetti e si vanno ad imbarbarire sia i livelli vitali, che i rapporti sociali, che la dialettica tra abitanti ed istituzioni.

La Lega dei Socialisti di Roma e provincia pone invece la qualità della vita dei cittadini al centro della propria proposta amministrativa ed una rinnovata “autonomia della politica” come base della propria riflessione etica e civile.

Qualità della vita dei cittadini vuol dire che la pianificazione urbanistica ed i piani di sviluppo economico debbano porre al centro del proprio ragionamento gli abitanti e non le necessità delle lobbies. Il nostro territorio (sia Roma che la nascente area metropolitana) dovrà distinguersi per il perfetto equilibrio tra sviluppo economico e salvaguardia, tutela e rilancio dell’ambiente. Dovrà altresì evidenziarsi come baluardo della difesa e del progresso dei diritti individuali e collettivi. Dovrà porsi come luogo d’eccellenza per quel che riguarda l’inserimento lavorativo dei giovani, le pari opportunità, la cultura, le politiche per il turismo. Con questo l’amministrazione del nostro territorio dovrà dare risposte urgenti ed efficienti per quel che riguarda la mobilità, il traffico, la sicurezza, la legalità.
Lo scopo di tutto questo lavoro sarà quello di offrire servizi sempre migliori al cittadino. Solo nell’ottica del servizio, infatti, la pubblica amministrazione ha ragione d’essere.

Autonomia della politica” vuol dire rendere i centri decisionali autonomi dalle lobbies e dai poteri forti. Non solo edilizia, porti, energia e rifiuti; Roma e provincia sono pervase da molte altre aggregazioni di interessi particolari, meno visibili, ma particolarmente invasive. Il suo ruolo di capitale, con la conseguente centralizzazione dei punti decisionali, rende la città particolarmente vulnerabile. In particolare vanno espunti gli interessi, oltre al mattone, toccano in profondità la sanità, la scuola, l’assistenza, i servizi. Questo senza assecondare, anzi contrastando con forza, le innumerevoli ingerenze di ordine “morale” su questioni come fine vita, aborto, disabilità, diritti civili.
In sostanza la politica deve recuperare la sua capacità di progettazione del futuro, elevarsi dalle contingenze, dagli intrecci di vile interesse e recuperare la sua grandezza. Una grandezza che deve mostrarsi pienamente nel progetto e nella realizzazione di un mondo migliore, fatto su misura non per gli interessi particolari, per gli uomini e per le donne che lo dovranno abitare.

5) Proposte operative

Per costruire, sulla base di queste riflessioni, coerenti azioni politiche ed amministrative, la federazione di Roma e provincia della Lega dei Socialisti si muoverà sulle seguenti direttrici:

- La Lega dei Socialisti favorirà la creazione, a sinistra, di uno schieramento alternativo che sia in grado di produrre, come candidati alla carica di sindaco ed ai consigli comunali e di
municipio, persone di provata moralità politica e di conclamata estraneità all’universo degli interessi particolari, che si pongano come alternativa ai candidati dello schieramento organico al PD.

- Coerentemente a questo, come logica conseguenza dell’azione maieutica da svolgersi nella sinistra non Pd, la Lega dei Socialisti sarà presente con propri candidati (riservandosi di presentare, secondo possibilità, una propria lista) all’interno delle aggregazioni civiche a sostegno del candidato sindaco, partecipando pienamente, al pari degli altri soggetti coinvolti, ad ogni livello della battaglia elettorale.

- La Lega, inoltre, sarà presente, con propri rappresentanti, all’interno del comitato elettorale del candidato sindaco, avendo cura di partecipare alla stesura del programma di governo ed inserendo, quindi, i nostri desiderata nell’agenda, condizionando attivamente le scelte programmatiche, ed eventualmente amministrative, della coalizione di riferimento.

- Nell’ottica dell’impegno elettorale romano, dell’avvento dell’area metropolitana e di un eventuale impegno di carattere regionale e nazionale, la federazione romana della Lega dei Socialisti curerà la nascita, sui territori dei municipi di Roma e dei comuni della provincia, di strutture di riferimento stabili, capaci di autonoma progettualità amministrativa sul territorio di riferimento.

- Per dare coerenza e stabilità all’azione politica, si richiede al direttivo della federazione di indicare, attraverso democratica discussione e votazione, una segreteria composta da un numero di membri sufficiente a portare avanti le azioni positive volte a tradurre in prassi le deliberazioni contenute nel presente documento.


Roma, 24 settembre 2012


Firmato:

Mario Michele PASCALE
Desiree COCCHI
Antonio DI PASQUALE
Stefano FERRARI
Stefano SANTARELLI
Manuel SANTORO
Pierluigi SERNAGLIA


dal sito  http://legadeisocialisti.wordpress.com/


giovedì 11 ottobre 2012

INSEGNAMENTI DELLE ELEZIONI VENEZUELANE di Guillermo Almeyra




INSEGNAMENTI DELLE ELEZIONI VENEZUELANE
di
Guillermo Almeyra


La scorsa settimana ho scritto un articolo sulle elezioni in Venezuela che i risultati hanno interamente confermato: Almeyra: Chávez presidente, e poi?. Il popolo venezuelano non si è lasciato ingannare e ha votato per salvaguardare le proprie conquiste e per il futuro, contro il ritorno al passato presentato come rinnovamento.
Chavez ha vinto, infatti, con 10 punti percentuali di differenza. Pur avendo ottenuto il 54,66% dei voti – non il 70% che presentava come obiettivo – ed avendo avuto 7,7 milioni di voti – non 10 come proclamava – la differenza è comunque grande, visto che ha avuto quasi 1,5 milioni di voti più degli avversari del fronte di destra, il MUD, che ne ha ottenuti 6,3 milioni. In una tornata elettorale cui ha partecipato niente meno che l’81,6/ dell’elettorato (non ha votato solo chi non poteva realmente farlo) ha ripreso i suoi voti del 2006 (ne aveva avuti allora 7,3 milioni), ma l’opposizione ne ha recuperati, rispetto ai poco più di 4 milioni all’epoca, 2,1 milioni, che è riuscita a sottrarre all’astensione e allo stesso chavismo.
I fatti hanno la testa dura, e chi non riesce a prevederli non riesce neppure a prepararsi a quello che accadrà. Chi ragiona non ha fede, diceva Sant’Agostino che di fede se ne intendeva. Ergo, chi ha fede non ragiona e non è in grado di distinguere l’appassionata volontà di sospingere il processo rivoluzionario in Venezuela, che è parte importantissima dell’attuale rapporto di forza in America latina, dall’analisi fredda dei problemi che quel processo si trova di fronte. Il fideista va in cerca di capi, santi, certezze, e tutto quel che possa essere pensiero critico e che suoni come un “sì però” di sinistra gli sembra che “aiuti l’imperialismo”. Ignora che la “verità è rivoluzionaria” e taccia di sabotatore, scettico, agente del nemico chi gli segnali che la strada che sta seguendo può condurre al precipizio…. Così, l’acritico accecato dalla fede fomenta il conservatorismo e la burocratizzazione – vale a dire, proprio quel che indebolisce i movimenti dipendenti da capi – e intralcia la presa di coscienza dei lavoratori, che costituiscono la base principale di sostegno e la garanzia sia di quei capi, sia dei movimenti. Coloro che confondono la politica con la fede religiosa o la passione del tifo calcistico non aiutano per nulla il capo che sostengono, né il processo di cui dicono di essere al servizio. Sono più papisti del Papa. Chavez, in effetti, sta correggendo il tiro, si è accorto che non l’intera metà Venezuela all’opposizione è controrivoluzionaria e filo imperialista e si è reso conto di dover recuperare i voti popolari persi e, perciò, come prima misura dopo il suo trionfo ha proposto una politica di inclusione.
Queste sono state elezioni atipiche, perché sono state in realtà un plebiscito pro o contro Chávez, in cui ha anche pesato un riconoscimento nei confronti di un lottatore che, nonostante la sua grave malattia, si è battuto con tutte le sue forze per preservare quel che si è conquistato, è ha avuto un ruolo la solidarietà verso il malato che lotta. Anche se Chávez ha condotto una campagna elettorale d’apparato, non per far ragionare e meno ancora per organizzare le sue basi, non si votava per un partito, ma a favore o contro un uomo che, per tutti, avversari inclusi, si identificava con un processo che ha eliminato l’analfabetismo, ha ridotto della metà la miseria e la povertà, ha fornito servizi essenziali e dignità ai più diseredati e ha collocato in prima fila il Venezuela tra i paesi dell’America latina.
Pur se Hugo Chávez prende ad esempio Perón o il kirchnerismo, tutti si rendono conto che, a differenza del primo - che era un personaggio di destra, attorniato da reazionari, amico di tutti i dittatori dell’epoca, un militare che scappò nel 1955 per non dipendere dagli operai, che si rifiutò di armare contro i nemici ormai sconfitti, e un uomo che patrocinò gli assassinii delle bande parastatali del’Alianza Anticomunista Argentina – e a differenza del kircherismo, sorto dal nocciolo del menemismo e del duhaldismo e dedito a salvaguardare i profitti dei capitalisti e lo stesso sistema – Chávez è un uomo coraggioso, che si gioca la vita per il Venezuela plebeo senza ricercare vantaggi personali e che, anche se la sua politica preserva il capitalismo, non è filo capitalista.
Alle elezioni del 16 dicembre, tuttavia, non si voterà per Chávez ma si eleggeranno governatori. I candidati chavisti non sono stati scelti dal popolo e non godono dell’autorevolezza e del prestigio del comandante. Per questo se quest’ultimo non reagisce lasciando campo libero alla partecipazione delle basi e alla libera scelta di rappresentanti, c’è il pericolo che l’opposizione, che già controlla importanti governatorati, conquisti ulteriori posizioni, perché il riflesso di autodifesa che domenica scorsa ha portato a una vittoria massiccia non avrà più la stessa forza, e un’astensione o una dispersione di voti nelle file bolivariane potrebbe avvantaggiare l’opposizione di destra unificata, specie se questa mantiene la sua tattica e si sforza di nascondere il suo malcelato “gorillismo”.
Chávez ha un progetto nazionalista e democratico, necessario ma non sufficiente, tuttavia non un progetto socialista. Il Venezuela dipende più che mai dal petrolio e dal mercato degli Stati Uniti. La tanto odiata corruzione ha la sua base nel mantenimento della rendita petrolifera e nel burocratismo di buona parte dell’apparato statale di un paese capitalista dipendente. Il paternalismo asfissia gli organismi di massa e li sottomette al suddetto apparato, castrandoli. Chávez non solo non crea le condizioni per costruire i suoi successori di qui al 2019 o anche prima: impedisce anche fondamentalmente - con la sua confusione ideologica che mescola Marx con Gesù e con Perón, e con l’accentramento del potere – la crescita politica, l’autogestione e l’autorganizzazione delle sue basi d’appoggio – i suoi veri “successori” – che rappresentano la garanzia della prosecuzione del processo rivoluzionario.
È questo che occorre cominciare a correggere urgentemente di qui a dicembre- Perciò è indispensabile il contributo della discussione aperta e franca di coloro che sono amici della rivoluzione.


(traduzione di Titti Pierini, 10/10/12)




martedì 9 ottobre 2012

MOZIONE PER UN PARTITO DEL LAVORO di Riccardo Achilli, Antonio di Pasquale, Norberto Fragiacomo, Stefano Santarelli



Pubblichiamo questo  contributo di Riccardo Achilli, Antonio di Pasquale, Norberto Fragiacomo e Stefano Santarelli per gli STATI GENERALI PER L'ALTERNATIVA SOCIALISTA del 24 novembre 2012 organizzata da:
SOCIALISMO E SINISTRA/SINISTRA SOCIALISTA/LEGA DEI SOCIALISTI


MOZIONE PER UN PARTITO DEL LAVORO
di Riccardo Achilli, Antonio di Pasquale, Norberto Fragiacomo, Stefano Santarelli




1- Contesto generale


L’Italia, come del resto l'intero capitalismo occidentale, è alle prese con una crisi di paradigma, dalla quale è evidente oramai che non si può uscire con i normali rimedi, di stampo liberista, che hanno creato i presupposti per la crisi stessa, e nemmeno con un keynesianesimo ibridato, nel quale viene sdoganata soltanto la spesa pubblica in grado di generare effetti sui fattori di competitività dal lato dell'offerta, poiché è chiaro che tali effetti si genererebbero, al più, nel medio e lungo periodo, quando, per dirla con Keynes, “saremo tutti morti”.
La profondità della crisi da sovrapproduzione innescata dal declino di tutte le componenti di domanda aggregata, e quindi non soltanto dagli investimenti, ma anche dai consumi privati e pubblici (questi ultimi fatti scendere artificiosamente con le operazioni di spending review) è il prodotto di una contraddizione interna al capitalismo finanziarizzato e terziarizzato, che può essere sanata soltanto con un modello economico e sociale diverso.
E' evidente che il disegno di ristrutturazione sociale di impronta liberista in atto in Europa, che prelude ad una redistribuzione globale della ricchezza, non potrà far ripartire la crescita globale, se le stesse locomotive di tale crescita (Stati Uniti, Germania, economie BRICS) rallentano perché non possono più esportare su mercati europei impoveriti, ed hanno al contempo limiti strutturali allo sviluppo del loro mercato interno (l'enorme disavanzo di bilancio nel caso degli USA, le contraddizioni di un modello di crescita basato sul costo del lavoro basso e i problemi di contenimento dell'immigrazione interna di popolazione rurale nel caso della Cina, ad esempio). Così come è evidente che gli spread sui debiti sovrani dell'area-euro non potranno ridursi (se non nell'immediato, per effetti di fiducia di breve respiro) con acquisti di titoli a breve termine, che spostano la speculazione sul medio-lungo termine, in condizioni in cui gli stessi meccanismi di rimborso del debito pubblico per i Paesi PIIGS, previsti dal fiscal compact, non sono considerati credibili dagli stessi mercati, perché innescano effetti recessivi con impatti endogeni di peggioramento degli stessi debiti pubblici. Né suggestioni di quantitative easing, in una condizione in cui i mercati monetari europei si trovano all'interno di una trappola della liquidità, possono avere effetti reali di tipo strutturale, se non si torna a lavorare sull'allargamento della base produttiva ed occupazionale delle nostra economie.
In un contesto macroeconomico così grave, per la prima volta nella storia in un modo così evidente, la politica si ritrova in una posizione di subordinazione assoluta alle esigenze del capitale finanziario, esigenze che hanno creato di fatto la crisi che viviamo, e che determinano quella stessa inefficace ricetta liberista di risposta alla crisi che la aggrava ulteriormente. Tale subordinazione è frutto di numerosi fattori, alcuni interni agli stessi meccanismi di rappresentanza dei sistemi democratici liberali, altri derivanti da una cultura, abbracciata anche da una sinistra alla ricerca di presunte patenti di “modernità”, in cui lo Stato, e quindi la politica, deve al massimo operare come regolatore, per correggere alcuni fallimenti di mercato nel processo walrasiano di raggiungimento di un ipotetico equilibrio ideale di lungo periodo di piena occupazione e di massimizzazione dei redditi da parte dei mercati lasciati liberi di. La storia del capitalismo si è incaricata di dimostrare come tale approccio sia fallace, nella misura in cui l'equilibrio di piena occupazione “ideale” dei mercati lasciati liberi di operare non esiste.
In un quadro globale di impotenza della politica, la politica italiana è particolarmente succube agli interessi economici del capitale finanziario, perché lo stesso sistema istituzionale e dei corpi intermedi di rappresentanza è totalmente delegittimato agli occhi dei cittadini, dopo il disastro della seconda Repubblica e di vent'anni di berlusconismo, ed il sostanziale rifiuto (dettato anche da opportunismo) da parte di ampi strati della sinistra ad esercitare il suo ruolo di proposizione di un diverso sistema economico e sociale. In ragione di tale peculiare debolezza della politica italiana, l'attacco di Monti è stato veramente a tutto campo e rischia di distruggere anche quel poco di stato sociale che è rimasto, nella misura in cui dietro una presunta “uscita dalla crisi” del debito si è nascosta una operazione di ristrutturazione liberista della società italiana e dei modi di produzione del nostro capitalismo, perseguita da decenni dalla nostra borghesia, anche tramite governi di centro-sinistra (ricordiamo chi promulgò la legge Treu, quali governi fossero dietro la privatizzazione di tutti gli asset strategici della nostra economia). In tale fase, una borghesia nazionale storicamente incapace di svolgere il suo ruolo innovatore si è saldata, in una perfetta logica compradora degna di uno Stato post-coloniale africano, con gli interessi del capitale finanziario globale, trovando in Mario Monti (figura peraltro mediocre intellettualmente e politicamente) il garante di tale saldatura. Garante peraltro pressoché insostituibile per gli interessi borghesi anche per il prossimo futuro post-elezioni del 2013, il che misura la pochezza di tale classe nella realtà italiana attuale.Il governo Monti e la sua nefasta politica, nata come soluzione di emergenza, rischia infatti di essere invece una soluzione permanente per la borghesia italiana. Non a caso il PD e l’UDC hanno appoggiato tutti i provvedimenti di macelleria sociale del Governo Monti (ivi compreso il vincolo costituzionale al pareggio di bilancio, rispetto al quale, in vigenza del precedente governo Berlusconi, Bersani si era dichiarato contrario).









2 – E la sinistra?


Di fronte a questo attacco, la sinistra (senza parlare del PD che non ne fa più parte, altro sono però i suoi militanti ed elettori) non è stata in grado di proporre una seria alternativa, costringendo un sindacato come la FIOM ad essere, per un certo periodo, il solo ed unico punto di riferimento per la sinistra politica italiana (e sicuramente occuperà ancora un ruolo politico, perché la discesa in campo della Marano in Sicilia è un laboratorio in tal senso, e perché lo stesso Airaudo ha annunciato un impegno politico maggiore da parte della FIOM).
D'altra parte, si intravedono i primi segnali di riscatto da parte dei lavoratori, nella mobilitazione per tenere insieme diritti del lavoro e dell'ambiente, prefigurando un nuovo modello economico e sociale, nel caso dell'llva, ma anche nell'eroica resistenza di minatori sardi del Carbosulcis, e nella vertenza Alcoa. Così come i segnali di reazione del mondo giovanile, cui abbiamo assistito in questi giorni, in difesa della scuola pubblica e dei diritti, sono molto incoraggianti, ed hanno scatenato una reazione repressiva di dimensioni spropositate, indicando nervosismo fra le fila del Governo.
Tuttavia, l'assenza di una sinistra politica e sindacale credibile e con sufficiente radicamento di classe impedisce che tali episodi generino una generalizzata fase di lotta di classe, estesa all'intero mondo del lavoro ed alla società nel suo insieme, mentre la segmentazione esistente sul mercato del lavoro, che la cosiddetta riforma-Fornero non elimina, ostacolano la pur necessaria lotta unitaria di tutti i lavoratori, divisi anche per linee generazionali da una fasulla politica a favore dell'occupazione giovanile perseguita dai “tecnici”, e accompagnata dalla falsa idea secondo cui il modestissimo tasso di occupazione giovanile, fra i piu' bassi d'Europa, sia da attribuirsi agli egoismi dei pensionati o dei lavoratori ultracinquantenni
Purtroppo l'atteggiamento criminale dei Black Bloc che si è verificato il 15 ottobre 2011 alla manifestazione degli Indignados che poteva essere un iniziale punto di partenza ha lasciato ilsegno.
Oltretutto va segnalato che questi criminali (perché di criminali si tratta) che hanno impedito il pacifico sviluppo di questo corteo affinché i partecipanti potessero gridare le proprie ragioni, hanno trasformato questa manifestazione in un assurdo gioco di guerra con azioni stupidamente violente e con effetti politici totalmente devastanti e non sono stati neanche in grado di mobilitarsi per difendere i “compagni” arrestati, facendo rimpiangere in questo la vecchia Autonomia operaia.
La situazione è incerta: non sappiamo nemmeno se voteremo con l’attuale legge elettorale, il famigerato porcellum, che è riuscito a portare in Parlamento non degli eletti dal popolo ma dei mediocri e sconosciuti personaggi nominati da segreterie di partiti che al contrario di quelli della cosiddetta I Repubblica sono spesso completamente inesistenti nella vita civile e nei territori. Ilporcellum è talmente inviso dagli italiani che non è stato difficile per i comitati referendari raccogliere il milione di firme per la sua abrogazione, firme che la Corte Costituzionale si è ben guardata da avallare dichiarando questo referendum inammissibile. Le proposte di una nuova legge elettorale portate dal PD, dall’UDC e del PDL rischiano di fare rimpiangere il porcellum , il che non era facile.
Intendiamoci: oggi una riforma elettorale appare agli occhi dei cittadini una questione completamente secondaria visto che i loro problemi principali derivano dal lavoro, dal reddito, dalle pensioni, dai servizi, ecc. Ma la riforma elettorale è un passaggio essenziale per lo sviluppo della lotta politica, anche se nel frangente attuale non può considerarsi l'unico elemento in gioco: abili maneggi sulle regole della legge elettorale, e gerrymandering dei collegi e delle circoscrizioni, sono infatti mirati proprio a riprodurre il sistema di potere, sempre piu' oligarchico, che risponde agli interessi del capitale finanziario (e la riforma elettorale in corso è a ciò mirata). Per cui, oggi, non si può non ribadire con fermezza l'esigenza di estendere forme di democrazia diretta e dal basso, e di partecipazione popolare e dei lavoratori alle scelte economiche ed aziendali.
In questo contesto, e con l'approssimarsi delle elezioni, è in corso nella sinistra italiana un profondo dibattito, che ruota attorno all'aspetto delle alleanze, tutto sommato sovrastrutturale rispetto all'evidenza che (come anche sottolineato onestamente da Romano Prodi) dalle prossime elezioni di aprile 2013 uscirà un governo di sostanziale continuità con il montismo, anche quando non fosse di larga coalizione. Lo stesso Presidente Napolitano ha dichiarato che si farà garante della continuità delle politiche di rigore imposte dai trattati europei anche dopo la fine del suo mandato, evidentemente operando sulla scelta del suo successore, che avrà un ruolo di influenza, più o meno diretta, sull'indirizzo politico del futuro Governo.
In una simile situazione, la scommessa, pur se onesta e per molti versi coraggiosa, della SEL, del Partito del Lavoro, del PDCI e dei Verdi, ovvero quella di riuscire ad influenzare da sinistra la coalizione che Bersani sta costruendo, appare come il tentativo del nuotatore di invertire la corrente del fiume in cui è immerso. Si tratta di una questione di rapporti di forza: qualunque sarà il sistema elettorale con cui si andrà a votare, i numeri elettorali di cui è accreditata l’attuale coalizione di centrosinistra non le consentiranno di avere una maggioranza sufficientemente stabile da governare senza l’appoggio (magari soltanto esterno) dei centristi. Ma anche se tale eventualità non si verificasse, è chiaro che in un centrosinistra di Governo dove, come dice Bersani, le decisioni controverse verranno risolte a maggioranza dei gruppi parlamentari delle diverse forze, una sinistra che conta elettoralmente circa il 13-14% non potrebbe contrastare, nemmeno presentandosi unita, decisioni prese da un PD che vale il 27-28%. Una polarità costituita da Fassina-SEL-Pdci-Pl, dentro una simile coalizione, e nelle summenzionate condizioni di contesto, non avrebbe la forza sufficiente per influenzare la linea politica del Governo.
Va anche considerato che alle primarie di coalizione, cui Vendola affida una parte rilevante delle possibilità di rilancio della SEL dentro il centrosinistra, egli potrebbe anche non conseguire un risultato significativo, nella misura in cui al voto parteciperebbero anche gli elettori centristi, ed inoltre Renzi, da destra, potrebbe calamitare un elettorato deluso dall’attuale dirigenza del PD, che in teoria avrebbe potuto rientrare nell’area di influenza del candidato della SEL. Alcuni sondaggi parlano infatti di eliminazione di Vendola al primo turno.
D'altra parte, il centrosinistra di Governo lascia scoperta un'ampia fascia di elettorato di sinistra, ben piu' larga delle percentuali elettorali riconosciute a partiti come Rc, Sinistra Critica, il PCL, ecc., ma che include anche un elettorato deluso, che si divide fra l'astensionismo e l'adesione al Movimento 5 Stelle, che appare agli occhi di molti italiani come unica alternativa, ma che non solo non ha un progetto politico, ma non ha neanche una classe dirigente degna di questo nome e desta preoccupazioni relative al suo tasso di democraticità interna. Basti solo pensare a quello che sta succedendo al Comune di Parma dove sono riusciti ad eleggere addirittura il Sindaco.
Ma la crisi politica è tale che non è da escludere per questa lista un grande successo elettorale che ne farebbe in ogni caso il terzo partito italiano. D’altronde il M5S sta dando voce agli oppositori del sistema e ai cittadini più preoccupati. Sono avvantaggiati dall’assenza di una Syriza italiana, di cui occupano lo spazio; saranno verosimilmente corteggiati, nei prossimi mesi, da forze sindacali, movimenti e persino partiti di opposizione, ma è difficile che vengano a patti: perderebbero consenso, e lo sanno. Hanno un merito: riabituano gli italiani all’idea di un’opposizione “di sistema”. Ma non si può nascondere che grazie a questa legge elettorale si possono portare in parlamento personaggi discutibili come quelli portati dall’Italia dei Valori basti pensare ai vari Razzi, Scilipoti e De Gregorio e di cui Di Pietro, se fosse una persona onesta, dovrebbe chiedere scusa al suo elettorato.





3 – Una proposta per la LDS: verso il partito del lavoro


Dentro questa crisi di sistema economico e politico, il socialismo italiano è nella sua fase storica di piu' grande debolezza. Il punto non è di fare un Congresso che anche se si svolgesse sarebbe completamente inutile e che tra l'altro la Sinistra Socialista nel suo complesso perderebbe. Il punto è quello di rendere autonoma la Lds dall’attuale PSI. Cui prodest rimanere dentro il PSI? Per avere un simbolo elettorale, tra i tanti che ha il PSI e che le giovani generazioni non conoscono? Un nome oltretutto anche sputtanato e non certo per colpa dei sinceri militanti socialisti come noi. Per i soldi, che non ci sono. O per le pochi sedi che forse e sottolineo forse, potremo prendere?
NO! Bisogna costruire GRADUALMENTE, MA RAPIDAMENTE, un'organizzazione socialista indipendente, guardando non ad un impossibile rilancio del PSI, ma alla possibilità di portare via la componente migliore della sua dirigenza e dei suoi militanti. Non è più il tempo di tatticismi politici è questa situazione che ce lo impone. Capiamo i dubbi che possono avere molti compagni, ma purtroppo non è più il momento dei dubbi. La scelta del gruppo dirigente del PSI di aderire senza alcuno spirito critico al centrosinistra bersaniano, in prospettiva, probabilmente, di una confluenza dentro il corpo del PD, magari passando tramite una lista elettorale unica (anche se ciò non è necessario ad una futura annessione) priverebbe il socialismo italiano di qualsiasi rappresentanza politica, sia pur minimale. E d'altra parte è evidente che l'assoluta volontà di Nencini di appoggiare Bersani alle primarie, e di non candidare alcun esponente del PSI, è l'anticamera della fusione per incorporazione, che lascerebbe l'Italia priva di una sua tradizione socialista autonoma.
In un certo senso la strada verso l'autonomia della LDS è un salto al buio, ma non vi sono purtroppo alternative. Ed in questo contesto, come soggetti politici autonomi dal PSI, dobbiamo contribuire ed avviare tutta una serie di trattative con la parte della sinistra che ha scelto di rimanere fuori dal centrosinistra, guardando anche all'elettorato ed agli spezzoni di dirigenza di sinistra che sono presenti in partiti piccolo-borghesi come l'Idv, oppure nel M5S.
Nello specifico, riteniamo che l'esperimento siciliano di aggregazione fra SEL, IDV, FDS, Verdi, con il contributo in prima linea della FIOM, per il sostegno a Giovanna Marano, sia un laboratorio di ciò che potrebbe essere la nuova sinistra italiana in futuro, ovvero un partito del lavoro con un collegamento forte con l'unico sindacato realmente combattivo rimasto, e quindi con un forte radicamento di classe, in grado di presentare una piattaforma alternativa ad un debole riformismo a copertura di una sostanziale continuità montista, come propone il PD. E tale laboratorio, crediamo, si estenderà anche a livello nazionale (un primo segnale in tal senso è la foto del Palazzaccio) quando si manifesteranno inevitabilmente le contraddizioni interne al centrosinistra, fra il PD, ed in particolare le sue componenti centriste, e la sinistra, e quindi quest'ultima dovrà cercare una alternativa al “riformismo montista” di Governo, pena una nuova catastrofe elettorale analoga a quella della Sinistra Arcobaleno (che pagò proprio la partecipazione, inefficace, al Governo dell'Unione di Prodi ed alle sue politiche moderate). Le dinamiche in atto, crediamo quindi, porteranno inevitabilmente verso la stabilizzazione di una aggregazione SEL/IDV/FDS/Verdi, con la sponda della FIOM, cioè verso qualcosa che potremmo battezzare “partito del lavoro”. D'altra parte, poiché la politica italiana tende quasi sempre a seguire, seppur con ritardo, ciò che succede all'estero,sarà inevitabile che anche da noi arrivino esperienze di aggregazione della sinistra politico/sindacale simili ad Izquierda Unida, o al Front de Gauche, oppure a Syriza (seppur con le rilevanti differenze che caratterizzano queste tre formazioni unitarie della sinistra socialista ed antiliberista).
Proponiamo allora a Valdo Spini, come illustre esponente della migliore tradizione del socialismo, immediatamente dopo l'esito delle primarie, di farsi facilitatore e soggetto promotore di un percorso di approdo della sinistra socialista, ivi compresa la LDS, verso tale partito del lavoro. La componente socialista sarebbe fondamentale per dare a tale soggetto la concretezza programmatica per potersi presentare credibilmente ad una società che, come detto in precedenza, manifesta segnali di crescente radicalizzazione e mobilitazione di piazza, ma non trova sponda politica idonea. Sarebbe altresì fondamentale per attribuire a tale soggetto i valori di libertà, eguaglianza, europeismo, di cui il socialismo è portatore.
Chiediamo immediatamente e formalmente a Valdo Spini la disponibilità a lavorare in tale direzione, e, se non fosse disponibile, cerchiamo un altro esponente socialista con l'autorevolezza per traghettare la sinistra socialista verso il futuro partito del lavoro, ovviamente lavorando anche con le altre forze che lo comporranno (SEL, FIOM, IDV, FDS) per accelerarne il percorso costitutivo. E nel frattempo, chiediamo anche a soggetti come l'NPA ed ALBA di partecipare al progetto. Naturalmente, è ovvio che gran parte dell'attuale dirigenza e struttura del PSI, stanti le posizioni adottate, non abbia niente da dare ad una simile soluzione. Per questo l'autonomia dal PSI è fondamentale, in tempi relativamente rapidi.
Nell'immediato della campagna elettorale, si chiede alla LDS di operare per favorire la costituzione del nucleo del futuro partito del lavoro già dentro il centrosinistra, lavorando per facilitare una aggregazione dei soggetti politici a sinistra del PD e che intendono partecipare al centrosinistra, basata su un programma alternativo ed autonomo a quello del PD, da porre come condizione negoziale per la partecipazione alla coalizione di centrosinistra, nella convinzione che la politica più sana ponga, come requisito fondamentale per la formazione di una coalizione, una convergenza programmatica reale, che però non può essere lasciata ad un confronto “uno ad uno” fra PD ed ogni singola forza della sinistra, ma che deve trovare una prima convergenza fra i partiti della coalizione diversi dal PD, per presentarsi uniti al negoziato programmatico con il partito elettoralmente più importante della coalizione.
Costruire un partito del lavoro senza nessuna primogenitura essendo consapevoli che non vi saranno poltrone da occupare per rilanciare la sinistra in Italia e quindi costituire un punto di riferimento. Bisogna pensare (e muoversi) già adesso per costruire il partito di una sinistra unitaria italiana imperniato sui migliori valori del socialismo italiano. Il nostro movimento politico dovrà guardare alle esigenze di un vasto popolo di sinistra oggi disperso in molti partiti (non tutti di sinistra), anteponendo il programma delle cose da fare alle identità ed alle pur legittime appartenenze ideologiche. Un programma che deve dare risposte concrete e realistiche ad esigenze concrete, pur senza rinunciare ad obiettivi strategici di lungo periodo.
Rispetto alle scelte di collocazione europea, in coerenza con l’adesione piena al disegno europeista che ci contraddistingue come socialisti, ed in prospettiva di una auspicabile sempre maggiore integrazione politica europea, riteniamo che un partito del lavoro, che si dovesse costituire dopo l'attuale tornata elettorale, mantenga e rispetti le singole adesioni dei partecipanti ai vari partiti europei, ma abbiamo però anche il dovere di contribuire ad una svolta a sinistra delle politiche del partito socialista europeo, lavorando per mantenere una linea di dialogo e collaborazione fra GUE (Groupe Gauche Unitaire Européenne) e PES (Partito Socialista Europeo), anche solo rispetto a singole e specifiche iniziative.
Per questo è importante che alla nostra assemblea (Socialismo e Sinistra- Sinistra Socialista-Lega dei Socialisti) per la costruzione di una alternativa socialista e di sinistra nel nostro paese, prevista alla fine di novembre, ci sia la massima partecipazione non solo dei nostri compagni, ma anche e soprattutto quella dei compagni di altre forze e realtà della sinistra con cui potere iniziare ad affrontare un dialogo ed un confronto.
E' anche fondamentale che dalla nostra assemblea esca finalmente un lavoro per un programma, imperniato su linee antiliberiste e di concretezza, e che questo programma sia il frutto di un intenso lavoro a tutti i livelli della Lds, coinvolgendo anche i militanti di base, anche mediante appositi gruppi di lavoro ampiamente partecipati e trasparenti.

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