INSEGNAMENTI DELLE ELEZIONI VENEZUELANE
di
Guillermo
Almeyra
La
scorsa settimana ho scritto un articolo sulle elezioni in Venezuela
che i risultati hanno interamente confermato: Almeyra:
Chávez presidente, e poi?.
Il popolo venezuelano non si è lasciato ingannare e ha votato per
salvaguardare le proprie conquiste e per il futuro, contro il ritorno
al passato presentato come rinnovamento.
Chavez
ha vinto, infatti, con 10 punti percentuali di differenza. Pur avendo
ottenuto il 54,66% dei voti – non il 70% che presentava come
obiettivo – ed avendo avuto 7,7 milioni di voti – non 10 come
proclamava – la differenza è comunque grande, visto che ha avuto
quasi 1,5 milioni di voti più degli avversari del fronte di destra,
il MUD, che ne ha ottenuti 6,3 milioni. In una tornata elettorale cui
ha partecipato niente meno che l’81,6/ dell’elettorato (non ha
votato solo chi non poteva realmente farlo) ha ripreso i suoi voti
del 2006 (ne aveva avuti allora 7,3 milioni), ma l’opposizione ne
ha recuperati, rispetto ai poco più di 4 milioni all’epoca, 2,1
milioni, che è riuscita a sottrarre all’astensione e allo stesso
chavismo.
I
fatti hanno la testa dura, e chi non riesce a prevederli non riesce
neppure a prepararsi a quello che accadrà. Chi ragiona non ha fede,
diceva Sant’Agostino che di fede se ne intendeva. Ergo, chi ha fede
non ragiona e non è in grado di distinguere l’appassionata volontà
di sospingere il processo rivoluzionario in Venezuela, che è parte
importantissima dell’attuale rapporto di forza in America latina,
dall’analisi fredda dei problemi che quel processo si trova di
fronte. Il fideista va in cerca di capi, santi, certezze, e tutto
quel che possa essere pensiero critico e che suoni come un “sì
però” di sinistra gli sembra che “aiuti l’imperialismo”.
Ignora che la “verità è rivoluzionaria” e taccia di sabotatore,
scettico, agente del nemico chi gli segnali che la strada che sta
seguendo può condurre al precipizio…. Così, l’acritico accecato
dalla fede fomenta il conservatorismo e la burocratizzazione – vale
a dire, proprio quel che indebolisce i movimenti dipendenti da capi –
e intralcia la presa di coscienza dei lavoratori, che costituiscono
la base principale di sostegno e la garanzia sia di quei capi, sia
dei movimenti. Coloro che confondono la politica con la fede
religiosa o la passione del tifo calcistico non aiutano per nulla il
capo che sostengono, né il processo di cui dicono di essere al
servizio. Sono più papisti del Papa. Chavez, in effetti, sta
correggendo il tiro, si è accorto che non l’intera metà Venezuela
all’opposizione è controrivoluzionaria e filo imperialista e si è
reso conto di dover recuperare i voti popolari persi e, perciò, come
prima misura dopo il suo trionfo ha proposto una politica di
inclusione.
Queste
sono state elezioni atipiche, perché sono state in realtà un
plebiscito pro o contro Chávez, in cui ha anche pesato un
riconoscimento nei confronti di un lottatore che, nonostante la sua
grave malattia, si è battuto con tutte le sue forze per preservare
quel che si è conquistato, è ha avuto un ruolo la solidarietà
verso il malato che lotta. Anche se Chávez ha condotto una campagna
elettorale d’apparato, non per far ragionare e meno ancora per
organizzare le sue basi, non si votava per un partito, ma a favore o
contro un uomo che, per tutti, avversari inclusi, si identificava con
un processo che ha eliminato l’analfabetismo, ha ridotto della metà
la miseria e la povertà, ha fornito servizi essenziali e dignità ai
più diseredati e ha collocato in prima fila il Venezuela tra i paesi
dell’America latina.
Pur
se Hugo Chávez prende ad esempio Perón o il kirchnerismo, tutti si
rendono conto che, a differenza del primo - che era un personaggio di
destra, attorniato da reazionari, amico di tutti i dittatori
dell’epoca, un militare che scappò nel 1955 per non dipendere
dagli operai, che si rifiutò di armare contro i nemici ormai
sconfitti, e un uomo che patrocinò gli assassinii delle bande
parastatali del’Alianza Anticomunista Argentina – e a differenza
del kircherismo, sorto dal nocciolo del menemismo e del duhaldismo e
dedito a salvaguardare i profitti dei capitalisti e lo stesso sistema
– Chávez è un uomo coraggioso, che si gioca la vita per il
Venezuela plebeo senza ricercare vantaggi personali e che, anche se
la sua politica preserva il capitalismo, non è filo capitalista.
Alle
elezioni del 16 dicembre, tuttavia, non si voterà per Chávez ma si
eleggeranno governatori. I candidati chavisti non sono stati scelti
dal popolo e non godono dell’autorevolezza e del prestigio del
comandante. Per questo se quest’ultimo non reagisce lasciando campo
libero alla partecipazione delle basi e alla libera scelta di
rappresentanti, c’è il pericolo che l’opposizione, che già
controlla importanti governatorati, conquisti ulteriori posizioni,
perché il riflesso di autodifesa che domenica scorsa ha portato a
una vittoria massiccia non avrà più la stessa forza, e
un’astensione o una dispersione di voti nelle file bolivariane
potrebbe avvantaggiare l’opposizione di destra unificata, specie se
questa mantiene la sua tattica e si sforza di nascondere il suo
malcelato “gorillismo”.
Chávez
ha un progetto nazionalista e democratico, necessario ma non
sufficiente, tuttavia non un progetto socialista. Il Venezuela
dipende più che mai dal petrolio e dal mercato degli Stati Uniti. La
tanto odiata corruzione ha la sua base nel mantenimento della rendita
petrolifera e nel burocratismo di buona parte dell’apparato statale
di un paese capitalista dipendente. Il paternalismo asfissia gli
organismi di massa e li sottomette al suddetto apparato, castrandoli.
Chávez non solo non crea le condizioni per costruire i suoi
successori di qui al 2019 o anche prima: impedisce anche
fondamentalmente - con la sua confusione ideologica che mescola Marx
con Gesù e con Perón, e con l’accentramento del potere – la
crescita politica, l’autogestione e l’autorganizzazione delle sue
basi d’appoggio – i suoi veri “successori” – che
rappresentano la garanzia della prosecuzione del processo
rivoluzionario.
È
questo che occorre cominciare a correggere urgentemente di qui a
dicembre- Perciò è indispensabile il contributo della discussione
aperta e franca di coloro che sono amici della rivoluzione.
(traduzione
di Titti Pierini, 10/10/12)
Nessun commento:
Posta un commento