Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

venerdì 28 giugno 2013

IL MITO DI LULA E LA REALTA' DEL BRASILE di Marco Ferrando




IL MITO DI LULA E LA REALTA' DEL BRASILE.
LA CRISI DI UN'ICONA "PROGRESSISTA"
di Marco Ferrando


L'imponente mobilitazione di massa che dal 13 Giugno attraversa il Brasile scuote il regime politico imperniato sul PT: quel regime “lulista” che per molto tempo ha rappresentato un'icona intoccabile della sinistra “progressista” internazionale.

Negli ultimi 10 anni, il governo a guida PT ( due governi Lula ed oggi il governo Roussef) ha accompagnato un forte sviluppo del capitalismo brasiliano. Sullo sfondo della grande crisi capitalistica occidentale che a partire dal 2007 ha colpito prima gli USA e poi l' Unione Europea, il Brasile ha conosciuto uno sviluppo economico sostenuto del proprio PIL con punte dell'8%. Questo sviluppo è stato sospinto principalmente dall' esportazione di materie prime, agricole e non, trainata in particolare dall'ascesa capitalistica cinese. E ha consentito ai governi Lula uno spazio di manovra sociale sul versante della cosiddetta “lotta alla povertà” ( sussidi, assistenza, scambi clientelari) che ha sostenuto e alimentato la tenuta elettorale prolungata del regime petista, con la copertura immancabile della burocrazia sindacale ( innanzitutto la CUT). Erano gli anni del plauso corale della sinistra mondiale al lulismo. La socialdemocrazia vi vedeva la possibile simbiosi tra capitalismo e “progresso” nel mentre gestiva le politiche antioperaie d'austerità in Europa. Gli ambienti riformisti no global europei salutavano in Lula la possibile alleanza tra governo e “movimenti” nel mentre svendevano i movimenti ai propri governi borghesi, socialdemocratici o liberali. Gli uni e gli altri celebravano un inganno per i propri interessi politici.

mercoledì 26 giugno 2013

RICHARD MATHESON: "IO SONO LEGGENDA"






RICHARD MATHESON: "IO SONO LEGGENDA"
di Andrea Colombo


In appendice due telefilm scritti da Richard Matheson


Ci sono autori che hanno forgiato l’immaginario di due o tre generazioni e tutti glielo riconoscono perché tutti almeno un po’ li conoscono. Ce ne sono altri che vantano un credito altrettanto cospicuo, ma a saperlo sono in relativamente pochi.
Richard Matheson, scomparso ieri alla bella età di 87 anni, è uno di questi.
Pochissimi hanno fatto quanto lui per trasportare l’horror e il fantastico dalle ombre ottocentesche del gotico nella terra apparentemente luminosa del XX secolo. È lui il vero padre culturale di Stephen King: nessuno, prima di lui, aveva saputo moltiplicare i fattori inquietanti del fantastico calandoli in un contesto di assoluta e persino piatta normalità; nessuno, nella sua generazione, era altrettanto capace di passare da un linguaggio all’altro intrecciandoli tutti e contaminandoli sino a renderli indistinguibili. Come King, scriveva romanzi con la macchina da presa montata su quella da scrivere, sceneggiava film di grandissimo successo con lo spirito del romanziere ed era capace di trasferire la doppia eredità nei codici della allora quasi neonata della televisione.
La serie più nota e riuscita dell’horror moderno, quella dei morti viventi di George Romero, è figlia legittima di uno dei suoi romanzi migliori e più famosi, Io sono leggenda, uscito nel 1954. Protagonista l’ultimo (o quasi) essere umano rimasto su un pianeta popolato dalla versione moderna e imbestialita, priva di ogni seduttività draculesca, di una stirpe vampira e carnivora. Quella storia, portata sullo schermo tre volte senza contare il rimaneggiamento di Romero, era esplicitamente ispirata dal romanzo gotico di Bram Stoker. Solo che Matheson, figlio della grande depressione e poi della guerra fredda, rovesciava i ruoli. A scontare il prezzo salato della solitudine e della diversità, dell'impossibilità di comunicare con un suo simile, non è più il mostro ma il «normale». Ma in un universo in cui il vampirismo è diventato universale, chi è più mostruoso, più sinistramente leggendario, dell'unico essere rimasto «normale»?

sabato 22 giugno 2013

TURCHIA: LA FEROCIA NON RIGUARDA SOLO LA POLIZIA di Luigi Vinci





TURCHIA: LA FEROCIA NON RIGUARDA SOLO LA POLIZIA
di Luigi Vinci


Ho osservato, in un precedente articolo, come la Turchia sia culturalmente scissa tra due anime,quella islamica e quella laica, e lo sia in modo profondo e, allo stato delle cose, difficilmente conciliabile. Appare oggi solo provvisoriamente mediabile, seguendo le oscillazioni del rapporto di forze tra le rappresentanze fondamentali delle sue anime: quella, oggi, del partito islamico Akp e quella, storica, autoritaria dei militari, del grosso della magistratura, a partire dalla Corte Costituzionale, e del grosso dei quadri della burocrazia statale, dei governatori locali, ecc. Sul versante laico non ci sono però solo militari, magistratura, ecc.: in posizione completamente smarcata, rappresentando una tendenza che vorrebbe il passaggio a un’effettiva democrazia parlamentare (oggi ce ne stanno solo il simulacro, la vernice, la chiacchiera pubblica, la propaganda verso l’Europa, come i fatti di piazza Taksim mettono in tutta evidenza), è anche quel tanto di società civile semisviluppata (esiste solo nelle città): i media (pavidi e opportunisti, certo: ma più liberi, paradossalmente, che in Italia), le (potenti)associazioni per i diritti umani, la confindustria locale, il tessuto scolastico pubblico, la Corte di Cassazione (un’autentica perla nel porcile giudiziario: è una sorta di tritacarne di condanne barbariche), il partito curdo legale Bdp.
In posizione intermedia dentro alla vasta area laica, infine, è il partito kemalista storico Chp,oggi dentro all’Internazionale Socialista, il secondo oggi elettoralmente del paese: dalle oscillazioni davvero impressionanti, fino a tempi recenti semifascista, violentemente sciovinista e anticurdo, ora aperto più di Akp alle richieste curde. In un rigurgito di dignità si è persino esposto, sentendo odore di voti, dopo essere stato per un po’ a vedere come buttava, alle richieste dei ragazzi di piazza Taksim.

venerdì 21 giugno 2013

Io e il Cangaçeiro di Alfredo Mazzucchelli



Io e il Cangaçeiro 
di Alfredo Mazzucchelli

Il cangaçeiro e la sua banda apparvero dal folto della katinga pianta spontanea (1) come una nube di polvere soffiata dal vento dell’estate baiana. Minacciosi all’aspetto, fidando più sulla loro immagine lontana di giustizieri che non sulla patetica realtà del presente mai riscattato dall’ingiustizia e dalla sopraffazione. Piantati sui loro cavalli, armati di tutto punto, con giberne a tracolla, il machete alla cintura e coperture di cuoio a protezione della gambe ed il caratteristico cappello del cangaçou.

Non cé dubbio che la banda faccia una certa impressione. Il capo mi si rivolse con accento deciso ed inquisitorio : pareçe que voçe es ou italiano, certo? Ea, risposi nel mio portoghese da importato, voçe esta quierendo o que?
“Olha, voçe chegou no Brasil, na minha terra, esta tirando pedras para esportar na Italia, y pra nosotros nao decha nada, a pesar do lixo!”

Guarda che qua lavorano un centinaio di tuoi compaesani, noi portiamo lavoro ed investimenti, quindi redditi con i quali poi voi siete in grado di comperare ciò di cui avete bisogno, risposi.

E’ proprio di questo che volevo parlarti, rispose il cangaçeiro, io avrei due nipoti da sistemare, sai, devono farsi una famiglia e tu mi capisci, vero ? Io nel frattempo posso assicurarti tutta la protezione di cui potresti aver bisogno, sai questa è ancora una terra selvaggia ed è sempre bene avere degli amici che dei nemici. Lo stesso parroco del paese si lamenta del fatto che tu, trattenendo i lavoratori in cava a dormire ( e questo data la lontananza della cava dal “povoado” dove risiedevano ) praticamente svuotando la chiesa del paese!

Le cose adesso sono chiare, il cangaçou ed il prete avevano già stabilita una strategia di approccio e quindi, imperialismo a parte, l’accordo era già nelle “cose”. I vecchi cangaçi ancora si stanno rigirando nelle tombe.


1)- Katinga: Rovi spinosi


mercoledì 19 giugno 2013

IL NEMICO PARLA CHIARO di Sergio Cararo



IL NEMICO PARLA CHIARO
di Sergio Cararo



Le Costituzioni nate dalla sconfitta delle dittature in Europa sono ormai considerate una palla al piede dai poteri forti. Loro parlano chiaro mentre l'ipocrisia è il linguaggio della sconfitta.

La brutta sensazione era nell'aria da un po' di tempo. Poi, come spesso accade, il messaggio arriva brutale ma netto. Un documento della banca d'affari JP Morgan  dice chiaro e tondo quello che la classe dominante europea e il suo ceto politico-tecnocratico stanno facendo senza dirlo.

Le Costituzioni approvate in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo dopo la caduta delle dittature militari e fasciste sono ormai un intralcio insopportabile per la tabella di marcia del capitale finanziario nei paesi europei Pigs. Nel linguaggio crudo dei banchieri “l'eccesso di democrazia” rende debole la governabilità e non predispone i sudditi al piegarsi ad una esistenza che non prevede diritti o garanzie. Non solo. Siccome l'austerità farà parte del panorama europeo ancora per un lungo periodo, i paesi aderenti all'Eurozona dovranno anche predisporsi affinchè non sia prevista la “licenza di protestare quando vengono proposte modifiche sgradite allo status quo”.

Un messaggio e un linguaggio brutale che devono suonare come un allarme rosso nella testa e nella coscienza di chi vive in condizione subalterna nei paesi europei, soprattutto nei Pigs.

Due sottolineature ci paiono d'obbligo.

martedì 18 giugno 2013

ULTIMO ATTO PER RIFONDAZIONE COMUNISTA di Claudio Bellotti




ULTIMO ATTO PER RIFONDAZIONE COMUNISTA
di Claudio Bellotti


Del Partito della Rifondazione comunista rimane solo una cosa: alcune migliaia di militanti. Non esiste un gruppo dirigente che possa dirsi tale, non una linea politica, non un’azione coordinata. Non c’è più il quotidiano, sono finiti i fondi, le sedi sono in vendita, l’apparato in via di smantellamento. I voti sono gli stessi di Democrazia Proletaria negli anni ’80 e il numero di attivisti non è di molto diverso.

Non esistono veri insediamenti organizzati nelle fabbriche o in altri settori di classe lavoratrice; la presenza giovanile si è ridotta ai minimi termini e l’organizzazione giovanile è solo terreno di scontro per micro-repliche delle divisioni della segreteria, priva di elaborazione e intervento reali.
Alcune centinaia di circoli tentano, con mezzi propri e privi di riferimenti politici e organizzativi centrali, di mantenere un intervento rivolgendosi al proprio territorio.
Esiste poi una presenza istituzionale che per quanto ridotta, quasi dovunque riesce incredibilmente a mantenere intatta la propria inossidabile propensione governista, ripetendone inesorabilmente gli esiti nefasti. La “primavera” di Milano e Napoli sta finendo in lacrime; Napoli è la federazione che ha avuto il maggiore tracollo di iscritti negli ultimi due anni, proprio in corrispondenza della massima esposizione istituzionale nel governo comunale.
Chi si domanda, o ci domanda, per quali vie si potrebbe rilanciare il partito, deve innanzitutto partire da questi dati di fatto. La liquidazione di Rifondazione non è stata messa nero su bianco in un atto formale, ma si è affermata nella realtà come risultato di una serie di sconfitte generate da una linea fallimentare.

domenica 16 giugno 2013

GRILLO: I NODI IRRESOLTI di Antonio Moscato




GRILLO: I NODI IRRESOLTI
di Antonio Moscato

Da quando il M5S è entrato in parlamento sembra che tutti i mali dell’Italia dipendano da Grillo. Si è distinto soprattutto il centrosinistra, che non ha mai perdonato al M5S di non avergli regalato i suoi voti per un pateracchio con gli stessi contenuti delle larghe intese, e che cerca di far dimenticare che una proposta accettabile era stata fatta al PD al momento dell’elezione del presidente della repubblica. Accettabilissima, perché tutti i candidati proposti, a partire da Rodotà, non erano così rivoluzionari e antagonisti come anche Grillo e i grillini avevano creduto. Tra loro c’era perfino la pessima Bonino! Ma la proposta era stata rifiutata perché in realtà un bel pezzo del PD voleva fortemente l’intesa con Berlusconi sotto l’egida di Napolitano.

Ora argomento di tutti i giornali, soprattutto di quelli del centrosinistra, sono le vicende interne del M5S, e in particolare la “pretesa” di espellere i dissidenti. Si scandalizzano alcune facce di bronzo, che hanno sempre espulso ogni dissidente che li criticava da sinistra (quelli da destra invece fanno carriera). Anche il PRC, quando non si era ancora diviso in due tronconi, aveva espulso senza esitazione chi come Turigliatto si opponeva alla guerra in Afghanistan, anche se lo faceva richiamandosi ai comuni impegni congressuali …

venerdì 14 giugno 2013

FROMM E L'EREDITA' MARXISTA



FROMM E L'EREDITA' MARXISTA
da Capi Vidal



Fromm è stato un eccentrico sintetizzatore dell'opera di Freud e di Marx, le cui analisi tendono verso l'esistenzialismo, la psicologia e il sociale. Una delle sue ossessioni era l'autoritarismo; ricordiamo che nella sua opera influente, aveva dimostrato che ci sono diversi meccanismi che portano gli uomini a fuggire dalla libertà. Fromm ritiene che questa fuga, negli esseri umani, è una fuga da se stessi ed è una delle forme che adotta l' "istinto della morte" freudiano. Nel suo lavoro, in cui ha voluto vedere una sorta di "psicoanalisi umanistica", mette in evidenza gli aspetti sociali e morali della pratica della psicoanalisi, in gran parte basato sul fatto che la malattia mentale presenta caratteristiche sociali e morali. Dedichiamo questo testo per ricordare la visione di Fromm su Marx e sulla prassi marxista.

sabato 1 giugno 2013

DOPO GLI STUPIDI PEANA DI VITTORIA di Antonio Moscato




DOPO GLI STUPIDI PEANA DI VITTORIA
di Antonio Moscato



Queste considerazioni post elettorali vanno lette tenendo conto di altri articoli pubblicati sul sito, come
 Verifiche prevedibili e L'analisi di Sinistra Critica sul voto .


A giudicare dalla maggior parte dei primi commenti dei grandi quotidiani, il 26 e 27 maggio in Italia si sarebbe svolto un plebiscito su Grillo, che si sarebbe concluso con un grande successo per i partiti di governo. Il confronto tra di loro appariva quasi marginale, e d’altra parte perché appassionarsi tanto, se stanno nella stessa barca, cioè nello stesso governo? Qualche sindaco in più al centro sinistra (pochissimi, per ora, perché il grosso dipende ancora dall’esito non sempre facilmente prevedibile dei ballottaggi) comunque è bastato al PD per cantar vittoria.

Eppure sarebbe sufficiente leggere i dati analizzati dall’Istituto Cattaneo di Bologna per verificare che il partito “vincitore”, il PD, nei 16 comuni capoluogo presi in esame ha perso il 63% dei voti (243.000) rispetto alle politiche di febbraio, e il 47,6% rispetto alle elezioni regionali del 2010. Analogamente il “rivale” PDL ha perso il 65,8% dei suo voti rispetto alle politiche di tre mesi fa, mentre la Lega Nord ha dimezzato i suoi voti rispetto alle politiche e ne ha persi i due terzi rispetto alle regionali. Cento di queste vittorie! Naturalmente invece tutti sono soddisfatti. Rinvio su questo ai dati di Un'analisi articolata dei dati elettorali .
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