Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

domenica 31 agosto 2014

ROMA - 1 SETTEMBRE: ASSEMBLEA DEI LAVORATORI DELLA SCUOLA




Roma, 1 settembre: assemblea dei lavoratori della scuola


Considerato che la riforma della scuola sarà presentata mercoledì 3 settembre,

(A darne conferma il Primo Ministro Matteo Renzi che assicura essere pronta e che il rinvio è dovuto soltanto ad una questione comunicativa: Troppa carne sul fuoco oggi al Consiglio dei Ministri la riforma sarà presentata mercoledì. La notizia è stata data dall'agenzia ASkCA)

Riteniamo che:

UNITI POSSIAMO LOTTARE CONTRO I PIANI DEL GOVERNO

DIVISI ABBIAMO GIÀ PERSO

Con questa convinzione ci riuniremo in assemblea lunedì 1 settembre, riproponendoci di imparare dagli errori passati. Negli ultimi anni gli elementi e i motivi di divisione ci hanno impedito di trovare momenti unificanti di lotta nonostante la gran parte della categoria disapprovava le misure di politica scolastica che i diversi governi hanno realizzato. La nostra categoria si è trovata così frammentata e divisa ed ogni singolo spezzone ha cercato di resistere ma in modo isolato e, a volte, con modalità che di fatto hanno contribuito a ulteriori divisioni.

Crediamo che dobbiamo imparare dai nostri errori ed evitare di ripeterli. L'invito all'unità non è perciò solo di ordine morale: solo una forte, duratura e consapevole opposizione può fermare i cambiamenti che il governo vuole imporre alla scuola e che avranno pesanti conseguenze sul personale, sugli studenti, sulle famiglie.


Alle proposte di divisione rispondiamo con le nostre proposte

1) aumenti per tutte/i di 200 euro contro ogni riproposizione di riconoscimenti economici “ai più bravi”

2) difesa del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro contro l'individualizzazione dei diritti

3) miglioramento delle condizioni di lavoro contro l'aumento dell'orario ed il peggioramento dell'offerta formativa

4) immissione in ruolo dei precari su tutti i posti disponibili contro il tentativo di espulsione di migliaia di lavoratori e lavoratrici

Per questo invitiamo tutte/i all'incontro che preparerà l'Assemblea cittadina da tenere entro la metà di settembre e le ulteriori forme di mobilitazione



LUNEDÌ 1 SETTEMBRE

PRESSO IL CIELO SOPRA L'ESQUILINO ALLE ORE 17

via Galilei 57 – fermata Manzoni metro A
Autoconvocati scuola - Precari Uniti contro i tagli

Fonte



La vignetta è del Maestro Mauro Biani






giovedì 28 agosto 2014

TRIESTE: ASCESA E CRISI DELL'INDIPENDENTISMO di Davide Fiorini




TRIESTE: ASCESA E CRISI DELLINDIPENDENTISMO
di Davide Fiorini 



A Trieste da alcuni anni assistiamo alla ribalta nel panorama politico cittadino del Movimento Trieste Libera (MTL).
Il MTL è un movimento che rivendica l’attualità storica del Territorio Libero di Trieste (TLT), entità territoriale nata dopo la fine del secondo conflitto mondiale posta sotto la giurisdizione delle autorità alleate e delle Nazioni Unite.
Secondo gli indipendentisti i trattati (Londra 1954, Osimo 1975) che sanciscono il passaggio della Zona A all’Italia e della Zona B alla ugoslavia sono da ritenersi nulli. Conseguenza di ciò, con sessant’anni di ritardo, Trieste è ancora da considerarsi territorio libero, e l’amministrazione italiana un amministrazione illegittima.
Oggi il MTL vive però una crisi profonda ce ne ha determinato la scissione in due organizzazioni distinte: il Movimento Trieste Libera che rimane legato alla sua figura di spicco Roberto Giurastante, e il Territorio Libero.
La scissione, che si è consumata con toni parecchio accesi e ha attirato l’attenzione della stampa locale, riflette spinte centrifughe e giochi di potere che i marxisti di questa città devono tenere d’occhio con attenzione.

martedì 26 agosto 2014

IL MADE IN ITALY CHE SPARA IN MEDIORIENTE di Stefano Pasta





IL MADE IN ITALY CHE SPARA
IN MEDIORIENTE
di Stefano Pasta



Nel 2013 abbiamo spedito in giro per il mondo armamenti per oltre due miliardi di euro. Ai primi posti fra i nostri clienti l’Arabia Saudita, l’Algeria, ma persino Egitto e Israele. Com’è possibile che vendiamo armi a Paesi in conflitto? Se lo chiedono le associazioni pacifiste. E non solo loro.


Mentre il Parlamento decide di rifornire i curdi iracheni di mitragliatrici e razzi anticarro per fermare l’avanzata del Califfato, in Medio Oriente si spara da tempo con armi made in Italy.

La conferma arriva dalla “Relazione sulle esportazioni di sistemi militari” inviata dal Governo alle Camere a inizio agosto: nel 2013, abbiamo spedito in giro per il mondo armamenti per oltre due miliardi di euro (2.751.006.957), con un calo del 7,7% rispetto al record ventennale del 2012.

C’è invece una buona notizia: i permessi rilasciati dal Governo nel 2013, cioè per ordini di armi che verranno consegnate negli anni successivi, sono diminuiti del 48,5%, fermandosi a “soli” 2.149.307.240 euro.

E dove esportiamo? Primeggia il Medio Oriente in fiamme, con un record di consegne nel 2013 per 888 milioni di euro. Il primo acquirente è l’Arabia Saudita, cioè un Paese non certo democratico ma che soprattutto molti accusano di armare miliziani nelle varie crisi in corso in modo per nulla trasparente. Agli sceicchi vendiamo caccia Eurofighter, missili Iris-Ti e un ampio arsenale di bombe per 300 milioni.

lunedì 25 agosto 2014

IPOCRISIE SENZA LIMITI di Antonio Moscato



IPOCRISIE SENZA LIMITI
di Antonio Moscato




Renzi finge di non sapere cosa preparano i suoi ministri ai pensionati, e fa un viaggio di propaganda di poche ore in Iraq per sponsorizzare una nuova “impresa umanitaria”. Su queste non si risparmia mai, e per queste ci si addestra, anche facendo volare i Tornado a bassissima quota. A volte cadono.

Pochi hanno fatto i conti su quanto costano questi addestramenti. Anche se il caso ha limitato i danni (immaginate se gli aerei caduti sulle pendici dei Monti della Laga si fossero urtati pochi secondi prima, durante il sorvolo di zone popolatissime di Ascoli Piceno), vale la pena di calcolare quanto hanno sottratto a legittimi bisogni dei cittadini i due aerei bruciati mentre simulavano la guerra (come quelli statunitensi del Cermis). Quante pensioni negate a chi ne aveva diritto si sarebbero potute pagare anche solo con il “normale” consumo quotidiano di carburante? E quanto costerà ai cittadini che pagano le tasse l’indennizzo per le famiglie dei “quattro eroi”, caduti mentre “servivano la Patria”?

Parlo soprattutto di pensioni, perché nelle schermaglie tra ministri e sottosegretari appare chiaro che il prossimo bersaglio saranno queste: si è cominciato a parlare di “pensioni d’oro” ma è risultato che per essere redditizia la rapina deve “abbassare l’asticella” fino ai 2.000 euro, cioè fino a pensioni più o meno corrispondenti a quanto versato in contributi in base alle leggi in vigore. E ai fessi che credono che il governo e i suoi mandanti si fermerebbero qui, va ricordato che le sentenze della Corte Costituzionale sulla necessità di un trattamento uguale per tutti possono essere stravolte facilmente fino a chiedere un “contributo di solidarietà” anche a chi sta al di sotto di quel livello, perfino alle pensioni minime. Come se i pensionati, come i lavoratori dipendenti, non avessero “già dato”, dato che sono gli unici contribuenti che anche se volessero non possono evadere il fisco. È incredibile, ma tra le righe delle dichiarazioni di tanti ministri e sottosegretari con passato di burocrati sindacali CGIL o CISL o UIL si lascia capire che l’obiettivo è ridurre tutte le pensioni. Non gli armamenti costosi, inutili e pericolosi per i cittadini.

domenica 24 agosto 2014

ISIS E GUERRA IN IRAQ: I 30 PUNTI DI WU MING




ISIS E GUERRA IN IRAQ: 
i 30 punti di Wu Ming


In 30 punti, l'opinione di Wu Ming su ISIS e guerra in IRAQ . Per chi condivide e per chi no e per chi vuole capire, almeno un pò.

1) Un mese fa il PKK  (Partiya Karkerén Kurdistan - Partito dei lavoratori curdo) ha scompigliato le previsioni sulla guerra in Nord Iraq / Sud Kurdistan. Oggi è la principale forza anti-IS sul campo.
1b) Per semplicità diciamo "PKK", includendo anche la sua forza "cugina" siriana, che ha già liberato dall'IS il Kurdistan occidentale.

2) Di questo ruolo del PKK, intorno a cui ruota gran parte delle decisioni prese in questi giorni da USA e UE, parlano tutti i media globali.

3) Una delle chiavi per capire la situazione è proprio quel che è successo nel Kurdistan "siriano", oggi zona libera del Rojava.

4) Da quasi 2 anni la guerriglia curda siriana (YPG) infligge pesanti sconfitte all'ISIS/IS, lo stesso accade da circa un mese in Iraq.

5) Ora, provate a cercare sui siti dei giornali italiani, periodo ultimi 30 giorni, queste parole: PKK, YPG, Rojava.

6) Il PKK è una forza di massa laica, socialista libertaria, femminista. In Medio Oriente. E guida una resistenza popolare all'ISIS.

7) Ci sono altre resistenze all'ISIS, episodi di rivolta e di risposta armata anche da parte di popolazioni arabe sunnite.

8) Correttamente, le forze menzionate considerano l'ISIS il mostro di Frankenstein della guerra di Bush e della politica americana in M.O.

9) Di questo protagonismo i nostri media non parlano. Nello scenario spettrale che dipingono, solo ISIS, gruppi filo-USA e armi USA/UE.

10) C'è gente che fino a ieri l'ISIS manco sapeva cos'era e oggi dice che senza gli USA avanzerà la barbarie, quei popoli sono spacciati ecc

11) Di contro, c'è gente che non ha certo aspettato le cazzate lavacoscienza dei nostrani leoni da tastiera per sfidare (e battere) l'ISIS.

12) Mentre PKK e compagni fermavano l'ISIS e salvavano civili, USA/UE le tenevano (tuttora le tengono) nella lista dei gruppi "terroristi".

13) Dal giorno stesso in cui PKK e YPG son intervenuti in Nord Iraq, diffondiamo notizie e analisi sulla situazione e sulla guerra all'ISIS.

14) PKK e YPG sono interv22)enuti quando i Peshmerga curdi filo-USA si sono sbandati a Sengal e altrove di fronte all'avanzata ISIS.

15) L'ISIS era in Nord Iraq da settimane, faceva stragi, stuprava, decapitava, occupava città che poi PKK e YPG hanno liberato.

16) Mentre l'ISIS faceva tutto questo, Obama era fermo come un paracarro. Appena PKK e YPG hanno "sconfinato", ha annunciato bombardamenti.

17) Ribadiamolo: di tutto questo i giornali italiani hanno scritto poco o - più spesso - niente. La controprova è facile, fate la ricerca.

18) Dopo la morte di Foley, c'è il ricatto morale: o con gli USA o con l'ISIS! Come se gli uni non avessero colpa dell'esistenza dell'altro.

19) Come se non esistessero forze che da tempo sconfiggono sul campo l'ISIS in totale autonomia, nel disinteresse dei nostri "falchi".

20) Per inciso, molti combattenti in prima linea sono donne. Cosa che fa sclerare una forza ultra-misogina come l'IS/ISIS.

21) Ogni volta che gli USA sono intervenuti in M.O. hanno prodotto mostri sempre peggiori, ormai lo dicono molti analisti americani.

22) Se qualcuno ancora pensa che saranno gli USA a togliere le castagne dal fuoco e riparare la situazione in Iraq, è illuso o in malafede

23) Dall'altra parte (ma solo in apparenza) ci sono gli idioti che hanno scambiato l'IS/ISIS per una resistenza antimperialista.

24) L'ISIS è una forza d'invasione multinazionale che ha un progetto non di "liberazione" ma di conquista. Sono predoni capitalisti.

25) L'ISIS, fin dal nome, è un progetto coloniale e imperialista. "Sub-imperialista", se preferite. Non c'è liberazione nel Califfato.

26) L'ISIS è una forza nata grazie a potenze reazionarie (regionali e globali), e aspira allo status di potenza reazionaria.

27) L'«antimperialismo degli imbecilli» si basa sul pensiero bidimensionale: «Il nemico del mio nemico è mio amico».

28) Ma non sempre il nemico del mio nemico è "davvero" suo nemico, e a prescindere da questo, spesso è a pari modo "mio" nemico.

29) Pensare che per andare contro gli USA si possa essere un po' più "teneri" con l'ISIS è un'aberrazione, chi lo pensa è un nemico, punto.

30) Di contro, chi dice che l'unico modo di essere contro l'ISIS sia appoggiare nuovi interventi USA, o ignora i fatti, o sta truffando.







23 agosto 2014



venerdì 22 agosto 2014

MA AL QUAEDA O L'ISIS SONO SOLO QUEL CHE SEMBRANO? di Aldo Giannuli





MA AL QUAEDA O L'ISIS SONO SOLO QUEL CHE SEMBRANO?
di Aldo Giannuli




Non è semplice stabilire quali siano i rapporti effettivi fra Al Quaeda e l’Isis. Si sa che il gruppo oggi proclamatosi Califfato è nato intorno al 2004, all’interno del ramo irakeno dell’organizzazione di Osama Bin Laden, e che circa due anni dopo se ne sarebbe allontanato per divergenze con al-Zarqawi. Detto questo, quali sino gli attuali rapporti fra le due organizzazioni, soprattutto dopo la morte di al-Zarqawi, non è affatto chiaro.

Secondo alcuni osservatori, l’Isis ed il suo leader Fazul Abdullah Mohammed sarebbero un costola della dalla vecchia ormai totalmente autonomizzatasi, (pur mantenendosi all’interno della stessa cornice ideologica) e c’è anche chi azzarda che Al Quaeda sarebbe disposta ad una momentanea e tacita intesa con Iran e addirittura gli Usa, pur di sconfiggere l’Isis; secondo altri la separazione sarebbe fittizia o, comunque, meno grave di quel che non sembri. E ci sono anche numerose teorie intermedie che sfumano verso l’uno o l’altro polo.

La chiave di lettura “indipendentista” sembra più convincente dell’altra, ma comunque, allo stato dei fatti, è difficile giungere a conclusioni certe. Che, d’altra parte, potrebbero anche modificarsi rapidamente sia nel senso si un riavvicinamento dei due gruppi, sia nel senso di un ulteriore allontanamento.

Ma, in fondo, quanto questo aspetto è rilevante e quanto occorre riconsiderare di sana pianta il punto di vista dal quale abbiamo guardato ad Al Quaeda ed alle vicende del fondamentalismo islamico in questi anni?

Sin qui, l’atteggiamento prevalente è stato quello di guardare ad Al Quaeda come ad un caso di insorgenza dal basso. Una organizzazione al cui vertice c’era il miliardario Bin Laden, ma a titolo del tutto personale, (dato che la famiglia aveva per tempo provveduto a prendere le distanze dal suo turbolento rampollo) e sovvenzionato da lasciti e donazioni di islamici facoltosi, che però non avevano alcuna voce in capitolo nelle scelte politiche riservate al ristretto gruppo intorno ad Osama. Quanto c’è di vero in questa visione del gruppo? E se Osama fosse stato solo il vertice visibile? Il fatto è che, dopo 13 anni di guerra, noi sappiamo pochissimo su Al Quaeda (e adesso sull’Isis) e, quel che è peggio, è che la stessa condizione di ignoranza –più o meno- affligge l’intelligence occidentale che mostra di capirci poco e niente (ma di questo torneremo a parlare).

giovedì 21 agosto 2014

TERRORISMO E INGIUSTIZIA: PROIBITO RAGIONARE di Angelo D'Orsi




TERRORISMO E INGIUSTIZIA: PROIBITO RAGIONARE
di Angelo D'Orsi



Hans Magnus Enzen­sber­ger in un libretto (piut­to­sto insulso, a dire il vero) del 2006 trac­ciava un ritratto del “per­dente radi­cale”; ossia il kami­kaze, che egli inse­ri­sce tra gli “uomini ter­ro­riz­zati”, desti­nati a semi­nare a loro volta ter­rore, ma soprat­tutto indi­riz­zati a un ine­so­ra­bile destino di scon­fitta. Quanto più dram­ma­ti­che ed effi­caci le parole di Frantz Fanon, che spie­gava, con l’avallo cele­bre di Jean Paul Sar­tre, come la vio­lenza, la vio­lenza estrema, fosse la sola rispo­sta pos­si­bile da parte dei popoli colo­niz­zati verso i colonizzatori.

Sol­le­ci­tato dalla situa­zione medio­rien­tale, il depu­tato Ales­san­dro Di Bat­ti­sta, del M5S (del quale non sono sim­pa­tiz­zante, pre­ciso subito), ha com­piuto, in un arti­colo sul sito di Beppe Grillo, una sin­te­tica rico­stru­zione storico-politica della vicenda medio­rien­tale nel qua­dro inter­na­zio­nale, scri­vendo parole sen­sate, e per­sino ovvie, quasi banali. Ma in que­sto Paese le verità susci­tano scon­certo, o addi­rit­tura ripro­va­zione, ed ecco che l’analisi della situa­zione in Iraq, e in gene­rale del “ter­ro­ri­smo” in Medio Oriente, susci­tano un “una­nime coro di dis­senso”, come ripe­tono pap­pa­gal­le­sca­mente i media main­stream. Che cosa c’è di scan­da­loso a invi­tare a riflet­tere sul nesso tra ingiu­sti­zia sociale e ter­ro­ri­smo? O a riflet­tere sui con­fini tra Stati dise­gnati a tavo­lino dalle Grandi potenze dopo il 1945? O, infine, dire che si diventa ter­ro­ri­sti quando non ci sono altre vie per difen­dersi, davanti a una mostruosa spro­por­zione di mezzi militari?

Il kami­kaze tra­sforma il suo corpo in un’arma. È la verità, della quale non pos­siamo che pren­dere atto. Que­sto signi­fica invi­tare a diven­tare tutti kami­kaze? No. Anzi Di Bat­ti­sta, esprime una posi­zione anti­mi­li­ta­ri­sta e paci­fi­sta, come ha notato con ragione Marco Pan­nella su Radio Radi­cale. E oppor­tu­na­mente con­danna il mer­cato delle armi, e mette in rilievo l’appiattimento della poli­tica estera agli Usa. Egli invita a sfor­zarsi di capire, e pro­porre mosse poli­ti­che con­se­guenti, invece di spu­tare sen­tenze stereotipate.

Se fos­simo oppressi, nella nostra terra, da un nemico infi­ni­ta­mente più potente, se que­sto nemico ci umi­liasse quo­ti­dia­na­mente, se ci fosse pre­clusa ogni spe­ranza di riscatto e di libe­ra­zione, se non aves­simo appunto altro mezzo offen­sivo che il nostro corpo, quando ogni altra via ci fosse pre­clusa, come ci com­por­te­remmo? Insomma, per­ché non sfor­zarsi (almeno) di capire chi sce­glie come gesto estremo di immo­larsi? Ecco: il “per­dente radi­cale”, non è che la ripro­po­si­zione della figura di San­sone che fa crol­lare le colonne del tem­pio, pro­fe­rendo le cele­bri parole: «Muoia San­sone con tutti i fili­stei!». C’è una nobiltà in quel gesto, tra­man­da­toci dalle Scrit­ture; men­tre non ce n’è affatto, natu­ral­mente, nell’altra forma di ter­ro­ri­sta, quello stra­gi­sta: il ter­ro­ri­smo che col­pi­sce alla cieca, vil­mente. Noi non sim­pa­tiz­ziamo, né con­di­vi­diamo, ma per­ché non ten­tare di com­pren­dere e spie­gare, invece di limi­tarsi a con­dan­nare, e dare il via libera a un’altra forma di ter­ro­ri­smo, quello del car­pet bombing, il bom­bar­da­mento che riduce in cenere intere città, e manda tutti, a comin­ciare dagli inermi, a morte?

In realtà, i lemmi “ter­ro­ri­sta” e “ter­ro­ri­smo”, sono tra i più sfug­genti della scienza poli­tica. Fra le tante defi­ni­zioni nes­suna ha otte­nuto un con­senso gene­rale, e tra le più con­vin­centi, anche se fra le meno scien­ti­fi­che, è che il ter­ro­ri­sta è il rivo­lu­zio­na­rio che non ha vinto, o fin­ché non vin­cerà la sua bat­ta­glia, a pre­scin­dere dagli obiet­tivi che per­se­guiva semi­nando ter­rore. Mena­hem Beghin fu un ter­ro­ri­sta, che divenne capo del governo israe­liano, per fare un solo esem­pio; ma nes­suno oggi lo defi­ni­rebbe tale. E i nostri par­ti­giani non erano ter­ro­ri­sti e ban­diti per i nazi­sti e i repub­bli­chini? Oggi non solo in sto­rio­gra­fia, ma nel discorso pub­blico i ter­ro­ri­sti sono loro – giu­sta­mente –, i nazi­fa­sci­sti. Detto altri­menti, il ter­ro­ri­sta è sol­tanto il com­bat­tente armato visto dall’altra parte, il com­bat­tente sconfitto.

Del resto la Cia nei suoi elen­chi cam­bia perio­di­ca­mente le orga­niz­za­zioni “ter­ro­ri­ste”: l’Uck era inse­rita nell’elenco, poi è stata inviata al governo di uno Stato fan­toc­cio come il Kosovo, anche in que­sto caso per fare un unico esem­pio. Men­tre Hamas da quell’elenco non è mai uscita. Ma il mute­vole giu­di­zio dei ser­vizi di Washing­ton può essere pie­tra di misura atten­di­bile? A giu­di­care dai risul­tati si direbbe pro­prio di no. Eppure nes­suno si prende la briga di veri­fi­care, di andare a stu­diare la sto­ria e i docu­menti di Hamas, per esem­pio. E cosa sap­piamo dell’Isis o dell’Isil, i movi­menti che stanno lot­tando, in modo fero­cis­simo, spesso per quel che ne sap­piamo per noi inac­cet­ta­bile, in Siria e in Iraq? Certo, è più sem­plice eti­chet­tarli con ter­mini quali “taglia­gole”, “bar­bari” e così via: il ben noto pro­cesso di disu­ma­niz­za­zione, che con­sente a coloro che si pro­cla­mano “civili”, di fare qual­siasi cosa. Ridurre in mace­rie Gaza, per esem­pio. O isti­tuire strut­ture dove tutti i diritti sono “sospesi”, come Guantanamo… .

E ora andiamo tran­quil­la­mente a bom­bar­dare i sun­niti, e armiamo i curdi che in pas­sato i tur­chi e i sun­niti di Sad­dam (quando era un uomo degli Usa) ave­vano bom­bar­dato e gasato. Nel con­senso gene­rale, tranne che poche frange eti­chet­tate come sim­pa­tiz­zanti filoi­sla­mi­sti: e il buon Di Bat­ti­sta qui ha, appunto, com­messo l’altro “errore”. Invece di bom­bar­dare que­sti e quelli, non si potrebbe trat­tare? Apriti cielo. Trat­tare coi “ter­ro­ri­sti”? Non stu­pi­sce che Angelo Pane­bianco sen­tenzi sul Cor­riere, met­tendo tutto nello stesso sacco, sotto la cate­go­ria di filo-islamismo radi­cale, e quindi, anti­se­mi­ti­smo; “ana­lisi” in cui si trova in buona com­pa­gnia di Magdi Allam, sul Gior­nale. Anche il più ragio­ne­vole Gad Ler­ner sul suo blog lan­cia l’anatema, seguendo la cor­rente, e dicendo parole che non appa­iono distanti da quelle dei lea­der del Pd e del Pdl scesi in campo con­tro lo sven­ta­tello Di Bat­ti­sta. Ma dif­fe­ren­zian­dosi, tira in ballo la posi­zione di Grillo sui migranti, facendo un paral­lelo a mio avviso insen­sato. Tant’è. La sostanza è che quando non ti pos­sono dare del ter­ro­ri­sta, ti bec­chi del sim­pa­tiz­zante. E allora non ci rimarrà che repli­care: «Ter­ro­ri­sta sarà lei!».


19 agosto 2014


da "Il Manifesto"


La vignetta è del Maestro Mauro Biani







martedì 19 agosto 2014

MA DI BATTISTA VUOLE TENDERE UNA MANO ALL'ISIS? NON CREDO di Aldo Giannuli





MA DI BATTISTA VUOLE TENDERE UNA MANO ALL'ISIS? NON CREDO
di Aldo Giannuli


Alessandro Di Battista è stato coperto di insulti per il suo post a proposito dell'Isis: l’accusa corrente è quella di “sdoganare terrorismo ed Isis” aprendo la strada ad un riconoscimento del “Califfato”. Avendo letto due volte il pezzo di Di Battista mi sono reso conto che ci sono molte forzature in queste reazioni basate spesso su estrapolazioni di frasi dal loro contesto. A proposito del terrorismo, Di Battista dice chiaramente che non lo giustifica “e manifesta apertamente la propria preferenza per le forme di lotta non violente”. Si limita a dire che si può “capire” chi, avendo visto il suo villaggio e la sua famiglia sterminate dai droni americani, poi reagisce facendosi saltare in una metropolitana e facendo così una strage. Quel “capire” non sta per “approvare” (e lui dice chiaramente di non condividere questa scelta), ma è un modo per dire che certe reazioni sono il risultato di una logica di guerra come quella condotta dagli Usa. Si può discurtere questo punto di vista, ma, nel suo lungo (forse troppo lungo) pezzo, questo è un aspetto marginale, un inciso, mentre il sugo politico è altro ed è così sintetizzabile:

a- occorre riconsiderare le ragioni della tempesta che investe il Medio oriente a cominciare dal modo in cui venne spartito l’Impero Ottomano

b- la strategia antiterrorista americana è fallita

c- bisogna arrivare ad una conferenza di pace che metta al tavolo delle trattative Usa, Urss, Alba, Lega Islamica ed i principali paesi dell’area.

d- occorre aprire un confronto con “i terroristi” (l’Isis) capendone la logica politica ed aprendo un confronto con essi.

giovedì 14 agosto 2014

FERRAGOSTO AMARO. PREPARARE LE MOBILITAZIONI DELL’AUTUNNO di Franco Turigliatto



FERRAGOSTO AMARO. PREPARARE LE MOBILITAZIONI DELL’AUTUNNO

di Franco Turigliatto



E’ un agosto molto difficile ed amaro per le classi lavoratrici e per tutte le forze progressiste e realmente di sinistra in Italia e nel mondo.
In primo luogo per gli avvenimenti ogni giorno più tragici ed inquietanti che emergono dallo scacchiere internazionale, segnatamente quello della Palestina, dove la tragedia del popolo palestinese si consuma ogni giorno senza fine nell’indifferenza e nel cinismo dei governi occidentali (e non solo), compreso quello italiano, complici più che mai delle politiche colonialiste e razziste del governo di estrema destra israeliano.
Più in generale il lungo retaggio coloniale e neocoloniale europeo, congiunto agli interventi americani degli ultimi venti anni, dispiegano tutti i loro veleni e contraddizioni dall’Iraq all’Afghanistan, portando alla ribalta forze ultrareazionarie ed oscurantistiche nel quadro della disgregazione ed anche della vera e propria dissoluzione della strutture portanti del vecchio stato nazionale o ripresentando nuove feroci dittature militari.
Di tutto questo proviamo a dare conto nei tanti articoli che abbiamo pubblicato sul nostro sito.
Scopo di questo testo è invece focalizzare le ultime miserie italiane e le modalità con cui continuano ad essere portate avanti le politiche dell’austerità contro le classi popolari, prima esercitate da Berlusconi e Monti e poi da Letta e da Renzi.

sabato 9 agosto 2014

LA DISGREGAZIONE DELL'IRAQ: LE FORZE DIETRO ALLA RIBELLIONE di Fred Weston





LA DISGREGAZIONE DELL'IRAQ: LE FORZE DIETRO ALLA RIBELLIONE
di Fred Weston



La velocità con cui vaste regioni del territorio iracheno sono cadute in mano ad una milizia fondamentalista relativamente poco numerosa fa chiedersi come ciò sia potuto avvenire.

L'esercito iracheno era numericamente di gran lunga superiore ai gruppi armati che hanno conquistato regioni del nord Iraq come Mosul. L'esercito si è fondamentalmente dissolto. Tutto ciò non può essere spiegato solo nei termini dell'avanzata dei gruppi fondamentalisti islamici. Un processo più profondo e complesso è in atto.

L'attuale situazione in Iraq ha le sue radici nell'intervento imperialista del 2003, presentato come una “guerra giusta” da Bush e Blair e finalizzato alla rimozione “dell'odiato dittatore Saddam Hussein”. All'epoca spiegammo che il compito di rovesciare Saddam spettava al popolo iracheno e a nessun altro. Ed invece di assistere alla costruzione di un regime stabile, democratico e borghese (lo scopo di Bush e Blair), abbiamo visto il rischio della disintegrazione dell'Iraq su base etnico-religiosa, ed addirittura il profilarsi all'orizzonte di una sanguinosa guerra civile.

L'aspetto – verrebbe da dire – più ironico della faccenda sta nel fatto che prima della guerra in Iraq non erano presenti né al-Qaeda né altri gruppi fondamentalisti islamici. È solo dopo la devastazione inflitta dall'imperialismo al paese che questi gruppi hanno trovato modo di penetrare nella regione. Dalla cosiddetta guerra per la difesa dei “valori occidentali”, l'invasione dell'Iraq del 2003 è diventata essa stessa un casus belli per le operazioni di gruppi come al-Qaeda.

Il governo di Maliki si basa sulle divisioni settarie

Nel caso dell'Iraq, gli imperialisti si sono lasciati dietro un'amministrazione civile guidata da Nouri al Maliki, che è diventato primo ministro nel 2006 con l'approvazione degli Stati Uniti. Alcuni risultati dell'amministrazione Maliki: nel 2012 l'Iraq è stato classificato come ottavo paese al mondo per l'estensione della corruzione, ed il suo status per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani è definito dalle organizzazioni internazionali “basso”, a causa di arresti indiscriminati e perfino torture. Perfino il sito filogovernativo americano Human Rights Watch concorda con questo triste quadro.

sabato 2 agosto 2014

ORIGINE DELL'AUTORITARISMO di  Gianni Ferrara



ORIGINE DELL'AUTORITARISMO
di Gianni Ferrara 


 Con­ti­nua da giorni con­vulsi e da notti sof­ferte l’ostruzionismo che sulla «riforma della Costi­tu­zione» pro­po­sta da Renzi e in discus­sione al Senato, oppone alla furia del revi­sio­ni­smo senza prin­cipi, i prin­cipi del costi­tu­zio­na­li­smo. Quelli dei limiti al potere e delle isti­tu­zioni del con­tro­po­tere. L’impronta musco­lare impressa da Renzi al con­flitto rischia di offu­scarne le ragioni. È bene per­ciò ripro­porle. Atten­gono alla democrazia.

Renzi, a fronte delle riserve, obie­zioni, cri­ti­che, espresse sulla sua «riforma», afferma che defi­nirla svolta auto­ri­ta­ria «signi­fica liti­gare con la realtà». Ma è la realtà che lo smen­ti­sce. Ne rivela la verità. La trae da come fu con­ce­pita e da chi, dal modo come è dise­gnata e la si vuole defi­nire, dal come ver­rebbe con­fi­gu­rato l’organo che ne è l’oggetto, dagli effetti che sull’intero appa­rato sta­tale deri­ve­reb­bero dalla sua approvazione.

Non si può elu­dere un fatto incon­tro­ver­ti­bile. Il governo Renzi si è costi­tuito in una situa­zione di grave e strut­tu­rale crisi dello stato ita­liano, quella di dover otte­nere la fidu­cia da un Par­la­mento com­po­sto in con­for­mità ad una legge elet­to­rale dichia­rata ille­git­tima dalla Corte costi­tu­zio­nale. Un governo quindi di evi­dente e mas­sima emer­genza, dalla durata stret­ta­mente cor­ri­spon­dente al tempo neces­sa­rio al ripri­stino della lega­lità costi­tu­zio­nale con l’elezione di un Par­la­mento con legge elet­to­rale non sospet­ta­bile di inco­sti­tu­zio­na­lità. Il governo Renzi avrebbe dovuto, e dovrebbe, per­ciò carat­te­riz­zarsi come prov­vi­so­rio, a fun­zio­na­lità limitata.

E allora: non è, quanto meno auto­ri­ta­ri­smo, quel che per­vade l’intero appa­rato della Repub­blica nel tol­le­rare l’illegittima durata in carica di tale governo, e, con essa, la pre­tesa del suo Pre­si­dente del Con­si­glio di eser­ci­tare l’iniziativa legi­sla­tiva costi­tu­zio­nale, finora riser­vata, con norma con­sue­tu­di­na­ria, ai soli mem­bri di cia­scuna delle due Camere?

venerdì 1 agosto 2014

ISRAELE: QUALCHE ELEMENTO PROPULSIVO DELL'AGGRESSIONE ISRAELIANA di Charles-André Udry




ISRAELE: QUALCHE ELEMENTO PROPULSIVO DELL'AGGRESSIONE ISRAELIANA
di Charles-André Udry




L’aggressione dello Stato Israeliano ha come obiettivo il popolo palestinese e i suoi diritti, da sempre negati. Non siamo di fronte ad “una guerra contro Hamas”. Lo conferma la repressione sanguinosa operata dalla polizia israeliana e dagli attacchi dei coloni, cosiddetti “estremisti”, contro le attuali numerose ed ampie manifestazioni dei Palestinesi nella Cisgiordania occupata, al di là dei massacri dei civili e della distruzione delle infrastrutture come delle abitazioni a Gaza.
La guerra condotta da una esercito che pretende di qualificarsi come “esercito di difesa” rimanda a molteplici fattori. Due meritano in particolare di essere sottolineati.

Su una catena televisiva in lingua francese –I24News, espressione della “lobby ebraica” per riprendere una formula utilizzata da un giornalista di Yediot Aharonot, durante un dibattito con Serge Dumont del quotidiano Le Soir (Belgio) e del Temps (Svizzera), viene alla luce un argomento di glorificazione mai usato così apertamente neanche nel 2009. Si insistite su un fatto: l’industria di armi, nelle sue diverse componenti in seno all’economia d’Israele, rappresenta un ammontare di esportazioni pari a 7,5 miliardi di euro. Nel 2013, si collocano al 3% delle esportazioni di armi nel mondo. Israele si trova quindi nelle “top ten” (tra le prime dieci) degli esportatori d’armi, riporta con enfasi, Le MondeJuif.info del 27 luglio 2014. Riporta dei dati del settimanale della City: The economist.
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