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giovedì 22 dicembre 2016

SIRIA, UNA LOTTA POPOLARE, NONOSTANTE TUTTO di Joseph Daher




SIRIA, UNA LOTTA POPOLARE, NONOSTANTE TUTTO
di Joseph Daher



Si avvicina il sesto anniversario della rivolta popolare in Siria, ma la discussione tra le reti, le associazioni, i partiti politici e i singoli individui che fanno parte della sinistra politica è ancora in corso.

In modo allarmante, parte del ragionamento che a sinistra si compie sulla rivoluzione siriana riecheggia spesso la retorica offerta dai media borghesi, e addirittura da gruppi di estrema destra. Per esempio, scrivendo sul “Guardian” nel settembre 2013, il filosofo sloveno Slavoj Žižek caratterizzava la sollevazione siriana come una “pseudo-lotta”. Con le sue parole: “non ci sono obiettivi politici chiari, alcun segno di una coalizione ampia con obiettivi democratico-emancipatori, ma solo una complessa rete di alleanze su base etnica e religiosa sovradeterminata dall’influenza delle grandi potenze”. In un’intervista concessa a RT l’anno precedente, il giornalista Tariq Ali dichiarò similmente che ciò a cui si stava assistendo in Siria era “una nuova forma di ricolonizzazione da parte dell’Occidente, come abbiamo già visto in Iraq e in Libia: ‘molte delle persone che per prime si sono sollevate contro il regime di Assad sono state messe da parte, e ciò ha lasciato al popolo siriano solo scelte limitate, che questi rifiuta: o un regime imposto dall’Occidente, composto da una varietà di siriani alle dipendenze delle agenzie di intelligence occidentlali, o il regime di Assad’”.

 Altri, come il giornalista veteran Seymour Hersh, hanno descritto la sollevazione in termini eccessivamente semplicistici come una cospirazione per “destabilizzare la Siria”, pianificata ai tempi della presidenza di George W. Bush e preseguita dalla presidenza Obama. Figure politiche come l’ex parlamentare George Galloway sostengono movimenti contro la Guerra come la Stop the War Coalition, ma hanno anche difeso il regime criminale di Bashar Al-Assad in diverse occasioni. Ad esempio, nel 2013 Galloway dichiarò che Assad è un “uomo di qualità” perché “si oppone a Israele, la Gran Bretagna, gli USA e il Qatar”.

Sono solo alcuni esempi dei numerosi personaggi di sinistra che analizzano il processo rivoluzionario siriano con un approccio “dall’alto verso il basso”, caratterizzando la sollevazione popolare siriana in termini manichei come l’opposizione tra due campi: gli stati occidentali, le monarchie del Golfo e la Turchia (gli “aggressori”) da un lato, l’Iran, la Russia e gli Hezbollah (la “resistenza”) dall’altro, ignorando in tal modo la dinamica politica e socio-economica fondamentale. Inoltre, queste figure si concentrano in modo squilibrato sui pericoli dell’ISIS, trascurando il ruolo che il regime di Assad ha giocato nella sua crescita. Queste differenze devono essere affrontate nei movimenti e negli ambiti della sinistra.

Autoritarismo e Resistenza popolare

Con il pretesto della crescita dell’ISIS e di altre forze estremiste, alcune parti della sinistra sostengono che in Siria non ci sarebbe più una rivoluzione, ma piuttosto una guerra eversiva, e perciò dovremmo “scegliere un campo” per trovare una soluzione concreta al conflitto. Ciò significa in effetti offrire il nostro sostegno ad Assad e ai suoi alleati iraniani e russi. Per esempio, durante una manifestazione nel 2015, Tariq Ali ha dichiarato che “se vogliamo combattere l’ISIS, dovremmo schierarci e combattere a fianco alla Russia e ad Assad”. È triste che discorsi infondati come questo si siano fatti più intensi in seguito agli attacchi di Parigi del novembre 2015, quando aderenti all’ISIS uccisero quasi centoquaranta parigini con un atto di terrorismo. Dopo l’attacco, molti in Occidente cominciarono a reclamare una “guerra globale contro l’ISIS”. A sinistra, come a destra, sostennero invece che occorreva collaborare con il regime di Assad o almeno cercare una soluzione in cui la dinastia degli Assad restasse al comando del paese.

Quelli come me che si oppongono a questa prospettiva sono accusati di essere idealisti. I nostri critici ci dicono che, per salvare vite, dovremmo assumere un approccio più realistico nei riguardi della Siria. Queste persone si dimenticano però che ciò non è sufficiente per distruggere l’ISIS. La bruta forza militare di per sé si limita a lasciare il posto ad altri gruppi militanti, come dimostra al-Qaeda in Iraq. Non sarà possibile prospettare soluzioni efficaci alla crisi in Siria senza affrontare le condizioni politiche e socio-economiche che hanno permesso la crescita dell’ISIS e di altre organizzazioni estremiste.

È importante comprendere che l’espansione dell’ISIS, elemento fondamentale della controrivoluzione in Medio Oriente, è stata il risultato della violenta repressione dei movimenti popolari legati alla Primavera araba del 2011 ad opera dei regimi autoritari, senza dimenticare che gli interventi di potenze regionali e internazionali hanno contribuito allo sviluppo dell’ISIS. Infine, le politiche neoliberiste che hanno impoverito le classi popolari, insieme alla repressione delle forze democratiche e sindacali, sono state cruciali nella crescita dell’ISIS e delle altre forze del fondamentalismo islamico. A sinistra occorre capire che solo sgravando la regione dalle condizioni che hanno consentito l’ascesa dell’ISIS e degli altri gruppi fondamentalisti sarà possibile risolvere la crisi. Al tempo stesso, il rafforzamento di coloro che sul terreno lottano per rovesciare il regime autoritario e combattono i gruppi reazionari è una parte essenziale di questo approccio.

Dinamiche complesse

I rivoluzionari che in Siria lottano per la libertà non sono diversi dai rivoluzionari che in Tunisia, Bahrain, Libia, Egitto e in ogni altro luogo, lottano sia contro i regimi autoritari che li brutalizzano sia contro i fondamentalisti che respingono ogni nozione significativa di libertà e autonomia. La resistenza popolare è stata l’aspetto più negletto della sollevazione siriana. Sin dagli esordi della rivoluzione, la Siria ha visto un notevole livello di autorganizzazione, più che in ogni altro paese nella regione in circostanze simili. È vero che la militarizzazione della rivolta ha avuto un impatto negativo su questa autorganizzazione. Certo, l’evoluzione della guerra ha rattrappito lo spazio per manifestazioni di massa e di impegno civile, così comuni durante i primi anni della sollevazione. Tuttavia, esistono ancora rimanenze della rivoluzione originale, sotto forma di movimenti democratici e progressisti, che si sono sostanzialmente opposti a tutti gli elementi controrivoluzionari, compresi il regime di Assad e le forze estremiste. Lungi dall’essere estinte, queste forze popolari hanno risolutamente espresso le loro aspirazioni democratiche nel febbraio del 2016. A seguito di una momentanea cessazione degli attacchi aerei russi e del regime, hanno avuto luogo centinaia di manifestazioni in tutte le aree liberate della Siria. È da notare che i canti e le bandiere delle forze estremiste erano assenti in queste proteste.

Tra le iniziative civiche in Siria, in alcune regioni esistono consigli locali diretti da comuni cittadini, eletti o stabiliti per consenso, che forniscono servizi alla popolazione locale. Non è una coincidenza che le regioni libere di Aleppo e Douma, entrambe dirette da consigli locali, siano tra gli obiettivi più brutalmente colpiti dal regime e dalle bombe russe. Che queste aree rappresentino alternative democratiche, sia al regime che ai movimenti fondamentalisti, è qualcosa che Assad e i suoi alleati temono. I consigli locali non sono le sole organizzazioni civili nate durante il conflitto. Il Syrian Civil Defense, comunemente noto come Elmetti Bianchi, lavora per salvare le vittime dei bombardamenti e fornire servizi pubblici a circa sette milioni di persone. Altre organizzazioni popolari, come Women Now For Development, Keshk, The Day After Tomorrow, the Fraternity Center, e Raqqa Is Being Slaughtered Silently, sono allo stesso modo impegnate in una serie di attività e campagne sull’istruzione, la salute, i diritti umani e i diritti delle donne, per citarne solo alcune. C’è stata anche una fioritura di stampa libera e democratica, e di stazioni radio nel paese, specialmente nelle zone liberate. Ad esempio Arta FM, Syrian Media Action Revolution Team (SMART), ANA Press, Enab Baladi, e Souriatna.

È centrale che la sinistra conosca queste realtà e tenga separate le aspirazioni dei siriani assediati da quelle degli attori imperialisti e internazionali. Assumere un punto di vista dal “basso verso l’alto” invece che dall’ “alto verso il basso” può essere di aiuto al riguardo.

Imperialismo all’opera

È importante ricordare che, sebbene ci siano interessi divergenti tra i poteri regionali e internazionali impegnati in Siria, nessuno di questi attori ha minimamente a cuore la sollevazione o i rivoluzionari. Al contrario, hanno provato a indebolire il movimento popolare contro Assad e successivamente hanno lavorato per il rafforzamento delle tensioni etniche e settarie nel paese. Ad esempio, queste forze hanno aiutato la stabilizzazione del regime di Assad per opporsi all’autonomia curda (nel caso della Turchia) e per sconfiggere gruppi estremisti come l’ISIS (nel caso degli Stati Uniti). Questi poteri sono uniti nell’opposizione alla lotta popolare. Provano a imporre lo status quo a spese degli interessi delle classi popolari e lavoratrici. Questo è il motivo per cui guardare alla rivoluzione siriana solo attraverso le lenti della competizione imperialistica e la dinamica geopolitica non è sufficiente. Queste lenti oscurano automaticamente le frustrazioni politiche e socioeconomiche subite dalla popolazione siriana che hanno dato origine alla rivolta.

Il nemico in casa

Alcuni settori della sinistra e dei movimenti contro la guerra, specialmente in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, hanno rifiutato di solidarizzare con la sollevazione siriana con il pretesto che “il nemico principale è a casa propria”. In altre parole, è più importante sconfiggere gli imperialisti e la borghesia nelle proprie società, anche se ciò implica sostenere il regime di Assad o lo Stato russo. Tra queste parti della sinistra, è spesso citato il pensatore comunista Karl Liebknecht. Liebknecht è famoso per la sua dichiarazione del 1915, il “nemico è a casa”, che pronunciò in condanna dell’aggressione imperialista contro la Russia condotta dal suo paese natio, l’Austria-Germania. Tuttavia, le sue citazioni sono state spesso decontestualizzate. Dal suo punto di vista, lottare contro il nemico in casa non voleva dire in alcun modo ignorare la repressione dei regimi esteri sui rispettivi popoli o non solidarizzare con gli oppressi. In effetti, Liebknecht credeva ci si dovesse opporre alla spinta alla Guerra da parte della propria classe dominante “cooperando con il proletariato di altri paesi la cui lotta è contro i propri imperialisti”. Da parte di molte persone di sinistra in Occidente non c’è stata né collaborazione con il popolo siriano né con i movimenti contro la guerra affini, senza neppure riuscire ad opporsi alle politiche dei rispettivi stati borghesi nella repressione della rivoluzione in Siria. La sinistra deve fare meglio. Solidarietà con il proletariato internazionale significa sostenere i rivoluzionari siriani sia contro le diverse forze imperialiste regionali e internazionali che contro il regime di Assad, ugualmente impegnate a porre fine a una rivoluzione popolare per la libertà e la dignità. Nessuno a sinistra o nei movimenti contro la guerra può ignorare la necessità di sostenere il popolo in lotta, opponendosi al tempo stesso a tutti gli interventi stranieri (internazionali e regionali), specialmente dai propri governi.

Riorientare la sinistra

Il ruolo dei progressisti e della sinistra oggi non è, contrariamente a quanto suggeriscono figure come Ali e Higgins, quello di scegliere tra forze imperialiste o “sub-imperialiste” in competizione per vantaggi politici o per lo sfruttamento delle risorse e dei popoli, bensì sostenere la lotta popolare, che senza ombra di dubbio è presente in Siria. Fare altrimenti non solo indebolisce questa lotta ma ignora anche il fatto che le forze progressive devono sempre sostenere gli interessi dei lavoratori e delle classi popolari. Prediligere un imperialismo o autoritarismo su un altro significa garantire la stabilità del sistema capitalista e lo sfruttamento e l’oppressione dei popoli. Perciò quando gli attivisti manifestano davanti alle ambasciate russe in tutto il mondo per chiedere la fine dei bombardamenti russi sul popolo siriano, non dovremmo sottilizzare o temere che queste azioni diano fiato a un “sentimento antirusso”. Come argomentato da Alex Kokcharov, importante analista russo al centro di ricerca IHS per il Rischio Nazionale, “la priorità della Russia è fornire sostegno militare al governo Assad e, più probabilmente, trasformare la guerra civile siriana da un conflitto multipolare in uno scontro binario tra il governo siriano e gruppi jihadisti come lo Stato Islamico”. Ciò spiega perché la grande maggioranza dei bombardamenti aerei russi non prendano affatto di mira l’ISIS.

Solidarietà

Da militanti di sinistra, il nostro sostegno deve andare ai rivoluzionari in lotta per la libertà e l’emancipazione. Solo attraverso la loro azione collettiva il popolo siriano potrà raggiungere i suoi obiettivi. Questo concetto, al cuore della politica rivoluzionaria, deve confrontarsi con un profondo scetticismo da parte di alcune parti della sinistra. Ad ogni modo, ciò non deve impedirci di costruire la nostra solidarietà su queste basi.

Con le parole di Liebknecht: “Unitevi alla lotta di classe internazionale contro le cospirazioni della diplomazia segreta, contro l’imperialismo, contro la guerra, per la pace nello spirito socialista”. Non possiamo escludere nessuno di questi elementi dalla nostra lotta per la costruzione di una piattaforma progressiva di sinistra sul conflitto siriano.




19 dicembre 2016


traduzione di Antonello Zecca


la vignetta è del Maestro Mauro Biani


dal sito  Sinistra Anticapitalista



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