mercoledì 8 agosto 2012
UNA RIVOLUZIONE INSOPPORTABILE di Antonio Moscato
UNA RIVOLUZIONE INSOPPORTABILE
di Antonio Moscato
Ho già segnalato più volte l’assurdo sforzo di alcuni redattori del Manifesto per screditare le rivoluzioni arabe, senza accorgersi che le notizie che ripropongono periodicamente enfatizzate provengono da fonti più che sospette.
I ribelli sarebbero tutti mercenari, pagati da fuori, e prevalentemente qaedisti, come si diceva per la Libia. Le fonti principale sono in parte quelle filoimperialiste e filoisraeliane, (la differenza è che queste ultime accentuano un possibile ruolo iraniano, per fornire qualche argomento in più a un futuro “indispensabile intervento per fermare il caos”), in parte quelle del regime baathista, che utilizzando sempre testimonianze compiacenti (come quella di una monaca francese nel Libano) assicurano che i ribelli, anzi i terroristi, sarebbero tutti ferocissimi e stranieri…
A me fischiano le orecchie: la mia generazione si era ribellata alla propaganda sovietica e a quella dei partiti collegati a Mosca, diffidente verso ogni vera rivoluzione non controllata dai loro fedeli: ad esempio sull’Unità come su tutti i giornali dei partiti comunisti alla fine di luglio del 1953 erano apparse corrispondenze che insinuavano che l’assalto alla Caserma Moncada del 26 luglio a Santiago de Cuba fosse stato fatto da elementi che indossavano uniformi statunitensi… L’assurdo è che questa tecnica di disinformazione era stata usata dai militanti del PCI anche nei confronti di chiunque criticasse da sinistra il loro partito, Manifesto incluso. Quante volte ci siamo sentiti dire: “chi vi paga?”…
E per fare l’apologia del regime di Mosca negli anni più bui si citavano sempre gli scritti di un canonico anglicano, il decano di Canterbury…
Purtroppo la tecnica è stata ripresa a Caracas e all’Avana (dove evidentemente si sono dimenticati che ne erano stati vittime anche i barbudos), e credo che al Manifesto sia rimbalzata per questa via.
Da una rete di sostegno al Venezuela ad esempio ho ricevuto questo annuncio:
Madre Agnes-Mariam de la Croix, monaca cattolica residente in Siria da molti anni, si è sempre mantenuta libera dai vincoli dell'imperante "falso dialogo" che impedisce in realtà di parlare e dire verità scomode, senza mai farsi condizionare dal "politicamente o religiosamente corretto". Madre Agnes-Mariam de la Croix porterà una testimonianza viva come persona e come religiosa cristiana che conosce la verità sulla cospirazione contro la Siria, contro il suo popolo, contro il governo presieduto dal presidente Bashar al-Assad, il quale nonostante l'accerchiamento dei servi di Sion resiste ed eroicamente difende la propria sovranità nazionale...
Ma torniamo a queste rivoluzioni: dopo aver insistito per giorni sul carattere eterodiretto della “rivolta”, e aver messo in dubbio fino a ieri la sua natura, arriva la notizia che dal regime si stanno staccando sempre più spesso pezzi importanti: diplomatici (è più facile, stanno già all’estero…), generali, alti funzionarii, ministri, perfino Riyad Farid Hijab, il primo ministro nominato da Assad appena due mesi fa, in piena crisi. Finalmente al Manifesto capiranno? Macché: “Dal punto di vista della struttura di potere - assicurano – la fuga di Hijiab è poco più che un colpo di immagine: il primo ministro non è una carica di rilievo dove il potere è concentrato nella mani del presidente”.
Per minimizzare ulteriormente, precisano che Hijab è sunnita e per giunta “originario di Deir al-Zour, uno di punti caldi della rivolta”. La conclusione logica sarebbe che Assad è uno sprovveduto, dato che lo ha nominato… Nessun dubbio sul carattere progressista di un regime in cui la successione avviene per via familiare (al punto che dopo la morte in un incidente d’auto del fratello maggiore Basil, erede designato da anni, Bashar Assad fu costretto a lasciare la carriera di medico affermato a Londra per prepararsi a prendere il posto del padre malato. Non ci si poteva fidare di nessuno che non fosse della famiglia… Nessun dubbio sui criteri di selezione dei massimi quadri politici e militari del regime, tra cui hanno un gran peso i familiari del presidente (esattamente come in Libia), e una rappresentanza sproporzionata hanno gli alawiti, che sono appena il 12% della popolazione.
Non si tratta per giunta di una involuzione recente di un regime “progressista” esemplare. Già nel 1980 il capo delle Brigate speciali difesa, Rifaat Assad, zio dell’attuale presidente, aveva sterminato a Palmira oltre 400 prigionieri islamici, e nel febbraio 1982 l’assalto alla roccaforte dei Fratelli Musulmani, Hama, si era conclusa con oltre 20.000 morti nei bombardamenti e con l’uso sistematico di gas tossici. Viceversa nel giugno dello stesso anno, lo scontro con Israele al momento dell’invasione del Libano era stato catastrofico, e si era concluso con la perdita di 60 Mig e una ritirata che aveva lasciato tremila soldati intrappolati a Beirut. Altro che Assad paladino dei palestinesi!
Nel Libano le truppe siriane avevano per giunta collaborato con le forze falangiste (spalleggiate da Israele) in varie occasioni contro i gruppi palestinesi sgraditi in quel momento. Il caso più tragico fu nel 1976 l’assedio di 52 giorni al campo palestinese di Tell al Zaatar, che si concluse con un massacro forse superiore a quello più noto di Sabra e Chatila. L’eccidio, che aveva lo scopo di colpire le forze dell’OLP più vicine ad Arafat, venne addebitato solo ai falangisti libanesi e palestinesi dell’organizzazione filo siriana al Saika, ma erano presenti ufficiali siriani e anche israeliani, per ammissione dello stesso Sharon. Insomma il ruolo antimperialista e antisionista della Siria – se c’è stato – risale a un passato lontanissimo.
Ma anche sul piano interno, oltre alla repressione spietata degli islamici, non sono mancati conflitti al limite della guerra civile in varie occasioni; in primo luogo in seguito a una malattia da cui Hafez el Assad sembrava condannato, e che vide il fratello Rifaat per vari mesi in agitazione per ottenere la npmina a successore. Dopo la ripresa di Hafez il fratello irrequieto fu inviato all’estero.
La prodezza principale del regime fu la partecipazione nel 1990-1991 alla “Santa Alleanza” guidata da Stati Uniti e Arabia Saudita contro l’Iraq, governato da Saddam Hussein alla testa di un’altra corrente dello stesso partito Baath. D’altra parte durante l’orribile guerra Iraq-Iran la Siria aveva parteggiato apertamente per l’Iran.
Insomma, bisogna essere ignoranti o in mala fede per screditare chi si è opposto a questo regime cinico e sanguinario presentandolo come un mercenario pagato dall’imperialismo. Che fastidio dava all’imperialismo USA ed europeo la Siria di Assad? Nessuno e tantomeno lo dava a Israele, che ha seguito con allarme la crescita delle contestazioni a una Siria che abbaiava e non mordeva.
Mi auguro che non ci siano illusioni a sinistra nella coerenza dei governi russo e cinese, finora difensori non disinteressati del regime di Assad, a cui vendono armi e assicurano una moderata protezione diplomatica. Mi ha sconvolto invece leggere in un’articolo sul Manifesto di Marinella Correggia un esaltazione di un accordo in base al quale “l'opposizione rinuncia all'opzione militare, e, quindi, vieta ai suoi membri di attaccare le forze governative, militari o di sicurezza e i civili. Essa depone le armi e rimette la sicurezza nelle mani dello Stato”. Roba da pazzi! Prendere le armi contro un simile governo è inammissibile, il monopolio delle armi e della “sicurezza” è delegato in toto allo Stato. E a che Stato!
La Correggia tira in ballo anche un'altra monaca del Monastero di Qara, “suor Claire Marie, francese di nazionalità, coltivatrice di erbe officinali” che prega tanto “perché la battaglia di Aleppo si concluda presto e tacciano le armi in tutta la Siria”. Come? Chi ha preso le armi per non essere ucciso da chi gli ordinava di sparare cannonate sulla popolazione dovrebbe riconsegnarle agli assassini? E questo sarebbe un “quotidiano comunista”?
Naturalmente i difensori di Assad tireranno un respiro di sollievo se il regime riuscirà a sopravvivere ancora un po’ e a chiudere ad esempio la battaglia di Aleppo con un relativo successo, come auspicato dalla solita monaca. Non è impossibile, per molte ragioni: la prima è che la caratterizzazione del conflitto come uno scontro tra i sunniti e la minoranza alawita privilegiata, spingerà questi ultimi a una resistenza disperata. Lo stesso faranno le forze mercenarie shabiha che si sono macchiate di molti crimini, e che combatteranno tenacemente per sfuggire alla prevedibile punizione. Ma soprattutto il regime potrà sopravvivere ancora un poco perché, come in Libia, le potenze vicine e lontane che intervengono non sono interessate a fornire armamenti adeguati ai ribelli, che si trovano quindi stretti tra il rischio di soccombere per l’enorme sproporzione di forze rispetto all’esercito regolare, e quello di accettare l’aiuto di al Qaeda, che oggi non conta quasi niente, ma potrebbe rafforzarsi proprio per il protrarsi e l’inasprirsi del conflitto.
7 agosto 2012
dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/
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