Diari di Cineclub

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lunedì 1 maggio 2017

PER UN PRIMO MAGGIO DI LOTTA CONTRO I PADRONI di Chiara Carratù





PER UN PRIMO MAGGIO DI LOTTA CONTRO I PADRONI
di Chiara Carratù


Oggi più che mai è necessaria una campagna per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario ed è necessario l’intervento dello stato per creare occupazione per tutti/e. Oggi più che mai è necessario un progetto politico che si ponga l’obiettivo di un forte cambiamento sociale e dell’abbattimento del capitalismo



Il primo maggio nella storia

Il primo maggio è nato alla fine dell’800 come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori e lavoratrici che, senza barriere sociali e geografiche, si sono uniti per rivendicare i loro diritti e per migliorare la loro condizione.
La data scaturì da una proposta concreta le cui parole d’ordine furono sintetizzate nello slogan, coniato in Australia nel 1855, “otto ore di lavoro, otto ore di svago, otto ore per dormire”.
La lotta per l’abbassamento dell’orario di lavoro è stata, nella storia del movimento operaio di fine Ottocento e Novecento, dura e non tutti i paesi arrivarono nello stesso momento a leggi che introducevano la giornata lavorativa di otto ore. Furono necessari anni di lotte e una mobilitazione duratura e prolungata nel tempo che costò la vita anche a molti lavoratori e lavoratrici.
Il primo stato ad approvare una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto fu lo stato dell’Illinois nel 1866. La classe operaia statunitense fu protagonista di scioperi e manifestazioni poderose che aprirono la strada alla classe operaia europea, francese in particolare, che proprio alla fine dell’800 fu protagonista della straordinaria esperienza della Comune.
Anche l’Italia, scossa da una dura crisi economica, fu attraversata da questo movimento; il primo maggio 1890, ad esempio, coincise con i moti del pane che ebbero il loro tragico epilogo a Milano con Bava Beccaris che fece sparare sulla folla. A Napoli, nell’aprile 1890 venivano diffusi volantini in cui si leggevano queste parole sul primo maggio che stava per arrivare: “in quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte”.

Il movimento operaio che lottò per migliorare la propria condizione lavorativa e di vita si diede delle strutture organizzative forti e a sostenerlo c’erano le Internazionali dei lavoratori. Furono costruite così le basi che gli permisero di mutare i rapporti di forza con i padroni: fu quel movimento operaio a preparare il terreno alla rivoluzione russa del 1917, alle occupazioni delle fabbriche durante il biennio rosso in Italia, alla grande stagione di scioperi che, sempre negli anni 20, stava sfociando in un processo rivoluzionario in Germania. Peraltro fu proprio nel 1919 che in Italia venne stipulato l’accordo, tra la Fiom e la Federazione degli Industriali metallurgici per le 48 ore settimanali. Prima di questo accordo la settimana lavorativa, in alcuni stabilimenti siderurgici, arrivava fino a 72 ore.
Fu per sconfiggere quel movimento che i padroni legarono le loro sorti al fascismo; fu per la paura di perdere il potere che il grande capitale preferì veder precipitare l’Europa nel baratro della seconda guerra mondiale. Tuttavia né il fascismo, né la guerra erano riusciti a cancellare dalle coscienze la memoria del Primo Maggio. Anzi, per quanto riguarda la storia italiana, proprio quest’anno ricorrono i settant’anni dalla strage di Portella della Ginestra dove gli uomini del bandito Giuliano spararono contro i lavoratori, soprattutto contadini, che stavano assistendo ad un comizio. Manifestavano contro il latifondismo, stavano sostenendo l’occupazione delle terre e rivendicavano ancora una volta una riforma agraria sempre promessa e mai realizzata. In quella strage morino tredici persone, tra cui anche donne e bambini.

Se si guarda alla storia e alle lotte che i lavoratori e le lavoratrici hanno condotto da quando è nato il capitalismo, si noterà che queste sono state sempre spinte dalla necessità e dal desiderio di migliorare la propria condizione materiale e di vita. La classe lavoratrice, in fondo, ha sempre cercato di sottrarsi allo sfruttamento che ha nel tempo di lavoro il suo cardine.

La svolta degli anni 60 e 70

I momenti più avanzati della lotta di classe e il miglioramento delle condizioni materiali di lavoratori e lavoratrici sono stati il frutto del superamento delle divisioni che il capitalismo ha sempre esercitato sulla classe e di un’organizzazione forte e decisa a non cedere. Lo scontro con la borghesia non è mai stato facile e il percorso per le riforme non è mai stato scontato e definitivo. L’ultima grande stagione di lotte, quella degli anni 60 e 70, ha strappato la conquista della settimana di 40 ore, di contratti collettivi nazionali che miglioravano fortemente la condizione salariale e normativa della classe operaia, dello statuto dei lavoratori, delle 150 ore per la formazione, del tfr, della scala mobile e del sistema pensionistico retributivo. Anche la società risentì del cambiamento dei rapporti di forza e del protagonismo del movimento operaio perché proprio in quegli anni si ottenne la riforma della scuola che aboliva il doppio canale e l’avviamento professionale, l’istituzione del sistema sanitario nazionale, una riforma fiscale fortemente progressiva, la riforma del diritto di famiglia, il divorzio e l’aborto.

Oggi, alla vigilia del primo maggio 2017 di queste conquiste non è rimasto quasi nulla e con esse sembra essere stata cassata anche la memoria delle lotte e della forza che può esprimere una classe lavoratrice cosciente e unita.

La controrivoluzione liberista

La crisi economica cominciata nel 2007 e il pieno dispiegamento dei provvedimenti presi in questi anni per salvaguardare i profitti e le rendite, a scapito di salari e diritti, hanno determinato un cambiamento della condizione materiale di chi lavora. L’approvazione del Jobs Act e della Buona Scuola hanno mutato completamente il quadro dei rapporti di forza all’interno dei luoghi di lavoro: hanno contribuito ad un’ulteriore divisione dei lavoratori e delle lavoratrici, già scoraggiati e demoralizzati da anni di compromessi sindacali a ribasso e sconfitte. Le direzioni sindacali certamente hanno in questo una pesante responsabilità politica; non solo non hanno costruito un grande movimento di lotta unitario contro gli attacchi della Confindustria ma hanno anche contribuito a mandare su dei binari morti quelle mobilitazioni e quagli scioperi in cui c’era stata una forte partecipazione e disponibilità a non arrendersi, come nel dicembre 2014 contro il Jobs Act e il 5 maggio 2015 contro la Buona Scuola.

L’aumento della precarietà, la disoccupazione galoppante, la cancellazione di molte tutele, in primis dell’articolo 18 che ha svuotato lo statuto dei lavoratori, sono gli effetti di una vera e propria guerra che le classi dominati stanno conducendo contro le classi lavoratrici e popolari. Questa guerra non sta facendo prigionieri ma sta generalizzando l’insicurezza sociale, sta rubando il futuro alle giovani generazioni e sta aumentando il divario di classe tra ricchi e poveri.
Molti dati, infatti, dicono che è aumentato il numero dei poveri assoluti ma anche che, da quando è cominciata la crisi, molti hanno aumentato il loro reddito. Questo è il frutto anche di anni di modifiche fiscali che hanno reso più iniquo per lavoratori e classi popolari il versamento delle tasse che pesa soprattutto sulle loro spalle. La diminuzione delle tasse alle imprese è coincisa anche con un taglio al welfare e alla sanità e con un generalizzato disinvestimento del pubblico che, laddove non riesce a privatizzare, abbandona completamente il campo lasciando anche molte infrastrutture al proprio destino.
Le buche nelle strade, la ricostruzione mai realizzata dei paesi che sono stati colpiti dal sisma, i cavalcavia che cadono, i continui disastri idrogeologici sono la fotografia più nitida della ferocia del capitalismo e dell’effetto dei tagli agli enti pubblici.

Tutto questo sta avvenendo anche in mutato quadro istituzionale: il centralismo dell’esecutivo, l’azzeramento del dibattito parlamentare, l’uso massiccio di decreti legge e di voti di fiducia sono funzionali ad un sistema capitalista che non tollera più i meccanismi della democrazia borghese garantiti dalla Costituzione del 1948. Questo processo doveva trovare pieno compimento nella riforma costituzionale Renzi – Boschi che il voto referendario del 4 dicembre ha per ora bloccato.

Il nuovo razzismo e la tragedia dei migranti

In quest’incertezza e in questa insicurezza trova terreno fertile la propaganda xenofoba e razzista di Salvini che è parte di quel vento reazionario che soffia in Europa. La costruzione dell’immagine del profugo come nemico e l’odio razzista nei confronti del diverso sono funzionali al rafforzamento del potere delle classi dominanti a cui fa comodo vedere che il nemico viene individuato nel migrante e non nel padrone che ci sfrutta ogni giorno.

Gli interventi militari condotti dall’Europa, dagli Usa ma anche di altre potenze regionali attente ai propri interessi in Medio Oriente ed in Africa hanno prodotto tragedie infinite e milioni di migranti che nel tentativo di sfuggire ai conflitti si rivolgono all’Europa dove trovano però i muri e le porte sbarrate, respinti ed uccisi da politiche sempre più spietate. Mentre il Mediterraneo si trasforma sempre più nella tomba di migliaia di disperati, i governanti della fortezza Europa non si fanno scrupoli ad aumentare le misure repressive che sempre più colpiscono anche la povertà e chi decide di alzare la testa e di provare a mobilitarsi per la democrazia e la giustizia sociale, come sta accadendo nel nostro paese a seguito dell’approvazione del decreto Minniti – Orlando.

Purtroppo le risposte fin qui date non sono adeguate ad affrontare la situazione, non sono all’altezza dell’attacco messo in campo. Anche nella sinistra radicale aumentano le risposte per una soluzione nazionale, per una chiusura entro i propri confini, risposte che vanno proprio nel senso inverso rispetto a quello che il movimento operaio ha scelto quando ha voluto ed è riuscito ad affermare la propria forza.

Per un primo maggio anticapitalista e internazionalista

È per tutti questi motivi che oggi più che mai è necessario un primo maggio di lotta, un primo maggio che ritrovi lo spirito internazionalista e solidale che ha animato la classe lavoratrice della fine 800 e del 900. Oggi più che mai è necessario ricostruire una mobilitazione per il lavoro, per i diritti, per il salario e per la tutela dell’ambiente che unisca le tante vertenze aperte e isolate che si sono aperte in questi mesi, ultima la vicenda Alitalia. È necessario superare le divisioni e l’isolamento che ognuna di queste vertenze vive ed altrettanto necessario fare un salto di qualità che porti dalla difesa del proprio posto di lavoro, del proprio salario e della propria dignità alla difesa del lavoro, del salario e della dignità di tutti e tutte. È necessario ricostruire la solidarietà di classe a prescindere dal luogo di lavoro, dal colore della pelle, dalla religione, dalle origini e considerare i/le migranti nostri/e fratelli e sorelle. Oggi più che mai è necessario difendere la democrazia, a partire dai luoghi di lavoro dove i referendum vengono rispettati solo se sono espressione della volontà del padrone. I lavoratori e le lavoratrici di Alitalia ci stanno dicendo che ci sono gli spazi per opporsi e per dire NO. Oggi più che mai è necessaria una campagna per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario ed è necessario l’intervento dello stato per creare occupazione per tutti/e. Oggi più che mai è necessario un progetto politico che si ponga l’obiettivo di un forte cambiamento sociale e dell’abbattimento del capitalismo.

Questa è anche la strada migliore per contrastare il revisionismo storico e per evitare che pezzi di apparati e che partiti come il PD, ormai pienamente a servizio delle classi dominanti, si approprino di giornate come il primo maggio per trasformarle in vuota celebrazione in cui cercano di mascherare le loro gravissime responsabilità politiche della situazione attuale e sulla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori. Il primo maggio deve tornare ad essere una giornata di lotta dura contro i padroni, di esprimere la volontà della classe lavoratrice di combattere lo sfruttamento capitalista e di far avanzare il progetto di un’ altra società.


30 Aprile 2017 


dal sito Sinistra Anticapitalista


 




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