Diari di Cineclub

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sabato 4 settembre 2010


L'ANARCHISMO: UN PROCESSO DI RIABILITAZIONE

di Daniel Guérin




Dal libro di DANIEL GUERIN "PER UN MARXISMO LIBERTARIO" Ed Massari 2008 - per gentile concessione della MASSARI EDITORE - traduzione di Antonella Marazzi


L'anarchismo è stato a lungo vittima di un discredito che non ha meritato. Di un ingiustizia che si è manifestata sotto tre forme.
In primo luogo, i suoi diffamatori sostengono che l'anarchismo sarebbe morto. Non avrebbe resistito alle grandi prove rivoluzionarie del nostro tempo: la Rivoluzione russa e la Rivoluzione spagnola. Non avrebbe più il suo posto nel mondo moderno, caratterizzato dalla centralizzazione, le grandi unità politiche ed economiche, la concezione totalitaria. Agli anarchici non resterebbe altro -secondo l'espressione di Victor Serge- che "raggiungere, per forza di cose, il marxismo rivoluzionario". (1)
In secondo luogo, i suoi detrattori, per discreditarlo ulteriormente, ci propongono un'interpretazione assolutamente tendenziosa della sua dottrina. L'anarchismo sarebbe essenzialmente individualista, particolarista, ribelle a ogni forma di organizzazione. Mirerebbe al frazionamento, allo sbriciolamento, al ripiegamento su se stesse delle unità locali d'amministrazione e di produzione. Sarebbe inadatto all'unità, alla centralizzazione, alla pianificazione. Avrebbe nostalgia dell' "età dell'oro". Tenderebbe a resuscitare forme superate di società. Peccherebbe di ottimismo infantile; il suo "idealismo" non terrebbe conto delle solide realtà dell'infrastruttura materiale.
Infine, alcuni dei suoi commentatori si preoccupano di tirar fuori dall'oblio e consegnare a una chiassosa pubblicità solo le sue deviazioni più discutibili e, in ogni caso, le meno attuali, come il terrorismo, l'attentato individuale, la propaganda attraverso le bombe.
Riaprendo il processo, non cerco solo di riparare retrospettivamente a una triplice ingiustizia, né di far opera di semplice erudizione. Mi sembra, in effetti, che le idee costruttive dell' "anarchia" siano sempre vive e che -a condizione di essere riesaminate e passate al setaccio- possono aiutare il pensiero socialista contemporaneo a prendere un nuovo avvio.

L'anarchismo del XIX secolo si distingue nettamente da quello del XX. Il primo è essenzialmente dottrinale. Benché Proudhon sia stato più o meno integrato nella rivoluzione del 1848 e i discepoli di Bakunin non siano stati affatto estranei alla Comune di Parigi, queste due rivoluzioni del XIX secolo, non sono state, nella loro essenza, delle rivoluzioni libertarie, ma, in una certa misura, piuttosto delle rivoluzioni "giacobine". Il XX secolo, al contrario è, per gli anarchici, quello della pratica rivoluzionaria. Essi hanno svolto un ruolo attivo nelle due Rivoluzioni: in quella russa e ancor più nella Rivoluzione spagnola.
Lo studio della dottrina anarchica autentica, come si è venuto formando nel XIX secolo, fa scoprire che l'Anarchia non  è disorganizzazione, disordine o sbriciolamento, ma ricerca della vera organizzazione, della vera unità, del vero ordine, della vera centralizzazione che non possonno risiedere nell'autorità, nella coercizione, nella spinta esercitata dall'alto verso il basso, bensì nell'associazione libera, spontanea, federalista dal basso verso l'alto.

Quanto allo studio delle rivoluzioni in Russia e in Spagna e del ruolo che vi svolsero gli anarchici, esso dimostra che, al contrario della leggenda inesatta accreditata da alcuni, queste grandi e tragiche esperienze danno in gran parte ragione al socialismo libertario contro il socialismo che definirei "autoritario".
Il pensiero socialista in giro per il mondo -nel corso della cinquantina d'anni che ha seguito la Rivoluzione russa e della trentina che ha seguito la Rivoluzione spagnola- è stato più o meno obnubilato da una caricatura di marxismo, riempita di dogmi.
In particolare, lo scontro interno fra Trotsky e Stalin -oggi meglio conosciuto dal lettore d'avanguardia -se ha contribuito a far uscire il marxismo-leninismo da uno sterile conformismo, non ha, tuttavia, fatto veramente piena luce sulla Rivoluzione russa, perchè non è andato e non poteva andare al fondo del problema.
Per Volin, storico libertario parlare di un "tradimento" della rivoluzione, come fa Trotsky, è insufficente:

"Come fu possibile questo tradimento all'indomani di una vittoria rivoluzionaria così bella e completa? Ecco il vero problema (...) Ciò che Trotsky chiama tradimento è in realtà l'effetto ineluttabile di una lenta degenerazione dovuta a metodi sbagliati (...) E' la degenerazione della Rivoluzione (...) che porta a Stalin e non è Stalin che ha fatto degenerare la Rivoluzione. Trotsky -si domanda Volin- avrebbe potuto "spiegare" veramente il dramma, dato che insieme a Lenin aveva egli stesso contribuito a disarmare le masse?" (2)

Discutibile è l'affermazione di Isaac Deutscher, secondo cui la controversia Trotsky-Stalin "proseguirà e si ripercuoterà su tutto il secolo". (3)

Il dibattito da riaprire e proseguire forse non è tanto quello tra i successori di Lenin, ormai superato, quanto tra socialismo autoritario e socialismo libertario. L'anarchismo, da poco tempo, è uscito dal cono d'ombra in cui i suoi avversari lo avevano relegato. L'esempio sopratutto della Jugoslavia che ha cercato di sollevare il pugno di ferro di un sistema economico troppo centralizzato e burocratico, scoprendo, per attingervi, gli scritti di Proudhon, è un sintomo tra gli altri di questa resurrezione.
Agli uomini d'oggi, desiderosi di emancipazione sociale, e alla ricerca delle sue forme più efficaci, si offrono i materiali per un riesame. E forse per una sintesi, tanto possibile quanto necessaria, tra due pensieri egualmente fecondi: quello di Marx ed Engels, e quello di Proudhon e Bakunin. Pensieri, del resto, contemporanei alla loro nascita e meno distanti l'uno dall'altro di quanto si potrebbe credere: Errico Malatesta, il grande anarchico italiano, ha osservato che quasi tutta la letteratura anarchica del XIX secolo "era impregnata di marxismo" (4). In senso contrario, il pensiero di Proudhon e Bakunin ha contribuito non-poco ad arricchire il marxismo.
                                                                                                        1965

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Note:

(1) Annotazione a piè di pagina nel libro di Joaquin Maurìn, Révolution et contre-Révolution en Espagne, 1933

(2) Volin, La Révolution inconnue, 1945, nuova ed.1969 (La Rivoluzione sconosciuta, 2 voll. Ed Franchini, Carrara 1976)

(3) Isaac Deutscher, Il profeta esiliato, Longanesi, Milano 1965

(4) Malatesta, polemica del 1897 citata da Luigi Fabbri, Dittatura e Rivoluzione, 1921 (in italiano)

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