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domenica 4 maggio 2014

L'INUTILE CONGRESSO DELLA CGIL E LA FINE DEL SINDACATO CONFEDERALE di Fabio Sebastiani






L'INUTILE CONGRESSO DELLA CGIL E LA FINE DEL SINDACATO CONFEDERALE
di Fabio Sebastiani

Come tutti i congressi sindacali degli ultimi anni, anche quello della Cgil, che si apre il 6 maggio a Rimini, sarà l’ennesimo stanco e inutile rituale. Eppure una sua particolarità questo appuntamento ce l’ha. E’ il primo dopo l’attraversamento dell’occhio del ciclone della crisi economica. Ci si sarebbe aspettato, da un sindacato che ama "fare il suo mestiere” una puntuale valutazione sugli effetti e, se possibile, anche un bilancio sull’azione del più grande sindacato dei lavoratori. E invece sarà la solita vetrina con parole buttate lì tanto per dire che “la casta non molla”. I titoli dei giornali saranno per gli ospiti, Mauro Moretti e, forse, il presidente del Consiglio Renzi, per qualche scaramuccia tra Camusso e Landini, peraltro già ampiamente consumata.

Un congresso inutile, che non ragiona sulla sconfitta della Cgil

La prima ragione di questo buco nella riflessione è che in realtà una vera e propria “azione” del sindacato non c’è stata. Non è tanto per le ore di sciopero e per le piattaforme costruite. E’ per quella scelta strategica tutta concentrata nella ricerca della sponda politica. Il risultato è stato lo zero assoluto. Sia con il governo Berlusconi che con gli altri, per finire con quello di Renzi, che ha addirittura sancito la fine di ogni “autorità salariale” la Cgil ha collezionato una serie impressionante di niet.

Con il centrosinistra in versione "Re Giorgio", è arrivata la certificazione della fine della busta paga. Ora c’è la carità. Patetico il richiamo ieri da Pordenone di Camusso Angeletti e Bonanni alla “fine degli effetti annuncio” da parte di palazzo Chigi. Gli annunci Renzi l’ha finiti da un pezzo. Ora è passato ai fatti. E i fatti sono sotto gli occhi di tutti: il sindacato serve solo a “portare la parola” dell’esecutivo tra i lavoratori. Sempre che i lavoratori lo vogliano ascoltare. Anche questo, infatti, dopo i congressi di base della Cgil non è più vero. E arriviamo qui all'altra nota dolente.

Accordo del 10 gennaio: l'ultraminoranza sindacale ha deciso per tutti

La Cgil presentandosi nei luoghi di lavoro è riuscita a racimolare una vera e propria “ultraminoranza” rispetto al numero degli iscritti. La controprova arriva dal voto al referendum sull’accordo del 10 gennaio, dove a deporre la scheda nell’urna sono stati appena 450mila lavoratori e lavoratrici. Fatte le dovute proporzioni, se anche gli iscritti di Cisl e Uil avessero votato, questo accordo sarebbe passato al massimo con poco meno di un milione di voti a favore, ad essere generosi. Un po’ poco, anzi decisamente inquietante, rispetto ai 24 milioni di lavoratori italiani, tra precari e dipendenti. Una esigua minoranza di meno del 5% ha deciso per le sorti della stragrande maggioranza su un accordo che se da una parte mette un freno alla presunzione delle aziende a decidere il proprio interlocutore, dall’altra paga il prezzo altissimo dell’esclusione di un’ampia fetta, quella di base, dalla rappresentanza. E lo fa nel modo più odioso, quello dell’autoreferenzialità. Questa sì che è una casta. Non era meglio, sulla rappresentanza, fare una legge? No, perché questo, sempre nella logica della strategia politica sopra delineata, avrebbe creato qualche problema di unità "interna" tra Cgil e Cisl.

Al di là delle polemiche, è chiaro che di per sé questo accordo rappresenta un altro segno della crisi del sindacato. E non è un caso che proprio su questo punto si consumerà lo scontro interno tra Cgil e Fiom. I metalmeccanici di Maurizio Landini sono in difficoltà, ma questo non vuol dire che accetteranno qualsiasi condizione posta dalla maggioranza, anzi. E né questa volta la soluzione possibile sarà una “equa” distribuzione degli incarichi dirigenziali.

La fine del sindacato confederale

Ma a preoccupare non è tanto la fine della Cgil, che comunque troverà il modo di sopravvivere a se stessa visto che l’accordo del 10 gennaio le regala una bella rendita di posizione. A preoccupare è la fine del sindacato confederale, che è poi l’essenza e la “ragione sociale” profonda del sindacato stesso. Stiamo parlando di unità dei lavoratori, ovvero del mestiere del sindacato, la cui radice etimologica è “stare insieme con giustizia”. Si va a grandi passi verso il modello Cisl, ovvero l’associazione dei lavoratori che somiglia sempre di più ad una agenzia di servizi. Il sindacato è solo un ragioniere che mette insieme le pratiche e le inoltra alla controparte.
La concertazione aveva decretato la fine della possibilità di mettere bocca nelle condizioni del lavoro e in gran parte della materia normativa. Oggi è finita anche l’era del salario, che la concertazione in qualche modo riusciva ancora a definire limitatamente ad alcune componenti. Il salario è finito. Oggi c’è la carità, nel perfetto equilibrio con il lavoro precario, a sua volta destrutturato dal lavoro volontario, come dimostra il caso clamoroso dell’Expo di Milano.

Ed ora tocca al pubblico impiego, guerra epocale

C’è da dire che proprio Susanna Camusso aveva fatto promesse mirabolanti proprio sul lavoro precario. Avrà il coraggio di un po’ di autocritica oppure continuerà nella stanca liturgia del destino “cinico e baro”?
Se nel lavoro privato la guerra è stata già combattuta, si tratta di contare i morti e i feriti sfruttando al massimo una fase, brevissima, di relativa calma, nel pubblico impiego si stanno concentrando le truppe per l’assalto finale. Qui il tema della carità salariale è ancora più cogente. E’ qui che il Governo dovrà produrre risultati concreti con l’arma della spending review. L’esecutivo è il dittatore assoluto di una “politica economica” combattuta a forza di tagli. E il capitolo più rilevante sono i tre milioni e passa di lavoratori. Ovviamente, non è vero che non ci saranno licenziamenti. Ma il punto non è questo. Il punto è capire come riuscire a contrastare una autorità che in forza della legge agirà come un bulldozer. Il punto è l’efficienza? Bene, ma chi decide? Decide Renzi. Ecco lo schema sostanziale di quello che accadrà nei prossimi mesi.


4 maggio 2004 

dal sito Contro la crisi


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