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martedì 29 maggio 2018

IL RICATTO DI MATTARELLA NEL NOME DEI "MERCATI"





IL RICATTO DI MATTARELLA NEL NOME DEI "MERCATI"


CRISI SENZA FINE DI UN SISTEMA MARCIO!


Con la rinuncia del primo ministro Conte e con l’incarico a Cottarelli si è consumato un nuovo passaggio nella profonda crisi politica italiana e non solo.

I tatticismi parlamentari non possono spiegare interamente questa svolta a dir poco inattesa. Indubbiamente Salvini si sentiva sempre più stretto nell’alleanza con i 5 Stelle e pensa di poter passare all’incasso con nuove elezioni. Da parte sua Mattarella temeva come il fuoco un governo Lega-M5S che varasse la prossima legge finanziaria ed è riuscito, col suo veto su Paolo Savona come ministro, a resuscitare il “governo neutrale” che aveva già proposto senza esito alcune settimane fa.

Tuttavia questi calcoli appaiono deboli e fondati su dei veri e propri azzardi. Anche i cosiddetti “poteri forti” esprimono più preoccupazione che fiducia negli effetti della mossa di Mattarella. Confindustria si stava già apprestando a gestire un rapporto con l’annunciato governo giallo-verde, rapporto che certo non sarebbe stato idilliaco ma che pragmaticamente i padroni nostrani pensavano di poter ricondurre alla (loro) ragione. Persino il presidente francese Macron, totem dell’ortodossia liberista ed europeista, aveva già fatto una telefonata informale a Conte proponendogli di collaborare sul piano europeo.

Decidono “i mercati”

L’ipotesi del governo Lega-M5S aveva suscitato una forte aspettativa popolare. Si scandalizzino pure le suorine di sinistra e progressiste: milioni di persone, con maggiore o minore convinzione, attendevano con ansia di vedere se “cambiando tutto” sarebbe arrivato davvero qualche provvedimento sulle pensioni, sulla precarietà, sulla scuola, sulla povertà, che invertisse la rotta dopo dieci anni di feroci politiche di austerità.

Erano speranze malriposte? Certo. Erano (e sono) speranze strumentalizzate a fini reazionari in particolare dalla Lega? Anche questo è certo. Ma tutto questo non annulla il dato di fatto. Milioni di persone hanno votato il 4 marzo sperando di migliorare la propria condizione sociale e con la ferma e sacrosanta convinzione che Pd, Forza Italia e le loro forze di complemento dovevano essere spazzati via per poter cambiare qualcosa.

È di questa speranza che ha paura la classe dominante. Non certo che Paolo Savona possa far crollare l’euro. Hanno paura delle “irragionevoli speranze” di decine di milioni di persone che in un decennio di crisi hanno visto peggiorare la propria condizione di vita e che continuano a non vedere alcuna prospettiva di miglioramento. Per lorsignori il “popolo” è apprezzabile solo fintanto che accetta la propria condizione senza protestare e senza ribellarsi, finché vota per i partiti “giusti” e rispetta le leggi che lo incatenano. Se smette di farlo iniziano subito a insultarlo e a dipingerlo come una massa ignorante preda dei demagoghi populisti.

Il messaggio di Mattarella del 27 maggio con cui ha ribadito il veto su Savona è stato un concentrato di ipocrisia e arroganza ma sul punto centrale è stato chiarissimo. Decidono “i mercati”, ossia il capitale finanziario. Decide lo spread. Decide l’Unione europea. Io decido e voi dovete accettare.

Naturalmente il 99 per cento della sinistra si è subito prostrata a strisciare ai piedi di Mattarella che, ci si dice, ha usato le sue prerogative costituzionali.

Sì, è proprio così! Mattarella ha agito nel pieno rispetto della Carta e delle leggi! E ora aspettiamo la prossima lezione dai vari “costituzionalisti fai da te” che si sono affannati, a partire dal referendum perso da Renzi nel 2016, a dire che la nostra è la Costituzione “più bella del mondo”, che “bisognerebbe solo attuarla” e che ammorbano da anni la sinistra con queste idiozie. Tutti costoro dovrebbero essere rinchiusi in una stanza per un anno ad ascoltare il messaggio di Mattarella e poi scrivere 100 volte al giorno queste importanti e semplici parole del più grande rivoluzionario del secolo scorso:

“La potenza del capitale è tutto, la Borsa è tutto, mentre il parlamento, le elezioni, sono un gioco da marionette, di pupazzi”. (Lenin, Sullo Stato, luglio 1919)

Questo vale non solo per la “sinistra mattarelliana”, ossia i vari Bersani, Camusso, Speranza, Fassina, Fratoianni e compagnia. Vale anche per Potere al popolo, Rifondazione e tutti quelli che criticano Mattarella in nome della “democrazia e della Costituzione”. Vale per la segreteria della Fiom che non avendo il coraggio di dire apertamente che difende Mattarella lo dice con un bel giro di parole sul “bilanciamento e la separazione dei poteri, architrave per la tenuta democratica del paese.”

Lo scontro sull’euro

L’intervento di Mattarella ha improvvisamente scaraventato al centro dello scontro politico la questione dell’euro e dell’Unione europea. È un fatto politico centrale di cui dobbiamo provare ad individuare le ragioni.

L’Unione europea è in profonda crisi. La crisi bancaria e quella dei debiti degli Stati sono state solamente anestetizzate dalle politiche di Draghi che ha usato la Bce per allagare i mercati di liquidità con denaro a interesse zero, acquisti massicci di titoli pubblici e privati, ecc. Ma queste politiche non possono essere usate all’infinito, in particolare di fronte alla politica opposta che si sta affermando negli Usa. Il mandato di Draghi è vicino alla scadenza ed è opinione diffusa che la Germania rivendicherà un successore che non segua politiche altrettanto espansive.

La crisi dell’eurozona è passata ormai dal piano economico a quello politico. I partiti europeisti faticano a mantenere il consenso elettorale, gli interessi dei diversi Paesi divergono sempre più nettamente, i problemi si accumulano senza mai risolversi, dalla questione delle banche, alla politica estera, all’immigrazione…

L’affondo di Mattarella su questo terreno appare più comprensibile se ipotizziamo che un settore consistente della classe dominante e dei suoi rappresentanti, abbia deciso di agire non per paura di Luigi Di Maio o di Paolo Savona (non scherziamo!) ma perché ha tratto la conclusione che un governo giallo-verde avrebbe reso insostenibile l’attuale, precario equilibrio in particolare nella gestione del debito pubblico italiano e della sempre latente crisi bancaria.

Se così fosse, e ci pare che come minimo sia razionale ipotizzarlo, saremmo di fronte a un vero e proprio balzo qualitativo nella crisi del sistema politico borghese in Italia e in Europa.

Cottarelli è uomo di fiducia del capitale, del Fondo monetario, dei “mercati”. Ma rischia di capeggiare il governo meno rappresentativo della storia: persino nel Pd abbondano i mal di pancia di fronte alla poco allettante prospettiva di affrontare una campagna elettorale come unico partito di sostegno a un governo che sul suo biglietto da visita reca scritto “ex collaboratore di Mario Monti specialista in tagli alla spesa sociale”.

Certo si inventeranno di tutto per evitare di precipitare subito nella campagna elettorale, e Di Maio pare disposto a prestarsi a qualche giochetto. Parlare, come fa il capo dei 5 Stelle, di “far partire le commissioni parlamentari” o di procedura di impeachment per Mattarella (procedura che se avviata impedirebbe lo scioglimento delle camere!) significa non avere fretta, e dopo uno schiaffo in pieno volto come quello che hanno preso tanta flemma è significativa.

“Organizzeremo delle manifestazioni nelle principali città italiane, delle passeggiate, dei gesti simbolici, tutto ciò che è possibile fare pacificamente per affermare il nostro diritto a determinare il nostro futuro. Il 2 giugno, il giorno della festa della Repubblica, invito tutti a venire a Roma.” Passeggiate e gesti simbolici… questo ha da proporre il leader del partito più votato il giorno dopo che gli è stato impedito di formare un governo!

Nello stesso messaggio Di Maio si è premurato di ribadire che mai e poi mai intende portare l’Italia fuori dall’euro e che quella non era la proposta di Savona.

Tutto questo dimostra che le speranze popolari a cui abbiamo fatto riferimento in apertura, in realtà spaventano anche Di Maio. Un conto è raccogliere voti, un altro conto è chiamare davvero le masse in piazza per una lotta non virtuale ma reale contro i padroni di questo sistema.

I compiti della sinistra di classe

In questi 84 giorni abbiamo visto più di un colpo di scena e sarebbe sbagliato esercitarsi a indovinare quali altre contorsioni potranno nascere da questa crisi politica. Dobbiamo invece concentrarci sui dati fondamentali e soprattutto sui nostri compiti.

Le prossime elezioni, quando che siano, sono state trasformate dall’intervento di Mattarella in un referendum sull’Unione europea e l'euro. Il presidente di Confindustria Boccia ha dichiarato il giorno dopo la rinuncia di Conte che l’uscita dall'euro è “inconcepibile” e sarebbe “la fine dell’economia italiana”. Cercheranno con tutti i mezzi di ricattare e impaurire l’elettorato minacciando ogni sorta di cataclisma sociale ed economico se non vinceranno i partiti “europeisti”. Non a caso Renzi cerca di rimettersi in campo come uno dei leader di questo schieramento.

La sinistra si è dimostrata una volta di più drammaticamente al di sotto della sfida. Le prese di posizione della segreteria della Cgil e della Fiom in difesa di Mattarella dimostrano una volta di più come il gruppo dirigente sindacale sia completamente dissociato dalla realtà che si vive nei luoghi di lavoro e nella stessa base del sindacato. Non hanno capito ancora il voto del 4 marzo e l’unica cosa che sanno fare è aggrapparsi disperatamente alle istituzioni e a Confindustria. Nessuna iniziativa utile può venire da quelle sponde, né dai partiti legati alla burocrazia sindacale come LeU.

Non sarà certo facile conquistare uno spazio per una posizione di classe in uno scontro che si preannuncia ancora più polarizzato di quello del 4 marzo, ma non ci sono scorciatoie per aggirare l’ostacolo. La sinistra di classe deve entrare in questa contesa con una posizione chiara e inequivocabile: la rottura con l’euro e l’Ue è parte indispensabile di qualsiasi programma che intenda seriamente difendere la condizione di vita della classe lavoratrice, dei pensionati, dei disoccupati e dei giovani.

Questo chiama direttamente in causa tutte le varie forze a sinistra (Prc, Potere al popolo, De Magistris, ecc.) che su questo punto hanno sempre usato dei giri di parole cercando formule di compromesso tra chi propone la “riforma dei trattati europei”, chi propone la “rottura” dei trattati (che si traduce in realtà nella proposta di rinegoziare una Unione europea capitalista) e chi difende posizioni sovraniste.

La chiarezza su questo punto costituisce un elemento indispensabile della rottura politica e ideologica con tutte le correnti della sinistra riformista che sono in ultima analisi tra i primi responsabili di questa situazione.

Questo avvitarsi della crisi politica sta dimostrando in modo particolarmente crudo come tutto il sistema stia letteralmente marcendo dalle fondamenta. La delegittimazione delle istituzioni che tante lacrime fa spargere ai burocrati della sinistra è un fatto positivo, dimostra che la classe dominante fatica sempre di più a mantenere il proprio controllo politico.

Milioni di persone hanno cercato una soluzione votando i partiti che promettevano il “cambiamento” e si sono visti sbarrare la strada. Questa enorme richiesta di cambiamento, questa rabbia che si accumula da anni nei settori più sfruttati della popolazione viene continuamente compressa da un sistema che non consente alcuna via d’uscita. Ad un certo punto sarà inevitabile che esploda non solo in un voto nell’urna ma in una mobilitazione diretta nelle piazze.

Solo investendo su questa prospettiva è possibile lavorare per la rinascita di una vera sinistra di classe nel nostro paese, di un partito dei lavoratori e di tutti gli sfruttati che indichi una via d’uscita dal vicolo cieco di un sistema politico ed economico in piena decadenza e dalle illusioni impotenti del populismo.

29 maggio 2018






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