Diari di Cineclub

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sabato 6 aprile 2019

FRIDAYS FOR FUTURE AL CROCEVIA di Guido Viale






FRIDAYS FOR FUTURE AL CROCEVIA
di Guido Viale


Quanto ha inciso la comparsa mediatica di Greta Thunberg sulle scelte dei politici italiani, europei e mondiali? Encefalogramma piatto; omaggi frettolosi e formali; programmi e sproloqui di chi è convinto che l’unico problema vero resti “la crescita”. Da loro, fino a che Friday for future non si sarà moltiplicato per cento, non c’è da aspettarsi niente. Ragazze e ragazzi dovranno cavarsela da soli; insieme agli scienziati che ne hanno innescato i timori – anzi, il “panico” – e ai (pochi) genitori e nonni disposti ad ascoltarli. Per crescere Friday for future dovrà organizzarsi, e lo sta facendo; ma dovrà anche discutere e decidere che cammino percorrere. Ha di fronte due vie alternative, entrambe estranee, per ora, alla dialettica che si svolge tra le forze politiche ufficiali.

La prima è la via rivendicativa: mettere a punto una piattaforma che rispecchi l’entità e soprattutto i tempi strettissimi delle misure necessarie a evitare la catastrofe, sostenendole con mobilitazioni sempre più estese, articolate e radicali, e negoziare con le autorità perché le adottino. Ma quali autorità? Nessuna sembra avere più il potere di realizzare radicali cambi di rotta: le autorità scolastiche sono schiacciate dai regolamenti; ai Comuni mancano i fondi (il che non impedisce loro di imbarcarsi in imprese sciagurate come le Olimpiadi); il Governo è prigioniero del debito e di “autorità” sovranazionali che continuano a minacciarci la fine della Grecia; il Parlamento europeo non conta nulla; Commissione e BCE sono in mano alla finanza mondiale; e la finanza mondiale, chi è? Se gli operai non hanno più di fronte solo un padrone con cui aprire e chiudere una vertenza, ma un intero sistema, sempre più anonimo, che può chiudere, delocalizzare, licenziare quando vuole, neanche la rivendicazione di una svolta radicale che mobilita tante ragazze e ragazzi ha una vera controparte con cui negoziare.

La seconda via è costruttiva: si comincia con le cose che si è in grado di fare là dove la propria iniziativa può arrivare: nella scuola, nel condominio, nel quartiere, nella città. Occorre capire che cosa serve per promuovere lì quella svolta: in termini di conversione energetica, di cambio dell’alimentazione – e dei rapporti con chi produce il cibo, come fanno i Gruppi di acquisto solidale, vero modello di chi antepone il fare al rivendicare – di mobilità, edilizia, salvaguardia del verde e della biodiversità, recupero di scarti e rifiuti, ecc. Poi si progettano quei cambiamenti: all'inizio in termini generali, cercando l’aiuto di tecnici disponibili e coinvolgendo quante più persone possibile, compresi, se si può, Comuni, associazioni, parrocchie, sindacati, ecc. 

Muovendosi lungo questa via, la controparte non tarderà a farsi sentire. Il movimento NoTav della Valdisusa è diventato un caso nazionale non solo per aver detto No a un’opera sciagurata – anche e soprattutto per il clima – ma perché ha studiato il progetto, ne ha mostrato l’assurdità, ha avanzato proposte diverse, ha costruito informazione, partecipazione e iniziative sociali ed economiche alternative: per questo le controparti si sono subito fatte vive. Fin troppe: politici, imprese, media, Procura e sindacati: tutti in marcia verso il disastro climatico. Agli operai licenziati della Maflow (ora Rimaflow) di Trezzano è stata chiusa e delocalizzata la fabbrica portando via i macchinari. Ma loro non si sono limitati a chiedere riassunzione, intervento dello Stato, un nuovo padrone: non li avrebbero ottenuti. Hanno occupato quei locali vuoti riempiendoli di nuove attività: botteghe artigiane, studi legali, impianti di riciclo, fiere, feste, incontri, coinvolgendo migliaia di persone e diventando un caso nazionale. Per cercare di fermarli è intervenuta la magistratura con accuse infami quanto infondate. Come a Riace. Lì, di fronte centinaia a di profughi sbarcati nella notte sulla spiaggia il sindaco non ha rivendicato solo un sistema migliore di accoglienza: lo ha inventato e costruito insieme ai compaesani e ai nuovi ospiti; anche qui la controparte si è subito fatta viva; con Salvini e una magistratura complice. In questi casi, e in tutti quelli simili, la partita ora si gioca in termini di mobilitazione. Certo, i loro avversari sono ancora molto forti e nel nostro caso, le mummie cieche e sorde ai cambiamenti climatici lo sono ancor di più. Ma così diventa chiaro chi c’è da una parte e chi dall'altra; e costruzione e rivendicazione marciano insieme.

Friday for future si trova di fronte altri quattro dilemmi. 
Primo: conciliare una visione globale, quella degli scienziati del clima, con pratiche e mobilitazioni locali su progetti concreti. 
Due: unire la dimensione ambientale e quella sociale: perché a subire le conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici sono i poveri della Terra, a partire dai migranti scacciati dai loro paesi da siccità, alluvioni e disastri ambientali; ma anche gli abitanti dei quartieri più esposti all'inquinamento sono sempre i più poveri. Poi, bloccare uso dei fossili e produzione di CO2 vuol dire chiudere in pochi anni impianti, fabbriche e progetti che impiegano milioni di lavoratori. Non si può farlo senza offrir loro, con la conversione ecologica, un impiego alternativo: più sano, più utile e più soddisfacente. E’ un passaggio che non si può lasciare ai Governi: deve coinvolgerci tutti, a partire, e non è facile, dai lavoratori interessati. 
Tre: scienza e politica. Gli scienziati negazionisti sono ormai una sparuta (e ben retribuita) minoranza; ma quelli che lavorano a far progredire il disastro climatico sono ancora un esercito. Per esempio, la senatrice Cattaneo: che mette quello che sa, e anche quello che non sa, a disposizione della lotta contro l’agricoltura biologica, a favore di quella industriale: una delle principali fonti di gas serra, oltre che di malattie mortali. Ma i saperi degli scienziati consapevoli devono essere tradotti in pratica: compito che non può essere delegato a politici e industriali. Se ne devono far carico, in termini progettuali e in modo condiviso, tutti coloro che sono impegnati in questa lotta. Che saranno sempre di più, perché il cambiamento climatico non darà tregua, con effetti sempre più pesanti. 
Ultimo: non dar credito scientifico all'economia: è una disciplina che continua a tradurre tutto in denaro, in prezzi: l’esempio più grottesco è l’analisi costi-benefici del TAV, che non calcola i costi della devastazione di una intera comunità e quelli del contributo di quel progetto all'apocalisse climatica. Ovvio: non hanno prezzo.


dal sito Pressenza



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