Diari di Cineclub

Diari di Cineclub
Rivista Cinematografica online e gratuita

sabato 9 ottobre 2010



ECUADOR:
l'insurrezione delle masse sconfigge il colpo di stato


di Patrick Larsen






Gli avvenimenti drammatici dell'Ecuador del 30 settembre scorso, quando un consistente gruppo di membri delle forze di polizia ha tentato di rovesciare il governo di sinistra guidato da Rafael Correa, sono ancora davanti agli occhi di tutti.
Il motivo ufficiale della ribellione è stato una legge approvata mercoledì dal Parlamento che avrebbe fnterrotto la prassi di concedere riconoscimenti e incentivi ad ogni promozione ai membri dell’esercito e della polizia ecuadoregne. Ma dietro c'è ben altro.
I poliziotti insorti hanno organizzato l’occupazione di vari edifici importanti a Quito, la capitale dell’Ecuador. Sono stati respinti da una parte delle forze armate che si è impossessata dell’ aeroporto e lo ha chiuso.
La situazione è precipitata quando il presidente Correa ha reagito andando di persona alle stazioni di polizia per avere un confronto diretto con gli uomini che si erano ribellati. Questi ultimi hanno preferito lanciare bottiglie e bombe lacrimogene contro di lui. Gli ha sfidati gridando “Il presidente è qui, uccidetelo se volete!”.
Correa è stato ferito durante questo incidente e portato all’ospedale, dove è stato privato della sua libertà dagli insorti che circondavano l’edificio. I rivoltosi successivamente hanno mandato una squadra di fascisti per molestare i dipendenti della televisione nazionale a Quito, nel tentativo di impedire al canale televisivo nazionale di trasmettere notizie relative alla resistenza al golpe in atto.
Le masse di lavoratori e di poveri delle città hanno risposto con enormi manifestazioni nella piazza principale, Piazza dell’ Indipendenza. Il pomeriggio migliaia di persone si sono recate verso l’ ospedale dove Correa era tenuto prigioniero.
La repressione è stata feroce. Si è già avuta notizia di due morti e molte persone sono rimaste ferite. Secondo un collaboratore del sito www.marxist.com che si trova a Quito, la polizia ha iniziato ad attaccare i dimostranti, non solo alle manifestazioni, ma anche nelle piazze vicine.
Nel tardo pomeriggio, era chiaro che i promotori del colpo di stato erano isolati. Alle 21 e 30 il Presidente Rafael Correa è stato finalmente portato in salvo da un’unità militare speciale che lo ha portato dall’ospedale a Piazza dell’ Indipendenza.
Dal balcone del presidenziale Palazzo Carondolet ha rivolto un discorso alle masse rivoluzionarie ed ha riaffermato il proprio desiderio di preferire morire per il “popolo della rivoluzione” piuttosto che cedere alle pressioni dei cospiratori.

Divisioni nelle forze armate

Un fattore chiave in questa situazione è rappresentato dallo stato d’animo dell’ esercito e della polizia. Chiaramente le forze armate si sono nettamente divise fra chi è rimasto leale a Correa ed alla rivoluzione e chi si messo dalla parte dei golipisti controrivoluzionari.
Mentre le alte sfere dell’ esercito hanno vacillato in un primo momento ed hanno fatto dichiarazioni ambigue riguardo a quanto stava accadendo, le cose erano diverse fra i militari di grado inferiore. Un buon esempio di questo è una chiamata ricevuta nel pomeriggio dalla radio Radio Luna de Quito da parte di un’ascoltatrice. Quest’ultima ha spiegato di essere sposata ad un poliziotto che era fedele alla rivoluzione e che era molto preoccupata per suo marito. Ha anche sottolineato che non era isolato, “ce ne sono molti altri e combattivi” e che la gente doveva solidarizzare con questi elementi rivoluzionari.
Questo è esattamente quanto accaduto durante il salvatagio di Correa. Non si è trattato di una vicenda esclusivamente militare, ma Correa è stato appoggiato da decine di migliaia che si sono mobilitati per richiedere il suo rilascio. In ultima analisi, è stato il movimento di massa a salvare Correa e a riportarlo al potere.
Molti soldati semplici sono essi stessi figli di lavoratori, contadini poveri e poveri che vivono nelle città. Non hanno interesse a sparare ai loro fratelli e sorelle di classe. Questo è stato fatto vedere chiaramente ieri, quando molti settori dell’ esercito e della polizia si sono rifiutati di seguire gli ordini dei golpisti.

Quello che c’è dietro all’accaduto

Correa ha detto giustamente che non si trattava di una semplice richiesta salariale o da parte della polizia. Per usare le sue parole, “Non si è trattato di una messinscena. Che nessuno venga ingannato. Quello che volevano oggi era un bagno di sangue in Ecuador per ottenere il potere che non possono conquistare alle elezioni”. Ha aggiunto che l’ex presidente Lucio Guitierrez era dalla sua parte.
Per capire gli avvenimenti del 30 settembre dobbiamo fare un salto indietro nel tempo di qualche anno. L’Ecuador è stato il primo Paese attraversato dall’ondata rivoluzionaria in America Latina nel gennaio del 2000, quando un’insurrezione di massa, guidata dall’ala sinistra delle organizzazioni di indigeni, ha minacciato la destituzione del Parlamento contro le imposizioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Purtroppo quell’occasione rivoluzionaria è stata persa, poichè i leader dell’insurrezione hanno ridato il potere ad alcuni generali dell’esercito che a loro volta hanno scelto un nuovo presidente borghese. Ma uno dei generali dell’ esercito, Lucio Guitierrez, che si era rifiutato di sparare ai manifestanti nel gennaio 2000, cominciò a diventare sempre più popolare.
Si era presentato come uno di sinistra ed ha cercato di guadagnare ancora più popolarità stabilendo dei contatti con Chavez in Venezuela, con le Farc in Colombia e con altri. Comunque, salito al potere dopo le elezioni presidenziali del 2003, si è subito rimangiato tutte le promesse ed ha firmato tutti gli accordi con il Fondo Monetario Internazionale e con la Banca Mondiale. In altri termini si è venduto al neoliberismo. E’ stato rovesciato da una nuova rivolta delle masse, la cosiddetta “Insurrezione dei fuorilegge” (letteralmente: insurrezione dei fuorilegge, ndt) dell’ aprile 2005.
Poi, nel novembre 2006, Rafael Correa è stato eletto presidente sulla base di un programma spostato a sinistra, che comprendeva il no al nuovo accordo commerciale ALCA e un insieme di riforme minori, compresa l’Assemblea Costituente, sulla linea delle riforme portate avanti in Venezuela.
Queste riforme in sè e per sè non costituivano una minaccia per il capitalismo e in verità molti attivisti del movimento di Correa, Alianza Patria, le criticavano per essere troppo moderate. Ma si sono subito scontrate con la dura opposizione dell’ oligarchia ecuadoregna che ha il proprio zoccolo duro a Guayaquil, la seconda città del Paese.
Il governo americano ha anche iniziato a essere irritato sempre più con Correa per il suo rifiuto di ospitare la loro presenza militare. Questo conflitto ha subito un’ accelerazione il 1° marzo 2008 quando le forze armate della Colombia (fedeli alleate degli USA) hanno violato il territorio ecuadoregno per uccidere alcuni dirigenti guerriglieri delle FARC che erano accampati vicino al confine.
All’ epoca Correa radicalizzò il tono anti-imperialista dei suoi discorsi, condannando il governo di destra di Uribe. Solo un anno più tardi il conflitto si aggravò ulteriormente quando Uribe sottoscrisse un accordo con Obama, permettendo all’esercito statunitense di stabilire nuove basi militari in Colombia come ricompensa per quella persa in Ecuador.
Tutti questi avvenimenti sono cruciali per comprendere la situazione, perchè gettano una luce chiara sulle ragioni che sono alla base dell’attentato di ieri. L’ intento era di mettere un freno sulla “Rivoluzione popolare” di Rafael Correa.

Chi c’è dietro?

È abbastanza chiaro come Lucio Giutierrez sia uno degli elementi di questa vicenda. È un dato di fatto che egli abbia costruito dei solidi legami con almeno una parte della classe dominante degli Stati Uniti durante la sua presidenza. Non è certo per la gloria che ha sottoscritto tutti gli accordi con il fondo monetario Internazionale.
È difficile dire in questo momento se l’ordine per gli avvenimenti di ieri sia partito direttamente da Washington. Benchè il governo americano sia riuscito in tempi rapidi a prendere le distanze dal golpe, non dobbiamo farci ingannare. L’America Latina è sempre stata considerata dagli Stati Uniti come il proprio “cortile”, dove poteva spostare i presidenti a proprio piacimento.
Per ora sembra che quanto successo ricalchi gli eventi dell’Honduras dello scorso anno, in quanto la frazione più reazionaria dell’ imperialismo e l’oligarchia sono andati avanti con i loro progetti golpisti, mentre un settore più moderato ha cercato di far fuori Correa in modo più diplomatico. Non perchè siano meno reazionari, ma semplicemente perchè volevano usare mezzi diversi per allontanarlo dal potere – metodi che sarebbero stati meno rischiosi di quelli attuali.
Detto questo, è necessario sottolineare che questi fatti devono essere visti in un contesto regionale. Gli avvenimenti del 30settembre possono essere visti come la prosecuzione delle nuove politiche USA verso la rivoluzione latinoamericana. Tutti gli sviluppi più recenti indicano che l’imperialismo americano sta cercando di controllare più da vicino tutta l’America latina. Questo è il motivo per cui hanno appoggiato il golpe in Honduras. Questo è il motivo per cui vogliono – tra le altre cose- le sette basi militari in Colombia, le concessioni militari a Panama, Costa Rica e le Antille Olandesi, la riattivazione della Quinta Flotta.

Una rivoluzione continentale

Tutto questo dimostra che non possiamo parlare di una rivoluzione limitata al Venezuela, alla Bolivia o all’Ecuador. Si tratta di una rivoluzione dell’ intero continente, dove gli avvenimenti di un singolo paese sono strettamente collegati a quanto accade in un altro Paese. Quanto successo in Ecuador è parte di una guerra tra la rivoluzione e la controrivoluzione. Il colpo di stato nell’ Honduras il 28 giugno 2009 è stato un episodio e l’Ecuador ne è stato il capitolo successivo. Ma altri Paesi possono proseguire su questo percorso.
In Paraguay ci sono state minacce costanti da parte dell’ esercito contro il “Prete Rosso” Lugo. In Bolivia Evo Morales ha denunciato come la destra stesse cercando di organizzare un “colpo di stato al rallentatore” nell’ottobre del 2008, comprendente un massacro di attivisti contadini a Pando. L’oligarchia boliviana sembra disposta a fare patti col diavolo pur di disfarsi di Morales.
Quello di cui siamo testimoni è da un lato un nuovo capitolo della rivoluzione Latino- Americana. Non è più possibile per i vari presidenti di sinistra fare delle riforme all’interno dei confini del capitalismo senza che questo non provochi delle conseguenze imprevedibili. Le loro riforme, anche le più piccole e moderate, si scontrano subito con la collera delle oligarchie nazionali, sempre conservatrici e che si oppongono ad ogni tipo di cambiamento che possa sfidare anche solo lontanamente il loro potere.
Inoltre l’imperialismo sta aumentando i propri sforzi per sconfiggere la rivoluzione latinoamericana. Ha paura della rivoluzione, non perchè cerchi di proteggere gli interessi statunitensi in materia di risorse naturali e mercati, ma in quanto – ed in misura prevalente- perchè teme che possa essere un esempio e che la rivoluzione si possa diffondere. All’interno degli Stati Uniti gli immigrati latino-americani costituiscono adesso la minoranza più numerosa e lo spagnolo è diffusamente parlato in molte città. Solo quattro anni fa abbiamo visto il potenziale di questro settore una volta che inizia a mobilitarsi, con grandi manifestazioni per i diritti degli immigrati.

Ed ora?

Nel suo discorso dal palazzo Carondelet, Rafael Correa ha gettato fango su quelli che chiama “codardi” e “ traditori della patria”. Ha chiesto come sia stato possibile che qualcuno che non rispetta il presidente legalmente eletto potesse appartenere ai corpi di polizia.
Ha insistito che questo tradimento non sarà dimenticato, che non ci sarà nessun perdono. Durante un’intervista rilasciata lo stesso giorno prima del discorso, ha sottolineato come ci sarà un cambiamento radicale nella polizia, che ci sarà un’epurazione. Ha anche ammesso di essere rimasto sorpreso dal movimento delle masse e di essere stato commosso dalla massa enorme raccolta di fronte al Palazzo Presidenziale.
La situazione è per certi aspetti simile a quella che Chavez ha dovuto fronteggiare subito dopo l aprile del 2002. Correa è stato riportato al potere dalle masse, ma la controrivoluzione persisterà nei suoi tentativi di rovesciarlo.
È assolutamente decisivo che Correa non faccia gli stessi errori fatti da Chavez nel 2002. Sarebbe un disastro se cercasse di trattare con la destra e questo darebbe loro il tempo di preparare una nuova insurrezione ancora più sanguinosa.
Non dovrebbe solo esserci un’epurazione effettiva dell’ esercito e della polizia, ma occorre anche costruire milizie dei lavoratori, dei contadini e dei poveri delle città. Questa è l’unica garanzia contro una nuova sollevazione controrivoluzionaria!
Dobbiamo ricordare come numerosi colpi di stato in america Latina abbiano avuto un primo tentativo spettacolare e poi un secondo tentativo controrivoluzionario di successo. Questo ad esempio è quanto accaduto in Cile con il primo tentativo, detto “Tampazo”, del giugno 1973, solo tre mesi prima del colpo decisivo di Pinochet.
Lo stesso potrebbe accadere in Ecuador, se non vengono presi seri provvedimenti per difendere la rivoluzione. L’oligarchia di Guayaquil è chiaramente dietro questo golpe. Bisogna fare i nomi di chi ha avuto un ruolo nel complotto e devono essere confiscate le loro proprietà, portandole sotto il controllo dei lavoratori. Questa è l’unica garanzia contro la possibilità che i golpisti possano servirsi delle leve principali dell’economia per sabotare e indebolire la rivoluzione.
All’interno del capitalismo è impossibile portare avanti i compiti della Rivoluzione popolare. La vera liberazione dell’Ecuador, la riforma agraria, la soluzione alla questione indigena e così via sono legate ai compiti del socialismo. Se la rivoluzione avrà successo dovrà inevitabilmente andare in questa direzione.
La situazione è instabile. Il rapporto delle forze è favorevole alla rivoluzione, ma è ora di agire con decisione! Facciamo appello a tutti i lavoratori e ai giovani in Ecuador affinchè si mobilitino attorno alle seguenti richieste:

· Diamo armi al popolo! Per la creazione di milizie nelle fabbriche, nei quartieri poveri e nei villaggi!
· Per la creazione di comitati d’azione a livello locale e regionale, con rappresentanti eletti soggetti al diritto di revoca
· Nessun compromesso con i golpisti. Seguiamo le parole di Correa: prigione per tutti i controrivoluzionari ed epurazione nelle forze armate
· Confisca delle proprietà degli oligarchi. Devono essere messe sotto il controllo dei lavoratori a beneficio dell’ intera popolazione.


4 ottobre 2010
da "FalceMartello"
                                                                           

Nessun commento:

Posta un commento

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF