Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

lunedì 20 dicembre 2010


SAVIANO E I FALSI
MITI DELLA SINISTRA

di Giovanni Savino




Il successo di “Vieni via con me”, la trasmissione condotta da Fabio Fazio e Roberto Saviano divisa in quattro puntate e dagli ascolti record (oltre 9 milioni di telespettatori), ha suscitato dibattito anche e soprattutto tra ampi settori del “popolo della sinistra”. Il deserto culturale e la pochezza della tv italiana hanno rappresentato la possibilità del successo della trasmissione targata Endemol (la stessa casa produttrice del Grande Fratello) e un abile mix di ingredienti buoni per un certo settore a sinistra come il popolo viola e a destra come i finiani ne ha garantito la riuscita, che costringe però a una riflessione attenta e non scontata a sinistra.
Se Bersani che legge la lista dei valori (?) della sinistra lascia il tempo che trova, l’idea di fondo della trasmissione è quella di due schieramenti che alla fin fine su temi come le mafie, il diritto alla vita, i problemi del paese, non sono così distanti, se non per la posizione in cui si siedono in Parlamento e per l’eccezione Berlusconi. L’esaltazione del patriottismo, della retorica risorgimentale e della bandiera, dovrebbe unire quest’operazione ideologica, provando a far passare in secondo piano il prodotto diretto della retorica nazionale, il militarismo, e l’impiego delle truppe italiane in Medio Oriente e in Afghanistan. Una retorica basata sull’ordine, a cui manca solo la parola disciplina, e che è una spia di come far uscire l’Italia dalla crisi, facendo passare come valore la legalità e il legalitarismo.
Un legalitarismo spinto e estremo per cui non si dice una parola sulla militarizzazione della Campania, in cui la magistratura è un’entità soprannaturale e sempre giusta (e piazza della Loggia? E Ustica? E Carlo Giuliani?) in un’atmosfera di buonismo, in cui le lotte dei lavoratori e degli studenti ne restano fuori non perché ignorate, ma perché devono essere normalizzate.
Quando i conduttori hanno dichiarato di essere oltre Berlusconi, hanno indicato chiaramente il programma politico di chi, tra terzo polo e prove di governo tecnico, vuole provare a fornire una rappresentanza stabile e concreta alla borghesia italiana.
D’altronde, Fabio Fazio ha concesso la tribuna di “Che tempo che fa” a Sergio Marchionne per spiegare la “bontà” del suo piano di licenziamenti e di asservimento dei lavoratori Fiat, permettendo al manager italo-canadese di poter calunniare gli operai e rifiutando la replica dei delegati sindacali.
Ma la figura centrale della trasmissione è stata Roberto Saviano, lo scrittore casertano che da anni vive sotto scorta per le minacce seguite alla pubblicazione di Gomorra e diventato punto di riferimento nel dibattito italiano sulle mafie.
Se Gomorra come libro aveva rappresentato una utile denuncia (anche se con elementi di romanzo) del potere economico della camorra, rilanciando il dibattito, subito dopo ne è cominciata la santificazione e l’imbalsamazione della figura di Saviano, diventato una sorta di fiore all’occhiello per qualsiasi politico, da Bertinotti a Maroni. Nel frattempo le posizioni prese da Saviano, partito da ambienti di sinistra, cominciavano a essere culturalmente e politicamente di destra, di una destra non berlusconiana, ma non per questo meno pericolosa, se si considera gli ispiratori dello scrittore:

Come scrittore, mi sono formato su molti autori riconosciuti della cultura tradizionale e conservatrice, Ernst Jünger, Ezra Pound, Louis Ferdinand Celine, Carl Schmitt. E non mi sogno di rinnegarlo, anzi. Leggo spesso persino Julius Evola, che mi avrebbe considerato un inferiore.”(Intervista a Panorama del 22/12/2009)

Una vicinanza non solo nello stile, ma anche nel rivendicare una destra missina in lotta contro le mafie come quella di Almirante, dimenticando il ruolo attivo dell’Msi e del neofascismo nell’appoggio alle ‘ndrine durante la rivolta di Reggio Calabria e la stagione delle bombe sui treni, ma esaltandone la legalità: ricordiamo che il segretario missino, fucilatore di partigiani, si rese protagonista di una campagna per la pena di morte negli anni Settanta contro i terroristi “rossi”, mentre le violenze fasciste colpivano nelle piazze e nelle strade con la complicità dello stato.
I concetti di “legalità” e di “sicurezza” affascinano Saviano, spingendolo a posizioni di destra reazionaria, e abbracciando ogni idea “forte”, confondendo o eludendo le ragioni degli oppressi con quelle degli oppressori, come nel caso della Palestina.
L’impegno dell’autore verso Israele si realizza infatti con la partecipazione alla “Giornata per Israele”, organizzata dalla deputata Pdl e attivista del movimento dei coloni Fiamma Nirenstein, oltre che nella condanna a qualsiasi azione di solidarietà con Gaza come la Freedom Flotilla, raffigurandole come atti terroristici in nome della “sicurezza” e della “legalità” israeliana. Coerentemente Saviano si spinge fino alla ricerca di legami tra mafie e resistenza palestinese, un accostamento peraltro simile a quello tra le Farc e la sinistra Abertzale basca sempre proposto da Saviano stesso.
Per non parlare delle dichiarazioni su Maroni “miglior ministro degli Interni” della storia italiana, però poi corrette con la denuncia delle collusioni mafiose della Lega, ma con la replica, questa sì garantita, al ministro. Insomma un’apertura di credito verso le istituzioni di questo paese, e la creazione di un’icona che non si può criticare.
Sia chiaro, gli attacchi di Berlusconi (proprietario anche della Mondadori) e di Fede sono strumentali e non condivisibili, ma le polemiche create attorno alle critiche di Alessandro Dal Lago e di Daniele Sepe sembrano voler paragonare il diritto alla critica all’agguato mafioso.
Se il libro di Dal Lago è uno studio sociologico sulla letteratura italiana contemporanea, le critiche del musicista napoletano Sepe sono politiche e sociali all’opera di Saviano, e hanno suscitato reazioni molto dure a sinistra, con l’editoriale di Norma Rangeri “Saviano bene comune”.
Che cosa ha detto Daniele Sepe di così terribile? Nell’intervista al Corriere del Mezzogiorno del 3 giugno scorso, il sassofonista ha semplicemente fatto notare che “da comunista dico: quando da decenni la politica è fatta da governi presieduti dagli editori di Saviano, e quando i provvedimenti finanziari si accaniscono sulla povera gente, sicuramente chi ci guadagna è la camorra. La povera gente qualcosa deve pur mangiare, e la legalità è una cosa bellissima, ma non si mangia. Il problema criminale, in Campania e in tutto il Sud, va analizzato tendendo conto che qui sono 20 anni che le aziende chiudono per favorirne altre al Nord, e che la malavita attecchisce per mancanza di alternative, non perché qui vivono scimmie malvage dedite al cannibalismo”.
Parole condivisibili, scritte in un’ottica di classe e provando a entrare nel contesto della criminalità organizzata nel Meridione d’Italia, analizzando i problemi del lavoro e della disoccupazione a Napoli e nel Mezzogiorno.
La sinistra radicale ha perso la bussola? Si chiedeva Daniele Sepe in una lettera al Manifesto rispondendo all’editoriale della Rangeri. Sì, e non da ora: anni di partecipazione ai governi locali e nazionali, lo scollamento con le realtà operaie e di lotta, una volontà di accreditarsi come edulcorata e compatibile con il sistema, fanno sì che le illusioni in una lotta alle mafie fatta di polizia, carceri e blocchi stradali lasciando in secondo piano gli affari e la politica possano insidiarsi a sinistra. Se le condizioni politiche e sociali non cambiano, dopo l’arresto di Iovine (boss latitante della camorra) ne verranno altri cento di boss e di camorristi, né tantomeno il potere delle mafie verrà scalfito.
C’è bisogno di una militanza quotidiana e di un’azione anticapitalista forte contro la borghesia mafiosa, difendendo i posti di lavoro e senza illusioni in uno stato colluso e legato da sempre alla malavita organizzata. Tra la ribalta delle scene e un attivismo sociale e politico crediamo che quest’ultimo sia più efficace, come testimoniato da figure come Peppino Impastato, Placido Rizzotto, Mimmo Beneventano, che hanno pagato con la vita una lotta contro mafie, stato e capitalismo. Una militanza spesso ignorata, spesso dimenticata (come testimoniato dalla causa intentata dal Centro Impastato a Saviano), ma che colpisce nel profondo più di una trasmissione televisiva.

20 Dicembre 2010

dal sito     http://www.marxismo.net/

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