lunedì 21 novembre 2011
CRISI AMBIENTALE E SOVRAPPOPOLAZIONE: COLPA DI 7 MILIARDI O DELL'1%?
CRISI AMBIENTALE E SOVRAPPOPOLAZIONE:
COLPA DI 7 MILIARDI O DELL'1%?
di Jan Angus e Simon Butler *
Le Nazioni Unite hanno comunicato che la popolazione mondiale ha raggiunto raggiungerà i 7 miliardi di individui nel mese di ottobre 2011.
L'avvicinarsi di questa scadenza ha scatenato un'ondata di articoli e di editoriali che individuano nella sovrappopolazione l'origine delle crisi ambientali mondiali. Sulla Times Square a New York è stato istallato un gigantesco e costoso video che spiegava come "la sovrappopolazione umana porta all'estinzione delle specie animali". (1) Nelle stazioni più frequentate del metrò londinese, dei pannelli elettronici avvertono che una popolazione di 7 miliardi di persone è ecologicamente insostenibile. (2)
Nel 1968 si poteva leggere nel best-seller di Paul Ehrlich, The Population Bomb, che "la battaglia per nutrire l'umanità" era terminata a causa della sovrappopolazione e che gli anni ‘70 sarebbero stati un periodo di carestie su scala mondiale e che il tasso di mortalità sarebbe cresciuto. Tutte queste predizioni si sono rivelate false. Ma, quattro decenni più tardi, i suoi successori utilizzano sempre ancora la medesima affermazione di Ehrlich "c'è troppa popolazione!" per spiegare i problemi ambientali.
Eppure la maggior parte dei 7 miliardi di individui non mettono in pericolo la terra. La maggioranza della popolazione mondiale non distrugge le foreste, non stermina le specie animali in pericolo, non inquina i fiumi e gli oceani e, fondamentalmente, non emette gas a effetto serra.
Persino nei paesi ricchi del Nord, la maggior parte delle distruzioni ambientali non vengono causate dagli individui o dalle economie domestiche, ma dalla miniere, dalle fabbriche e dalle centrali elettriche gestite da imprese che si preoccupano più dei profitti che della sopravvivenza dell'umanità.
Nessuna riduzione della popolazione americana avrebbe fermato l'avvelenamento del Golfo del Messico da parte di BP l'anno scorso.
Una diminuzione del tasso di natalità non arresterà l'estrazione delle sabbie bituminose del Canadà, uno dei crimini più stupefacenti che il mondo abbia mai visto, come l'ha giustamente definito l’ecologista americano Bill McKibben. (3)
L'accesso universale al controllo delle nascite dovrebbe essere un diritto umano fondamentale. Ma questo non avrebbe per nulla impedito le distruzioni massicce degli ecosistemi del delta del Niger realizzate da Shell o i danni di dimensioni incommensurabili che Chevron ha causato alle foreste tropicali dell'equatore.
Ironicamente: è mentre i gruppi "popolazionisti" concentrano la loro attenzione sui 7 miliardi di abitanti del nostro pianeta che i manifestanti del movimento Occupy dappertutto nel mondo identificano la vera fonte delle distruzioni ambientali: non sono i 7 miliardi, ma un "uno per cento", quella manciata di milionari e miliardari che possiedono di più, consumano di più e distruggono di più che tutti quanti noi messi insieme.
Negli Stati Uniti, l’"uno per cento" dei più ricchi possiede la maggioranza di tutte le azioni e partecipazioni delle imprese, il che dà loro un controllo assoluto su queste società che sono direttamente responsabili della maggior parte delle distruzioni ambientali.
Un recente rapporto (4), realizzato dall'ufficio di consulenza britannico Trucost per le Nazioni Unite, stima che 3000 imprese da sole provocano ogni anno danni ambientali per 2.150 miliardi di dollari, il che corrisponde, secondo questo stesso rapporto, a circa un terzo dell'insieme dei "costi ambientali". Per quanto scandalosa questa cifra possa sembrare - ricordiamo che soltanto 6 paesi al mondo raggiungono un PIL superiore a questa somma - esso minimizza comunque sensibilmente i danni perché esclude i costi che risulterebbero da "potenziali avvenimenti di forte impatto, quali la pesca eccessiva o il crollo di ecosistemi" e "dai costi esterni causati dall'utilizzazione e l'eliminazione dei prodotti, come pure dall'utilizzazione da parte delle imprese di altre risorse naturali, dall'emissione di una maggior quantità di inquinanti tramite le loro attività nonché di quelle dei loro fornitori."
Così, per esempio nel caso delle compagnie petrolifere, la cifra copre le "operazioni normali", ma non i morti e le distruzioni causate dal riscaldamento globale, e nemmeno i danni causati dall'utilizzazione dei loro prodotti su scala mondiale, e neanche i miliardi di miliardi di dollari che costa la pulizia delle "maree nere". I danni reali causati da queste compagnie da sole devono essere ben superiori ai 2.150 miliardi di dollari, e questo ogni anno.
L'"un per cento" poi, controlla pure i governi che dovrebbero regolare queste imprese distruttrici. Il 46% dei membri della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti sono milionari, così come il 54% dei senatori, e tutti i presidenti dopo Eisenhower (1953-61).
Grazie al governo , l'"uno per cento" controlla l'esercito americano, il più grande consumatore di petrolio del mondo, e, di conseguenza, uno dei più grandi produttori di gas a effetto serra. Le operazioni militari producono più rifiuti pericolosi delle cinque maggiori imprese chimiche riunite. Più del 10% dei depositi di rifiuti pericolosi toccate dal "Superfond" negli Stati Uniti sono situati in basi militari. (5)
Quelli che credono che un rallentamento della crescita della popolazione mondiale fermerà o rallenterà le distruzioni ambientali ignorano semplicemente le cause reali e le minacce immediate per la vita sul nostro pianeta. Le imprese e gli eserciti inquinano e distruggono gli ecosistemi non perché ci sono troppi abitanti sulla terra, ma perché ciò permette di realizzare dei profitti.
Anche se i tassi di natalità dell'Iraq o dell'Afghanistan scendessero a zero, l'esercito americano non utilizzerebbe meno petrolio.
Anche se tutti i paesi africani adottassero la politica di "un figlio per ogni famiglia" (senza menzionare i problemi demografici e sociali che ciò comporterebbe) le compagnie energetiche degli Stati Uniti, della Cina e d'altrove continuerebbero a bruciare materie fossili, rendendo sempre più vicina una catastrofe climatica.
Coloro che criticano le tesi della sovrappopolazione vengono spesso accusati di credere che non ci sia nessun limite alla crescita. Nel nostro caso, questo è semplicemente falso. Quel che noi diciamo, è che in un mondo ecologicamente razionale e socialmente giusto, in cui le famiglie numerose non sono una necessità sociale ("assicurazione malattia e vecchiaia") per centinaia di milioni di persone, la popolazione si stabilizzerebbe. Come afferma Betsy Hartmann (scrittrice giornalista americana, autrice tra l'altro di opere sulle questioni del controllo delle nascite in una prospettiva femminista, e su questioni ecologiche) "la miglior politica in materia di popolazione è quella di concentrare il miglioramento del benessere umano sotto tutti i suoi aspetti. Bisogna prendersi cura della popolazione, e la popolazione diminuirà".
Le molteplici crisi ambientali esigono un'azione rapida e decisiva, ma non potremo agire con efficacia se non comprendiamo perché si verificano. Se facciamo una diagnosi sbagliata della malattia, perderemo nel migliore dei casi tempo prezioso ad applicheremo rimedi inefficaci; nel caso peggiore, peggioreremo le crisi.
L'argomento per cui "c'è troppa popolazione" dirige l'attenzione e gli sforzi di militanti sinceri verso programmi che non avranno nessun impatto reale. Nel contempo, ciò indebolirà gli sforzi volti a costruire un movimento mondiale contro le distruzioni ecologiche: ciò divide le nostre forze e rende responsabili di queste crisi e dei problemi ad essa connessi le vittime stesse della crisi.
Soprattutto, questo argomento ignora il ruolo distruttivo massiccio giocato da un'economia irrazionale e un sistema sociale che nel proprio DNA ha iscritte un’enorme produzione di rifiuti e la devastazione dell’ambiente. Non è la grandezza della popolazione che è alla radice delle crisi ecologiche attuali: è il sistema capitalista e il potere dell’"uno per cento".
Come ha affermato una volta il pioniere dell’ecologia Barry Commoner: “L’inquinamento non prende inizio nelle case delle famiglie, ma nella sale dei consigli d'amministrazione delle imprese".
26 ottobre 2011
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NOTE
1. http://www.biologicaldiversity.org/news/press_releases/2011/7-billion-09-07-2011.html
2. http://populationmatters.org/2011/news/7-billion-day-population-matters-takes-action/.
3. Le sabbie bituminose in questione, cioè la miscela di acqua e di sabbia mescolate a bitume, a partire dal quale è possibile produrre petrolio grezzo, sono quelle di tre giacimenti che ricoprono quasi il 20% del territorio dello Stato di Alberta, in Canadà. Solo una parte di questi giacimenti, in particolare lungo il fiume Athabasca, può essere oggetto di un'estrazione e di una trasformazione in petrolio grezzo con le tecniche attuali. È in questa. regione che venne creata nel 1967 la prima miniera di sabbia bituminosa del mondo. Una seconda venne messa in servizio nel 1978 , una terza nel 2003. Oggi tre grandi compagnie sfruttano queste sabbie bituminose: Suncor, Syncrude e Shell Canada. L'aumento dei prezzi del petrolio incoraggia la messa in sfruttamento di nuovi campi bituminosi, la cui tecnica di estrazione e di trasformazione è molto costosa (tra 9 e 12 dollari il barile, mentre in Irak o in Arabia Saudita è di 1 dollaro il barile). La costruzione di una pipeline è stata negoziata con PetroChina per avviare il petrolio fino al porto di Kitimat, nella Colombia Britannica, sulla costa ovest.
La produzione di petrolio a partire dalle sabbie bituminose (avviata oltre che in Canadà in Venezuela, nel delta dell’Orinoco) è ecologicamente disastrosa. Porta con sé la distruzione della foresta, delle torbiere e dei fiumi della regione. Lo Stato di Alberta è una delle regioni più inquinate del paese , in cui il tasso di cancro è elevato e sono stati costatati altri problemi sanitari. L'estrazione di un solo barile di petrolio genera inoltre più di 80 grammi di gas a effetto serra. (NdR)
4. http://www.trucost.com/article/14/investors-set-to-increase-pressure-on-companies-causing-significant-environmental-costs
5. “Superfund" è il termine usato per la legge federale del 1980 intitolata Comprehensive Environmental Response, Compensation, and Liability Act. Ha per oggetto la pulizia dei siti inquinati da rîfiuti pericolosi. Questa legge attribuisce all' Agenzia di protezione dell'ambiente degli Stati Uniti il compito di identificare le parti responsabili della contaminazione dei siti per costringerli a ripulirli. Se queste non possono venir identificate o non sono in grado di pagare, l'agenzia pulisce essa stessa i siti ricorrendo a un fondo speciale. Alla fine del 2010, 1280 siti figuravano sulla " lista nazionale prioritaria" dei siti da ripulire. (NdR)
* Questo articolo, è apparso sul sito dell'International socialist organisation (ISO), www.socialistworker.org , il 26 ottobre scorso. La traduzione in italiano è stata curata dalla redazione di Solidarietà-Ticino. Ian Angus e Simon Butler sono coautori dell'opera “Too Many People? Population, Immigration, and the Environmental Crisis” Il primo è editore del giornale eco-socialista “Climate and Capitalis” (http://climateandcapitalism.com/ ), il secondo è editore del settimanale australiano “Green Left Weekly” (http://www.greenleft.org.au/).
dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/index.php
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"Bisogna prendersi cura della popolazione, e la popolazione diminuirà"
RispondiEliminaÈ proprio il motivo per cui chi conosce un alto tenore di vita, esce fuori dall'IDEA IGNORANTE che sia la quantità stessa di figli a "fare" la ricchezza.