Diari di Cineclub

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venerdì 23 novembre 2012

"RELIGIOUS DIVIDE" E CRISI DEL DEBITO IN EUROPA di Paolo Naso




NON PRENDETEVELA CON DIO SE CESARE SCAPPA CON LA CASSA

“Religious divide” e crisi del debito in Europa
di Paolo Naso


La storia è quella vecchia della formica e della cicala: previdente e laboriosa la prima, pigra e scanzonata la seconda che però – de te fabula narratur – con l’arrivo dei rigori invernali non sa come nutrirsi. La novità è che più di qualche voce si leva ad applicare la morale di Esopo all’economia dell’eurozona: “In Nord Europa molti pensano che lo spread alto sia il frutto di un peccato cattolico” ha scritto Massimo Franco su Corriere della sera (1) riprendendo ed amplificando tesi come quelle di Stephan Richter, direttore del sito politico economico  The Globalist, il quale senza  mezzi  termini ha affermato che “un eccesso di cattolicesimo danneggia la salute fiscale delle nazioni, anche adesso nel XXI secolo” (2). “Alla base della ‘colpa’ delle nazioni indebitate – aggiunge Franco – ci sarebbe l’incapacità di emanciparsi dal cattolicesimo: un modo di vivere prima ancora che una fede, passato dalla pratica delle indulgenze per farsi perdonare i peccati a un’eccessiva  tolleranza  in  materia  di  ‘peccati  fiscali’”.  Caduta  la  “cortina  di  ferro”  si  sarebbe  così nuovamente alzato il “muro di Augusta”, la città tedesca dove nel 1555 si firmò la famosa pace del “cuis regio eius religio” con il suo noto, stringente dispositivo: mentre ai sovrani si lasciava la libertà di scegliere la propria religione secondo ragioni di coscienza teologica o di convenienza politica, ai sudditi si imponeva di seguirli nei loro percorsi di fede o – misera alternativa - di incamminarsi lungo la via dell’esilio. Quando poco meno di un secolo dopo, nel 1648 a Westfalia alcuni grandi stati europei raggiunsero un nuovo accordo“di stabilità”, la mappa georeligiosa del continente era già consolidata e alcune “chiese di Stato” erano saldamente  insediate  nell’establishment  degli  apparati  di  governo.  La  misurata  tolleranza  che  veniva introdotta a favore di alcune minoranze religiose escludeva, ad esempio, i territori degli Asburgo, e i precari equilibri tra i principi tedeschi in un tempo di grave crisi economica sconsigliavano ulteriori cambiamenti di fronte, sia pure  ecclesiastico; in realtà come  quella italiana, la Controriforma  aveva ormai sradicato o neutralizzato i pochi insediamenti luterani o calvinisti che erano riusciti a consolidarsi.



Ciò che oggi possiamo chiamare “Europa protestante”, quindi, sostanzialmente ricalca i confini fissatisi quasi cinquecento anni tra aree culturali caratterizzate da un “mercato religioso”sostanzialmente chiuso, nel quale i privilegi  e riconoscimenti garantiti alla religione “di Stato” o comunque prevalente tendono a confermare le appartenenze storiche e tradizionali.

Il “muro di Augusta”

Al fondo, il religious divide tra l’Europa e gli Stati Uniti sta in questa storica polarità tra confessionalismo e pluralismo confessionale che ha avuto non poche conseguenze sul piano dei comportamenti individuali in materia di fede e di libertà di coscienza: secondo alcuni studi circa la metà degli americani avrebbe “cambiato” la propria affiliazione religiosa almeno una volta nella propria vita e il 44% oggi appartiene a una confessione religiosa diversa da quella in cui era stato educato da bambino (3); altri, adottando un criterio di “conversione” più rigido indicano percentuali  assai inferiori  –  16%  - ma comunque eccezionalmente superiori a quelle dei paesi europei ferme ad esempio in Finlandia e Romania allo 0,2, in Italia allo 0,5, in Polonia allo 0,8 (4).
Il “muro di Augusta” avrebbe quindi retto per secoli e ci consegna un’Europa a diverse “gradazioni di protestantesimo”, dalla massima intensità di Finlandia, Norvegia, Danimarca, Svezia, Regno Unito con una presenza evangelica ancora superiore al 70% della popolazione, alla minima intensità di paesi come la Spagna, l’Italia, il Portogallo o la Grecia che registrano presenze riformate inferiori al 2% (5).



Il dato si riferisce alle “affiliazioni religiose” e non alla partecipazione più o meno attiva a una comunità di fede che, come attestano unanimi gli studi sociologici sul campo, è eccezionalmente bassa proprio dove più elevata è la concentrazione protestante. Non è questa la sede per analizzare le cause di questo gap tra “appartenenza” e  “pratica” e ci limitiamo pertanto a  registrare il dato di questa  relazione  di  inversa proporzionalità.. La carta che segue indica come i paesi più “protestanti” siano quelli nei quali la pratica religiosa settimanale è inferiore, attestandosi al 3% in Danimarca, al 4% in Estonia e Lettonia, al 5% in Svezia e in Finlandia, intorno al 10% in Germania. In leggera controtendenza solo il Regno Unito, Belgio e Paesi bassi, poco sopra il 10%. Quasi paradossalmente, nonostante dati di pratica religiosa così modesti, nei paesi “protestanti” le chiese continuano a godere di un solido credito sociale che in paesi come la Finlandia o la Danimarca supera il 70%6: come rilevano i ricercatori Gallup nel loro contributo allo European Social Survey “ la partecipazione attiva alle comunità di fede, in larga misura non è funzione del livello di fiducia in esse da parte di una società (7)”.
Decisamente più frequentate le chiese nei paesi a solida tradizione cattolica come Spagna (21%), Portogallo (20%), Italia (31%), Slovacchia (33%), Irlanda (54%), Polonia (63).




Sulla scorta di questi dati posti a premessa, possiamo definire “Europa protestante” quell’area dell’Europa centrale e settentrionale che comprende sia paesi i cui abitanti a maggioranza si riferiscono ancora alla tradizione culturale della Riforma (Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Regno unito), sia quelli in cui cattolici e protestanti sostanzialmente si equivalgono (Germania), sia quelli in cui consistenti presenze protestanti in contesti in maggioranza cattolici (Belgio, Olanda, Estonia, Lettonia). Per analogia possiamo definire “Europa cattolica” quella vasta area dell’Europa meridionale che ha il suo baricentro tra Italia e Spagna e che però comprende, con caratteristiche peculiari dovute sia alla tradizione laica che al peso sociale della minoranza riformata, anche la Francia.
Analizzando i dati relativi all’incidenza del debito pubblico sul prodotto interno lordo (8), emerge un quadro più  articolato  di  quello  suggerito  dal  paradigma  della  “cicala  cattolica” e della “formica  protestante”.
Inghilterra e Germania hanno un debito pubblico intorno alla media europea e il Belgio, a maggioranza cattolica ma con una minoranza protestante che supera il 25% finisce nella casella delle “cicale”. D’altra parte, nel 2011 la “cattolicissima” Spagna aveva un debito pubblico decisamente al di sotto della media europea e le previsioni, pur pessime sul 2012, indicano un rapporto debito/PIL intorno all’80% secondo la Banca di Spagna e intorno al 90% secondo l’agenzia Moody’s  (9): dato pesante ma ancora ancorato alla media europea.
E che la tradizione protestante non implichi necessariamente e automaticamente il rigore nei conti economici è ampiamente confermato dal debito pubblico degli Stati Uniti che oggi veleggia oltre il 70% del PIL: un dato non propriamente brillante né coerente con l’etica del rigore e della sobrietà che Weber attribuiva ai calvinisti europei come a quelli d’Oltreoceano (10). D’altra parte un personaggio come Monti che ben interpreta la politica del rigore, non è certo riconducibile ai cenacoli protestanti di Ginevra o di Heidelberg.

L’etica protestante della sobrietà, del lavoro e del risparmio che secondo lo schema weberiano avrebbe favorito lo start up del sistema capitalistico, è quindi irrilevante, giunta al capolinea della sua capacitàpropulsiva? Non lo pensiamo e, tra i tanti indici che suggeriscono una relazione tra culture tradizionali – anche religiose – e etica pubblica vi sono quelli relativi all’economia sommersa.


La propensione a pagare o a non pagare le tasse, a dichiarare o a non dichiarare un reddito, infatti, si iscrive all’interno di un habitus anche etico in cui la tradizione religiosa può avere un suo peso.
E possiamo anche spingerci ad affermare che il rapporto diretto tra il credente e Dio tipico del protestantesimo – nessuna mediazione sacerdotale, nessuna confessione auricolare ma solo il dialogo con il Creatore – plasmino una persona più responsabile e consapevole del risultato delle proprie azioni. Nulla di più. Spingersi oltre questo riconoscimento del peso delle tradizioni culturali e religiose significa ignorare almeno due elementi.

Il  primo  è  il dato della secolarizzazione. L’etica virtuosa dell’uomo calvinista su cui scriveva  Weber appartiene a una società in cui Dio è ancora al centro della vita degli individui e delle comunità. Quel mondo è tramontato e il presunto “ritorno di dio” sulla scena pubblica – se mai confermato anche in Europa – si esprime in forme assolutamente diverse da quelle del puritanesimo del tardo ottocento.

Il secondo dato attiene al ruolo e al peso della politica. In Europa molto più che negli USA, gli stati dispongono di leve potenti per promuovere o scoraggiare i comportamenti civici. Se per ragioni storiche e politiche alcuni di essi hanno utilizzato la spesa pubblica in funzione dell’esercizio del potere piuttosto che del servizio alla comunità, questa è stata una scelta politica e non il portato di una cultura della grazia, della misericordia o del perdono. A Dio quel che è di Dio, insomma, e a Cesare e alla sua politica le responsabilità che gli competono.

La voce delle chiese




D’altra parte, pur assumendo la tesi che a muovere la cancelliera Merkel sia la sua autobiografia di figlia di un pastore luterano e che la ricetta del “rigore” dei conti a qualsiasi prezzo sociale sia un portato necessario della Riforma, tra le voci critiche e preoccupate nei confronti di questa impostazione vi è proprio quella di molte personalità ecclesiastiche. “Al centro della nostra attenzione bisogna mettere la gente, non i mercati” ha  dichiarato al Parlamento  Europeo il vescovo  luterano Nikolaus  Schneider, presidente  della Chiesa evangelica di Germania (EKD) (11). Nessuna frattura con la Cancelliera – difficilmente pensabile data la storia tedesca dei rapporti tra Stato e Chiesa - ma la posizione è chiara e sottolinea che le politiche di austerità “devono essere accompagnate da iniziative sociali”, anche per evitare “riflessi antieuropei”. Il vescovo luterano non ha paura di evocare misure come il “salario minimo come strumento per combattere la povertà”, evidentemente incompatibili con il rigore a tutti i costi che impone tagli alle politiche sociali e che, nella vulgata corrente, non consente alcuna deroga. Ma va anche oltre mettendo in guardia contro il pericolo di “sospendere le regole democratiche nel corso di questa lotta alla crisi determinata dal debito”: nel linguaggio prudente del massimo esponente della Chiesa luterana di Germania significa che le pressioni esercitate direttamente sulla Grecia e indirettamente su altri Paesi dell’eurozona con i conti in rosso, costituiscono una violazione democratica.

La posizione di Schneider non è nuova né isolata.
Il suo predecessore, il vescovo Wolfgang Huber che qualche mese fa sembrava candidarsi alla presidenza federale e di cui è nota la simpatia verso l’SPD, aveva una linea analoga: solo tre anni fa, infatti, aveva messo la sua firma in calce a un altro documento di notevole peso politico che indicava una strada diversa da quella del semplice rigore economico. Il riferimento biblico era una drammatica citazione del profeta Isaia:
"Questa iniquità sarà per voi
come una breccia che minaccia rovina,
che sporge in un alto muro,
il cui crollo avviene a un tratto, in un istante,
e che si spezza come si spezza un vaso del vasaio
che uno frantuma senza pietà,
e tra i rottami del quale non si trova frammento
che serva a prendere fuoco dal focolare
o ad attingere acqua dalla cisterna" (30:13-15)

A partire da queste taglienti parole, nel 2009 l’EKD aveva quindi pubblicato un testo significativamente intitolato "Come in un alto muro,  crepato e pericolante" (12) in cui si affrontava di petto il tema della crisi globale. Il documento invocava "un completo cambiamento nel pensiero e nell'azione [politica], che vada al di lá di una gestione della crisi a breve termine Le chiese non intendono intraprendere un'azione politica – affermava  - ma  vogliono renderla possibile".  Lo sguardo  della  Chiesa  si  allungava quindi oltre la contingenza affermando che “superare la crisi significa andare oltre un semplice cambiamento delle regole del  mercato  finanziario  internazionale”  per  arrivare  a  “accordi  internazionali  a  beneficio  del  ritardato sviluppo dei paesi del Sud, della sicurezza sociale, di un freno e quindi della riduzione delle conseguenze del cambiamento climatico, della sicurezza alimentare e delle risorse naturali. Se questo è possibile – concludeva il testo della chiesa luterana tedesca – la crisi sarà un’opportunità per sviluppare la cornice di un ordine economico libero che ci consenta di oltrepassare i limiti nazionali per garantire una spinta per allineare l’economia a una modello di sviluppo sostenibile”.
Il modello ipotizzato era quello di una “economia di mercato sociale”, una sorta di “terza via” in grado di coniugare libero mercato e solidarietà, liberalismo e protezione sociale.
Parole difficili a pronunciarsi in tempo di crisi, ma che hanno fatto breccia anche nelle strutture regionali dell’EKD: la politica del rigore senza se e senza ma “produce effetti preoccupanti nella stessa Germania”,denuncia Uwe Becker, esperto di politiche sociali e membro  del Consiglio Diaconale della EKD della Renania,  Land  in  cui  la  Chiesa  vanta  un  profondo  radicamento  sociale.  “Anche  se  la  situazione occupazionale tedesca resta buona rispetto ad altri paesi europei [il tasso di disoccupazione è al 5,6%, ndr] – afferma - si deve prendere atto della spaventosa miseria sociale del Paese”: in pochi mesi “è salito a 1,5 milioni il numero di coloro che mangiano presso istituti di assistenza” e in molti casi si tratta di persone che formalmente “hanno un lavoro” (13). Lavoratori poveri, insomma, che non riescono ad arrivare alla quarta settimana.
Il dibattito si allarga a livello europeo e coinvolge la Comunione delle chiese protestanti europee, un network che raccoglie oltre cento denominazioni delle varie tradizioni riformate: luterani, calvinisti, metodisti, battisti e così via. “La crisi del debito sta allontanando molte società europee dai loro obiettivi economici. Il sistema sociale si deve aggiustare di nuovo. Sembra inevitabile. E comunque ha già spinto molte persone verso la povertà e la disoccupazione. E’ importante, allora, ricordare che richiamarsi all’Europa significa richiamarsi al modello sociale europeo, che prevede solidarietà e sussidiarietà. Questa connessione deve essere ben tenuta presente in tutte le misure che si vogliono prendere: chi è forte può portare i pesi di chi è debole. Vale nelle società ma vale anche tra le nazioni dell’Europa” (14). Proviamo a esplicitare: la Germania, il paese più forte, non può imporre misure insostenibili al più debole, ad esempio la Grecia. E a firmare questo testo, tra gli altri, anche i rappresentanti delle chiese protestanti tedesche.
In questo dibattito si inseriscono anche alcune voci cattoliche: tra le altre quella di Elmar Nass, un teologo esperto di etica sociale che, in un lungo articolo sulla Frankfurter Allgemeine, esprime viva preoccupazione che la politica del rigore oscuri l’etica sociale cristiana e che, di fronte a una situazione difficile e rischiosa, le chiese finiscano per tacere. “Il rigore non è nemico della solidarietà”, scrive riproponendo politiche di sussidiarietà e di fiducia “tra il forte e il debole. Il primo può stare sicuro che il secondo darà il suo contributo, come il debole sa che in caso di  difficoltà potrà trovare il sostegno del forte, aiutandosi reciprocamente.  E’ l’idea base della ‘terza  via‘  -  si spinge ad affermare Nass  –  tra liberalismo e collettivismo”. Il concetto che delinea è quello di una “solidarietà responsabile’ – scrive - che, al di là delle suggestioni neosocialiste, indica una strada liberale e cristiana all’etica sociale cattolica”. Nass, il teologo cattolico che non fa mancare i sui consigli alla CDU, ha ben chiaro che occorre costruire una nuova sensibilità e cambiare la rotta del governo imposta dalla Cancelliera: in testa ha un modello e un precedente, quello degli incontri internazionali e dei gruppi ecclesiali locali che in passato “hanno contribuito alla riconciliazione tra la Germania e i suoi vicini”. Vale “molto di più – afferma polemico - che tenersi strette certe idee della tradizione popolare che stanno perdendo senso”.
Il linguaggio non è troppo diverso da quello dei protestanti tedeschi ed europei. Non deve sorprendere perché in tempi più ecumenici di oggi, cattolici e riformati di Germania riuscivano ad esprimere una posizione comune su temi sociali e politici di primaria importanza (15).
Oggi tendenzialmente ogni chiesa parla per sé ma analisi e proposte circolano ecumenicamente da una confessione all’altra. Chi prova a rialzare il “muro di Agusta” non trova né formiche né cicale ma tradizioni culturali, chiese e credenti impegnati – talvolta insieme - a cercare una via d’uscita alla crisi che non si riduca al taglio delle protezioni sociali nel nome dei “conti a posto”. Il divide europeo non passa lungo la linea tracciata da Calvino, Lutero e dalla Controriforma ma da quella della struttura economica e politica dei singoli paesi. In un contesto di prepotente secolarizzazione come quello europeo e nel tempo di una crisi di portata globale, sia le religioni propriamente dette che le tradizioni religiose in senso più ampio possono molto poco: i costumi, gli abiti sociali, la cultura della legalità, la propensione al reato fiscale hanno ormai una fisionomia secolare e profana centrata su valori e modelli puramente mercantili e di potere. In questo scenario di crisi, coesione civile, pesi e contrappesi nel controllo della spesa pubblica, autorevolezza morale della classe dirigente contano sui destini delle economie nazionali molto più delle 95 tesi affisse sul portone della cattedrale di Wittenberg nel 1517.



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NOTE


1) Massimo Franco, Protestanti “rigorosi” del Nord contro cattolci “lassisti” del Sud, Corriere della sera, 5 settembre 2012. p. 6; cfr. anche la replica di Franco Cardini: “Non furono solo la riforma calvinista (non quella luterana) a instradare l’Europa sulla via del rigore: la controriforma cattolica lo fece in modo non meno deciso”, L’Europa divisa dai pregiudizi, Quotidiano nazionale 10 settembre 1012

2) Martin Luther and the Eurozone: Theology as an Economic Destiny?, The Globalist, 14 maggio 2012, www.theglobalist.com 2,


3) The Pew Forum on religion and Public Life, Faith in Flux. Changes in Religious Affiliation in the U.S. aprile 2009, p. 1, www.pewforum.org

4) Robert J. Barro, Jason Hwang, Religious conversion in 40 Countries, National Bureau of Economic research, Working Paper, Cambridge, MA, dicembre 2007, www.nber.org/papers/w13689

5) CIA, The World Factbook, Religions, www.cia.gov


6) Robert Manchin, Religion in Europe: Trust Not Filling the Pews, 21 settembre 2004, www.gallup.com

7) Ibidem


8) Fonte: Eurostat 2012, http://epp.eurostat.ec.europa.eu

9) Spain public debt rises to 72.1% of GDP in Q1: Bank of Spain, The Economic Times, 15 giugno 2012

10) Paolo Naso, L’Etica protestante e la crisi del capitalismo, Limes n. 6/2011


11) EKD Press Releases, 9 maggio 2012


12) Like a High Wall,Cracked and Bulging. Statement by the Council of the Evangelical Church in Germany on the global financial and economic crisis, 2009, www.ekd.de

13)  Uwe Becker, EKD News 6 settembre 2012

14) Communion of Protestant Churches in Europe, Meeting the Crisis, 7 dicembre 2011, http://csc.ceceurope.org


15) In un testo congiunto dell’EKD e della Conferenza episcopale tedesca del 1997 sui temi dell’economia si legge: il rinnovamento dell’ordine economico deve fondamentalmente mirare a una economia di mercato che sia socialmente, economicamente e globalmente responsabile… Proprio per la loro intrinseca natura, la solidarietà e la giustizia non possono essere confinate nell singole società ma devono essere interpretate in termini globali…” , For a Future founded on Solidarity and Justice, A Statement of the Council of the Evangelical Church in Germany and the German Bishops’ Conference on the Economic and Social Situation in Germany, 1997, §11




Tratto da “i quaderni speciali di Limes” del 9 ottobre 2012

dal sito http://www.chiesavaldese.org/




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