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giovedì 1 novembre 2012

VENEZUELA: IL PROGETTO POLITICO DI CHAVEZ di Michele Ferro



VENEZUELA: IL PROGETTO POLITICO DI CHAVEZ
di Michele Ferro


Le elezioni politiche in Venezuela hanno confermato Chavez Presidente della repubblica.  
Si è trattato di elezioni regolari che hanno ancora una volta dimostrato l’affetto la fiducia che la maggioranza dei venezuelani, soprattutto di coloro che ancora oggi vivono nella povertà e ai margini della società, nutre nei confronti di questo personaggio. Per costoro Chavez rappresenta la  speranza di un futuro migliore. Chavez è stato sempre eletto attraverso regolari elezioni e questa legittimità ha avuto la sua massima consacrazione nel 2002, quando un colpo di stato organizzato da alcuni generali dell’esercito venezuelano, fu sventato attraverso una vera e propria mobilitazione popolare e con l’aiuto determinate di una consistente parte dello stesso esercito fedele al Presidente.
Nel mio recente viaggio in Venezuela ho cercato di capire cosa significasse e quali prospettive avesse la politica istaurata da Chavez negli ultimi anni e mi permetto di esprimere alcune riflessioni in merito.

Il Presidente Chavez ha improntato la sua politica sul principio che il popolo indigeno, cioè i discendenti dei popoli che originariamente abitavano quelle terre ( prima della conquista spagnola) siano i legittimi titolari dei diritti di proprietà e di sfruttamento delle enormi ricchezze minerarie che quelle terre contengono e sono anche i legittimi titolari dello sfruttamento dei terreni destinati o da destinare all’agricoltura (considerato che questa potrebbe avere importanti sviluppi derivanti dall’eccezionale situazione climatica che consente produzioni più volte ripetute nel corso dello stesso anno).
La parola d’ordine di Chavez consiste nel rivendicare al popolo indigeno la riappropriazione della propria dignità. Questa rivendicazione comporta come conseguenza l’insofferenza nei confronti degli europei e dei loro discendenti che costituiscono i detentori del potere economico del Paese.
Infatti il Governo procede con continue acquisizioni attraverso espropri di beni di cui gli europei dispongono, come terreni agricoli, impianti industriali, interi fabbricati per abitazioni e su ognuna delle proprietà espropriata viene disteso un grande striscione che rivendica la riappropriazione a favore del Popolo in nome del Socialismo.
Ma questi beni per la maggior parte rimangono inutilizzati perché non esiste una classe dirigente in grado di mettere a frutto, nell’interesse del Popolo venezuelano, tutto ciò che viene espropriato. Perciò i terreni rimangono incolti, le fabbriche rimangono chiuse con la conseguenza che gli operai che vi lavoravano, anche se con salari da fame, si ritrovano ad incrementare la massa di vagabondi pronti a utilizzare qualsiasi mezzo per sfamarsi. I fabbricati espropriati vengono occupati illegalmente (con la complicità della polizia locale) da indigeni abitanti dei ranchitos.
Qualche milione di indigeni vive nei ranchitos, migliaia di piccole costruzioni fatiscenti addossate alle colline che circondano Caracas, in condizioni davvero inaccettabili per un paese civile, sia dal punto di vista igienico e sanitario, sia dal punto di vista delle relazioni sociali. Si tratta per lo più di persone analfabete e senza alcuna occupazione.
Da questa situazione deriva uno dei maggiori problemi del Paese, ed in particolare per la Capitale, la gestione dell’ordine pubblico. Furti, rapine ed omicidi per rapine sono all’ordine del giorno e questo costituisce per i comuni cittadini motivo di preoccupazione e di paura, tale da evitare alcune zone della città, anche all’interno del centro storico.
Chavez si è posto il problema dell’eliminazione dei ranchitos, predisponendo un piano per l’edificazione di interi nuovi quartieri da destinare agli abitanti dei ranchitos, ma l’ampiezza del fenomeno non consente di essere ottimisti sia sulla riuscita sia sui tempi di attuazione del programma.
Chavez si è anche reso conto che l’analfabetismo e comunque la mancanza di una formazione scolastica adeguata non consente agli indigeni di formare una classe dirigente in grado di sostituire gli europei nella gestione dell’economia ed ha predisposto un piano per lo sviluppo delle attività scolastiche, che, anche in questo caso, anche se con alcuni importanti risultati positivi, trova notevoli ostacoli a decollare. In attesa che maturi questa nuova classe dirigente indigena il Presidente è costretto ad utilizzare personale qualificato proveniente dai Paese amici. 
Per la sanità, la cui riforma è uno dei meriti che il Presidente si ascrive e che effettivamente ha consentito al Paese un salto di qualità a favore delle classi più povere, la struttura medica ospedaliera è gestita quasi integralmente da personale cubano, per le costruzioni la maggior parte delle imprese sono di nazionalità iraniana.

Chavez, pur nel suo evidente populismo, persegue un progetto politico che ha una sua dignità, la rivendicazione dei diritti degli indigeni si ascrive nel solco storico dei liberatori sudamericani (il riferimento a Simon Bolivar è costante nella sua azione politica), ma appare di difficile realizzazione l’utopia di mettere alla porta gli eredi dei conquistatori e i discendenti degli immigrati europei dalla fine dell’800 al dopoguerra del II conflitto mondiale, considerato che questi detengono l’intero potere economico della nazione. 
Forse non sarebbe sbagliato aprire un dialogo con la parte più disponibile di questo settore della società (i cui membri in maggioranza risultano venezuelani a tutti gli effetti) ed utilizzarne le capacità imprenditoriali per realizzare un riequilibrio della società a favore degli indigeni.


31 ottobre 2012


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