Diari di Cineclub

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mercoledì 22 aprile 2015

FARRO PER FERMARE IL DECLINO di Raffaele Alberto Ventura





FARRO PER FERMARE IL DECLINO
di Raffaele Alberto Ventura




Ovvero, il vestito nuovo di CasaPound. Un'indagine iconografica sui simboli utilizzati da "Sovranità", una nuova formazione politica, chiamata a puntellare la Lega fuori dal territorio padano



Nelle piazze italiane mobilitate da Matteo Salvini ha fatto la sua comparsa la bandiera di una nuova formazione politica, chiamata a puntellare la Lega fuori dal territorio padano: si chiama Sovranità ed è il partito di Simone Di Stefano, numero due di CasaPound. Degli autoproclamati “fascisti del terzo millennio” Sovranità sembra voler incarnare una versione presentabile, per famiglie o magari per governi, “un passo in avanti… un soggetto politico in cui si può interagire senza avere retroterra ideologici” secondo Di Stefano. Ma per capire l’essenziale di questa nuova offerta politica non è necessario ascoltare lunghi discorsi pieni di circonlocuzioni ed eufemismi: il piano dei simboli è già abbastanza ricco di significati, e i “retroterra ideologici” ancora piuttosto presenti.




Se Gianluca Iannone, leader storico del movimento, mantiene il suo look da rockstar in giacca di pelle, Simone Di Stefano preferisce indossare giacca e camicia, radendosi con cura barba e capelli. E se CasaPound conserva la sua vecchia grafica rossonera, in odore di nazionalsocialismo, Sovranità ha scelto di sostituirla con una più sobria, azzurro e giallo. In politica, i colori hanno ovviamente un senso. Diverse tonalità di blu, che evocano forse la nazionale italiana di calcio, contraddistinguono da vent’anni i partiti di destra parlamentare. Anche in Francia, Marine Le Pen ha trasformato il partito del padre in un “Rassemblement Bleu Marine”. E il giallo? Oltre a segnalare una continuità con l’esperienza giallo-blu de La Destra di Storace, che nel 2008 aveva candidato Iannone al parlamento, che cosa indica il giallo?

Basta guardare il disegno al centro dello scudo: il giallo sta per il grano, tre spighe disegnate sopra il nome del partito e la scritta “Prima gli italiani”. Almeno tre livelli di lettura, strettamente collegati, spiegano questo tema iconografico e permettono d’inquadrare l’orizzonte ideologico del partito: il primo è un riferimento alla politica monetaria, il secondo è un riferimento alla teoria economica e il terzo è un riferimento storico-politico. Tutto questo, in tre spighe di grano.




Cominciamo dalla politica monetaria. Il termine “sovranità” è tornato prepotentemente d’attualità negli anni della crisi dell’euro, mano a mano che a destra come a sinistra, tra grillini, berlusconiani, keynesiani, leghisti e neofascisti, si diffondeva l’idea che soltanto recuperando la capacità di battere moneta — la cosiddetta sovranità monetaria — gli stati dell’Unione Europea sarebbero riusciti a ripagare i loro debiti e rilanciare l’economia. La diffusione di questa idea, spesso in forma di favola populista o di delirio cospirazionista, ha sicuramente giovato ai movimenti che ne avevano fatto da tempo una battaglia, come appunto CasaPound.

Il nome del primo “centro sociale di destra”, come noto, deriva dal poeta fascista Ezra Pound. A partire dagli anni 1930 Pound si era dedicato alla denuncia delle disfunzioni del sistema monetario, proponendo fantasiose riforme per contrastare l’influenza delle banche. Oltre mezzo secolo più tardi, le teorie di Pound avevano ispirato al giurista Giacinto Auriti l’elaborazione di ulteriori teorie sul “signoraggio bancario” e la “moneta del popolo”. Ispiratore di Beppe Grillo per lo spettacolo Apocalisse Morbida del 1998, Auriti si candidò alle elezioni europee del 2004 nella lista Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini: ma la sua influenza e la sua opera di divulgatore del pensiero poundiano si estende su tutta l’area post-fascista (e oltre).





Il programma di CasaPound è sempre stato chiaro: “l’Italia deve stampare la moneta che usa” ovvero uscire dall’euro e tornare alla lira. Le spighe di grano sono quindi innanzitutto un riferimento subliminale al vecchio conio, alle monete da due o dieci lire sulle quali erano incise proprio delle spighe; e sull’altra faccia un aratro o un contadino, a significare il lavoro umano necessario a produrre quel grano.

Ma perché disegnare delle spighe sulle monete? E così veniamo al secondo livello iconografico, che fa riferimento a una certa visione dell’economia. La spiga è un motivo ricorrente in numismatica fin dall’antichità, presente anche sulle monete del Regno d’Italia e riproposta oggi addirittura dall’ISIS nel suo progetto di moneta aurea che dovrebbe valere su tutto il territorio del Califfato. Il grano serve qui a rappresentare la ricchezza reale che la moneta permette di comprare e sulla quale fonda il suo valore.




Nello stesso modo, nel simbolo della lista Sovranità la presenza delle tre spighe serve a rivendicare la centralità dell’economia reale: un ritorno alla concretezza da opporre alle astrazioni della finanza, un ritorno alla terra e al lavoro. Si tratta di una sorta di “citazione visiva” dalla dottrina dei fisiocratici del Settecento, anche questa cara a Ezra Pound, secondo i quali la fonte di ogni ricchezza è l’agricoltura. È improbabile che i sostenitori di Sovranità siano effettivamente dei neo-fisiocratici, convinti che l’Italia debba concentrarsi esclusivamente sull’agricoltura: il grano vale qui come sineddoche di un intero tessuto produttivo — ma svela anche un’insospettabile sensibilità hipster per il ritorno alla vita contadina. Non ci stupirebbe che a questo punto spuntasse spuntasse un Carlo Petrini di destra a proporre uno Slow Food neo-fascista, ispirandosi alla propaganda gastronomica del ventennio

Quello del valore della terra è un luogo comune radicato nel buon senso popolare, come conferma un recente studio del Censis per conto della Confederazione Italiana Agricoltori: 82% degli italiani pensa che, per uscire dalla crisi, si debba tornare all’agricoltura. Ma se è indubbio che l’autonomia agricola rappresenta una sicurezza a fronte di un mercato internazionale instabile, o ancora di più, una precondizione per lo sviluppo degli altri settori economici — e tutto questo indipendentemente da ogni valutazione sul peso relativo del settore nel PIL, basso e decrescente nelle economie avanzate — è anche vero che da un’eventuale riconversione al settore primario non si possono certo attendere miracoli come ne promette Marine Le Pen. Nella loro foga di appropriarsi del buon senso popolare, gli alfieri del nuovo protezionismo dimenticano una cosa soltanto: che il benessere di cui godono gli occidentali non lo hanno prodotto ma lo hanno scambiato.




La retorica fisiocratica si ritrova nei più svariati contesti, e nei più svariati contesti è stata prima invocata come soluzione di tutti i mali e poi rapidamente abbandonata: per esempio le spighe di grano erano un elemento ricorrente anche nell’iconografia sovietica. In pratica però l’Unione Sovietica a partire dal 1929 cessò di considerare prioritaria l’agricoltura, e a partire dagli anni Sessanta iniziò a vivere del surplus granario statunitense. I russi si erano accorti di essere in grado di esportare beni più redditizi dei cereali — petrolio, gas naturali, macchinari, ecc. — e così importavano dall’estero il loro fabbisogno di cereali. Insomma gli inaspettati vantaggi del commercio internazionale spedirono in soffitta ogni tentazione pseudo-fisiocratica…

A quanto pare si tratta di una tentazione che riaffiora quando la globalizzazione torna a essere svantaggiosa. Eppure il mito dell’autosufficienza alimentare non apre nessun orizzonte diverso dalla pura e semplice economia di sussistenza: ovvero proprio quella “austerità” che i partiti anti-europeisti pretendono di denunciare, e verso la quale invece mirano con i loro programmi.




Per l’elettore italiano le tre spighe portano con sé un terzo e ultimo significato ovvero un riferimento storico alla famosa campagna nota come “Battaglia del grano”, lanciata da Mussolini nel 1925 allo scopo di perseguire l’autosufficienza di frumento in Italia. Nel discorso fascista, il grano è simbolo e strumento dell’autarchia alimentare ovvero della sovranità pienamente realizzata. Per citare un vecchio documentario dell’Istituto Luce:

Il Duce della nuova Italia ha bandito la santa battaglia. Rendere nuovamente la Patria l’alma parens frugum [“madre dei cereali” come dicevano i romani per via della centralità del settore fino ai secoli III-II a. C.], toglierla dalla servitù straniera! Fare si che il pane, puro alimento di vita, non venga come elemosina oltre confine.

Sullo scudo della lista Sovranità quelle tre spighe di grano possono dunque essere interpretate non più soltanto come evocazione nostalgica della lira e degli anni del boom in cui l’Italia produceva vera ricchezza, ma inoltre — e non dovrebbe costituire una sorpresa — come evocazione nostalgica dell’Italia fascista. Concatenando nel loro nuovo simbolo tre diverse interpretazioni di un medesimo motivo iconografico, i “fascisti del terzo millennio”indicano che la ripresa economica italiana dovrà necessariamente passare dall’uscita dall’euro e dall’instaurazione di un regime autarchico. Uno “Stato commerciale chiuso” come quello progettato da Johann Gottlieb Fichte nel suo omonimo libro del 1800, feticcio di una certa destra che va da Franco Freda (che lo ha ripubblicato nel 2009) a Diego Fusaro (che gli ha dedicato uno studio nel 2014).

D’altra parte, se risaliamo la corrente del nazionalismo socialista fino alle sue origini torniamo sempre alle spighe di grano: quelle spighe di grano il cui valore di mercato venne fatto precipitare dalle riforme della Rivoluzione francese, così rovinando la classe dei proprietari terrieri che reagì affidando al visconte Louis de Bonald il compito di riformulare l’ideologia dell’Ancien Régime e, contemporaneamente, la matrice di un anti-liberalismo per i secoli a venire.




Non condividere il programma sovranista non significa ignorare i seri problemi sollevati — cavalcati? — o, peggio, voler evacuare ogni possibile dibattito limitandosi alle consuete accuse di razzismo, ignoranza e antipolitica. Nel 2008 la crisi americana dei subprime ha attirato l’attenzione sulla massa di capitale fittizio circolante nelle arterie del sistema finanziario mondiale; successivamente, la crisi del debito sovrano nell’Eurozona ha messo in evidenza la crescente difficoltà delle economie avanzate a produrre ed esportare una ricchezza che ripaghi le risorse investite.

Ma col pretesto di rispondere a queste sfide in maniera radicale, i sovranisti di CasaPound sembrano in realtà — fin dal loro simbolo — proporre come rimedio un best of degli errori già praticati: primo, emettere ulteriore capitale fittizio sotto forma di moneta sovrana (ritorno alla lira); secondo, inseguire settori produttivi senza avvenire per soddisfare qualche impulso romantico da bourgeois bohème virato a destra (ritorno alla terra); e infine terzo, affidarsi sempre e comunque al culto dello Stato Provvidenza, qui nella versione mussoliniana (ritorno al fascismo). Farro per fermare il declino? Se soltanto le cose fossero così semplici!



7 aprile 2015

dal sito Converso


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