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domenica 5 aprile 2015

RENZISMO, UNA DESTRA EN TRAVESTI di  Alberto Burgio






RENZISMO, UNA DESTRA EN TRAVESTI
di  Alberto Burgio



La discus­sione su quanto sta acca­dendo nel Pd ha rag­giunto da ultimo vette di ine­gua­glia­bile futi­lità. Ora si discute, in quel par­tito e intorno a quel par­tito, sulla misura del legit­timo dis­senso. Niente di meno. Tutto pur di evi­tare di guar­dare in fac­cia la realtà e le pro­prie smi­su­rate respon­sa­bi­lità. Cer­chiamo di fare almeno noi uno sforzo di serietà e di ragio­nare poli­ti­ca­mente su que­sta par­tita che tutto è meno che una discus­sione interna a un gruppo diri­gente. Per­ché c’è di mezzo, lo si voglia o meno, una buona fetta del destino di noi tutti e di que­sto paese.

Un buon modo per comin­ciare è chie­dersi che cosa sia il ren­zi­smo. Che si può ormai defi­nire, in modo sin­te­tico e pre­ciso, un feno­meno di destra masche­rato da vaghe sem­bianze di centro-sinistra. È inu­tile attar­darsi in esempi, anche se è bene non dimen­ti­care che una delle ragioni del disa­stro ita­liano (e non la minore delle respon­sa­bi­lità di chi ha diretto la muta­zione gene­tica del Pci prima, del Pds e dei Ds poi) risiede nel fatto che gran parte dell’elettorato pro­gres­si­sta non è in grado di com­pren­dere. Per cui rimane sotto ipnosi e vota per il Pd indi­pen­den­te­mente da ciò che esso è diven­tato e fa, nell’astratta con­vin­zione di com­piere una scelta «di sinistra».

Ma da quando il ren­zi­smo è un feno­meno di destra tra­ve­stito? Meglio: da quando lo è in modo evi­dente, almeno agli occhi di chi è in grado di deci­frare la poli­tica? Ammet­tiamo che la pre­i­sto­ria fio­ren­tina del pre­si­dente del Con­si­glio non fosse uni­voca sotto que­sto punto di vista.

Con­ce­diamo che le parole d’ordine della rot­ta­ma­zione e il brac­cio di ferro per le pri­ma­rie aperte potes­sero ingan­nare gli inge­nui (o gli sprov­ve­duti). Fin­giamo quindi che si dovesse stare per qual­che tempo a vedere che cosa com­bi­nava il nuovo governo dopo l’occupazione manu mili­tari di palazzo Chigi. Resta che la maschera Renzi se l’è tolta cla­mo­ro­sa­mente già l’estate scorsa, nel primo scon­tro duris­simo su una «riforma» costi­tu­zio­nale dichia­ra­ta­mente volta ad accen­trare nelle mani del governo il potere legi­sla­tivo e a tra­sfor­mare il par­la­mento della Repub­blica in una rie­di­zione della Camera dei Fasci e delle Cor­po­ra­zioni.
È tra­scorso poco meno di un anno e mol­tis­sima acqua è pas­sata sotto i ponti.

Acqua inqui­nata e inqui­nante che ha inve­stito, tra­vol­gen­doli, diritti e con­di­zioni mate­riali di vita e di lavoro (o di non lavoro) di milioni di per­sone. Acqua limac­ciosa e putrida che si chiama jobs act e ita­li­cum; tagli lineari al wel­fare e ancora soldi pub­blici alle scuole pri­vate; acqui­sto di decine di cac­cia­bom­bar­dieri e aumento della pres­sione fiscale sul lavoro dipen­dente ed ete­ro­di­retto; la bufala popu­li­sta degli 80 euro e l’urto fron­tale con i sin­da­cati; la can­cel­la­zione del Senato elet­tivo e decine di voti di fidu­cia e di decreti-legge; dele­ghe legi­sla­tive in bianco e con­ti­nue vio­la­zioni dei rego­la­menti par­la­men­tari; patto del Naza­reno e inde­co­rose tre­sche con Mar­chionne e Con­fin­du­stria. E ancora migliaia di tweet di autoin­cen­sa­mento com­pul­sivo, da fare invi­dia al dit­ta­tore dello Stato libero di Bana­nas.
Bene: che cosa ha fatto la fronda interna del Pd in que­sto non breve arco di tempo?

Quali risul­tati ha por­tato a casa nel suo infi­nito psi­co­dramma (esco non esco, scindo non scindo, voto non voto, mi dimetto no resto, mugu­gno ma mi alli­neo)? Di que­sto biso­gne­rebbe par­lare final­mente, senza tante chiac­chiere sui mas­simi sistemi. E forse si evita con cura di farlo per­ché il bilan­cio è sem­pli­ce­mente disa­stroso. Non solo per­ché Renzi ha potuto sin qui fare e disfare a pro­prio pia­ci­mento, nono­stante non avesse (e a rigore non abbia ancora) i numeri, almeno in Senato.

Non solo per­ché si è fatto in modo che la con­fu­sione aumen­tasse a dismi­sura nel paese, e con essa il disgu­sto per la poli­tica poli­ti­cante.
Non solo per­ché si è ali­men­tata la ver­go­gna del tra­sfor­mi­smo par­la­men­tare, rega­lando ogni mese nuove truppe mer­ce­na­rie al padrone trion­fante, secondo le migliori tra­di­zioni del paese.

Ma anche, soprat­tutto, per­ché, con uno stil­li­ci­dio di penul­ti­ma­tum e di vol­ta­fac­cia e di finte trat­ta­tive e ancor più finte con­ces­sioni strap­pate al domi­nus, si è impe­dito al popolo della sini­stra di orien­tarsi in una bat­ta­glia per la difesa della Costi­tu­zione e per un minimo di giu­sti­zia sociale che è ormai la più dram­ma­tica emer­genza all’ordine del giorno.

Ora, si dice, qual­cosa sta cam­biando. Per­sino il teo­rico della ditta – sino a ieri l’alleato più zelante del pre­mier – non si fida più (ma lo dice già da un mese) e fa la fac­cia truce. O l’italicum cam­bia o saranno sfra­celli. Pec­cato che le cose dav­vero inac­cet­ta­bili – il divieto di appa­ren­ta­mento e il pre­mio stra­to­sfe­rico al par­tito di mag­gio­ranza rela­tiva – nes­suno le metta sul serio di discus­sione. Che si con­ti­nui a invo­care «un segno di atten­zione» per poter con­ti­nuare la man­frina. E che si fugga come la peste, invece, qual­siasi ini­zia­tiva uni­ta­ria volta a man­dare a casa un governo che è un serio peri­colo per la democrazia.

Per­ché di que­sto si tratta e chi si ostina a negarlo non rap­pre­senta un pro­blema né per Renzi né per la sua impresa. I sedi­centi oppo­si­tori con­ti­nuano a frain­ten­dere la que­stione pen­sando che lo scon­tro riguardi il loro par­tito, se non la loro fazione. No. La verità è che siamo al gran finale di una sto­ria più che ven­ten­nale di liqui­da­zione della sini­stra italiana.

Il gene­roso ten­ta­tivo della Fiom di unire le forze sociali col­pite dalla crisi e dalle poli­ti­che padro­nali del governo ne è a ben vedere la con­ferma più netta per­ché dimo­stra in modo fla­grante che nulla di buono si muove nei paraggi della poli­tica e che il sin­da­cato – la sua com­po­nente più avan­zata – è al momento l’unica risorsa dispo­ni­bile per una rinascita.

Ma que­sta situa­zione deve cam­biare per­ché non ci sarà coa­li­zione sociale che tenga fin­ché il mondo del lavoro resterà senza una rap­pre­sen­tanza poli­tica. E già si è perso troppo tempo. Que­sta è la verità obiet­tiva sot­tesa allo (e nasco­sta dallo) psi­co­dramma del Pd. Prima si avrà l’onestà di rico­no­scerlo e meglio sarà.



4 aprile 2015


da Il Manifesto

La vignetta è del Maestro Mauro Biani





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