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lunedì 26 settembre 2011

L'APPELLO DI CREMASCHI: DALL'INCIPIT RIVOLUZIONARIO ALLA CODA RIFORMISTA di Michele Basso


L'APPELLO DI CREMASCHI: DALL'INCIPIT RIVOLUZIONARIO ALLA CODA RIFORMISTA
di Michele Basso




L’avvento del proletariato è la distruzione
del credito borghese; perché è la distruzione
della produzione borghese e del suo ordinamento.
Il credito pubblico e il credito privato sono
il termometro economico col quale si può
misurare l’intensità di una rivoluzione.
Nella stessa misura in cui essi precipitano,
salgono l’ardore e la forza creatrice della rivoluzione”.

(Karl Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850)


Queste parole di Marx sono intese da molti, che pur si dicono marxisti, come pura letteratura. I revisionisti bernsteiniani consideravano tali posizioni un residuo del periodo rivoluzionario borghese, che il proletariato “maturo” doveva gettarsi alle spalle.

A prima vista, sembra che l’appello “Dobbiamo fermarli: 5 proposte per un fronte comune contro il governo unico delle banche”, abbia superato i limiti del riformismo. Infatti comincia con l’invito a non pagare il debito.“Caspita, questi chiedono la bancarotta dello stato!” è la prima reazione, e il pensiero va alle parole d’ordine rivoluzionarie dell’ ”Indirizzo al Comitato centrale della Lega dei comunisti” o delle “Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850”. Ma l’entusiasmo scompare con le righe successive: “Occorre fermare la voragine degli interessi del debito con una vera e propria moratoria”. Moratoria, un provvedimento legislativo che sospende la scadenza delle obbligazioni. Il debito non viene eliminato, ma sospeso. La bandiera rossa della rivoluzione viene ammainata. Il diluvio della bancarotta dello stato, che doveva travolgere l’aristocrazia finanziaria, viene sostituito da una pioggerella artificiale, che porta al consolidamento del debito, cioè la trasformazione di un debito a breve termine in uno a medio o a lungo termine. I primi governi borghesi prevedevano la prigione per debiti, quelli odierni prevedono una sorta di libertà vigilata, le catene della schiavitù sono allentate, ma si estendono alle generazioni successive, per cui i neonati, quando vedono la luce, sono già indebitati. Nascono schiavi del debito, in cattività come gli animali dello zoo. Non equivochiamo: non si tratta di lanciare oggi un’offensiva rivoluzionaria, viste le condizioni di disgregazione delle forze proletarie. Si tratta di chiarire che la soluzione non viene da una moratoria, lo spostamento nel tempo dei problemi, ma può venire esclusivamente dalla conquista del potere da parte dei lavoratori e dal superamento del capitalismo.

In sede sindacale si possono fare rivendicazioni anche modeste, ma è grave presentarle, non come semplici boccate di ossigeno, ma come soluzioni dei problemi. Molto meglio documenti senza frasi pseudorivoluzionarie, perché compito dei marxisti non è spargere illusioni, ma aiutare i lavoratori a superarle, e a imboccare la via della lotta contro il sistema, che non richiede proclamazioni retoriche, ma una cruda esposizione della realtà e delle difficoltà da affrontare.

Eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino”. Ma perché non citare il paradiso per eccellenza, il Vaticano, col suo Ior e i banchieri di Dio, che persino la stampa borghese ha denunciato, perché al centro di gigantesche speculazioni finanziarie, che portano il nome dei banchieri di Dio, da Sindona a Calvi e a Monsignor Marcinkus?

Intervento pubblico nelle aziende in crisi”. E’ piuttosto generico, può voler dire espropriarle, ma anche dare soldi agli imprenditori, trovando in ciò l’accordo di molti borghesi. Favorire l’autogestione degli operai? Ricorda più la Jugoslavia di Tito che il bolscevismo. Se, invece, si vuole parlare di controllo operaio, ha senso nel quadro di una dittatura del proletariato, non certo in una repubblica borghese, con “la costituzione più bella del mondo” (Bersani dixit).

Bellissima la proposta: “I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima”. Ricorda un cartello esposto in un vecchio festival dell’Unità, con scritto “Meno sfruttamento!”. Gli estensori del manifesto non temono certo di essere definiti minimalisti.

Il punto 4 ricomincia con la solfa del nuovo modello di sviluppo, che dovrebbe sottrarre al mercato le principali infrastrutture e i principali beni. In un’economia di mercato tutto è merce. Il fallimento dei tentativi dei socialisti utopisti di costruire isole di socialismo nel mare del mercato dovrebbe avere insegnato qualcosa. Non è possibile sottrarre al mercato neppure le famose “coscienze individuali”. La trasformazione del parlamento in una Borsa, in cui i parlamentari sono quotati, in vendita permanente, ne è un esempio.
Nazionalizzare un bene, non vuol dire sottrarlo al mercato, finché esistono salario, prezzo, profitto, rendita, interesse, ecc. Se i trasporti sono pubblici, il prezzo del biglietto potrà essere contenuto, ma i costi saranno coperti in parte da imposte. Queste riforme, poi, da quale potere possono essere decise? Da un governo borghese? Un appello può e deve avere un linguaggio semplice, ma ciò non giustifica pressapochismi e affermazioni infondate.

E veniamo alla ciliegina sulla torta, il punto 5: “Una rivoluzione per la democrazia”. Se le parole hanno un senso, la rivoluzione democratica è quella che rende possibile il pieno sviluppo del capitalismo. Parola validissima nella Francia del Settecento, nella Russia del 1905. I menscevichi nel 1917 furono condannati dalla storia, perché non ebbero il coraggio di condurla fino in fondo, rompendo con la borghesia ormai controrivoluzionaria e alleandosi con le masse contadine. E ora ci si ripresenta questa minestra riscaldata della rivoluzione democratica nella fase senile del capitalismo, in cui la borghesia si è trasformata in una classe parassitaria e putrefatta?

La costituzione, che garantirebbe i diritti dei lavoratori a parole, garantisce assai meglio la proprietà privata. Tutti coloro che si richiamano alla costituzione, e in essa pretendono di inquadrare tutte le lotte, volgono le spalle al socialismo, che prevede l’espropriazione e la socializzazione della proprietà privata.

Quei compagni che si richiamano al marxismo, e tuttavia hanno firmato il manifesto, quando smetteranno di cercare di sedersi tra due sedie?

25 settembre 2011

dal sito  http://www.sottolebandieredelmarxismo.it/

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