Diari di Cineclub

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mercoledì 7 settembre 2011



MARX E GLI ECONOMISTI VOLGARI

di Riccardo Achilli


Chi, come il sottoscritto, da ragazzo ha scelto di studiare economia con l'illusione di comprendere meglio le dinamiche, non solo economiche, ma ovviamente anche politiche e sociali del mondo, una volta iscrittosi all'università rimane profondamente deluso, dal momento in cui Marx, l'unico economista che ha descritto in modo completo i meccanismi profondi e strutturali di funzionamento del sistema capitalista, viene studiato, ed in modo superficiale, soltanto in una materia del quarto anno, peraltro facoltativa, mentre le nozioni di base di micro e macro economia del primo anno (ovviamente su un esame che, a differenza di quello relativo agli economisti classici come Marx, è obbligatorio) vengono impartite (ai miei tempi perlomeno) da un bizzarro orsacchiotto villoso marchigiano, di altezza non superiore al metro e cinquantacinque, ed appassionato di spiritismo, che è stato consulente dell'ex Ministero delle Partecipazioni Statali, viceministro delle Finanze ai tempi del primo Governo Berlusconi ed oggi è dirigente di punta (o per meglio dire, di tacco, vista la statura non elevata) di quella curiosa superfetazione del PDL che è il partito di Fini.
E' chiaro che con simili docenti e simili corsi di studio, e studiando su manuali di macroeconomia scritti da Stanley Fisher, che è stato direttore del FMI, si formano generazioni di ignoranti con il cervello atrofizzato, utili idioti per lavorare nelle banche e nelle società finanziarie, o per entrare all'università, contribuendo così alla formazione di ulteriori generazioni di idioti cum lauream. Quegli utili idioti che servono al capitalismo, per continuare a propagare quello che Marx definiva un vero e proprio feticismo, insieme al feticismo della merce: il feticismo di un'economia monetaria, che dimentica completamente i suoi fondamenti produttivi, per concentrarsi sulla mera illusione della moneta.
Per Marx la moneta è una merce particolare, che svolge tre funzioni essenziali per il capitalismo (unità di misura dei valori di scambio, mezzo di pagamento e strumento di tesaurizzazione). Naturalmente l'orsacchiotto marchigiano villoso ci disse, a noialtri ingenui ventenni, che queste funzioni della moneta le aveva inventate Keynes nella sua Teoria Generale (peccato che però la Teoria Generale fosse del 1936, mentre il Capitale di Marx, che tra l'altro definiva le funzioni della moneta, fosse stato pubblicato, nei suoi vari libri, fra 1867 e 1910).
Però la moneta in Marx, che studia non le forme apparenti, ma le forme strutturali di funzionamento del capitalismo, è soltanto un velo, o per usare le sue parole, è soltanto la “forma fenomenica necessaria” per determinare il valore di scambio della merce, per cui in definitiva il valore di scambio, ovvero il valore sociale della merce (che differisce dal suo valore d'uso, strettamente connesso ai bisogni materiali che essa soddisfa in chi la detiene), si traduce in "una forma di esistenza sociale in denaro, scissa dalla sua forma di esistenza naturale". Infatti, il vero valore di una merce è costituito dal tempo di lavoro socialmente necessario per produrla, mente il denaro è soltanto quella particolare merce che serve per fluidificare gli scambi. Quindi, lo sdoppiamento interno tra valore di scambio e valore d’uso di una merce si sviluppa, per Marx, nello sdoppiamento esterno tra merce e denaro, in cui l’una conta sempre come valore-lavoro, l’altro come velo, apparenza del regno degli scambi commerciali.
Occorre quindi tenere a mente questa fondamentale affermazione di Marx: le funzioni ed il valore di quella particolare merce che è il denaro dipendono, nel momento in cui il denaro si sgancia dal suo valore intrinseco in metalli preziosi e si smaterializza, come nel capitalismo moderno, da convenzioni sociali cristallizzate nelle leggi. Se un esercito straniero invade il mio Paese e mette fuori legge il denaro che sino ad allora era in circolazione, i miei pacchi di banconote, i miei depositi bancari, i miei titoli del debito pubblico, le mie cambiali denominate nella moneta messa fuori legge dall'invasore, da un giorno all'altro cessano di avere un valore e /o di esercitare una qualsiasi funzione. Diventano carta straccia, ed assumono come unico valore quello della carta straccia che potrei vendere ad una azienda di riciclaggio di cellulosa. Viceversa, il valore d'uso di un chilo di prosciutto non cambia, anche dopo l'invasione dell'esercito straniero, perché anche in quella condizione posso utilizzare il prosciutto per l'uso cui questo corrisponde, ovvero saziare la mia fame, e perché comunque il valore-lavoro insito nel chilo di prosciutto non cambia anche se il prezzo monetario che ne esprimeva fino a ieri il valore di scambio non ha più nessun significato, perché denominato in una moneta che non ha più corso legale, per cui posso sempre scambiare il mio prosciutto con un'altra merce, che abbia identico valore di lavoro sociale incorporato. Questa differenza dà la misura della particolarità della merce-denaro rispetto a qualsiasi altra merce.
Nel Capitale (inteso come l'opera di Marx) si segue con esattezza lo sviluppo storico della moneta, fino alla sua totale smaterializzazione, sotto forma di depositi bancari o postali e quindi di moneta bancaria generata dal fenomeno del credito bancario (naturalmente l'ulteriore smaterializzazione sotto forma di moneta elettronica non poteva essere prevista, perché ai tempi di Marx l'elettronica non era ancora stata inventata, ma poco importa, il fenomeno strutturale sottostante, ovvero la smaterializzazione della moneta, è stato esattamente previsto). Questa smaterializzazione della moneta, già in Marx, ci conferma quanto tale merce abbia un valore formale e convenzionale. Parlando del processo di generazione di moneta bancaria (ovvero di moneta generata dall'espansione del credito, tramite i noti meccanismi del moltiplicatore dei depositi) Marx dirà infatti che “la maggior parte di questo capitale monetario (quello generato dalle banche tramite il credito, nda) è puramente fittizio. Ad eccezione del fondo di riserva, tutti i depositi non sono altro che crediti sul banchiere, che però non si trovano mai in deposito...nel sistema creditizio...tutto si raddoppia e si triplica trasformandosi in pura chimera”.
Ora, la teoria marxiana della moneta e del credito bancario, come è stata esposta nel Capitale ma anche nella Critica dell'Economia Politica, ci fornisce la spiegazione più ovvia dei moventi strutturali dell'attuale recessione economica globale. Una spiegazione così semplice che può essere condensata in mezza pagina, facendo giustizia delle arzigogolate spiegazioni della crisi date dall'economia ufficiale, e del linguaggio da adepti con il quale si analizzano le tendenze dei mercati finanziari e borsistici. La finanziarizzazione dell'economia globale (che essenzialmente è un tentativo di invertire il declino del saggio di profitto, previsto anche questo da Marx) comporta una crescita della massa di moneta in circolazione nelle fasi di euforia, quando il valore delle attività finanziarie sui mercati cresce. Infatti, tali attività o sono anticipazioni del valore economico di attività produttive future, che si realizzeranno cioè, in forma monetaria, in una data futura precisa (come i futures sulle commodities), dando luogo anche al regolamento monetario fra le controparti del contratto “future”, oppure, come nel caso degli altri strumenti derivati, sono forme di copertura assicurativa da eventi imprevedibili (ad es. fluttuazioni dei tassi di cambio) che poi mutano, nei cosiddetti mercati “over the counter”, ovvero su mercati totalmente deregolamentati, in strumenti speculativi, il cui valore oscilla soltanto in ragione delle scommesse fatte da venditori ed acquirenti (che acquistano tali titoli non perché abbiano un valore d'uso, come per esempio acquisterebbero un chilo di prosciutto, ma soltanto nella speranza di rivenderli a qualcun altro ad un prezzo più alto, prima che tali titoli arrivino a scadenza). Oppure sono titoli rappresentativi di un debito, privato (cambiali o obbligazioni) o pubblico (titoli del debito pubblico, come in Italia i BOT, i BTP, i CCT, o negli USA i Treasury Bonds), ma tali titoli sono essi stessi moneta, perché possono essere girati, ad esempio per estinguere un'obbligazione, ed infatti vengono conteggiati, da parte della Banca centrale, nella misura totale della massa monetaria in circolazione, quella tecnicamente chiamata “M3”.
In ogni caso, in una fase di euforia dei mercati finanziari, quando i valori crescono, si genera moneta aggiuntiva, tramite l'espansione del credito bancario a supporto degli investimenti speculativi, o tramite l'emissione di titoli del debito che sono a tutti gli effetti moneta, perché ne esplicano le principali funzioni, o ancora, in alcuni casi, con la collaborazione delle banche centrali, che stampano moneta nazionale aggiuntiva per acquistare, a fini di riserva o speculativi, attività finanziarie, valute estere oppure oro. Questa moneta aggiuntiva serve per acquistare attività finanziarie i cui valori di scambio crescono in modo esponenziale, finendo per rappresentare un multiplo all'enesima potenza del valore reale dei beni fisici che stanno alla base di tali titoli e li garantiscono (siano essi commodities, come nel caso dei futures, oppure beni immobili, come nel caso dei derivati basati su una garanzia immobiliare). Oppure, questa moneta aggiuntiva serve per espandere in modo esponenziale il debito pubblico degli Stati che ne vendono quote crescenti ai detentori di tale moneta aggiuntiva.
Ad un certo punto, si diffonde fra gli operatori del mercato la sensazione evidente che i valori delle attività finanziarie siano troppo alti rispetto ai beni fisici sottostanti che in teoria ne rappresenterebbero la garanzia (e che essendo divenuti dei sottomultipli del valore delle attività finanziarie emesse a loro nome non garantiscono più nulla) e che i debiti privati e pubblici sottostanti la crescita dei titoli che li rappresentano siano diventati troppo elevati rispetto alla potenzialità del debitore di creare ricchezza sufficiente a ripagarli. Si genera quindi la paura di ritrovarsi fra le mani titoli che, quando arriveranno a scadenza, non varranno più niente, perché le garanzie reali o creditorie sottostanti sono insufficienti a fornire la certezza di rimborso, e si scatena l'ondata di vendite, che all'improvviso riporta i valori delle attività finanziarie verso il basso.
A quel punto il credito bancario si contrae, sia perché le banche, che detengono nei loro portafogli grandi quantità di titoli sottovalutati subiscono perdite patrimoniali, e per le regole internazionali stabilite dal regolamento di Basilea 2 (e che saranno rafforzate da Basilea 3) scatta per loro l'obbligo di ridurre la loro esposizione creditoria proporzionalmente alle perdite patrimoniali, sia perché l'enorme massa di moneta aggiuntiva creatasi durante la fase di euforia dei mercati è ora inutilizzabile, inservibile, poiché sui mercati finanziari, adesso, nessuno vuole più comprare, tutti vogliono solo vendere. Infine, i risparmiatori, spaventati dal crollo dei mercati finanziari, accorrono a frotte nelle loro banche per prelevare simultaneamente i loro risparmi, generando un tracollo del sistema dei pagamenti poiché, come già detto da Marx (e riportato poc'anzi) la moneta bancaria è “chimera”, e dunque l'espansione del credito non trova egual riscontro nell'ammontare dei depositi attualmente disponibili nelle casse delle banche. Pertanto, le stesse si trovano a fallire perché non riescono a restituire i depositi richiesti dalla clientela spaventata, oppure, quando non falliscono, perché interviene provvidenzialmente un prestito da parte della banca centrale, interrompono del tutto l'espansione del credito, onde evitare ulteriori crisi di liquidità.
Il blocco del credito genera una paralisi del processo di accumulazione di capitale, esattamente con i meccanismi descritti da Marx: impedisce il processo di trasformazione del capitale monetario in capitale produttivo, poiché, come ben ci spiega Marx, gli sfasamenti temporali nella fase di realizzazione sul mercato dei beni prodotti impediscono al capitalista di disporre immediatamente del capitale monetario necessario per riprodurre il capitale produttivo stesso, per cui la riproduzione e l'accumulazione dipendono in modo cruciale dal credito bancario, che anticipa il capitale monetario momentaneamente mancante. Inoltre, ed ancora qui ce lo spiega Marx, il blocco del credito influisce non solo sui capitalisti, ma anche sui consumatori. L'arresto del credito al consumo induce una caduta della domanda solvibile, quindi ad una eccedenza di capitale produttivo inutilizzato, che si manifesta inizialmente nei settori produttivi più sensibili al ciclo (edilizia, produzione di beni strumentali o di beni durevoli). La conseguente espansione della disoccupazione aggrava la caduta della domanda, che si generalizza in tutti i settori produttivi.
Il blocco dell'accumulazione genera il fallimento di imprese, che non riescono più a valorizzare il loro capitale, o che chiudono per crisi di liquidità indotte anche dal blocco del credito a breve termine (quello generalmente utilizzato per fare fronte ad esigenze di capitale circolante della gestione ordinaria e quotidiana dell'impresa) e si generano le spinte sia alla distruzione del capitale produttivo eccedente sia al rafforzamento della concentrazione oligopolistica sui mercati, che sono il normale modo con cui il capitalismo esce da una crisi di questo genere. Questi processi di ristrutturazione ovviamente provocano immani catastrofi sociali. Tutto previsto da Marx. C'è bisogno di una laurea per capire tutto questo? Evidentemente no. L'orsacchiotto marchigiano della mia oramai lontana gioventù è servito.

19 agosto 2011

dal sito  http://bentornatabandierarossa.blogspot.com/

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