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giovedì 23 luglio 2015

MILANO, ROMA, SICILIA: GIUNTE ALLO SBANDO. PERCHE'? di Aldo Giannuli





MILANO, ROMA, SICILIA:  
GIUNTE ALLO SBANDO. PERCHE'? 
di Aldo Giannuli



In una sola giornata sia Pisapia che Marino hanno perso, per ragioni diverse, il proprio vicesindaco, mentre le rispettive giunte sono assalite da venti di dissoluzione.

A Roma lo scandalo ha tagliato le gambe alla giunta che annaspa fra i marosi per restare in sella, ma tutto fa pensare che sia una lotta disperata. A Milano la giunta, che già presentava una pagella tutt’altro che brillante, è in piena liquefazione: dopo il ritiro dalla competizione di Pisapia è partito il “rompete le righe ed ognuno per sé”. Poi Pisapia, tanto per rendere più leggera la situazione, ci ha messo il carico da undici con il suo libro, nel quale sputa veleno su mezza giunta, colpevole, a suo dire, di quel che non ha funzionato. Un sindaco che parla male pubblicamente dei suoi assessori con i quali dovrebbe continuare a lavorare ancora per un anno? Mai vista una cosa del genere.

Ma è niente in confronto ai disastri della giunta siciliana che rischia su una incredibile telefonata fra Crocetta ed il suo medico che dice che la figlia di Borsellino, dovrebbe essere tolta di mezzo come suo padre, mentre lui non risponde. Ma a parte questa infelicissima storia ancora da chiarire, Crocetta pencolava sul ciglio del burrone già da molti mesi. Dopo un avvio più che promettente con l’ingresso in giunta di Battiato, Zicchichi e tutte le altre glorie isolane, tranne Santa Rosalia e la cassata siciliana, ha rapidamente imboccato la strada della dissoluzione: poche decisioni significative, asse con il M5s subito incrinato, cambio di ben 36 assessori, dissenso via via crescente con il Pd che aspettava l’occasione per dargli il benservito. Un disastro senza precedenti. Per ora si è messa una toppa, ma durerà?

Dei sindaci del 2011 nessuno (salvo Zedda a Cagliari) presenta risultati decenti, neppure De Magistris e di Doria non diciamo per decenza, così come della giunta Zingaretti in Lazio. Nel frattempo la sinistra è riuscita anche a perdere Venezia e la Liguria. Come ci spieghiamo un disastro di queste dimensioni?

Limitiamoci al fenomeno delle giunte “arancioni” del 2011, che vinsero di slancio sulla base dei “candidati sindaci “che vengono dalla società civile”. Famosi avvocati, medici, magistrati ecc., persone onestissime, non compromesse con la politica e la cui professionalità avrebbero garantito i migliori risultati. Non è andata così e non è andata così perché così non poteva andare. L’equivoco nasce dall’idea che la mancanza di un precedente impegno istituzionale sia un titolo di merito.
Anche se, in verità, Pisapia e Marino erano stati parlamentari e dirigenti di partito, non avevano avuto nessun incarico amministrativo ed il sindaco, oltre che un politico deve essere un amministratore e ad un livello piuttosto elevato. Che una persona diventi direttamente sindaco, senza nemmeno una precedente esperienza da consigliere comunale è un po’ come dire: “il signore ha insegnato musica al conservatorio ed è un grande musicista, non ha mai avuto incarichi gestionali ed è una persona onestissima: facciamolo presidente dell’Unicredit”. Nessuna persona sana di mente farebbe mai una proposta del genere, e lo stesso per enti come l’Eni o grandi complessi industriali come la Pirelli; sapete dirmi in nome di quale contorto ragionamento, la mancanza di esperienza precedente, in politica diventa un titolo di merito e non un punto debole?

Capisco che la classe politica ha dato il peggio di sé in questi anni, fra corruzione ed incompetenza, per cui c’è una certa ripulsa verso il professionismo politico; ma se finora hai avuto un medico cane che le ha sbagliate tutte, la soluzione non è quella di affidarsi ad un veterinario.

In secondo luogo, il metodo ultra personalistico che ha finito per imporsi dagli anni ottanta, ha distratto l’attenzione dall’aspetto programmatico e progettuale, per cui io voto tal dei tali perché mi piace come personaggio ma non perché vuole rifare le banchine del porto o rivedere il piano regolatore.

Il risultato è che i partiti tendono ad impostare la loro campagna più sulle caratteristiche personali del candidato (è telegenico? Piace alle donne? Ha un bel sorriso? Veste bene? Piace ai portuali?) che sulla proposta politica che spesso proprio non c’è e si naviga a vista. Vi sembra serio?

In terzo luogo, il sistema maggioritario, con le sue strettoie per cui quello che conta è prendere un voto più dell’avversario, spinge spesso l’elettore più a votare contro un candidato che a favore di un altro: io detesto A e voterei B che, però ha poche possibilità di farcela, per cui voto C, che mi convince molto meno, ma può farcela. Con il risultato di una selezione sempre più mediocre del ceto politico. E la scelta della squadra di governo segue queste dinamiche, per cui ad un sindaco mediocre corrisponde una giunta di mezze calzette ancora più mal messe.

Dunque, sarebbe il caso di farla finita con il mito del “sindaco che viene dalla società civile” che, in sostanza, significa il primo che passa in mezzo alla strada. Bisogna aggiungere che il governo delle città è diventato infernalmente più complicato. Se mi offrissero di fare il sindaco di Roma o Milano (tranquilli: nessuno lo fa) manderei scappando chi mi fa una simile proposta indecente. Oggi le città sono praticamente ingovernabili, per cui o il sindaco è Santa Rita da Cascia (santa degli “impossibili”) oppure deve avere un solidissimo supporto organizzativo, fatto di organizzazioni politiche presenti sul territorio, pronte a percepire la domanda dei cittadini ed organizzarla, a fiancheggiare l’azione di governo, con centri di ricerca che analizzino la realtà man mano che si modifica, con un centro politico a latere capace di interloquire con i centri finanziari ed i sindacati, con le associazioni imprenditoriali e le associazioni degli immigrati, con le organizzazioni di categoria dei commercianti e le associazioni culturali e i gruppi studenteschi, ottenendo la convergenza di ciascuno su singoli progetti. Insomma, ha bisogno di un partito serio costruito sulla base della militanza e non del carrierismo, qui abbiamo solo mediocrissimi comitati elettorali il cui principale obiettivo è quello di ottenere un qualche trattamento di favore per questo o quello o (desiderio supremo) magari un contratto di consulenza comunale per l’organizzatore del comitato. Questo poi determina la foresta di falsi consulenti –spesso lautamente pagati- che in realtà sono solo modestissimi galoppini elettorali. Chi pensa che la “società politica dei partiti” è albergata da carrieristi e tangentisti, mentre la “società civile” ospita solo disinteressatissimi angeli si disilluda: le associazioni non sono meglio dei partiti in niente e le professioni sono piene di trafficoni disonesti.

Ma qui i partiti si sono liquefatti e sono solo conglomerate di comitati d’affari, per cui il difetto è nel manico e non basta la faccia pulita di un buon candidato a sopperire al bisogno.

Nella tornata del 2011 erano già presenti in massimo grado le premesse del disastro: personalismo, campagna “contro” senza proposte positive, assenza di programmi, partiti melassa di affaristi, inesperienza della squadra di governo ecc. poi ciascuno (Doria, Pisapia, Marino, De Magistris) ci ha messo del suo per peggiorare le cose, in modo da essere sicuri che nemmeno per caso le cose potessero andar bene.

Qui non si tratta di cambiare uomini, ma cambiare metodo, prendere sul serio la politica che non è un gioco per principianti.


20 Luglio 2015

dal sito http://www.aldogiannuli.it/



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