Diari di Cineclub

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venerdì 1 marzo 2013

I GRILLI ALLA PROVA di Dino Erba, Lucio Garofalo, Michele Castaldo



I GRILLI ALLA PROVA
DI FRONTE A UN GOVERNISSIMO, COME CONCILIARE LA PIAZZA CON IL PARLAMENTO?
di Dino Erba


Solo i coglioni si stupiscono per il successo del Movimento 5 Stelle. Come in altri tempi, si stupirono per il successo della Lega. Lasciamoli al loro stupore. Chi ha un minimo di sensibilità politica o meglio di contatto con la realtà del Bel Paese non si stupisce. Cerca di capire.

Lo ha fatto Lucio Garofalo su «Operai Contro» (Radiografia del grillismo, per me politically correct, che riporto sotto); lo fa Wu Ming, con una severità per me scontata (il marxismo libertario) , cui fa da contraltare il provocatorio «ottimismo» di Michele Castaldo (Grillismo: un sommovimento anticapitalista, che riporto sotto), mentre mi lasciano perplesso le problematiche ipotesi di Cosimo Scarinzi (http://www.facebook.com/notes/cosimo/-scarinzi/scouting10151337547328123), certamente rispettabili, in confronto ai demenziali entusiasmi di Bifo (http://th-rough.eu/writers/bifo-ita/la-sconfitta-dell%E2%80%99anti-europa-comincia-italia/).

Ciò premesso, ritengo che le valutazioni finora lette, anche quando sono genericamente condivisibili, sfiorino la questione, senza entrare nel merito. Populismo e giustizialismo sono giudizi di valore che, sul piano sociale, non spiegano un bel niente. Anzi, le abbiamo viste le belle cantonate di Bersani e del brillante staff di politologi della «Repubblica». A questo proposito, val la pena di leggere: Per farla finita con la sinistra giudiziaria (http://insorgenze.wordpress.com/2013/02/20/per-farla-finita-con-lideologia-giustizialista-1continua/).
Da quando si è levato il vento della crisi, profondi mutamenti hanno investito la società italiana, accentuati dalle docce scozzesi del governo tecnico. I mutamenti sociali si sono ripercossi negli altrettanto ampi mutamenti che hanno investito comportamenti elettorali, coinvolgendo quasi la metà degli elettori (il 46%*), pari a 21.591.036, di cui 12.901.867 (27,50%) hanno scelto l’astensione o la scheda bianca e 8.689.169 (18.50%) hanno votato il Movimento 5 Stelle.

Le due coalizioni tradizionali, Pd-Sel e Pdl-Lega, più i rincalzi Montiani, hanno visto crollare la loro base sociale, complessivamente hanno totalizzato 23.552.333 voti (19.960.712+3.591.621), che rappresentano la metà degli elettori, il 50,2%. Gambe corte hanno avuto i moralisti dell’ultima ora (Ingroia-Di Pietro-Giannino) con 1.146.085 voti (765.112+380.973) pari al 2,3%.

Le attuali elezioni hanno espresso il diffuso malcontento verso la vecchia casta politica e contro le stangate che, in misura e intensità diverse, si sono abbattute sulla stragrande maggioranza della popolazione italiana, grazie al governo Monti e grazie ai partiti che gli hanno retto la coda.

Lo scenario politico che ne discende è assai confuso e fluido. Nei movimenti di protesta, le istanze proletarie si intrecciano con il nazionalismo piccolo borghese, portavoce di comprensibili ma estemporanei sentimenti anti europei, di matrice autarchica. Che sono pur sempre focolai di razzismo verso i lavoratori extra comunitari.

Astensione a parte, i milioni di voti che si sono svincolati dalle precedenti scelte politiche riguardano soprattutto il ceto medio. L’ho detto e ridetto, e non mi stanco di ripeterlo, che l’Italia è stata il paradiso dei ceti medi, per quantità e qualità. Ora sta diventando il purgatorio, nel vero senso della parola, dove le certezze di un tempo stanno svanendo. O sono già svanite. Il futuro si profila incerto, mentre, per molti, diventa certa, fin da ora, la condizione proletaria.

Esangui sono le tradizionali àncore di salvezza, offerte dal voto di scambio – con «il subappalto ai partiti di ampia parte del welfare», come dice Scarinzi –, cui corrisponde il rattrappirsi delle clientele, siano esse le cooperative rosse e bianche o la Compagnia delle Opere.

Di pari passo i tradizionali referenti politici hanno svelato una spiccata propensione all’affarismo, con modalità spesso troppo disinvolte (per es. la politica sanitaria della Regione Lombardia) e giudicate con preoccupazione dai loro elettori. Motivo per cui tra i ceti medi l’insofferenza cresce e sempre di più sono coloro che non intendono affidare le loro sorti a chi è fuggito con la cassa e, domani, non esiterà ad allungar nuovamente la mano nelle altrui tasche.

Il ceto medio italiano è una galassia sociale assai composita, per di più oggi è sconvolta dal vento della crisi, da cui discendono comportamenti eterogenei e contrastanti (vedi Voto utile? Ma per chi?).

Il Movimento 5 Stelle ha esercitato una forte attrazione per una parte preponderante del ceto medio, dallo studente al piccolo imprenditore, ma anche per molti proletari. Questa eterogeneità rende assai problematica la sua prossima azione politica. C’è già in discussione l’ipotesi di appoggio a un eventuale governo Bersani …

Sul banco di prova ci sono tre questioni essenziali (ammesso e non concesso che ci siano deroghe ai parametri Ue):

1) gestione della spesa pubblica, in cui si deve conciliare il welfare con il sostegno alle imprese;

2) politica fiscale, con lo storico scontro sociale tra imposte dirette, sostanzialmente sul reddito (Irpef) e imposte indirette, sostanzialmente sui consumi (Iva);

3) politica creditizia: abbassare lo spread per i mutui immobiliari delle famiglie o per i crediti alle imprese?

Non ci vuole un gran cervello per capire che è su questi tre punti che in Parlamento si consumerà lo scontro tra le classi. I soldi dati alle imprese saranno inevitabilmente i soldi tolti dalle tasche dei proletari, che viste le condizioni in cui versano, non avranno tanta voglia di farsi spremere ancora. È una patata bollente che pesa sulle spalle del Movimento 5 Stelle, oggi con un piede in Parlamento e un piede nella Piazza. I nodi vengono al pettine, mettendo in crisi il ruolo di mediazione precedentemente svolto dal Movimento 5 Stelle. Come dice giustamente Wu Ming, il Movimento 5 Stelle ha impedito che in Italia sorgessero momenti, seppur embrionali, di democrazia diretta e quindi di autorganizzazione, come invece è avvenuto al Cairo con piazza Tahrir, a Madrid con Puerta de Sol, ad Atene con piazza Syntagma, negli Usa con il movimento Occupy … con il contorno di espropri e autogestioni di fabbriche e aziende.

Non credo che tale ambiguo ruolo possa continuare. E non credo neppure che il Movimento 5 Stelle possa avere un’evoluzione di tipo fascista, come sostengono molti critici-critici del populismo e dell’antipolitica, perchè ai grillini manca un punto di aggregazione forte, presupposto del fascismo. Attualmente, in Italia, l’unico punto di aggregazione forte è rappresentato dal Montismo, le cui gambe sociali si sono però (fortunatamente) dimostrate assai fragili, dal momento che deve in primis conciliare gli interessi del capitale finanziario (Profumo) con quelli del capitale industriale (Squinzi) e, in questa prospettiva, deve riplasmare tutto il mondo del lavoro, colpendo non solo gli operai, ma strati che ieri erano considerati privilegiati (tecnici, impiegati, insegnanti ecc.), nonché piccoli imprenditori e liberi professionisti. Operazione sempre più delicata, su cui incombono le nubi di un prossimo crash, che non esclude la costituzione di un governo d’emergenza, ovvero un direttorio più o meno tecnico, con sospensione anche formale delle garanzie costituzionali. Mercati & servizi stanno preparando il terreno…

In questi frangenti, la futura evoluzione politica del Movimento 5 Stelle è tutta da giocarsi, e dipende anche dall’intervento politico proletario, gli spazi ci sono, come dice giustamente (e ottimisticamente) Michele Castaldo.

Dino Erba, Milano, 28 febbraio 2013

* Le percentuali sono calcolate (con piccole approssimazioni) sull’intero corpo degli aventi diritto al voto alla Camera (46.906.341). La differenza di 1,5% (circa 700mila voti) è da attribuire alle numerose liste (28?), ciascuna delle quali ha ottenuto poche migliaia di voti: dai 98mila del Pcl ai 556 di Democrazia Atea.





RADIOGRAFIA DEL GRILLISMO
di Lucio Garofalo

Rispetto alla natura ideologica e alla composizione sociale, economica e geografica del movimento grillino, recentemente ho letto (ma ora non ricordo esattamente la fonte giornalistica) alcune cifre che ritengo siano verosimili. Espongo in rapida sintesi tali dati.

Anzitutto, il grillismo è un movimento in grado di intercettare oltre il 65 % del voto giovanile ed oltre (se non erro) il 70 % del voto di protesta e di rabbia, mentre il restante 30 % dovrebbe distribuirsi altrove, oppure esprimersi attraverso il non voto. Inoltre, chi vota per Grillo è un elettorato in gran parte composto da gente delusa dai partiti tradizionali, sia di centro-sinistra (ivi inclusa la sedicente “sinistra radicale” e persino ampi settori della cosiddetta “sinistra antagonista”) che di centro-destra, quindi è un voto ideologicamente trasversale, anzi, è un voto confusionario, contraddittorio e disfattista, una volta si sarebbe detto qualunquista, ma che attraversa le varie posizioni ideologiche che erano in qualche misura ascrivibili ai vecchi schieramenti elettorali.

Il voto per il movimento di Grillo è altresì un voto “interclassista”, non tanto nel senso dell’inter-classismo tipico della vecchia “balena bianca”, vale a dire la Democrazia cristiana, una forza conservatrice che riusciva a catturare e manipolare il consenso di fasce sociali stratificate in termini classisti, per gestire e perpetuare il potere (un sistema di potere che si configurò per quasi 50 anni come un vero e proprio “regime politico”) elargendo in modo verticistico, borbonico e paternalistico una serie di favori assistenziali, prebende, privilegi, concessioni e benefici vari ad una rete clientelistica molto articolata e radicata sul territorio nazionale, bensì in quanto soggetto organizzato in un senso orizzontale, espressione di una rabbia popolare diffusa, prodotta senza dubbio dalla crisi che investe l’economia capitalista e il sistema partitocratico borghese.

Infine, sotto il profilo geografico, il grillismo è un movimento diverso, ad esempio, rispetto alla Lega Nord delle origini, il cui contesto territoriale era assai ridotto, in quanto il voto grillista si estende da Nord a Sud in modo (ancora una volta) trasversale.

Senza dubbio, la matrice populista incarnata dal grillismo è il comune denominatore che lo accomuna e lo rende accostabile ad altre esperienze storiche precedenti. Si tratta di un populismo che si attesta a metà strada tra neoleghismo e girotondismo, che presenta contenuti e rivendicazioni politiche parzialmente giuste e condivisibili, ma anche forti istanze giustizialiste e reazionarie, al limite dello squadrismo, tipiche dei movimenti di rabbia, protesta e rigetto antipartitocratico ed antidemocratico che si connotano in termini vagamente e confusamente “anti-sistema” (si pensi al fascismo delle origini) e che, guarda caso, scaturiscono ed esplodono proprio in periodi storici di transizione segnati da una profonda crisi economica, sociale, politica come quella che stiamo vivendo e per certi versi ricorda la crisi del 1929, che fu una delle cause storiche da cui trasse origine e linfa vitale il nazionalsocialismo di Hitler che salì al potere in Germania.

Lucio Garofalo, «OperaiContro», n. 252, 26 febbraio 2013.




GRILLISMO: UN SOMMOVIMENTO ANTICAPITALISTA
di Michele Castaldo



“I mercati sono spaventati!”, “gli investitori sono allarmati”, “i rischi di ingovernabilità sono una minaccia per la stabilità in tutta Europa” , “le borse vanno giù! ”, sono i titoloni che vanno per la maggiore, su tutti i mezzi di informazione, in queste ore immediatamente successive alle elezioni politiche del 24/25 febbraio 2013.
Calma signori, il bello è da venire .

Innanzitutto chi sono i ‘mercati’ e gli ‘investitori’? Sono quei pescecane famelici che si nascondono dietro sigle apparentemente neutre, di un meccanismo infame che drena dalle classi povere e dai paesi impoveriti, per accrescere la speculazione, ridare “fiato” alle banche, nel tentativo che tornino a finanziare l’accumulazione del Capitale, per quella tanto agognata quanto ipotetica ripresa produttiva. In tutto questo, lo stato gioca la parte del grigio ragioniere, che ha da mettere i conti in regola per aiutare questo meccanismo, a costo di camminare sui cadaveri. Un personaggio alla Monti, esprimeva – e vorrebbe continuare a esprimere - molto bene questo ruolo. Ma la storia non è fatta solo di desideri, o di grigiore, essa si sviluppa per vie imprevedibili.
Succede così che balza all’improvviso – i più grandi traumi sociali avvengono improvvisamente – un sommovimento dal “nulla” e diviene il primo partito politico italiano.
Il caro Carletto da Treviri avrebbe detto, …scava vecchia talpa. Ed eccoci di fronte ad uno scenario nuovo. Il grido di dolore di lor signori è “ma è una situazione ingovernabile!”. E meno male! Era ora! Dunque una novità. Si tratta di un sommovimento che va analizzato per le cause che l’hanno generato più che per il programma che esprime.

Da un’analisi sommaria ed abbastanza condivisa, ne viene fuori innanzitutto che si tratta di un movimento giovane, prevalentemente acculturato, di settori dalla piccola borghesia in giù, con aggregati di operai disillusi della sinistra e ceto medio disilluso dalla destra e dal leghismo. Insomma, dopo l’abbuffata degli anni ottanta e novanta, la crisi presenta il conto a neoliberismo. E si tratta di un conto abbastanza salato, visto che a ribellarsi non sono solo le ignoranti “plebi”, ma le nuove generazioni alle quali erano stati promessi mari e monti con la globalizzazione. Partiamo innanzitutto dal presupposto che ogni nuovo movimento sociale, è necessariamente confuso, ambiguo, disordinato, sconclusionato e cosi via. E se mi è consentita una brevissima parentesi, dico che ha fatto benissimo Beppe Grillo a tenere coeso il movimento per distinguerlo da tutto il resto, centralizzandolo al massimo su una sola parola d’ordine: “via tutti, via tutta la paccottiglia partitistica che ci ha portati a questo sfacelo”, insomma una premessa a ogni altro tipo di ragionamento. Antidemocratico Grillo e Casaleggio? Beh, detto da lor signori è veramente fuori luogo, in modo particolare da quella casta di giornalisti radiotelevisivi e della carta stampata sempre più venduta e ruffiana, tanto a destra quanto a “sinistra”.

Poteva essere intercettato dalla sinistra storica questo tipo di movimento?
I fatti dicono di no, per una ragione molto semplice, perché ogni movimento non è mai la continuazione meccanica di quello precedente. Un Bersani, unitamente a tutto l’apparato di partito, del sindacato, delle cooperative, delle banche, delle assicurazioni, è il frutto marcio del vecchio ciclo del capitalismo, che facendo leva sul silenzio assenso della classe operaia ha costruito un potere che man mano si è separato dagli interessi di classe dei lavoratori. Tutte le altre molecole che si richiamano a quel filone storico – Rifondazione comunista, Pdci, Sel, Ingroia, De Magistris ecc. - hanno seguito a ruota, con qualche spicciolo di differenza, ma pur sempre legati a doppio filo con il sottobosco istituzionale, governativo, sindacale, cooperativistico, municipalizzato ecc. ecc.

Dunque il grillismo, è un movimento nuovo, che esprime nuovi contenuti, e necessariamente nuovi dirigenti. E’ il materialismo dialettico che si esplicita.

Quale la vera natura di classe di questo nuovo movimento? A mio avviso sarebbe sbagliato paragonarlo – come pure certuni fanno – all’Uomo Qualunque, tanto per fare un esempio, non fosse altro perché i contesti sono completamente differenti, allora c’era la prospettiva della ricostruzione post bellica, un rilancio dell’accumulazione capitalista e fiumi di dollari provenienti dagli Usa. Oggi siamo in presenza di una crisi dagli esiti imprevedibili. Ora, la natura di classe, non può essere vista da quel che le persone erano, ma da quel che sono diventate e a cosa aspirano. Se è vero che il 61,6 di quelli che hanno votato per il Movimento cinque stelle è motivato soprattutto tra i più giovani, dalla speranza che possa offrire una soluzione della crisi che attraversa il paese, vuol dire che siamo in presenza di un malcontento generazionale privo di prospettiva, al quale non si possono raccontare favole. Insomma il Sistema ha generato dal suo seno i fattori della sua stessa crisi. In questo senso il sommovimento grillista è anticapitalista, ovvero le ragioni che lo hanno prodotto, non possono trovare soluzione all’interno degli stessi equilibri di forza nel Sistema che lo ha generato, e che non è dato solo dall’aspetto effettuale, quali i partiti politici degli ultimi 30 anni, ma tutti quei rapporti economici che quei partiti hanno espresso.

Ora, la casta partitocratica contro cui giustamente il grillismo si è espresso, è il costo sproporzionato della democrazia di un paese imperialista, a cui le nuove generazioni spinte dalla crisi non sono più disposte a sostenere. Che si proponga di rinunciare ai finanziamenti pubblici e di usare il 75% dei propri compensi per un fondo comune da destinare al microcredito, è certamente una proposta programmatica di rottura rispetto allo squallore affaristico precedente. Con garbo e rispetto per quanti hanno votato per il Movimento Cinque Stelle, ritengo che si tratta di un pannicello caldo contro una brutta broncopolmonite. E’ giusto però che una nuova generazione impoverita e priva di prospettive all’interno di questo quadro economico e politico, si cimenti con delle proposte e bruci, se del caso, l’illusione alimentata.

C’è un tema molto caldo, rispetto al quale un certo mondo “marxista” storce la bocca, ed è quello della voglia di partecipazione. Si tratta di una più che legittima aspirazione, il voler contare per decidere sulle sorti comuni, di come si spendono per esempio i soldi “pubblici”, del perché costruire dei mostri faraonici come il Tav o il Ponte sullo stretto di Messina; si vuole discutere sui rifiuti e sulla Sanità; sulle questioni ambientali e dunque sull’Ilva e l’acqua pubblica. In maniera confusa e poco articolata, se si vuole, ma si chiede di essere in prima persona interpellati a discutere e decidere. E’ la democrazia di una parte degli oppressi, in un moderno paese imperialista che si esprime per come può.
A questa domanda di partecipazione democratica, il Sistema del Capitale, risponde con i ‘vincoli’ del mercato e fino ad oggi, per sostenerli, ha comprato la partitocrazia per porla al suo servizio. Il Movimento grillista, è un sommovimento che parte col contrastare l’aspetto effettuale – la partitocrazia – e dovrà arrivare a scontrarsi con l’aspetto causale, che sono le leggi del Sistema del Capitale, con tutto quello che ciò comporta. Ma sono i limiti di un movimento che è nella sua fase iniziale, e, se si vuole, è anche più in avanti di quanti – di “sinistra” – si proponevano sugli stessi temi ma arrancavano e si sono arenati di fronte alle grandi difficoltà che l’intero Sistema opponeva. In questo senso, le responsabilità vanno sempre addossate in primisis al corruttore, e molto in secondis al corrotto.
Certo, c’è una fascia consistente di piccoli imprenditori che hanno votato per il M5S, perché affocati dalla crisi e privi di prospettiva, disillusi dalla Lega, ai quali è molto difficile dire loro che non c’è nessuna possibilità di un ritorno al passato, ad uno status quo ante. Ma da sempre la sinistra storica ha ritenuto di doversi occupare della piccola imprenditoria; un conto era dirlo negli anni sessanta, settanta o ottanta, ben altra cosa è dirlo oggi. E’ una risposta possibile e credibile quella del microcredito? è da ritenersi di no, ma non è la stessa risposta che dava la Lega ai suoi albori. E’ un passaggio, se si vuole un’illusione, che questi settori dovranno attraversare prima di sbattere con la testa nel muro e orientarsi diversamente, ma non si può anteporre il carro ai buoi. Ci sono nella storia della lotta delle classi passaggi obbligati, che non si possono in alcun modo by passare.

Il M5S è stato votato anche da molti operai disillusi tanto dalla sinistra che dai sindacati confederali, compresa e affatto esclusa la Cgil. Si tratta di un grido di allarme per essere stati lasciati soli contro la crisi. Si tratta anche in questo caso di una illusione, quella di ritenere che ‘qualcun altro’ ci risolva il problema. Si tratta di un vero e proprio dramma per lavoratori che erano stati abituati a vedere nel partito e nel sindacato il deus ex macchina, ovvero degli organi di rappresentanza politica e sindacale che “potevano” risolvere le questioni. In un risveglio generale, al momento fatto soltanto di opinioni e di pensiero, ma non ancora di mobilitazioni vere e proprie, si sono sentiti attratti e hanno votato.
Un altro settore certamente che ha voltato le spalle alla partitocrazia – a prevalenza di centrosinistra – sono i tanti dipendenti della Pubblica Amministrazione che avvertono il vento del liberismo e si sentono minacciati, hanno voluto in questo modo esprimere un voto di protesta, ritenendo il M5S capace di opporsi alle privatizzazioni nei proprio settori di appartenenza. Anche in questo caso, siamo in presenza di un tentativo illusorio, ovvero di fornire il minimo sforzo – il voto - per ottenere il massimo dei risultati, di sottrarsi cioè con la lotta alla tagliola delle privatizzazioni e dei licenziamenti. Tanto dagli operai disillusi che da settori del Pubblico Impiego, arriva la critica di burocratismo dei vertici sindacali di cui si fa interprete Beppe Grillo. Infine esistono i cosiddetti cittadini, ovvero persone comuni, che trasversalmente, per un sentire comune di impoverimento, si orientano verso una nuova ventata.

Dunque un movimento certamente composito, di opinione e di pensiero, al primo, primissimo scalino, quello del minimo sforzo, che contiene in sé esigenze e necessità vere, di natura interclassista, intese alla vecchia maniera, cioè della netta distinzione di borghesia, media borghesia, piccola borghesia, proletariato, semiproletariato, sottoproletariato, alle quali il Sistema del Capitale a questo stadio dell’accumulazione non può fornire le risposte che esso chiede. Da questo punto di vista si tratta di un movimento anticapitalista destinato a implodere, arrivare alle leggi di funzionamento e strada facendo selezionare programmaticamente gli obiettivi a seconda dei nuovi rapporti di forza che si saranno determinati. Pertanto, inviterei i compagni, quelli che si rifanno in un modo o in un altro al marxismo, a non snobbare supponentemente quanto sta accadendo in questo periodo e in modo particolare a non guardare come i fessi il dito, che invece …indica la luna.

La mia tesi ‘oggettivamente anticapitalista’ è la sintesi del derivato delle cause che hanno generato la crisi generale di cui il grillismo è un piccolo e locale segnale, se non vogliamo essere provinciali. Non serve insistere nel leggere ‘il programma’ di Calaleggio-Grillo per comprendere la tendenza alla decomposizione, ma soffermarsi innanzitutto sulle cause che stanno generando questo movimento non ancora movimento. Dunque una consequenzialità teorica, politica e ….visivamente pratica, nel senso che o il Capitalismo implode come Sistema sociale – e sta implodendo – oppure ci sarà una ripresa – nella quale non ci credono nemmeno i capitalisti – ed allora ci si ritrova ….in qualche bar a bere del whisky e chiacchierare. Per essere più esplicito, non possiamo stare su di un terreno che vede le classi esprimere un modo di produzione, piuttosto che vedere il modo di produzione che esprime le classi, componendole per poi scomporle. Va in crisi il modo di produzione, si decompongono le classi che quel modo di produzione aveva espresso. Insomma, le classi sono la conseguenza e non la causa del modo di produzione del Capitale. Detto altrimenti, il Capitalismo ad un certo stadio, genera l’anticapitalismo. Per questo bisogna sapere pensare "in grande", confrontandosi a fondo e a 360°, senza coazione a ripetere, con una situazione che si preannuncia quanto mai nuova e in movimento.

Michele Castaldo



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