Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

venerdì 21 gennaio 2011


              SCONFITTA O VITTORIA

       AL REFERENDUM DI MIRAFIORI?


                 di Lorenzo Mortara e Andrea Furlan

Lo ammettiamo, nella maratona notturna di sabato scorso, per un attimo abbiamo pure sperato nel colpaccio. Dopo, come tutti, invece, abbiamo valutato positivamente la prova dei lavoratori. Ma il coro di elogi alla Fiom provenienti da più parti nei giorni successivi, ci ha subito infastidito e reso sospettosi.
La Fiom, sindacalismo di base a parte, è la prima categoria della Cgil che si sta pian piano rialzando dalla deriva concertativa degli accordi del Luglio 1993. Sarebbe sciocco non appoggiarla solo perché ancora non è la Fiom che ci vorrebbe. D’altra parte, temiamo che il coro di elogi non serva ad altro che a fare in modo che l’opposizione della Fiom non vada più in là della presa di posizione contro deroghe e smantellamento del Contratto Nazionale. Ne abbiamo avuto piena conferma sfogliando i quotidiani della cosiddetta borghesia “illuminata” da La Repubblica fino ad arrivare a Micromega all’interno dei quali si è tentato fino all’ultimo di nascondere ciò che anche i ciechi vedono, è cioè la totale complicità d’intenti tra il piano elaborato da Marchionne, Fiat e Confindustria. Se a questo si aggiungono le patetiche prese di posizione di intellettuali più o meno liberal sugli stessi giornali, il quadro assume contorni ancora più penosi. Le colf di De Benedetti si sono date da fare con petizioni, appelli alle istituzioni, prese di posizione, dichiarazioni di principio e altre innocue sortite. Quanto a chiamare i lavoratori a lottare fino alla vittoria se ne sono guardate bene. De Benedetti, dopo aver brindato con Marchionne, manderà in piazza il 28 la loro inanità parolaia. Lo sciopero del 28 è il top del loro coraggio, l’orizzonte oltre il quale la loro immaginazione ha l’ordine tassativo di non andare. La piazza si riempirà del loro trionfo, per allontanare il più possibile quello degli operai. Senza la vittoria degli operai, infatti, altre migliaia di petizioni ci aspettano su questi giornali quando il Contratto Nazionale sarà smantellato in tutto il Paese e non solo alla Fiat.
Che la Fiat faccia solo da apripista è chiaro come il sole. È la stessa presidentessa di Confidustria, Emma Marcegaglia, a confermarlo. Uscita allo scoperto ha sostenuto che le società costruite da Marchionne, sganciatesi da Confindustria con gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, rientreranno al più presto all’ovile non appena sarà pronto l’accordo ad hoc sul reparto auto che, con il pieno assenso dei sindacati gialli, legittimerà per l’intero comparto auto la fine del CCNL e dello Statuto dei lavoratori. Di lì, il passo successivo sarà l’estensione a tutto il mondo degli schiavi salariati dell’accordo Fiat.
La Fiom, schierandosi apertamente – e questo è l’aspetto più importante del referendum – ha costretto a schierarsi anche tutti i principali partiti dell’arco costituzionale. Se fosse stato un operaio, ha dichiarato candidamente l’ex stalinista Fassino, avrebbe votato per il Sì. Tuttavia Fassino, ammesso sia mai stato qualcosa oltreché un burocrate, non è mai stato un operaio, e oggi è solo uno dei più importanti rappresentanti dei padroni. Ecco perché avrebbe votato Sì. Ai servi non è dato di opporsi, ma solo di ubbidire. Se è rimasta solo Torino, forse, a filarsi ancora Fassino, tanti operai, prima del referendum, avevano ancora molte illusioni riposte nel suo partito. Dopo il referendum ne avranno speriamo un po’ meno. Era già chiaro a chiunque avesse voluto aprire gli occhi, ma mai come in questo referendum l’anima del PD s’è mostrata per quello che realmente è: l’animaccia nera del padronato. Il Pd è il principale partito padronale del Paese, e chi tenta da sinistra la scalata verso la leadership all’interno della sua coalizione di riferimento, lo fa solo per dare copertura a sinistra al futuro premier che varerà altre sinistre controriforme ai danni dei lavoratori.
Che qualche gregario come Cofferati si sia schierato con la Fiom non deve trarre in inganno. Il PD in crisi, è attraversato da forze centrifughe, molti stanno cominciando a guardarsi intorno e a preparare l’eventuale salto della quaglia. L’appoggio alla Fiom garantisce la pubblicità necessaria ai quadri minori per ritoglierglielo non appena l’avranno sfruttato per inserirsi ai piani più alti della casta burocratica.
Escluse le pedine secondarie, però, tutto il gotha del PD, da D’Alema a Veltroni passando per Ichino, s’è schierato fin da subito con Fiat e Confindustria facendo pressioni enormi sulla CGIL di Susanna Camusso affinché la nuova segretaria del primo sindacato italiano, che non ha mai nascosto di essere contraria alla politica conflittuale della Fiom, usasse tutto il suo potere per piegare la Fiom e indurla a firmare anche solo tecnicamente l’accordo. Cosa sia questa “firma tecnica” che dovrebbe garantire almeno la rappresentanza Fiom in Fiat non è dato saperlo con precisione. Dev’essere l’ennesimo trucco burocratico per poter dire, più o meno come nel 1980, ai tempi perduti nella lotta dei 35 giorni, di aver vinto anche nella sconfitta. In effetti, la firma tecnica non garantisce affatto la presenza della Fiom alla Fiat, come pretende l’ingenuità opportunistica della Camusso, ma l’esatto contrario. La firma tecnica lascia l’etichetta Fiom in mano alla Fiat, tagliando tutto il resto del sindacato. Senza la firma tecnica sparirà forse l’etichetta rossa dalle fabbriche di Marchionne, ma il corpo vivo del sindacato resterà presente. La Camusso, come Cisl e Uil, confonde il sindacato con una sigla. Firmando, la Fiom sparirà dalla Fiat così come sono già sparite Cisl e Uil, sostituite dagli enti bilaterali che verseranno ai vertici burocratici un lauto compenso per la loro perdita. Senza la firma, invece, in Fiat ci sarà un solo sindacato: la Fiom (oltre ovviamente ai sindacati di base). La sua presenza più o meno sommersa, non dipenderà dai tecnicismi autografati, ma dalla validità della lotta che andrà a sostenere. Prima farà arretrare la Fiat, prima emergerà dal sommerso facendo firmare la resa a Marchionne. Senza l’arretramento di Marchionne, la Fiom può firmare quello che vuole, ma nessun autografo la salverà dall’affondare insieme con tutti i lavoratori.
Esaminando il referendum, tenuto conto dell’affluenza e delle schede bianche o nulle, a Mirafiori il Sì a Marchionne non è andato più in là del 50,25%. Tolta la casta impiegatizia che Marchionne può spremere per tutti i referendum del mondo, ma nemmeno per un atomo di profitto, il consenso supera appena il 42%. Marchionne, dunque, è molto lontano dal 51% dei consensi da lui ritenuti necessari per far passare gli accordi. E tuttavia Marchionne ha vinto e la Fiom ha perso. Ai padroni, infatti, basta una vittoria formale per avere la scusa di andare avanti, ai lavoratori invece la sconfitta morale di Marchionne non è nemmeno sufficiente per non andare indietro. Fino a che la Fiom non farà arretrare Marchionne, parlare di vittoria servirà solo a rendere più amara la sconfitta il giorno in cui l’Amministratore Delegato applicherà il nuovo contratto. Il No degli operai non è una vittoria della Fiom, ma la base potenziale ed enorme per ottenerla. Da qui a sfruttarla però ancora ce ne corre. Molti sono ancora i rischi che anche questa opportunità andrà sprecata. L’attacco ai lavoratori è senza precedenti e la risposta della Fiom purtroppo, per ora, di precedenti ne ha fin troppi. Lo sciopero del 28 Gennaio assomiglia troppo agli inutili scioperi testimoniali della Cgil. Come aggravante c’è che arriva dopo il referendum. Non era meglio forse farlo prima o addirittura il giorno stesso bloccandolo ai cancelli sul nascere? Ma soprattutto che farà la Fiom dopo il 28?
Sull’onda eroica della resistenza a Mirafiori, il 28 non abbiamo molti dubbi che sarà un successo, è dopo che cominceranno i problemi. Senza un obbiettivo preciso da perseguire fino alla vittoria, il 28 rischia di sfiancare come al solito i lavoratori per nulla. E l’obbiettivo da raggiungere è senza dubbio il ribaltamento degli accordi di Pomigliano e Mirafiori. Qualche dirigente della Fiom mette già le mani avanti dicendo che il 28 sarà il prologo di una battaglia lunga e difficile che ci attende. Nessun dubbio che non si possa vincere in tempi rapidi. Il punto però è un altro: il 28 li allunga o li accorcia questi tempi? Il 28 li allunga e il compito della Fiom è invece accorciarli il più possibile. Ciò non significa che lo sciopero sia sbagliato o che non si debba fare. È il modo che va corretto, ma una nuova impostazione di lotta passa comunque per il 28. Camusso e la destra della Cgil, infatti, non aspettano altro che il 28 la piazza vada deserta. Un fiasco il 28 e per la Camusso sarà un giochetto da nulla pretendere la resa incondizionata della Fiom.
Proprio l’epica resistenza dimostrata dai lavoratori di Mirafiori, oltre a spiazzare Marchionne e i sindacati gialli straconvinti di un successo plebiscitario, ha anche scombussolato i piani della Camusso in Cgil, la quale stava da tempo accarezzando l’idea di un rientro in un rapporto di collaborazione sindacale con Cisl e Uil che passasse per una sonora sconfitta della Fiom al referendum. L’idea di un nuovo modello di concertazione con Cisl e Uil che veda protagonista al tavolo della trattativa con Governo e Confindustria anche la burocrazia della Cgil, è di fatto l’obbiettivo dichiarato dalla maggioranza della Cgil. La tenuta della Fiom ha ottenuto almeno per ora di ritardare un po’ i suoi progetti.
A tal proposito, però, a riportare la Camusso con i piedi per terra, ci hanno pensato anche Cisl e Uil, bocciando la proposta elaborata dalla Cgil sulle regole per la rappresentanza sindacale. In effetti, è un controsenso proporre regole sulla rappresentanza sindacale a chi da tempo non può accettare altro che varianti eccezionali per la rappresentanza padronale...
Seppur la Cgil sia ampiamente disposta ad accettare un ritorno alla concertazione che si fondi sull’affermazione di una mediazione con il progetto padronale di Marchionne sulle “nuove relazioni sindacali”, i padroni, Cisl e Uil hanno subito chiarito che non solo non sono disposti a rivedere il piano Marchionne nonostante la valanga di no al loro modello di produzione ricevuto dai lavoratori, ma hanno fatto anche sapere alla Cgil che non ci sono più spazi di mediazione per possibili soluzioni di compromesso. O la Cgil accetta che i diritti dei lavoratori non debbano più esistere sposando completamente la linea Marchionne, oppure è fuori dal tavolo della trattativa tra padroni, Governo e sindacati di comodo.
Nel contesto dato dell’attuale crisi da cui il capitale non sa come uscire, non ci sono terze vie per i padroni, ma neanche per noi. Ecco perché il sostegno alla Fiom è d’obbligo. E a fronte di tutto questo, c’è l’assoluto bisogno di accumulare il maggior numero di forze contrarie presenti nella nostra società disposte a dar battaglia per la difesa del CCNL e dello Statuto dei lavoratori rovesciando, attraverso il conflitto sociale, l’impostazione padronale di Marchionne e Confindustria.
Per ottenere tale risultato, sia la Fiom che la minoranza della Cgil che fa capo all’area programmatica “la Cgil che vogliamo”, devono da un lato radicalizzare la battaglia politica all’interno della Cgil allo scopo di spostare l’asse dell’intera organizzazione sindacale su una linea conflittuale e contemporaneamente costruire l’unità sindacale con il sindacalismo di base e il movimento studentesco. Questo creerà i giusti rapporti di forza per preparare lo scontro di classe contro il capitale. In questo senso, un po’ di sana autocritica non guasterebbe. Perché all’occhio attento dei delegati più vispi, non può sfuggire il fatto che la Fiom rischi di fare alla Fiat, come in tutte le altre fabbriche del Paese, la stessa fine che per anni ha riservato in sorte al sindacalismo di base, facendo comunella con Cisl e Uil escludendoli burocraticamente, in maniera antidemocratica e cioè d’ufficio, dalla rappresentanza proporzionale.
Al momento in cui scriviamo, non sappiamo quanti sindacati di base scenderanno in campo al fianco della Fiom. Alcuni stanno facendo di tutto per saltare l’appuntamento o viverlo ai margini . Sembra però che la pressione dal basso li farà venire in piazza, se non proprio tutti, quasi. Anche tendendo loro una mano, la collaborazione col sindacalismo di base sarà durissima. Il settarismo ne fa quasi a colpo sicuro dei sindacati senza speranza. Se però il sindacalismo di base si dimostrerà malato pressoché irrimediabilmente di cretinismo rosso, la Fiom è tenuta per l’unità dei lavoratori a non precludersi un rapporto con i suoi iscritti. Tanto più che la Fiom non ha nulla da temere da un rapporto franco coi sindacati di base. I vertici non possono inoculare al suo interno i loro germi velenosi. Una delle leggi inesorabili della lotta di classe, infatti, stabilisce che quando più sindacati viaggiano assieme, gli iscritti di quelli più piccoli tendano a confluire pian piano in quello più grande, perché l’istinto di classe dei lavoratori è più forte di ogni settarismo. La Fiom uscirà rafforzata dal rapporto con i sindacati di base perché è l’anticorpo al loro settarismo centrista, anche se i vertici di questi sindacati non lo capiranno mai. Può darsi, anzi è quasi scontato, che proprio per questo a un certo punto i sindacati di base si tireranno indietro, perché misurando la loro forza dal numero delle tessere anziché dalla potenza della lotta dei lavoratori, non capiranno che la loro forza reale sta nella loro scomparsa all’interno della Fiom e de La Cgil che vogliamo.
Solo col fronte unito di tutte le forze attive dei lavoratori è possibile ribaltare il programma della Confindustria e del Governo che vogliono scaricare sulla loro pelle i costi sociali della crisi economica. E quando parliamo di fronte unito, parliamo anche di fronte internazionale, a cominciare dal collegamento coi metalmeccanici polacchi e serbi. Quel che è successo alla Zastava Auto in Serbia, mostra quel che succederà in Italia nelle Newco di Marchionne. L’accordo con Cisl e Uil, infatti, non prevede la riassunzione in blocco dei dipendenti Fiat, ma solo che quelli necessari alla nuova fabbrica saranno scelti «in via prioritaria con l’assunzione del personale proveniente dagli stabilimenti Fiat». E se come in Serbia metà dei lavoratori alla Fiat non serviranno più, tutta la Fiom e chi la sostiene sarà lasciata a casa. A meno che la Fiom raccolga l’appello di Tychy e dei lavoratori serbi. Qualche tentativo è già in atto e noi, da buoni internazionalisti, lo incoraggiamo fino in fondo.
Ciò che è in gioco in questa battaglia è la possibilità di una ripartenza del conflitto che blocchi la controffensiva padronale. Se ciò non dovesse avvenire o per cretinismo politico delle forze sindacali o per opportunismo, i lavoratori andranno inesorabilmente verso una atroce sconfitta dalla portate epocale.
Il 28 la classe operaia scenderà in campo. Il 3 e 4 Febbraio ci sarà la prima appendice dello sciopero con la convocazione nazionale dell’assemblea dei delegati. In quel frangente proporremo d’intensificare la lotta concentrandola nella grandi fabbriche. In un’intervista del grande Ernest Mandel del 1995, il più grande economista marxista del secondo dopoguerra ricordava che già allora un certo numero di stabilimenti chiave erano decisivi per la produzione di numerose altre fabbriche. Poche officine impiegavano il 6-7% della manodopera totale. Oggi ne impiegano ancor meno. Basta fermare queste per «paralizzare tutta la produzione». Non è necessario chiamare alla lotta anche fabbriche periferiche. Le fabbriche periferiche devono risparmiare i soldi da versare nella casse di resistenza per lo sciopero continuato ed estenuato della fabbriche decisive. Solo in un secondo tempo, se gli sforzi dei centri più grandi non dovessero bastare, metteremo in campo a sostegno anche le forze periferiche.
Basteranno queste due semplici mosse per dare scacco matto ai padroni? Noi pensiamo che questa modalità di lotta sia sicuramente più efficace rispetto a quanto fatto fino ad ora sia dalla CGIL e sia dal Sindacalismo di Base. La spettacolarità dello sciopero a singhiozzo una tantum non ha conquistato nessun risultato, ed invece piano piano, tale modalità di lotta, sta determinando scoramento tra le masse lavoratrici. Lo sciopero deve servire a portare a casa qualche risultato pratico per i lavoratori, affinché i lavoratori non perdano fiducia nell'unico strumento di lotta di cui dispongono contro il padrone. Per questo siamo convinti che sulla modalità di dare battaglia contro le politiche del Governo e del padronato, si debba cambiare registro.

Lorenzo Mortara     Rappresentante FIOM Ykk Vercelli.

Andrea Furlan          Direttivo Roma - centro Filcams CGIL

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