Diari di Cineclub

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Rivista Cinematografica online e gratuita

sabato 15 gennaio 2011







LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO E IL CHE


di Roberto Massari







Per gentile concessione della MASSARI EDITORE pubblichiamo, dai Quaderni della Fondazione Ernesto Che Guevara n°8, la sintesi della relazione tenuta a Trento, il 3 ottobre 2009, in apertura dei lavori per l’11° incontro annuale della Fondazione Guevara, dedicato per l’appunto a “La società dello spettacolo e il Che”.



Era il 1984 e nella Tesi n.3 dei Commentari sulla società dello spettacolo Debord scriveva che “il cambiamento più importante in tutto ciò che è successo negli ultimi vent’anni sta nella continuità stessa nello spettacolo (…): il fatto essenziale è semplicemente che il dominio spettacolare abbia potuto allevare una generazione sottomessa alle sue leggi.”
Non poteva essere più chiaro (e preveggente) l’epitaffio che il principale teorico del situazionismo redigeva sull’élite radicale di massa che si era formata tumultuosamente ed eversivamente nelle lotte degli anni ’60: nella prima metà del decennio su temi come l’Algeria, Cuba e la rivoluzione coloniale; nella seconda metà sul terreno più direttamente sociale, della fabbrica, la scuola, l’università, le istituzioni totali ecc. Eppure Debord era pienamente consapevole che quei movimenti erano stati l’ultimo tentativo di infrangere la catena del dominio mediatico, all’epoca ancora adolescente dal punto di vista tecnico e soprattutto di mercato, laddove oggigiorno è in fase talmente alta di espansione da far quasi intravedere una sua prossima decadenza per meccanismi endogeni di frantumazione pulviscolare.
A quei movimenti non si può addossare la colpa di non aver saputo analizzare o prevedere la dinamica spettacolare che cominciava a pervadere le istituzioni dell’economia, della formazione,dell’informazione ecc. Ma se si ripensa alle “avanguardie di massa” di paesi come gli Usa, la Germania, l’Italia, la Francia, ma anche la Jugoslavia,la Cecoslovacchia, la Polonia ecc. si deve riconoscere che era ben radicata e presente la consapevolezza di quanta pericolosità vi fosse nella crescita esponenziale delle nuove tecniche di comunicazione e di spettacolarizzazione della politica. Anche per questo c’è accordo in genere a definire quei movimenti come antisistemici, anche se non consapevolmente rivoluzionari.
I movimenti degli anni ’60 furono tutti sconfitti, com’é noto. Ma mentre nei precedenti movimenti antisistemici del Novecento ( dalle tre rivoluzioni russe alle insurrezioni europee dopo la Grande guerra, dalle collettività spagnole ai settori anticapitalistici dell’antifascismo) il fallimento fu dovuto all’impiego da parte dell’avversario di una forza militare o poliziesca (come in Urss) superiore –facendo sì che le forze della sovversione “perissero combattendo”- i movimenti antisistemici degli ultimi anni ’60 furono semplicemente riassorbiti. La violenza fu necessaria solo contro frange marginali slegate dai movimenti di massa, mentre la sottomissione definitiva avveniva per via pacifica, integrando le avanguardie all’interno delle grandi disponibilità professionali, economiche, politiche e soprattutto spettacolari del sistema.
La sconfitta di quei movimenti si realizzò quindi per integrazione, producendo una generazione “sottomessa” (come ci ricorda Debord), i cui esponenti più in vista –ma anche i quadri intermedi, gli outsiders simpatizzanti, gli intellettuali fiancheggiatori –si trasformarono in strumenti di razionalizzazione (più o meno illuminata) del sistema, interni al sistema.
Ciò è accaduto attraverso l’estensione della forma di merce al mondo mentale di questi ex oppositori, rendendoli interpreti diretti (protagonisti o figuranti) nel processo di appropriazione virtuale della merce-spettacolo: l’unica merce in grado di agire direttamente sul mentale senza quasi-nulla o molto poco concedere sul materiale. L’integrazione spettacolare degli oppositori chiuse il cerchio totalitario di dominio assoluto e globale (i due aggettivi che meglio definiscono le caratteristiche salienti del capitalismo della società dello spettacolo).
Ebbene, le date di questo processo epocale di assorbimento delle avanguardie ex antisistemiche coincidono con la diffusione mondiale delle trasmissioni commerciali televisive via satellite (da giugno del 1965) e l’avvio della spettacolarizzazione della figura del Che.
Esaminiamo rapidamente le varie fasi.
Gli anni della radicalizzazione nelle metropoli –in conseguenza del risveglio alla lotta dei popoli coloniali (con importanti vittorie, localizzate soprattutto in Africa del nord ed equatoriale)- coincidono con gli anni della radicalizzazione di Ernesto Guevara: dal ribellismo giovanile del medico allergologo che viaggia per l’America latina, al pianificatore di una concezione radicale di costruzione del socialismo.
Gli anni delle prime grandi mobilitazioni giovanili (da quelle dei neri e contro la guerra negli Usa fino all’Italia, la Francia, il Messico, alcuni paesi dell’Est, la Cina) sono gli anni in cui crescono e si sviluppano al massimo le guerriglie latinoamericane, sotto l’occhio esplicito o clandestino del Che e dello stato cubano.
La nascita della leggenda originata dalla scomparsa del Che guerrigliero, precede di poco o accompagna l’esplosione di grandi movimenti radicali di massa, mentre la figura dell’ex ministro che muore combattendo si radica con forza in quei movimenti sotto il profilo esclusivamente ideologico. In seguito si potrà dire anche “propagandistico”, ma solo in riferimento all’uso che della figura del Che è stato fatto nella Cuba del perìodo especial (dopo l’ottobre del 1987), da partiti come Rifondazione (nella fase centrista ascendente) o da gruppi di matrice staliniana che hanno cercato di camuffare dietro al Che-revival le loro nostalgie per i regimi di dittatura burocratica dell’Est.
Il termine “propagandistico” può offrire, però, un’immagine errata del processo d’interiorizzazione del messaggio guevariano da parte dei nuovi movimenti. Non vi fu alcun organismo che si mise a sventolare la bandiera col basco per influenzare ideologicamente le nuove generazioni radicalizzate. Anzi, si dovrebbe anche tener conto dell’ostilità nei confronti di Guevara che prevaleva nei partiti comunisti, non solo latinoamericani (tipo Uruguay o Argentina), ma anche in Francia e in Italia (per non parlare del Pcus e del Pc cinese).
Domanda: è la spettacolarizzazione dei movimenti che ha favorito il processo di spettacolarizzazione della figura (indubbiamente sempre più mitica) del Che o è il modello “Guerrillero Heroico”-sintetizzato iconograficamente dalla celebre foto di Korda- che ha influito sulla radicalizzazione in senso anticapitalistico e antimperialistico dei movimenti?
Un marxista antidogmatico risponderebbe subito che è l’interazione tra i due processi. Mentre un brillante studioso della materia –Michael Casey, Che’s afterlife (La seconda vita del Che)- descrive i due fenomeni come sostanzialmente autonomi, con intrecci più o meno controllati a seconda dei paesi: massima fusione in certe vicende latinoamericane, di poca consistenza in paesi mediorientali, ciclica o intermittente in paesi capitalistici avanzati –intrecci di processi intimi apparentemente simili, ma episodici e separati nel lungo periodo.
Rimandando alla periodizzazione che ho fornito in “Il nostro Guevara” (in Il ’68, come e perché, 1998,pp.47 sgg), mi trovo a condividere pienamente la tesi di Casey e a riconoscere che la spettacolarizzazione della figura del Che si è costituita autonomamente dai processi di radicalizzazione nella fase di ascesa, pur accompagnandoli passo a passo. Lo stesso vale per la fase di declino, che è stata molto rapida, ma ha visto coincidere la trasformazione in pura e semplice spettacolarità di entrambi i processi, negli anni in cui i movimenti venivano assorbiti dal sistema o atomizzati su basi locali, etniche, professionali, sessuali ecc.
Questa ipotesi è confermata dal fatto che il mito del Che è risorto “inaspettatamente” intorno al 20° anniversario della sua morte, a partire dall’Italia (avamposto più avanzato della spettacolarizzazione), ma includendo finalmente anche Cuba e lo stesso Fidel Castro che a ottobre del 1987 ridiede libertà di parola e di ricerca, ma solo sul pensiero “economico” del Che. Elementi di spontaneità non mancarono neppure allora, complici gli entusiasmi (infondati) sulla rivoluzione nicaraguese, il nuovo pacifismo, la diffusione del volontariato terzomondista. Basti pensare al fatto simbolico (negativo) per cui agli occhi di molti la riscoperta del Che in Italia viene attribuita a personaggi politicamente squalificati del mondo televisivo (e a uno in particolare).

A partire da un certo punto, la spettacolarizzazione perse qualsiasi traccia di spontaneità, anche se nella percezione dei milioni di persone coinvolte rimaneva una disponibilità a immedesimarsi con l’immagine coerente e coraggiosa delChe. Su quell’humus spontaneo di predisposizione per valori positivi, s’innestarono prepotentemente i fattori merce-spettacolo e politica-spettacolo che già avevano imbevuto di sé ogni altra forma di espressione culturale e politica. In mano a capi di stato, giornalisti, anchormen televisivi, editori privi di scrupoli ecc. si recuperò il lato mitico (residuato della precedente spettacolarizzazione) e si trasformò la figura del Che in merce-spettacolo tout court (cioè pura e semplice). I nuovi mezzi della tecnologia delle comunicazioni resero rapida, mondiale e redditizia l’operazione.
A un certo punto degli anni ’90 ebbe così inizio la nuova fase (quella che ancora perdura) della commercializzazione spettacolare della figura del Che. Il fenomeno si verificò contemporaneamente in vari paesi del mondo, ma con caratteristiche diverse: Si pensa in genere alle magliette con l’immagine di Korda, ai dischi con le canzoni, all’oggettistica, ai primi passi del mercato editoriale (agli inizi assente solo il mezzo cinematografico –ma non il documentaristico- che ha avuto un esordio precoce e fallimentare nel 1969: e comunque anche il “ritardo” cinematografico ora è stato recuperato). Ma le magliette e i gadgets rappresentano solo il mercatino “delle pulci” mediatico, anche se molto capillare e molto visibile.
I primi passi significativi in direzione di uno sfruttamento economico della spettacolarità della figura del Che hanno delle date ben precise. E’ il biennio 1993-94 quando i figli Aleida e Camillo Guevara March e la ex vedova Aleida March furono sbalorditi dal successo mondiale del libretto Notas de viaje (Latinoamericana) i cui diritti avevano venduti alla Feltrinelli. Da allora non si parlò più di edizioni critiche o di Opere complete, ma di edizioni affrettate, rigidi copyright, contratti milionari che i Guevara March (tramite l’australiana Ocean Press) firmavano con le principali aziende capitalistiche nel campo dell’editoria, a partire dalla Mondatori/Berlusconi in Italia. Lo stesso accadeva con il cinema, mentre “l’indotto commerciale” si ampliava, coinvolgendo anche l’erede di Alberto Korda (Diana Dìaz) nella commercializzazione della celebre foto dopo la morte del padre avvenuta nel 2001.
Un capitolo a parte andrebbe dedicato all’utilizzo che della figura del Che si è fatto in chiave propagandistica a Cuba agli inizi del perìodo especial, facendo leva sul guevarianissimo rifiuto del feticcio denaro e sui suoi appelli contro l’egoismo. E’ così accaduto che la massima diffusione di un simbolo rivoluzionario e anticapitalistico è venuta a coincidere con l’apertura al mercato capitalistico, con le sue regole e i suoi valori. Questi sono penetrati a Cuba, per giunta, nel settore più antiguevariano che si possa immaginare –il turismo- in totale contrasto con le idee del celebre ministro dell’industria, fautore di un progressivo passaggio agli incentivi morali e all’abolizione del fattore commerciale delle relazioni umane.


La società dello spettacolo è riuscita a impadronirsi dell’immagine del Che in ogni parte del mondo, trasformandola in merce-spettacolo e non solo –che è come dire che si sta uccidendo il Che per la seconda volta. Ma esaminando la cosa più lucidamente, si vede che il sistema ha riportato solo una mezza-vittoria, per lui densa di pericoli. Infatti le leggi stesse della concorrenza capitalistica fanno sì che i partecipanti al banchetto per aggiudicarsi le spoglie della spettacolarizzazione siano in realtà in concorrenza tra loro: si pensi ai dissapori giuridici-economici tra i Guevara March e i Korda, in attesa che prima o poi si facciano sentire i vari eredi (i figli di Hildita e altri) che sono stati arbitrariamente esclusi dall’eredità. Si verificheranno tafferugli giudiziari tra le aziende che hanno acquistato –in fasi diverse- diritti legalmente contestabili. Insomma, può accadere che una commercializzazione così spinta non si possa più controllare dall’alto, neutralizzando parzialmente i meccanismi economici.
E’ importante, però, che nel frattempo il messaggio del Che non perda la carica storica dei suoi valori e che la sua forza emblematica possa ancora parlare alle nuove generazioni, in presenza di una diffusione mediatica del mito su scala planetaria. E’ difficile avere certezze al riguardo, ma vale la pena di continuare ad operare perché la società dello spettacolo e chi ne sfrutta economicamente l’immagine non riescano a seppellire la valenza rivoluzionaria del messaggio guevariano.
Anche per questo esiste la nostra Fondazione con i suoi Quaderni.

4 commenti:

  1. Paolo Manzelli Revisione concettuale e sintesi di " LA SOCIETA dello SPETTACOLO " di
    Guy Debord Parigi : 1931-1994/suicida)
    vedi in : http://www.edscuola.it/archivio/antologia/recensioni/debord.htm
    ;ed in : http://www.youtube.com/watch?v=1jON5y2fgn4

    rielaborata da : Paolo Manzelli LRE@UNIFI.IT,www.edscuola.it/lre.html
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    Guy Debord con il libro "LA SOCIETA dello SPETTACOLO " scritto nel 1967, ha intuito con lucidità agli albori dell'era televisiva, che il
    mondo reale si sarebbe trasformato in immagini, che lo spettacolo sarebbe diventato "la principale produzione della società attuale".

    Ciò che rende lo spettacolo TV ingannevole e negativo è il fatto che esso rappresenta il dominio di una parte della società che rimane
    passiva nell' ascolto imposto da i mass media, cosi che l'economia,
    ed ogni altro aspetto della società, viene mercificata dalla reclamizzazione dei prodotti e dal controllo del sistema di conoscenze, favorendo il condizionamento di ogni aspetto della vita la condizione umana nella vita di tutti i giorni .
    Dice Guy Debord « Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la
    sua propria esistenza e il suo proprio desiderio »
    Cosi con la TV si alterano le condizioni di pensiero e di vita dell’umanità in quanto si determina nella mente la seguente sequenza
    : "dall’ importanza dell' essere si passa alla concezione dell' avere fino a giungere alla esigenza di apparire", cioè si arriva a dare
    prevalenza ad una forma assai limitata dell' essere.
    La moda come spettacolo ne e un chiaro esempio , le "mannequin" sono magrissime perche' cio che conta per l' immagine non sono loro la il
    vestito.
    Cosi si attua in modo totalizzante la vittoria della finzione sulla realtà, della copia sull’originale, della forma sul contenuto tutto si limita ad muoversi e comportarsi in funzione dell’immagine.
    L’esterno vale più dell’interno, la apparenza surclassa l' intimita', la forma vale più del contenuto: tutto appare quasi potesse trattare
    solo di oggetti, di merci, come in una mostra permanente ed infinitamente estesa nel tempo dell' immaginario.
    Il tempo infatti si riduce al presente che annulla i valori del passato della storia, cio' perche' tutto sembra possibile ridursi ad
    una scena senza confini temporali necessaria a dare valore all' apparire contingente.
    Si prende cosi in considerazione solo una parte della realtà proiettata come immagine e pertanto privata di ogni riferimento stabile o avente un valore obiettivo, perché perennemente cangiante a seconda della situazione che si vuol fare immaginare .
    La scena in TV e' continuamente modificata e quindi, risulta impossibile da cogliere, fissare, definire un ritorno alla vera realta
    che viene coperta da una realtà inesistente, una realtà cancellata dal suo spettacolo che provoca una dilagante crisi d’identità per la
    estraneazione da se stessi nella ricerca di una immagine illusoria e costantemente fuorviante .
    In televisione anche le notizie cosi come le idee politiche esistono solo se fanno spettacolo e si sottopongono alle leggi dello spettacolo , ed e proprio questo stato di cose che ci siamo proposti di modificare basando la attivita di
    EGOCREANETLRE su strategie di sviluppo dei Network Digitali di comunicazione interattiva finalizzate a costruirela futura societa
    della conoscenza.
    Di quanto sopra detto discuteremo al Convegno su "INTELLIGENZA STRATEGICA" -in Provincia di Firenze , Sala Pistelli . Via cavour 3
    Firenze , il giorno .19 Marzo 2011 ; info a LRE@UNIFI.IT
    - "Finalita' del Convegno" :
    STUDIO DELLE STRATEGIE PER RIMUDULARE INTERATTIVAMENTE LE MENTI ALTERATE DALLA SOCIETA DELLO SPETTACOLO IN TV, POICHE' IL MONDO REALE, TRASFORMATO IN IMMAGINI ACQUISITE PASSIVAMENTE E' STATO FUORVIANTE LO SVILUPPO DELLA INTELLIGENZA UMANA.

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  2. Ringrazio Paolo Manzelli per il suo bell'intervento.

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  3. Sarei lieto della vs presenza al Convegno su Intelligenza Strategica Firenze 19 Marzo, Sala Pistelli Provincia di Firenze. Paolo

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  4. Purtroppo problemi familiari mi impediscono di allontanarmi da Roma. Se non è chiederle troppo potrebbe scrivere una relazione su questo convegno?
    Cordialmente Stefano

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