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domenica 11 gennaio 2015

IL "VUOTO" DEL RAPPER COL KALASHNIKOV




IL "VUOTO" DEL RAPPER COL KALASHNIKOV
I giovani europei e l’integralismo islamico


Intervista al sociologo delle religioni, Renzo Guolo a cura di Eleonora Martini




Da rap­per a jiha­di­sta il salto può sem­brare iper­bo­lico. Eppure può essere molto breve, nella «moder­nità liquida». Il pro­fes­sore Renzo Guolo, ordi­na­rio di Socio­lo­gia e Socio­lo­gia delle reli­gioni presso le Uni­ver­sità di Trie­ste, Padova e Torino, spiega i motivi per i quali un gio­vane che nasce e cre­sce nel cuore dell’Europa può sen­tirsi affa­sci­nato e redento dal radi­ca­li­smo islamico.


Par­tiamo dall’assunto che non vanno con­fusi Islam e jiha­di­smo. Allora per­ché certi gio­vani euro­pei si tra­sfor­mano in sol­dati dell’Islam?

Il radi­ca­li­smo è una cor­rente dell’Islam poli­tico. È un’ideologia poli­tica che usa sim­bo­lo­gie reli­giose e cerca una con­va­lida nei testi sacri. Certo, i con­fini non sono sem­plici da mar­care ma la que­stione parte da qui. Anche per­ché non sem­pre chi arriva al radi­ca­li­smo isla­mico ha avuto un’educazione reli­giosa. Anzi spesso siamo nel ter­reno dell’eterodossia totale. Basti pen­sare che tutti i grandi lea­der, tranne al-Baghdadi, non hanno titoli reli­giosi, sono auto­di­datti, e spesso hanno invece una for­ma­zione scientifica.


Per­ché oggi que­sta ideo­lo­gia ha grande suc­cesso anche nelle peri­fe­rie euro­pee?

Per­ché, come ogni grande nar­ra­zione, l’ideologia isla­mi­sta radi­cale copre dei vuoti di senso e di iden­tità tipici della gio­ventù. Non a caso in Iraq e Siria si arruo­lano migliaia di gio­vani euro­pei che in buona parte non sono giunti alla radi­ca­liz­za­zione attra­verso le moschee. A volte infatti il per­corso verso il radi­ca­li­smo isla­mi­sta si nutre di mar­gi­na­lità e pic­cola delin­quenza. L’ex rap­per che diventa stra­gi­sta dimo­stra come si possa pas­sare attra­verso un sot­to­pro­dotto della cul­tura occi­den­tale — inse­rito in un con­te­sto di devianza che deriva da pre­cise con­di­zioni sociali — e, alla fine del per­corso, subire una duplice crisi di iden­tità e di senso. Non sen­tirsi più appar­te­nere com­ple­ta­mente né alla cul­tura occi­den­tale, aven­done vis­suto solo i sot­to­pro­dotti o le tec­no­lo­gie, né alla cul­tura isla­mica che con regole rigide dà senso ad ogni cosa. Il risul­tato è un vuoto di iden­tità che alcuni cer­cano di col­mare con l’Islam radi­cale. Che affa­scina come certe ideo­lo­gie rivo­lu­zio­na­rie nel secolo scorso.


Quindi l’utilizzo dell’elemento reli­gioso è casuale?

No, e non si può dire nem­meno solo che sia stru­men­tale. Ma per capire non pos­siamo usare una chiave di let­tura occi­den­tale, che divide net­ta­mente la reli­gione dalla poli­tica. Siamo davanti a un’ideologia poli­tica che rein­ter­preta in fun­zione mobi­li­tante un reper­to­rio sim­bo­lico reli­gioso che è a dispo­si­zione di tutti. Gli isla­mi­sti si auto­de­fi­ni­scono movi­menti “rivo­lu­zio­nari”, per­ché danno forma a un nuovo ordine, quindi non nel senso usato dai movi­menti occi­den­tali del ’900. Cer­ta­mente, c’è dif­fe­renza tra un intel­let­tuale e chi poi diventa carne da macello. Para­dos­sal­mente però quella ten­denza nichi­li­sta all’auto e all’etero distru­zione, quell’essere per la morte che è stata pre­sente nei gio­vani di molte gene­ra­zioni, trova giu­sti­fi­ca­zione nell’ideologia isla­mi­sta che for­ni­sce obiet­tivi e fina­lità. Senza cadere troppo nell’interpretazione psi­co­lo­gica, ma c’è anche questo.


Vediamo allora i con­te­nuti di que­sta ideo­lo­gia? L’Islam poli­tico ha una lunga sto­ria: dai Fra­telli musul­mani in poi, pas­sando per la rivo­lu­zione komei­ni­sta che affa­scinò anche la sini­stra euro­pea antim­pe­ria­li­sta e ter­zo­mon­di­sta. Ma in occi­dente, dove trova le sue radici?

L’affermazione cora­nica che viene usata come slo­gan fin dai tempi dei tale­ban è: coman­dare il bene e proi­bire il male. Que­sta ideo­lo­gia che trova ante­nati nell’Egitto e nell’India a domi­na­zione colo­niale, per i gio­vani euro­pei si riag­gan­cia, più che all’antimperialismo clas­sico — che è un con­cetto a loro estra­neo — all’anti occi­den­ta­li­smo. In un mondo glo­ba­liz­zato, dove la distin­zione tra glo­bale e locale diventa irri­le­vante, il con­flitto con l’altro diventa il rifiuto totale di quell’occidente dove non si è riu­sciti a tro­vare un posto. E nel campo del nemico ci stanno tutti: Israele, gli Usa e quella che chia­mano la west toxi­fi­ca­tion. La civiltà occi­den­tale diventa cioè ai loro occhi un sistema cul­tu­rale che ha una forma reli­giosa e poli­tica — la società giudaico-cristiana e la demo­cra­zia — total­mente estre­nea alla loro cul­tura, da rifiu­tare total­mente. Ovvia­mente il ter­reno fer­tile di que­sta ideo­lo­gia non sono le élite cosmo­po­lite, ma coloro che non sono riu­sciti a tro­vare uno spa­zio che non sia di pre­ca­rietà e mar­gi­na­lità, e hanno vis­suto solo i sot­to­pro­dotti della cul­tura occi­den­tale, sco­pren­done tutti i limiti. È nel cor­to­cir­cuito dell’integrazione che i pre­di­ca­tori radi­cali hanno buon gioco offrendo alla sot­to­cul­tura da ghetto che è parte dell’occidente un’alternativa di totale rifiuto ed estra­neità, una causa giu­sta. Natu­ral­mente il radi­ca­li­smo isla­mico fa presa anche sulle classi medie, come suc­ce­deva pure nei movi­menti degli anni ’70. Tra i movi­menti “rivo­lu­zio­nari” degli ultimi 100 anni que­sto è forse quello che ha più sto­ria: tutti gli altri si sono bru­ciati nell’arco di un decen­nio, men­tre que­sta uto­pia rea­zio­na­ria, mal­grado tutti gli scac­chi poli­tici che ha subito, con­ti­nua a fare pro­se­liti. Ovvia­mente conta molto il qua­dro poli­tico inter­na­zio­nale, ma è nella moder­nità liquida che rie­merge il tema delle ideologie.


Quindi non c’è via d’uscita?

A breve no. Il nodo vero però è che l’Islam non rie­sce a con­trap­porre un discorso effi­cace di dis­sua­sione. La repres­sione è essen­zial­mente poli­tica e ad opere dei regimi che si ten­gono saldi in un sistema di alleanze inter­na­zio­nali. Dire che il buon musul­mano non uccide non basta. Ci sarebbe biso­gno di una grande bat­ta­glia cul­tu­rale interna al mondo isla­mico che affronti tutti i nodi della moder­nità. Dif­fi­cile, per una reli­gione che non ha gerar­chie, e dove la visione dell’islam secondo uno jiha­di­sta col kala­sh­ni­kov vale tanto quanto quella di un mistico sufi. Vince solo chi rie­sce a orga­niz­zarsi poli­ti­ca­mente. Certo, favo­rire lo scon­tro di civiltà è il modo migliore per ali­men­tare il radi­ca­li­smo islamico.


9 gennaio 2015

dal sito Il Manifesto


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