FEMMINICIDIO, FEMMINISMI, SVISTE, PERICOLI
di Loredana Lipperini
Dice, non vorrai mica parlare del Don Piero di San Terenzo? Quello che sta sulle pagine di tutti i quotidiani? Quello che basta nominarlo, oramai, e tutti a dire peste e corna, giacché non costa nulla dire peste e corna di un signore che, abito talare o meno, non sembra essere molto in sè?
Dico, sì, voglio parlarne, perchè mi sembra che fin qui le reazioni stiano andando in una direzione che rischia di far perdere di vista il problema (che c’è e resta, e va affrontato). Dunque, cominciamo dall’inizio.
Nel 2012 sono state uccise tante donne. Tantissime. No, il numero esatto non lo possiedo, perché a oggi non esiste un centro di monitoraggio che non sia volontario, e che vada a dirci quanti sono quelli che ancora la cronaca chiama “delitti passionali” e che si è convenuto di chiamare “femminicidi” (esiste il rapporto sulla criminalità del ministero dell’interno, però, e ci dice che mentre i delitti, in assoluto, calano, quelli che riguardano l’assassinio della ex moglie o ex fidanzata aumentano, e in questa sede, per ora, non aggiungo altro per non ridurre la faccenda a una rissa sui numeri. Ci sarà occasione, non dubitate). Le donne uccise sono, appunto, donne abbandonanti. Gli omicidi, uomini abbandonati.
Primo punto: questo non significa in alcun modo che chi affronta questo argomento, e lo denuncia, e cerca di immaginare come mettere fine alla catena di sangue sia:
- sostenitrice della guerra fra generi. Femminismo non significa, a mio parere, difendere le donne a prescindere. Se ti ha piantata il fidanzato, non prenderò le tue parti perché tu sei donna: questa è una questione che riguarda te, non i diritti e l’armonia della comunità in cui viviamo. Se ti presenti alle elezioni senza un programma che riguarda i diritti delle donne, non ti voterò solo perché appartieni al genere femminile. Se compi azioni che feriscono altre o altri, non ti giustificherò perchè sei donna. Affermare che le donne sono buone “a prescindere” è la peggior gabbia in cui possiamo essere rinchiuse. Femminismo, per me, è battersi perché le donne usufruiscano di pari diritti: cosa che, al momento, non avviene in settore alcuno.
- giustizialista. Ovvero, fautrice di un inasprimento delle pene. Non è aggravando la pena prevista che si cancellano i femminicidi. Occorre altro: formazione, prevenzione, mutamento culturale. Già detto e ripetuto.
Chiaro fin qui?
Il secondo punto riguarda non solo i femminicidi, ma il modo in cui si si usa la presunta inesistenza del fenomeno per colpire al cuore ogni rivendicazione che riguarda i diritti delle donne.
I femminismi sono barzellette, caricature, faccende da signore snob, frigide e bacchettone. Questo è il messaggio che passa in ambito laico da un anno a questa parte: e ci sarà pure, come è inevitabile, una banalizzazione di contenuti - come sempre avviene quando un fenomeno esce dalla nicchia; e ci sarà pure chi sui femminismi ha fatto due conti (anche tre) per proprio calcolo elettorale o di visibilità. Ma questo non può e non deve annullare ogni discorso in favore del filo di perle e della tazza di te’ della parodia che ne viene offerta.
I femminismi hanno distrutto la vera essenza del femminile, che è sacrificio e mansuetudine e sottomissione e annullamento del sè. Questo è il messaggio che passa in ambito cattolico, in una gamma che va dalla apparente soavità delle scrittrici che vorrebbero intitolare le scuole alle donne che sono morte per aver rifiutato di curarsi il cancro e salvare il nascituro fino al can can mediatico di don Piero.
Già, don Piero, che ha appena abbandonato il sacerdozio (anzi no: non ci pensa proprio, ma fermiamoci qui). Non so se qualcuno se ne sia accorto: ma il famigerato volantino affisso nella bacheca della Chiesa non era farina del sacco del talentuoso sacerdote, ma il copia e incolla di un post di Pontifex, sito ultras di cui si era già parlato poche ore prima. Capito come funziona? Si scrivono due righe (e io ammetto di averlo fatto) su un social network dicendo, in sostanza, ma guarda questi di Pontifex a che punto arrivano. Seguono condivisioni a valanga. Segue rilancio del prete di Lerici e il caso decolla dai social a giornali e televisione. Don Corsi lo ha fatto per convinzione? Non ci credo. L’ha fatto per i soliti cinque secondi di microfama: perchè, come diceva Lucifero-Al Pacino in un vecchio film, la vanità è il peccato preferito del diavolo.
Dunque? Dunque, bisogna imparare a parlare di femminicidio. Non solo i mezzi di comunicazione devono farlo. Dobbiamo farlo noi, che siamo ormai, ognuno nel proprio ambito, comunicatori. Dobbiamo imparare a riflettere per far passare il messaggio giusto. Dobbiamo trovare le parole. Non dobbiamo semplificare, per nessun motivo. Perché il rischio è quello che la semplificazione cannibalizzi e annienti quanto è stato fatto e il moltissimo che resta da fare. E dobbiamo anche sapere che è molto più deprecabile la definizione dell’elettrice italiana da conquistare (presidente Anci, Graziano Delrio, marzo 2012: il governo “deve aprire gli occhi, badare ad Angela (Merkel), ma anche alla signora Maria che ha il marito in cassa integrazione’’) degli astuti vaneggiamenti che vengono da Lerici. Perché a me quel “signora Maria” puzza tanto di casalinga di Voghera. E quel tempo è, o dovrebbe essere, finito.
27 dicembre 2012
dal sito http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/
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