martedì 18 dicembre 2012
CAMBIARE, SI POTREBBE... di Antonio Moscato
CAMBIARE, SI POTREBBE...
di Antonio Moscato
Ho seguito fin dall’inizio le discussioni in seno al vasto raggruppamento sorto intorno alla parola d’ordine semplice di “Cambiare si può”. Tuttavia ho cominciato da qualche tempo a pensare che avevo probabilmente esagerato a fare una Autocritica dopo la mia iniziale perplessità, espressa con un punto interrogativo in un articolo, subito dopo la prima apparizione del progetto: Appelli elettorali: alternativi?
L’autocritica era stata stimolata da una lettera che mi ricordava che “in primo luogo, l'appello...è un appello. Ossia cerca di coagulare intorno ad alcuni temi, e ad alcune analisi seppur sintetiche, tutti coloro che intendono ancora avere una visione del mondo radicale (e concreta, appunto). Non è poco”. E mi faceva capire che non potevo separarmi dal processo che riuniva tanti compagni, un’occasione importante per ricominciare a discutere insieme dopo anni. Non mi pento di averlo fatto, naturalmente pur mantenendo alcuni dubbi, espressi prevalentemente in interventi o in lettere ai compagni a cui sono più vicino.
Pensavo tuttavia che non valesse la pena di concentrarsi sulle carenze del programma, che pure ritenevo non casuali, e finalizzate al probabile retropensiero di una parte dei promotori: ottenere un risultato tale da imporre una trattativa col PD. E questo voleva dire allargarsi a molti residuati del passato, purché dotati di un discreto pacchetto di voti. Soprattutto perché i progetti erano ambiziosi: la relazione introduttiva di Livio Pepino all’assemblea del 1° dicembre diceva che “non ci interessa il piccolo cabotaggio (che, tradotto in cifre, significa 10 o 15 parlamentari)”.
Mi pareva pericoloso dirlo, soprattutto perché seminava illusioni (con una presentazione così affrettata e con i mass media decisamente ostili, mi parrebbe soddisfacente portare in parlamento una pattuglia anche molto più piccola…), ma invece il problema era un altro: ci si illudeva di poter arrivare a governare, ovviamente con altri, invece di puntare a riportare nel parlamento una voce radicalmente diversa e “alternativa” ai partiti e alle coalizioni esistenti, per potersi rivolgere più efficacemente al paese da quella tribuna.
Molti degli aspetti che avevano presentato come nuovo e originale il progetto di “Cambiare si può” si sono rivelati presto illusori: si è denunciata ad esempio la “forma-partito” ma le decisioni sono state spesso prese in una cerchia ristretta e non sottoposta ad alcun controllo, o approvate per acclamazione.
Peraltro “forma-partito” è definizione poco utile, per la notevole differenza esistente tra i diversi partiti del Novecento italiano, non solo tra quelli nati dal movimento operaio per la propria liberazione, e quelli creati dalla borghesia o dalla chiesa cattolica per contrastarne il progetto, ma anche tra il partito comunista del 1921-1926 (quello di Bordiga e Gramsci, sorto dopo l’esperienza dei consigli di fabbrica torinesi, per intendersi), e quello che con il culto del capo nel 1944 faceva accettare alle masse il re, Badoglio, la ricostruzione dello Stato capitalista che era andato a pezzi durante la guerra e la guerra civile, la riorganizzazione di una magistratura reazionaria e di una polizia violentemente antioperaia.
Si è denunciato il leaderismo ma applausi frenetici hanno investito Ingroia e De Magistris come leader assoluti, e ci hanno fatto trovare, non senza collusioni con un altro discutibile residuato della peggiore e meno democratica “forma partito”, di fatto in compagnia obbligata con il partito dei sindaci e dei magistrati, e con un discutibile programma.
Osannato dai partecipanti alle assemblee, e forte di tali consensi, Ingroia si è preoccupato di dar consigli a Bersani, e a chiedergli di riflettere sulla sua politica, come se fosse il frutto di un errore contingente, superabile grazie agli accorti consigli del saggio magistrato, mentre era il punto terminale di una mutazione profonda avvenuta da almeno tre decenni. Dar consigli a Bersani, per vedere se ci si può alleare, è un po’ come suggerire una dieta vegetariana a un lupo, prima di affidargli gli agnelli.
Ma alla fine, a completare l’inversione di tendenza e lo svuotamento del progetto, è venuto il nuovo piano in dieci punti proposto da Ingroia con De Magistris e Leoluca Orlando: di cui è scandaloso non solo il sesto punto (“vogliamo che gli imprenditori possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse”), ma anche la fumosità di molti altri, che ricorda la vaghezza e impossibilità di concretizzazione di quegli articoli della Costituzione italiana che affascinano Benigni, a prescindere dal fatto che l’unico realizzato (perché l’unico realizzabile) è il 12, che stabilisce che la bandiera italiana è bianca, rossa e verde…
Insomma una serie di “vorrei”, non di obiettivi di lotta.
Li riporto integralmente:
1) Vogliamo che la legalità e la solidarietà siano il cemento per la ricostruzione del Paese.
2) Vogliamo uno Stato laico, che assuma i diritti della persona e la differenza di genere come un'occasione per crescere
3) Vogliamo una scuola pubblica che abbia sia per gli insegnanti che per gli studenti il criterio del merito, con l'università e la ricerca scientifica pubbliche non sottoposte al potere economico dei privati e una sanità pubblica con al centro il paziente, la prevenzione e il riconoscimento professionale del personale medico e infermieristico.
4) Vogliamo una politica antimafia nuova che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento, ma l'eliminazione della mafia, e la colpisca nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a cominciare dal potere politico
5) Vogliamo che lo sviluppo economico rispetti l'ambiente, la vita delle persone, i diritti dei lavoratori e la salute dei cittadini e la scelta della pace e del disarmo sia la strada per dare significato alla parola "futuro". Vogliamo che la cultura sia il motore della rinascita del Paese.
6) Vogliamo che gli imprenditori possano sviluppare progetti, ricerca e prodotti senza essere soffocati dalla finanza, dalla burocrazia e dalle tasse
7) Vogliamo la democrazia nei luoghi di lavoro e ripristinare il diritto al reintegro sul posto se una sentenza giudica illegittimo il licenziamento
8) Vogliamo che i partiti escano da tutti i consigli di amministrazione, a partire dalla Rai e dagli enti pubblici e che l'informazione non sia soggetta a bavagli
9) Vogliamo selezionare i candidati alle prossime elezioni con il criterio della competenza, del merito e del cambiamento
10) Vogliamo che la questione morale aperta in Italia diventi una pratica comune, mentre ci vogliono regole per l'incandidabilita' dei condannati e di chi è rinviato a giudizio per reati gravi, finanziari e contro la pubblica amministrazione. Vogliamo ripristinare il falso in bilancio e una vera legge contro il conflitto di interessi.
Mi sembra che l’unico realizzabile sia il 9 (che dipende dalle regole che si vorrà dare questo movimento), ma che è ancora molto vago, dato che formulazioni analoghe sono presenti in tutti i partiti, compresi i peggiori: sentito mai qualcuno che dica di non voler scegliere i candidati “con il criterio della competenza, del merito e del cambiamento”?
Anche molti altri punti evitano di indicare il “come” fare. Ad esempio il 5 recita: “Vogliamo che lo sviluppo economico rispetti l'ambiente, la vita delle persone, i diritti dei lavoratori e la salute dei cittadini e la scelta della pace e del disarmo sia la strada per dare significato alla parola futuro. Vogliamo che la cultura sia il motore della rinascita del Paese”, ma non spiega come ottenerlo. Non si parla minimamente di espropriare chi violenta l’ambiente e calpesta i diritti dei lavoratori. Eppure perfino Clini e Crosetto hanno dovuto accennare a questa possibilità, sia pure per demagogia.
Il punto 7 dice “Vogliamo la democrazia nei luoghi di lavoro e ripristinare il diritto al reintegro sul posto se una sentenza giudica illegittimo il licenziamento”, che è giusto ma vago: perché non si dice senza ambiguità: “ripristinare l’art. 18 e abolire l’articolo 8”, e non si fa riferimento alla raccolta in corso delle firme per il referendum?
Furbesco poi il punto 2: perché non si pronuncia chiaramente nei confronti del matrimonio tra persone dello stesso genere? E attenti a cosa vuol dire, oggi, il criterio del merito sia per gli studenti che per gli insegnanti: è in nome di questo che da Luigi Berlinguer a Profumo la scuole e l’università sono state massacrate. E anche sulla mafia, di cui gli estensori di questo programmino sicuramente sanno di più, che vuol dire: “politica antimafia nuova”?
In ogni caso l’aspetto più inquietante è la scomparsa di ogni indicazione concreta sul rifiuto delle spese militari, e sulla cessazione delle imprese imperialiste spacciate per umanitarie. Non può essere perché gli estensori non ci hanno pensato, dato che c’era nelle bozze precedenti (in 25 o 10 punti), se è sparita vuol dire che si è capito che precludeva qualche convergenza futura.
Ultima considerazione: sgradevole e allarmante la scelta di De Magistris e Ingroia di fare la loro assemblea un giorno prima di quella di “Cambiare si può”. Vuol dire: “prendere o lasciare”? Un metodo davvero “nuovo”!
Mi auguro che l’area che si è raccolta intorno al progetto iniziale non si faccia espropriare! Il clima che si è creato nelle assemblee a cui ho partecipato e in quelle di altre regioni o città di cui ho avuto notizia, e in cui ovunque è avvenuto un grande rimescolamento senza che pesassero troppo le provenienze, dovrebbe far sperare che si possa ancora evitare che la presentazione elettorale si riduca davvero a un’operazione di “piccolo cabotaggio”, non per i risultati in termini di eletti, ma per la rinuncia a contrapporsi alla sinistra esistente, proponendo una vera alternativa programmatica.
18 dicembre 2012
dal sito http://antoniomoscato.altervista.org/
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