Diari di Cineclub

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sabato 18 ottobre 2014

IL PUZZLE DELLA SINISTRA ITALIANA di Franco Turigliatto





IL PUZZLE DELLA SINISTRA ITALIANA
di Franco Turigliatto


L’autunno che si apre, segnato dalla nuova offensiva padronale del governo Renzi contro il mondo del lavoro, ma anche da alcuni segnali positivi di ripresa del conflitto dei lavoratori e di nuove possibilità di lotta, è il campo su cui si misurano le forze organizzate alla sinistra del PD in termini di proposte politiche e di processi ricompositivi unitari.

La dialettica potrebbe essere così riassunta: come contribuire con l’azione unitaria allo sviluppo delle mobilitazioni dei lavoratori, costruendo nello stesso tempo un processo di convergenza politica per rispondere alla mancanza di una forza credibile di alternativa al sistema capitalista e alla gestione della crisi decisa dai governi europei?

Il fardello del passato

Su questa dialettica pesa come un macigno, in Italia, il convitato di pietra rappresentato dal PD, oggi il principale promotore per conto della classe dominante delle politiche di austerità; gran parte della sinistra non è infatti ancora riuscita a farsi una ragione della natura borghese di questo partito sia in versione Bersani che in versione Renzi e a rompere il vecchio cordone ombelicale.

Eppure la sua frantumazione attuale, la sua scarsa credibilità e il sempre minore radicamento nelle classi lavoratrici è il frutto non solo delle sconfitte sociali, politiche ed ideologiche del mondo del lavoro, e dell’incapacità di collegarsi, all’inizio del secolo, con le nuove generazioni del movimento antiglobalizzazione, ma anche della linea distruttiva operata da Rifondazione con la scelta della collaborazione di classe con un governo borghese, come quello del Prodi 2.

In quello snodo politico cruciale la corrente interna al PRC, Sinistra Critica combattè con forza, e determinazione, non trovando però rispondenza nel partito, una deriva di cui comprendeva tutte le ricadute negative immediate e i grandi pericoli che rappresentava per il futuro.

Se si pone attenzione a ciò dicono e fanno i diversi spezzoni prodotti dalla crisi della vecchia Rifondazione, si ha la netta percezione che nessuno abbia fatto un bilancio serio di quanto avvenuto, della natura strategica e non politica degli errori compiuti in quegli anni dai gruppi dirigenti con effetti distruttivi sul partito e sulle prospettive del movimento dei lavoratori.

In questi anni abbiamo assistito a diversi progetti unitari, qualcuno ideologico, qualcuno passatista (nostalgia dei vecchi tempi del PCI), qualcuno opportunista o elettoralista, spesso con una combinazione di questi diversi aspetti, quasi tutti però rimasti allo stato di enunciazione.

Mi ha sempre colpito che nessuno, come primo elemento, abbia messo l’accento sulla necessità di costruire un fronte comune di resistenza sui contenuti, sulle lotte sociali da sviluppare, sugli obbiettivi di lotta da sostenere insieme ai lavoratori, come precondizione per affrontare la ricomposizione politica, quasi che si possa passare alla matematica superiore, facendo a meno di una buona pratica dell’aritmetica.

Occorre invece misurarsi in primo luogo su questo terreno unitario per favorire le lotte dell’autunno: insieme ai cancelli, nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro per solidarizzare e aiutare le lavoratrici e i lavoratori a reggere l’urto del padronato.

Le esperienze

Non è un caso invece che le propulsioni all’unità e alla composizione di un’alleanza delle forze di sinistra si siano manifestate nelle scadenze elettorali; per molte di esse il centro di gravità è stato sempre nelle istituzioni. L’opportunismo istituzionale, collettivo e personale, è quindi causa ed effetto di questa centralità politica difesa con la classica proposizione “dobbiamo sporcarci le mani, contare nelle scelte e non avere un atteggiamento minoritario”. Da ciò l’inserimento a fondo nelle pratiche locali di governo del centro sinistra con i ben noti risultati, qualche volta particolarmente “edificanti”.

L’esperienza della Lista Ingroia per le modalità con cui è stata costruita, calpestando la richiesta di discussione che aveva animato i protagonisti di “Cambiare si può” e solo rivolta a permettere il ritorno in Parlamento di alcune figure dirigenti, è finita giustamente in un disastro.

Più complesso e diverso il processo che ha portato alla formazione della Lista Tsipras, che aveva finalità elettorali, ma che era animata da una sincera volontà di esprimere sul terreno del voto una presenza alternativa alle politiche dell’austerità europea, avanzando quindi contenuti e attività realmente presenti nella società e un sentimento internazionalista, antagonista al liberismo della UE e alle proposte di regressione nazionalista.

Spinta soprattutto da Rifondazione tramite l’intervento di Tsipras, la lista ha raccolto intorno a se alcune aree significative di militanti; anche Sel pressata da una parte dei suoi militanti e dalle norme elettorali, ha infine scelto, pur con molte tensioni interne, di parteciparvi.

Difficile, date le posizioni politiche contrastanti, però trasformare la lista elettorale in un processo politico organizzativo di più ampio respiro, in una vera forza politica unitaria.

I nodi strategici, del rapporto col PD, si sono posti rapidamente a partire dalle elezioni anticipate in Emilia Romagna e Calabria e la lista Tsipras nel suo complesso non ha retto l’urto delle scelte, con Sel e qualche pezzo di Rifondazione che sono tornati nel girone del PD.

Il risultato elettorale della lista Tsipras e la configurazione degli eletti aveva visto Rifondazione segnare dei punti a suo vantaggio, rafforzando il suo progetto politico di ricostruire una presenza egemonica più ampia. Il partito di Vendola ne era uscito con difficoltà subendo una consistente scissione dei gruppi parlamentari verso il PD di Renzi (e questo la dice lunga sulle scelte politiche e sulle caratteristiche di certi dirigenti) e tirandosi fuori, il più delle volte, dagli incontri della lista. Quest’ultima è rimasta tuttavia operativa con al centro il PRC e con aree di militanti di base che ne hanno continuato l’attività e che, pur con qualche contraddizione, hanno permesso la rottura con il PD nelle due elezioni regionali di novembre e la formazione di liste alternative che noi sosteniamo.

Il patto degli apostoli

Il gruppo dirigente di Sel, ha sempre mantenuto una linea politica basata su due elementi: rafforzare lo schieramento riformista a sinistra del PD; usare questa forza per costruire una nuova alleanza con questo partito, “condizionandolo” da sinistra. La crisi interna a questo partito prodotta dalla gestione Renzi con la formazione di una “sinistra interna” ha permesso a Vendola di rilanciare il suo progetto.

Sulla qualità e profilo politico degli esponenti della cosiddetta “sinistra” PD, protagonisti delle passate politiche di austerità c’è poco da dire; il recente voto in Senato sul Jobs Act dimostra quale sia il “coraggio”, e la natura politica di questi soggetti. Più importante sul piano sociale il rapporto costruito da Vendola con la Fiom di Landini che gli ha permesso di lanciare dal palco della manifestazione romana il ”Patto degli apostoli”.

In realtà siamo di fronte all’ennesimo progetto di ricomposizione di una sinistra riformista e moderata, corrispondente alla sensibilità ancora presente in numerosi militanti e aree della sinistra, che vede per l’appunto come prima tappa la formazione di una aggregazione più ampia e come seconda tappa il condizionamento politico del PD dentro una alleanza di governo. Al di là delle formule suggestive sugli apostoli è un deja vu, sempre risultato perdente a partire dall’esperienza dei due governi Prodi, quando pure il PRC aveva ben altra forza numerica ed anche sociale.

Vedremo se questo processo politico si consoliderà nell’autunno, trascinato dalla necessità della FIOM di impegnarsi con un poco più di determinazione nelle lotte e della stessa CGIL di costruire qualche mobilitazione significativa per gestire una situazione straordinariamente difficile per il suo gruppo dirigente. Vedremo anche quali saranno i risultati sul piano dei consensi elettorali. Di una cosa siamo certi: questo progetto, essendo subalterno al PD, è destinato alla sconfitta sul medio periodo. Per questa via non sarà data risposta alle esigenze dei lavoratori, tanto meno costruito il progetto anticapitalista più che mai necessario di fronte alle scelte del capitale.

Il percorso di Rifondazione

Rifondazione gioca un ruolo a sinistra, di opposizione al governo Renzi, proponendosi di costruire una “soggettività antagonista ed alternativa” come è scritto in un recente testo della sua Direzione. La proposizione è condivisibile anche se, come in molti casi, la realtà è più complessa per il semplice fatto che una disamina approfondita e definitiva delle vecchie scelte ed alleanze non è stata fatta, e soprattutto perché in certe situazioni l’attaccamento alle giunte locali resta ancora profondo, molte volte difeso politicamente come nel caso della partecipazione alla coalizione per le elezioni di secondo grado per la città metropolitana di Milano.

La direzione del PRC punta molte carte sulla manifestazione del 29 novembre contro il governo promossa dalla lista Tsipras per “rompere gli indugi” politici ed “avviare un processo” costituente della sinistra antiliberista. È la sua proposta di costruire la Syriza italiana. Abbiamo già scritto in altre parti che la proposta di una coalizione come quella di Syriza, in Italia è complicata dal fatto che questo tipo di esperienza è già stata fatta proprio con la vecchia Rifondazione che conteneva tutte le correnti della sinistra e che non è riuscita a superare l’esame della lotta di classe. Rifondazione vuole rilanciarla attraverso la lista Tsipras attraverso un percorso “inclusivo, democratico e partecipato” i cui tratti sono non tanto quelli dell’anticapitalismo quanto quelli dell’antiliberismo. La dimensione complessiva di alternativa “comunista”, la seconda gamba di cui parla il testo citato, rimarrebbe prerogativa del PRC in quanto tale. L’impressione che si ricava, al di là delle sottolineature sulle iniziative sociali necessarie di questa coalizione di sinistra, è che essa debba avere una funzione soprattutto elettorale e quindi un baricentro che ruota intorno alla prospettiva delle prossime elezioni.

Il pragmatismo delle posizioni del PRC si esprime anche nell’analisi internazionale, dove emerge una interpretazione dei fatti solo dominata dall’imperialismo occidentale (naturalmente ben presente) e non anche da altri soggetti (non meno presenti), che lo spinge alcune volte a vistosi scivolamenti “campisti”.

E si manifesta sul terreno dell’identità comunista del partito dove le ambiguità sul significato e sugli strumenti di superamento del capitalismo sono molteplici, tanto più rafforzate se si considera che una delle figure di riferimento di Rifondazione sempre più presente è quella di Enrico Berlinguer. Questa scelta è sicuramente strumentale per molti dirigenti, che negli anni ’70 sono stati avversari della politica del PCI, ma è tanto più errata perché lancia un messaggio politico deviante.

Certo la figura di Berlinguer è molto diversa dagli impresentabili dirigenti del PD, ma il nodo è che è stato proprio lui che, nel momento più alto delle grandi lotte e movimenti degli anni ’70 ha proposto e gestito la politica di collaborazione di classe con la borghesia con il compromesso storico; una scelta politica e strategica che ha determinato la smobilitazione e la sconfitta di quella grande stagione di lotte; una scelta in continuità con quelle operate dal PCI nel secondo dopoguerra. L’alternativa al capitalismo significa anche la ricerca di altre identità. Al di là di queste necessarie osservazioni critiche la discussione e la ricerca dell’unità d’azione con questa forza politica, resta per noi una costante.

L’esperienza di Ross@

Nella primavera del 2013 è stato operato anche un altro tentativo di costruire una aggregazione di forze di sinistra, quella di Ross@, “un movimento politico anticapitalista e libertario di donne e uomini che vogliono lottare, sulla base di un programma di alternativa economica, politica e culturale, con adesioni individuali e pratiche di democrazia realmente partecipativa, con un sistema di relazioni plurali ed aperte. Vogliamo costruire questo movimento ed il suo programma imparando dalle lotte sociali e delle esperienze concrete in atto.”

A questa esperienza partecipavano militanti sindacali della sinistra CGIL, dell’USB, formazioni politiche come la Rete dei Comunisti e quell’area che poi sarebbe diventata Sinistra anticapitalista, un settore di Rifondazione, numerosi soggetti singoli. Essa non presupponeva la formazione di una nuova organizzazione politica, ma un processo aperto e plurale e soprattutto inclusivo. L’esperienza ha incontrato molte difficoltà obiettive collegate alla difficile situazione della lotta di classe, ma anche al fatto che le proposte elettorali sono sempre state più attrattive per molti militanti della sinistra che non una proposta di lavoro a medio termine.

Ma Ross@ ha successivamente incontrato difficoltà soggettive e di direzione. Non sono mancate infatti al suo interno alcune spinte di tipo settario e illusioni di autosufficienza rinunciando all’ambizione di allargare progressivamente la base attraverso l’iniziativa politica e di movimento, interloquendo con la diffusa percezione, in ampi settori politicizzati e di movimento, della totale inadeguatezza di tutti i soggetti esistenti. Così in un determinato momento è emersa l’incapacità di Ross@ di essere un soggetto attivo in tutto il complesso di discussioni politiche che si sono svolte intorno alle elezioni europee. Il condivisibile approccio antistituzionale e centrato sui movimenti si è trasformato in proposta astensionista o in nessuna proposta e in una debolissima capacità di proporre un reale approccio e una dinamica politica internazionalista, rivelando un provincialismo perfino superiore a quello di altri settori della sinistra. Altre discussioni come quella molto difficile e complessa sulle scelte sindacali e sulle diverse articolazioni organizzative presenti con cui si esprime il sindacalismo di lotta, sono rimaste senza alcuna risposta. Di qui il disimpegno di aree essenziali al progetto di Ross@ che ne hanno mutato composizione ed equilibri politici, e accelerazioni organizzative che hanno esaltato un’identità autoreferenziale (in totale contrasto con il suo spirito fondativo), conclusasi infine nella costituzione di una nuova sigla di sinistra, certo, forte di una linea nettamente alternativa a ogni connivenza con il centrosinistra, ma senza alcun profilo forte sul piano dell’identità e su quello programmatico; soprattutto questo non risolve il nodo della costruzione di un più vasto raggruppamento che resta il problema politico della fase.

Queste problematiche poste più volte dai compagni di Sinistra Anticapitalista non hanno trovato rispondenza in altri settori di Ross@, per cui abbiamo considerata conclusa per noi quella esperienza, modificatasi nel tempo; con essa resta però per noi pienamente operativo un rapporto di interlocuzione unitaria.

Breve considerazione

In questa disamina parziale non interveniamo sul percorso di una parte, per altro assai consistente e dinamica, di forze giovanili e militanti che si ritrovano nell’attività dei centri sociali e nel movimento dell’autonomia, che naturalmente sono parte considerevole della galassia della sinistra e che meriterebbero considerazioni approfondite. La loro scelta è quella di rigettare certe forme dell’organizzazione politica e di correre solo in un ambito sociale loro specifico nella costruzione della conflittualità.

Lasciamo da parte la considerazione più volte avanzata che in alcune di queste formazioni (non in tutte) esiste una dicotomia, tra la radicalità delle forme di lotta e dell’immaginario rappresentativo assunto e la non radicalità strategica della loro prassi politica e quindi del progetto politico alternativo; non pensiamo né pretendiamo che essi siano partecipi di un processo ricompositivo politico che non corrisponde al loro essere politico. Tuttavia crediamo si possa pretendere anche da loro un approccio unitario nella costruzione delle lotte e dei movimenti, non separatista e quindi discusso democraticamente tra le lavoratrici e i lavoratori e le diverse soggettività sociali che vi partecipano. Questo da tutti è dovuto verso la classe di nostro comune riferimento e delle sue concrete articolazioni.

Affrontare il nodo di una coalizione unitaria, ampia, plurale e di alternativa

Queste considerazioni critiche su altre forze della sinistra, sulle esperienze passate o in corso non significano in alcun modo una rinuncia da parte nostra ad essere presenti sul terreno della ricerca di un processo unitario (come è per esempio il caso del PCL, che ritiene di poter correre da solo), ma solo indicare il quadro delle difficoltà presenti, per provare ad affrontarle con maggiore consapevolezza. Così come siamo pienamente consapevoli che anche noi, con le nostre debolezze politiche ed organizzative, col fatto che noi stessi siamo stati partecipi in diverse forme dei vari tentativi unitari a cui si è fatto riferimento, siamo parte dei problemi e delle difficoltà che debbono essere affrontate.

Infatti come è scritto nel documento politico del Coordinamento nazionale varato nel contesto del nostro seminario di Bellaria: 
“La necessità di costruire una vasta aggregazione politica per poter intervenire con una qualche maggiore efficacia nella crisi italiana è davanti agli occhi di tutti; è un compito a cui tutte e tutti coloro che hanno a cuore la sorte del movimento dei lavoratori non possono né devono sottrarsi e su cui dirigenti e militanti politici della sinistra devono dimostrarsi capaci di dare disponibilità reali e di operare atti concreti.”

E questo è tanto più vero in un contesto politico e sociale che offre alcune potenzialità: le mobilitazioni che si stanno profilando è il terreno più propizio per la credibilità delle proposte della sinistra e gli stessi ultimi sondaggi elettorali indicano un suo spazio politico maggiore e in ripresa. Nello stesso tempo si tratta di costruire la credibilità di un alternativa a quella che ad oggi è la maggior forza di opposizione al governo delle larghe intese. Stiamo parlando di una formazione politica interclassista come il Movimento 5 stelle che i sondaggi confermano ancora una volta essere la seconda forza elettorale (intorno al 20%) nelle intenzioni di voto e che mantiene una credibilità e presa su un vasto settore di cittadini nonché una capacità di mobilitazione in alcuni momenti specifici, come nella recente kermesse di tre giorni a Roma. Questa attrazione politica del grillismo è tanto più preoccupante e necessita la costruzione di una alternativa a sinistra, perché va di pari passo con prese di posizioni politiche (a partire dall’appello alle forze armate o la proposta di detassazione delle imprese) decisamente inquietanti e molto pericolose.

In altri paesi europei, dalla Grecia alla Spagna, dal Portogallo alla Francia, le difficoltà sono enormi, gli strumenti politici in essere sono anch’essi limitati e contradditori, ma tuttavia non sono del tutto all’anno zero come in Italia ed hanno qualche possibilità in più di intervento nella crisi che squassa i paesi e nei tentativi di resistenza delle masse popolari.

Per questo pensiamo che le forze della sinistra debbano vedersi, discutere apertamente per provare a sbloccare questa situazione non rinunciando a costruire un percorso di comune iniziativa a partire dalle lotte dell’autunno,assumendosi in prima persona la costruzione del fronte sociale e politico contro le politiche dell’austerità.

Abbiamo proposto e lo ribadiamo: serve un lavoro in tutte le città per decidere insieme le iniziative e i momenti unitari di mobilitazione; ma forse serve anche un’assemblea nazionale, che mostri alle lavoratrici e ai lavoratori la volontà e la proposta unitaria delle forze della sinistra. E la manifestazione di novembre contro il governo, che non può che essere condivisa, va costruita nel modo più unitario possibile collegandola anche a questa ipotesi di lavoro.

E tutto questo potrebbe aiutare l’ipotesi di una riaggregazione ampia a sinistra, che, per andare in porto, non dovrebbe essere solo un contenitore di forze diverse, che alla prima urgenza politica si dividerebbero, ma avere un minimo di discriminanti politiche su cui unirsi e lavorare.

Dovrebbe essere possibile un accordo per rigettare le politiche di austerità; non si tratta di rifiutarne una parte, ma di rigettarle nella loro interezza.

Questa impostazione presuppone la non subalternità e l’indipendenza dalle burocrazie sindacali; non si tratta certo di disertare le mobilitazioni che queste sono spinte ad intraprendere, ma al contrario parteciparvi per favorire quello che una volta si chiamava “lo scavalcamento” da parte delle lavoratrici e dei lavoratori.

E’ in questo contesto che una nuova coalizione delle sinistre develavorareper la costruzione e l’organizzazione democratica dei movimenti. E i presupposti della vita interna della coalizione devono essere la pluralità e la democrazia.

Ma tutto questo naturalmente può funzionare, magari solo in parte agli inizi, per poi svilupparsi pienamente, solo se viene tagliato il nodo gordiano a tutti i livelli, senza il quale il cammino si bloccherà prima ancora di partire, (la conclusione delle recenti vicende dell’Emilia e Romagna sono un piccolo passo positivo), cioè se la sinistra che si ricostruisce acquisisce definitivamente che non si può essere alleati di quella forza, il PD, che gestisce in prima persona per conto delle classi dominanti le politiche dell’austerità Il concetto di forza alternativa al sistema capitalistico presuppone di essere alternativi alle destre e al PD.

Un processo di questo genere risolverà di colpo i problemi della lotta di classe e dell’alternativa?
Di certo no; servono grandi movimenti di massa e una nuova fase di radicalizzazione politica di strati giovanili e di lavoratori e lavoratrici; ma anche il più inesperto dei militanti può capire che sarebbe di indubbia utilità sia per l’oggi che per il futuro.


17 Ottobre 2014


dal sito Sinistra Anticapitalista



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