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giovedì 19 marzo 2015

COALIZIONE SOCIALE: SENZA LOTTA NON C'E' PROGETTO di Alessandro Giardiello





COALIZIONE SOCIALE: SENZA LOTTA NON C'E' PROGETTO
di Alessandro Giardiello 



Molti a sinistra si interrogano sul reale contenuto della “Coalizione sociale” di Maurizio Landini.
Nella lettera rivolta agli altri soggetti, riportata dal Corriere della Sera del 13 marzo, il segretario della Fiom scrive: “dovremmo trovare il modo di dare forma e forza ad un progetto innovativo, individuando punti di programma condivisi (…) Le politiche della Commissione (europea) e della troika anche in Italia stanno mettendo in discussione la democrazia, il lavoro e i suoi diritti, l’istruzione e la formazione, la salute, i beni comuni e la cultura, la giustizia”. Di qui l’esigenza di “coalizzarsi insieme per una domanda di giustizia sociale sempre più inascoltata e senza rappresentanza. La coalizione sociale dovrà essere indipendente e autonoma: significa che per camminare dovrà potersi reggere sulle proprie gambe e pensare collettivamente con la propria testa”.

Quello che si sta proponendo nei fatti è una realtà pluri-associativa (con Emergency, Libera, Arci, Articolo 21, Giustizia e Libertà, ecc.) che agisca come un soggetto politico a tutti gli effetti (“la politica non è proprietà privata” ha dichiarato Landini).
Il primo dato da registrare è che la proposta suona come una sconfessione totale nei confronti delle realtà politiche che oggi occupano il campo riformista, da Rifondazione Comunista, a Sel, alla sinistra Pd, che non a caso non sono state invitate all’incontro.
Di questo prendono atto Bersani e Speranza, che contrastano duramente il progetto, mentre Ferrero e Vendola fanno buon viso a cattivo gioco, e si mostrano addirittura “entusiasti” di una proposta, che in definitiva punta a cancellarli dal panorama politico.
Per quanto ci riguarda non abbiamo una posizione conservatrice sulla proposta di Landini. Da tempo abbiamo preso atto che l’arcipelago di forze provenienti dal Prc ha sostanzialmente esaurito la sua funzione. La liquidazione di quel partito si è già prodotta sul piano politico, per mano di Prodi, prima ancora che Landini (o chi per lui) possa dargli il colpo di grazia sul piano organizzativo.

Indipendenza dal Pd

Se una serie di realtà associative decidono di aprire un percorso aggregativo contro le politiche del Pd, questo di per se è un fatto positivo, e pensiamo che la Fiom per storia, consistenza e tradizione sia la forza che meglio di ogni altra possa interpretare la necessità obiettiva della sinistra italiana di rendersi indipendente dal partito di Renzi, aldilà del giudizio negativo che possiamo esprimere su una serie di scelte sindacali operate dal gruppo dirigente della Fiom.
Ma detto questo ci interessa discutere gli approdi del progetto, perché se non è l’ennesimo fuoco di paglia a un certo punto si porranno tre questioni fondamentali: gli obiettivi strategici, il programma, il modello organizzativo.
Gli obiettivi sono riassunti nella lettera: l’opposizione alle politiche della Troika. Un punto di partenza decisamente buono che rimanda però al programma della coalizione. Perché contro la Troika, almeno a parole, c’è anche Salvini.
Sul programma al momento non è dato sapere, ma se prendessimo per buono quello presentato da Landini all’assemblea di Roma del 9 giugno 2012 (“Il lavoro prende la parola”), ci troveremmo di fronte a un programma di tipo keynesiano, non molto diverso da quello che difendono le formazioni della sinistra europea.
L’esperienza del governo Tsipras ha dimostrato tuttavia che non esistono i margini economici per portare avanti un programma del genere se non mettendo in discussione l’Unione monetaria e il sistema capitalista nel suo insieme.
Per realizzare tale obiettivo servirebbe ben più di una coalizione sociale, ma un soggetto politico molto più definito e coeso in grado di raccogliere, organizzare e dare espressione al malcontento sociale accumulato in questi anni di crisi e di austerità.
Di che modello stiamo parlando? Un’organizzazione di massa in grado di difendere gli interessi del mondo del lavoro (in tutte le sue articolazioni) e che allo stesso tempo sia in grado di mantenere la propria indipendenza dalla classe dominante. In una parola un partito di classe che disponga della forza e del programma necessario per trasformare la società.

I partiti strumenti superati?

Secondo alcuni sostenitori della proposta, come Fausto Bertinotti, la coalizione sociale è proprio ciò che serve, perché i partiti non sono più terreni fecondi come, a giudizio dell’ex presidente della Camera, dimostrerebbero le esperienze di Podemos e Syriza.
I fatti dimostrano l’esatto contrario. Podemos nasce come movimento politico nel gennaio del 2014 e dopo solo 9 mesi si costituisce in partito, nell’Asamblea Ciudadana di Madrid del 18-19 ottobre. Allo stesso modo Syriza nasce come federazione tra il Synaspismos e altre forze minori della sinistra greca, per farsi partito nel congresso della primavera del 2014.
Se qualcosa ci insegna l’esperienza è che se un progetto politico ha successo, presto o tardi, qualunque sia il programma e gli obiettivi strategici che persegue, finirà per assumere le forme e le sembianze di un partito, puoi cambiare il nome delle cose ma questo non ne cambia la sostanza.
Il problema oggi in Italia non è che i partiti sono finiti e che bisogna inventarsi qualcosa di nuovo. Queste sono sciocchezze che lasciano il tempo che trovano. Ad essere finiti sono i partiti che non sono stati in grado di rappresentare le ragioni sociali per le quali sono nati.
Il punto è un altro: ci serve un partito (o un progetto politico), per fare cosa?
Ci sono potenzialmente in Italia centinaia di migliaia, se non milioni di persone interessate ad aderire a un progetto che si propone di lottare seriamente per l’occupazione, il salario, i diritti, il welfare. Come possono entrare a far parte della coalizione sociale di Landini? Devono dar vita a un’associazione o l’adesione può essere individuale? E se così fosse, che rapporto si stabilirà tra associazioni e individui, attraverso quali percorsi si assumeranno le decisioni?
Saranno forse domande premature, ma se non si da una risposta tempestiva a queste domande, il rischio è che tutto il progetto resti nelle mani di un ristrettissimo numero di persone (presumibilmente i segretari e i presidenti delle associazioni aderenti), limitando il protagonismo degli attivisti che potrebbero affluire in massa se solo venissero offerti loro dei canali di discussione democratici e decisionali.
La storia ci ha mostrato partiti di ogni genere: rivoluzionari, riformisti, democratici, antidemocratici, movimentisti, centralisti, ecc. Ma seppure è vero che i partiti di sinistra hanno attraversato un processo di degenerazione senza precedenti e sono dominati per la gran parte da burocrazie politicamente corrotte (talvolta non solo politicamente) è pur sempre vero che un militante di base se vuole far pesare le proprie opinioni ha bisogno di una struttura. Più è solida, democratica ed efficiente questa struttura più possibilità ha di far sentire la propria voce.

Serve il movimento di massa

Un altro insegnamento che ci viene dalla Spagna e dalla Grecia è che Podemos e Syriza, non sorgono dal nulla ma sono l’espressione di un processo di radicalizzazione di massa che ha attraversato entrambi i paesi. Condizioni che in Italia non si sono date almeno per ora, anche se le mobilitazioni di quest’autunno rappresentano un’anticipazione importante.
Questo è un limite obiettivo, che può essere superato anche con il contributo della Fiom, (e della Cgil più in generale) se sarà incline a organizzare il conflitto conducendolo fino alle ultime conseguenze, cosa che ha rinunciato a fare dopo lo sciopero generale del 12 dicembre.
Riteniamo che solo la lotta e la crescita del movimento di massa possano sciogliere gli elementi di ambiguità contenuti nella proposta, su cui in questi giorni abbondano le speculazioni degli organi di stampa, come il Corriere della Sera.
Si sostiene ad esempio, che Landini non si getti a peso morto nella costruzione del movimento politico, ma il suo obiettivo immediato sia quello di assumere la segreteria generale della Cgil, quando nel 2018 scadrà il mandato della Camusso. Per cui la coalizione sociale servirebbe a “scaldare i motori” e a svolgere un ruolo ausiliario, di sostegno esterno a una battaglia di puro posizionamento interno alla Cgil. Questo spiegherebbe l’accoglienza gelida che la Camusso ha riservato alla proposta.
Aldilà delle speculazioni giornalistiche quello che conta è che senza un movimento di massa dal carattere dirompente (che non può essere escluso ma per il quale è necessario lavorare) tutto il progetto potrebbe esaurirsi in una bolla di sapone o trasformarsi nell’ennesima caricatura elettorale nel 2018 (quando si svolgeranno, presumibilmente nello stesso anno, elezioni politiche e congresso generale della Cgil).
Se gli interessi dell’apparato della Cgil e quelli dei lavoratori fossero coincidenti, non solo la Camusso non dovrebbe opporsi a un ruolo più politico del sindacato, ma lo stesso Landini dovrebbe fare una proposta molto più audace di quella che ha avanzato fino ad ora.
Se si prende atto, come si è preso atto, dell’assenza di un riferimento politico per i lavoratori di questo paese, allora bisogna essere conseguenti. Coinvolgendo tutte le realtà sindacali e le categorie disponibili, l’autorità della Fiom dovrebbe essere utilizzata per promuovere la convocazione di un’assemblea costituente, democraticamente eletta nei luoghi di lavoro e nei territori che porti alla formazione di un nuovo partito dei lavoratori.
Una proposta del genere provocherebbe un moto di entusiasmo, non solo nel movimento operaio, ma in tutto il paese.
Lo stesso Landini, in una recente assemblea a Milano, ricordava la storia del Labour, nato sull’onda delle mobilitazioni sociali e su iniziativa dei sindacati, all’inizio del novecento.
I compiti che abbiamo di fronte oggi non sono così diversi da quelli di allora: rompere con i liberali, unificare i frammenti della sinistra e organizzare i lavoratori in un partito che li rappresenti.
Il fatto che quel partito (il Labour) un secolo dopo sia finito dove è finito, non toglie un grammo di significato all’enorme importanza che la sua fondazione ebbe sulla crescita del movimento operaio britannico.
In definitiva da un operazione a “freddo” non può che nascere il fallimento. Perché il progetto decolli è necessario riannodare il filo delle mobilitazioni dell’autunno. Le due cose stanno assieme o non stanno affatto.
Questo ci sentiamo di dire al compagno Landini e a tutti quei lavoratori che guardano con speranza alla proposta e che, a partire dalle nostre posizioni, ci vedranno sempre al loro fianco.

18 Marzo 2015

dal sito FalceMartello

La vignetta è del maestro Mauro Biani




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