Diari di Cineclub

Diari di Cineclub
Rivista Cinematografica online e gratuita

martedì 8 marzo 2011





LENIN
E LA QUESTIONE EBRAICA


di Nathan Weinstock







Dopo aver pubblicato ieri il saggio di Nathan Weinstock su Marx e la questione ebraica proponiamo dello stesso autore il punto di vista su questo problema del fondatore del partito bolscevico.



Al contrario di Marx, Lenin conosceva bene la situazione delle masse ebraiche dell’impero russo. Se egli si riferisce ai lavori di Karl Kautsky e di Otto Bauer, ciò avviene appunto nella misura in cui è chiamato a pronunciarsi sulle tendenze all’assimilazione “nel mondo civile”, cioè non dell’Europa orientale, ma delle democrazie borghesi occidentali. (1)
Perciò egli ha colto, più chiaramente di Marx, le conseguenze della funzione specifica assunta storicamente dagli ebrei. Essi formano, scrive, una nazione – “la più oppressa, la più perseguitata”- che in Galizia e in Russia, “paesi arretrati semiselvaggi”, viene mantenuta “dalla violenza in una condizione di casta”. (2) La descrizione mette ben in rilievo la doppia natura, sociale e nazionale, della condizione che Léon (3) esprimerà sinteticamente nella definizione di “popolo-classe”: Lenin corregge così i giudizi troppo rigidi che aveva espresso nel 1903 nella sua polemica con il Bund, periodo in cui egli, senza alcuna sfumatura, metteva l’accento sul fatto che il popolo ebraico aveva perduto le sue caratteristiche nazionali. In questo periodo riteneva che le tesi del Bund sull’esistenza di una nazione ebraica portassero a un autoisolazionismo reazionario, al ripiegamento sullo spirito del ghetto. (4)
Nelle sue note critiche sulla questione nazionale (1913) egli mette in rilievo innanzitutto le “due tendenze storiche nella questione nazionale”: il risveglio della vita nazionale e la formazione di stati nazionali all’alba dello sviluppo della società capitalistica e “la distruzione delle barriere nazionali, la creazione dell’unità internazionale del capitale, della vita economica in generale, della politica, della scienza, ecc.” che caratterizzano il capitalismo giunto nella sua fase di maturità. (5)
Ora, ponendo la questione ebraica in questa prospettiva, è chiaro che nell’Europa dell’est l’arretratezza rafforza il particolarismo ebraico mentre negli Stati occidentali esistono tutte le condizioni favorevoli all’assimilazione” … “Su dieci milioni e mezzo di ebrei nel mondo intero, quasi la metà vivono 'nel mondo civile' in condizione di massima assimilazione, mentre gli ebrei di Galizia e Russia, infelici, oppressi, privi di diritti, schiacciati dai vari Puriskevic (russi e polacchi) vivono in condizioni di minima “assimilazione” di massimo particolarismo: al punto che sono state istituite “zone di residenza obbligata” per gli ebrei, che si è arrivato addirittura a definire per loro “una norma percentuale” e altre delizie alla Puriskevic”. (6)
A rigor di termini, gli ebrei non costituiscono una nazione né nei paesi semifeudali in cui formano una casta, né nei paesi occidentali in cui si assimilano. Questi fatti “ attestano che i soli che possano strepitare contro l’ “assimilazione” sono i piccolo-borghesi reazionari ebrei che vogliono fare andare indietro la ruota della storia, obbligandola a girare non nel senso che dalla Russia e dalla Galizia porti a Parigi o New York, ma in quello contrario”. (7)
Un partito marxista “(formula) un programma nazionale dal punto di vista del proletariato”. (8) Questo significa che “il marxismo metta l’internazionalismo al posto di ogni nazionalismo). Esso “riconosce pienamente la legittimità storica dei movimenti nazionali”, “ma affinché questo riconoscimento non si muti in un’apologia del nazionalismo occorre che esso si limiti strettamente a quanto di progressivo v’è in questi movimenti –questo riconoscimento non dovrà mai oscurare la coscienza del proletariato con l’ideologia borghese”. Di qui il dovere e l’interesse del proletariato “a scuotere ogni giogo feudale, ogni oppressione nazionale, ogni privilegio per una sola nazione o per una sola lingua”: in questo caso si tratta di un nazionalismo progressista. Ma il nazionalismo può essere sostenuto solo in questi stretti limiti e in questo quadro storicamente determinato. Andare al di là di questo compito essenzialmente negativo –combattere le ingiustizie “per la democrazia più impegnata e più conseguente” significa rafforzare il nazionalismo borghese. (9)
Ogni cultura nazionale ha in sé una cultura borghese dominante ed “elementi, anche non sviluppati di una cultura democratica e socialista”, che nascono dalle condizioni di vita delle masse lavoratrici oppresse. “Perciò, la ‘cultura nazionale’ in generale è quella dei grandi proprietari fondiari, del clero e della borghesia”. (10) Di conseguenza il movimento operaio avrà come parola d’ordine non la cultura nazionale, bensì l’internazionalismo proletario, “la cultura internazionale della democrazia e del movimento operaio universale” (11), la lotta contro il nazionalismo borghese e il “suo stesso”nazionalismo in particolare. (12)
Il proletariato “sostiene tutto ciò che aiuta a cancellare le distinzioni nazionali”, affinché l’unità si realizzi nella classe e non nella nazione (13). “La propaganda per una completa uguaglianza delle nazioni e delle lingue deve mettere in evidenza in ogni nazione solo elementi di democrazia conseguente (che sono soltanto quelli proletari), raggruppandoli non secondo la nazionalità, ma secondo la loro tendenza a miglioramenti seri e profondi della struttura generale dello Stato. (14)
Applicando questa analisi alla questione ebraica, Lenin oppone alla cultura nazionale ebraica in generale –particolarismo che trae origine dalla condizione degli ebrei nei paesi semifeudali e riflette “tutto ciò che tra gli ebrei ha un carattere di casta”- i “grandi filoni universalmente progressisti della cultura ebraica”, cioè l’internazionalismo e l’adesione ai movimenti proletari. E aggiunge:

“La percentuale degli ebrei nei movimenti democratici e proletari è sempre superiore a quella degli ebrei rispetto al totale della popolazione”. L’affermazione della cultura nazionale è l’obiettivo che si pone la borghesia ebraica; il proletariato ebraico ha invece il compito di integrarsi nella classe operaia internazionale, portandovi il suo specifico contributo "per la creazione della cultura internazionale del movimento operaio' ” (15).
Lenin polemizza aspramente con il partito ebraico Bund, il cui programma nazionalista (l’autonomia culturale nazionale) “ divide le nazionalità e avvicina di fatto gli operai di una nazione alla loro borghesia”. (16)

Lenin si pronuncia invece per l’abrogazione di ogni privilegio nazionale e per l’uguaglianza dei diritti di tutte le minoranze nazionali. Riconosce “la libertà di ogni associazione, compresa l’associazione di qualunque comunità, di qualunque nazionalità in uno Stato determinato”. (17) Inoltre raccomanda di sostituire le sorpassate frontiere politiche con nuove unità territoriali ispirate, anche, dalla composizione nazionale della popolazione. “Per sopprimere ogni oppressione nazionale, occorre soprattutto creare nuove circoscrizioni autonome, anche di infime proporzioni, a composizione nazionale unica e integrale, intorno alle quali potrebbero anche ‘gravitare’ ed entrare in rapporto con esse associazioni libere di qualsiasi specie, i membri di una determinata nazionalità, dispersa nei diversi punti di un paese o anche del mondo”. Ma, aggiunge, se la composizione nazionale della popolazione è un fattore importantissimo “sarebbe assurdo e impossibile” separare le città (a composizione nazionale mista) dai villaggi e dalle frazioni che vi gravitano intorno in ragione dell’elemento nazionale”. (18)

Questo significa che la popolazione ebraica concentrata soprattutto nei grandi centri urbani, dove si trova in posizione minoritaria, non sarebbe in grado di formare in pratica tali entità nazionali.
Lo scarso successo dei soviet locali e regionali ebrei in Urss negli anni venti lo dimostra chiaramente. Del resto nell’ambiente urbano, il proletariato ebraico tende a snazionalizzarsi.
In uno dei suoi ultimi scritti Lenin ha sottolineato che per cancellare l’eredità dell’oppressione nazionale zarista e assicurare la solidarietà di classe tra la nazione già dominante e il popolo precedentemente oppresso, si rendono necessarie le più larghe concessioni alla nazione oppressa. (19)

_______________________________________________________________
NOTE

(1) LENIN, Notes critiques … p.16
(2) Ivi. pp.12-13
(3) Abram Léon, dirigente trotskista belga, autore de "Il marxismo e la questione ebraica", Samonà e Savelli, Roma 1968.
(4) Cfr. J. FRAENKEL, Lenin e gli ebrei russi,pp.104-105 e S.M. SCHWARTH, The Jewish in the soviet Union , Siracusa,1951, p.50
(5) LENIN, Notes critiques …,p.14
(6) Ivi, p.16
(7) Ibidem
(8) Ivi, p.30
(9) Ivi,p.22-23
(10) Ivi,p.11
(11) Ivi, p.8
(12) Ivi, p.12
(13) Ivi, p.24
(14) Ivi, p.31-32
(15) Ivi, p.14
(16) Ivi,p.32
(17) Ivi, p.28
(18) Ivi, p.41
(19)La question des nationalités, ou de l’autonomie” 31.12.1923 in Lenine, Oeuvres, Tome 36, Paris Moscou 1959, pp.620-622.

Nessun commento:

Posta un commento

Print Friendly and PDFPrintPrint Friendly and PDFPDF