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sabato 27 dicembre 2014

IL NUOVO LIBRO DI MARCO BERTORELLI STA FUORI DALLE POLARIZZAZIONI di Paolo Bartolini





IL NUOVO LIBRO DI MARCO BERTORELLI 
- "NON C'E' EURO CHE TENGA. PER NON PIEGARSI ALLA MONETA UNICA NON SERVE USCIRNE" -
 STA FUORI DALLE POLARIZZAZIONI
di Paolo Bartolini


Appena letta le recensione di Marco Bersani al nuovo libro di Marco Bertorelli  “Non c’è euro che tenga. Per non piegarsi alla moneta unica non serve uscirne” (Alegre, 2014), mi sono diretto in libreria per acquistare il libro. Una disamina seria e non prevenuta delle principali tesi anti-euro è oggi indispensabile, vista la facilità di presa sull’opinione pubblica degli slogan no-euro. La critica alla moneta unica e agli odierni assetti dell’Unione Europea è naturale e comprensibile. Come negare che tra cittadini europei e istituzioni sovranazionali si sia creata una distanza abissale, un baratro che separa i primi dalle seconde abolendo qualunque principio di controllo e di partecipazione democratici?

Bertorello sceglie, tuttavia, di porsi fuori dalla polarizzazione automatica (e segretamente complice) che oppone il fronte no-euro agli strenui e interessati difensori dell’Europa così com’è. La questione centrale, troppo spesso evasa dai promotori di un’uscita più o meno unilaterale dall’Unione, riguarda i limiti insiti nelle visioni che rimangono tutte interne al modello mercatista e ipercompetitivo del capitalismo attuale.
Semplificando potremmo dire, sulla scia delle riflessioni di Bertorello, che il nemico da battere non è l’Europa e la sua moneta, ma il neoliberismo che utilizza entrambe per far fronte, senza tra l’altro riuscirvi, alle contraddizioni del capitale in piena globalizzazione.
Occorre dunque “sviluppare alcune valutazioni di ordine politico sui rischi di considerare l’uscita dall’euro centrale e prioritaria“. Bertorello, con mia grande soddisfazione, non si ferma alle considerazioni economiche, ma tenta di immaginare le conseguenze sociali e, aggiungo io, antropologiche, di una fuoriuscita dall’euro. Ripiegamenti regressivi su scala nazionale appaiono molto probabili una volta tornati alla divisa nazionale.
“Porre al centro la strategia della svalutazione competitiva della propria moneta – afferma l’autore – rischia (...) di dare adito a spinte sempre più frammentarie. Se il terreno dell’attuale contesto ipercompetitivo sono riduzioni dei costi e politiche monetarie fondate sulla svalutazione, allora perché non pensare a due monete più corrispondenti a due realtà socioeconomiche tanto diverse come il centro-nord italiano e il suo meridione? A tale ragionamento segue, o lo anticipa, quello che a differenti costi della vita debbano corrispondere differenti salari. Tutto un repertorio che periodicamente non solo fa capolino nelle riflessioni politico-accademiche, ma anche in quelle popolari, a causa di una naturalizzazione del capitalismo che disvela rapporti di forza che inducono a scaricare le contraddizioni verso il basso“.
Questa lunga citazione è utile perché dimostra la capacità dell’autore di tener conto degli aspetti sociali e sistemici connessi all’eventuale decisione di abbandonare l’euro. E aggiungo: la cautela e l’attenta considerazione dei numerosi fattori che trascendono ampiamente la questione monetaria non può trascurare gli aspetti antropologici e psicologici.
La carenza macroscopica della teorizzazione no-euro mi pare evidente proprio quando, in un colpo solo, vengono dimenticate tanto la cornice reale della cosiddetta crisi (ovvero lo stato attuale di un capitalismo alle prese con nuove ed enormi contraddizioni mondiali) quanto le condizioni complessive, morali-intellettuali-spirituali, dei popoli europei. La società dello spettacolo, e il suo motore centrato sull’accumulazione economica e sulla mercificazione universale, hanno plasmato in profondità milioni di persone indebolendo i nessi sociali e le forme di solidarietà orizzontali e verticali, per non parlare delle capacità razionali e di regolazione degli affetti.
La recessione che sta colpendo buona parte delle nazioni europee, va ricordato, non può che generare paura, un’emozione pervasiva e devastante che, in mancanza di contenitori collettivi che la convertano in fiducia e in tutele/diritti ridistribuiti, produce immediatamente chiusura, difesa violenta della propria identità, diffidenza verso gli altri, demonizzazione del diverso, proiezione sui più deboli dell’ombra psicologica non riconosciuta. In altre parole, e per non girarci troppo intorno, un ritorno alle presunte sovranità nazionali è tutt’altro che priva di rischi, essendo questa inversione di marcia da immaginarsi comunque tutta interna allo scenario del capitalismo globale e della concorrenza generalizzata che esso promuove.
Ma altre prospettive esistono e bisogna solo coltivarle per renderle praticabili.
Ad esempio, cresce la possibilità che a gennaio vengano indette le elezioni anticipate in Grecia. Syriza, che viene data vincente dai sondaggi, nonostante le sue molte anime conserva una visione del “problema Europa” capace di proiettare le rivendicazioni popolari verso un futuro diverso.
Anche Podemos in Spagna sembra rafforzare un’idea di rinascita democratica attenta ai contatti transnazionali con altre forze di opposizione avverse al neoliberismo e all’austerity.

Con Bertorello, in conclusione, mi auguro anch’io che i conflitti sociali, emersi o latenti, possano sfociare in un’alleanza europea del lavoroche punti a rinegoziare il debito, a riformare i trattati europei – che, come ci ricorda Luciano Gallino, non sono affatto immodificabili – e, soprattutto, a contrastare i patti transatlantici del commercio liberando le comunità umane dalla privatizzazione inarrestabile dei beni comuni.
Abbandonato il campo delle ipersemplificazioni e degli slogan da due lire (è proprio il caso di dirlo!) è possibile intravedere le coordinate di un progetto radicale di cambiamento dell’Unione Europea che tenga conto delle dinamiche profonde internazionali e di quelle, altrettanto radicali, della psiche individuale e collettiva.


26 dicembre 2014

dal sito MEGA chip





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