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giovedì 20 agosto 2015

SETTANTACINQUE ANNI DALL'ASSASSINIO DI TROTSKY di Guillermo Almeyra




SETTANTACINQUE ANNI DALL'ASSASSINIO DI TROTSKY
di Guillermo Almeyra  



Lev Trotsky, assassinato in Messico nel 1940 da un agente di Stalin, è stato uno dei personaggi più importanti della prima metà del XX secolo, e soprattutto il rivoluzionario che difese e sviluppò l’essenziale del lascito di Vladimir Ilic Lenin, a partire dalla sua morte nel 1924. Il suo tempo fu, come egli stesso lo definì, “un’epoca di guerre e rivoluzioni” che aveva ancora il suo campo di battaglia principale in Europa, e in cui i lavoratori erano ancora in grado di vincere (guerra civile spagnola, liberazione della Jugoslavia, guerra partigiana in Italia, insurrezione in Grecia contro la monarchia e le truppe britanniche…).

In questa capacità di lotta confidava Trotsky per evitare il ritorno al capitalismo nell’Unione Sovietica, e spazzare via il principale ostacolo alla liquidazione del capitalismo, la burocrazia “operaia” sovietica, socialdemocratica o sindacale che difendeva e diffondeva i valori e l’ideologia del capitale, inquinava la soggettività degli sfruttati spingendoli gli uni contro gli altri su basi nazionali, etniche, “razziali”.

Dalla fine del 1980 viviamo in un epoca sempre gravida del pericolo di guerre, a cui se ne aggiunge un altro nuovo ancora più grande, l’ecocidio. Per la ricerca senza limiti di profitto da parte dei capitalisti, che hanno concentrato come mai in passato il potere e la ricchezza in poche mani, stiamo avanzando verso la fine delle condizioni per la civiltà e di un’enorme quantità di specie, compresa quella umana.

Dopo una sconfitta storica dei lavoratori, la cui forza precedentemente imponeva riforme sociali e faceva temere il capitalismo, ora siamo di fronte a una dittatura di ferro del capitale finanziario sui popoli. Ultimo esempio la Grecia.

Karl Marx e Friedrich Engels avevano già intravisto teoricamente il pericolo di gravi danni alla natura implicito nel capitalismo; Lenin e Trotsky, pur non ignorandolo, concentravano le loro speranze e la loro azione nella vittoria della rivoluzione operaia nell’Europa industrializzata che poteva fornire le basi per allontanare quel rischio. Ma la grandezza del riscaldamento globale, la distruzione dell’ambiente e l’esaurimento delle risorse naturali hanno già superato le previsioni più pessimistiche.

Dopo Hiroshima e Nagasaki siamo immersi in una guerra contro la natura e la stessa umanità. Il capitalismo ha trascinato il mondo nella barbarie, provocato stermini e distruzioni massicce, ha costretto decine di milioni di persone a emigrare per sfuggire alla guerra, ai cambiamenti climatici, alla miseria.

Il rifiuto razzista di questi migranti da parte dei governi capitalisti di paesi che non hanno più bisogno di manodopera non qualificata per le loro industrie ad alto sviluppo tecnologico provoca oggi una vera guerra coloniale di nuovo tipo, la xenofobia dei più arretrati nei paesi industrializzati, l’odio razzista, il nazionalismo ottuso. Siamo lontani dal proletariato colto e internazionalista auspicato dai marxisti. Per farla finita con gli scontri su basi razziste e religiose, bisogna farla finita col capitalismo. Per essere socialista oggi bisogna essere antirazzista, solidale con tutti gli oppressi, ed ambientalista. Ma per essere un ecologista coerente, bisogna essere anticapitalista.

La risposta ai problemi attuali non la si può trovare pronta nelle opere di Trotsky né in quelle di Marx, se non in un senso molto generale. Le enormi trasformazioni nel capitalismo mondiale, nelle stesse classi lavoratrici, compresa l’Italia che ha visto l’enorme declino e la mutazione di un partito comunista che ancora nel 1976 superava il 32%, devono essere studiate in particolare, come bisogna studiare perché la Cina e l’ex URSS sono passate così facilmente a un capitalismo di grandi baroni; bisogna spiegare anche la distruzione delle forme elementari della democrazia e del rispetto delle leggi internazionali in tutti i paesi sedicenti “democratici” dell’Occidente.

Trotsky rimane valido per la sua fiducia nella capacità degli oppressi di reagire di fronte alle grandi catastrofi sociali, fiducia che non può essere confusa con una fede religiosa nel trionfo finale del socialismo: questo dipenderà dalla coscienza e dalla capacità degli oppressi di opporsi all’oppressione. Trotsky ha ancora un grande valore per l’importanza che ha attribuito alla costruzione etica, morale, culturale, artistica e dei costumi di un gruppo di rivoluzionari capaci di ascoltare i lavoratori, di seguirne i migliori istinti di classe e le loro soluzioni e, al tempo stesso, di superare i limiti sindacalisti, corporativisti e nazionalisti che derivano dal fatto che la forza lavoro, produttrice di merci, è una merce essa stessa.

Trotsky è ancora valido per la sua lotta contro le burocrazie “operaie” e per la sua comprensione del carattere internazionale della lotta di emancipazione sociale, per la sua fiducia nella creatività delle donne, della gioventù, dei popoli del mondo coloniale. Lo è anche per la comprensione, sviluppata nel Messico del periodo di Lázaro Cárdenas, dei nazionalismi che contengono al loro interno elementi antimperialisti e anticapitalisti e di autorganizzazione operaia. È valido per la comprensione dello sviluppo ineguale e combinato che consente che le lotte popolari possano saltare tappe e, per ottenere diritti elementari, umani e democratici, debbano rovesciare gli Stati capitalisti e iniziare la costruzione del socialismo.

Ma la spiegazione della realtà per trasformarla si può trovare soltanto nello studio di questa realtà, e non nei libri di Trotsky, che sono solo uno strumento per affrontare questo studio. Perciò in questo anniversario della morte di uno degli uomini che considero miei maestri, ribadisco quello che ho detto già altre volte: sono copernicano, newtoniano, darwinista, marxiano, sostenitore degli insegnamenti fondamentali di Trotsky, ma in modo laico e con occhi critici. I grandi uomini non sono idoli statici, ma ci forniscono gli strumenti indispensabili per comprendere meglio e per trasformare la società prima che sia troppo tardi.





Traduzione di Antonio Moscato

dal sito Movimento Operaio


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